di DANIELE BILLITTERI
In tanti anni di “cronacaccia” ho conosciuto diversi questori. Alcuni buoni, altri meno, altri… beh, lasciamo perdere, parce sepulto.
Ma non ne avevo mai visto uno scrivere una lettera d’amore perché uno immagina un questore che… quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. Oppure un funzionario passacarte con l’unico problema di non farsi notare in negativo dal Ministero o da qualche politicante locale. Difficile che gente così si innamori, in generale. Men che mai che si innamori di una città della quale si parla generalmente male salvando solo una sparuta pattuglia di benpensanti sempre più difficile da identificare perché le apparenze ingannano, beh questo mi appare sorprendente.
Il questore che ha scritto una lettera d’amore si chiama Renato Cortese e ha diretto la questura di Palermo dal 2017 sino a qualche giorno fa quando è stato “messo a disposizione” per ordine del capo della Polizia, prefetto Gabrielli in conseguenza di una condanna in primo grado comminata, come si dice, dal tribunale di Perugia davanti al quale Renato Cortese ed altri erano imputati del reato di sequestro di persona. Fatti accaduti a Roma nel 2013 quando Cortese era capo della Squadra Mobile della Capitale.
Ora io non so quasi nulla della vicenda diventata un processo. So che riguarda la moglie di un dissidente kazako che venne fermata per applicare un provvedimento di espulsione firmato dal governo e che venne trovata in possesso di un passaporto falso. La donna rimase in stato dei fermo per qualche giorno, poi venne espulsa. Quel fermo adesso è stato giudicato illegittimo ed è diventato un sequestro di persona per il quale Cortese è stato condannato, tra l’altro, a 5 anni di reclusione, sentenza che il poliziotto ha ovviamente appellato.
Non riporto qui la sua lettera. E’ lunga, spesso inciampa in un po’ di retorica e di sentimentalismo. Ma Cortese è uno sbirro, non è uno scrittore romantico. E’ uno che a Palermo, già prima di essere questore, ha acchiappato Binnu Provenzano “u tratturi” e una sfilza di mafiosi assassini. Da capo della Polizia nella provincia ha confermato le sue qualità di investigatore di razza e di leadership di una squadra di altissimo livello operativo. Ma ha fatto di più e nessuno lo pretendeva: ha aperto le porte della questura non solo ai malacarne (in transito per l’Ucciardone) ma soprattutto ai cittadini, quelli della “società civile” con la quale ha costruito un rapporto stretto e vero. Altro che “corpo separato”, come la cultura degli anni Settanta (spesso – però – a buon titolo) classificava i corpi investigativi. Cortese ha organizzato dibattiti, proiezioni, ha invitato personaggi della cultura, delle istituzioni, dello spettacolo. Perfino Gigi D’Alessio ha cantato in questura, il che è quanto dire. Insomma non aveva certo il volto della polizia del caso Cucchi.
Ma c’è di più: che segnale si sta dando a Palermo? Proprio all’indomani dell’operazione al Borgo Vecchio che ha mostrato quanto Cosa nostra ci sia ancora e riesca ad adattarsi perfettamente ad ogni pur piccolo spazio che riesce a gestire? In quante celle si sta brindando in queste ore?
Chi ha seguito tutte queste cose capisce, allora, come sia possibile che in questo momento Cortese abbia scritto una lettera d’amore a una città che, per molti versi, questo amore ha ricambiato.
Io faccio un altro mestiere ed è un’attività che induce alla malizia. E maliziosamente mi chiedo se una vicenda come quella nella quale è incappato Cortese, possa essere relegata, nella Capitale d’Italia, alle decisioni e alle azioni di un capo della squadra mobile che, gerarchicamente e per il tipo di vicenda di cui trattasi, sta sotto a: Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri, Ministro degli Interni, capo di gabinetto del Ministro, questore della Capitale, al dirigente della Seconda Divisione, forse anche al capo della Digos.
Io non so come si sia difeso Cortese davanti ai giudici. E questo perché nella lettera non c’è traccia di difesa. Non ha scritto per dire: non sono stato io, hanno sbagliato, ho eseguito ordini, sono il capro espiatorio. No, niente di tutto questo. Solo parole d’amore e di stima per una città che fu la tomba della speranza dei palermitani onesti ai tempi dell’omicidio di Dalla Chiesa e ben prima delle grandi stragi. Solo parole d’amore e un addio. Ma subito seguito da un arrivederci.
Per uno che si chiama Cortese ha una bella carta d’identità e io sto con lui, fino a prova contraria. Con la ragione e col cuore. Anche se non dovrei, perché i cronisti devono essere distaccati. Ma io sono vecchio e me lo posso permettere.
(Pubblicato su: https://www.facebook.com/leone4040/)
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