In tempi non tanto passati un certo Elio Vito, ministro senza portafoglio, era deputato ai rapporti con il Parlamento, ed era lui che di frequente costituiva l’unico esponente di governo che interveniva per rispondere alle interpellanze parlamentari previste dalla nostro assetto costituzionale.
Di fatto, quindi, l’istituto del “Question time” (traducibile in: tempo delle interrogazioni), in assenza del coinvolgimento diretto dei singoli ministri competenti, veniva ridotto ad un rituale standardizzato e pressoché burocratico.
Negli ultimi tempi accade invece il contrario.
Quasi sempre alla Camera e al Senato ora intervengono, invece, direttamente i ministri titolari dei diversi dicasteri e spesso anche lo stesso Presidente del consiglio fornisce i chiarimenti richiesti e risponde alle domande poste.
Ciò anche per l’affermata scelta politica di volere in qualche modo assicurare una proclamata regola di trasparenza sull’attività del Governo.
Continuare, però, ad assistere ancor oggi a interpellanze di taluni, piene di pregiudizi, vaghe, fumose e che quasi mai prospettano o anticipano all’interrogato chiari quesiti circostanziati o proposte per eventuali scelte alternative, anche in relazione all’opportunità offerta specie alle forze politiche di opposizione, risulta quanto mai riduttivo e deprimente.
Reiterare fondamentalmente e ancora l’idea del “facimm’ammuina” senza mai esternare con limpidezza dialettica quelle che sono le proprie idee, per analizzare al meglio, o affrontare e magari contribuire a individuare meglio i termini nell'intento di risolvere quantomeno i problemi che accomunano, non è che poi generi tanto costrutto.
Il Governo, il suo Presidente e i Ministri chiamati a rispondere per essere presi a bersaglio costituiscono una funzione scolorita di un fare la politica all’antica, lontana anni luce da quello che dovrebbe essere il compito dei senatori e deputati di adesso.
I social quasi sempre anticipano i fatti e le interpellanze così condotte rappresentano quindi dei vecchi archibugi che sparano con polveri bagnate.
Poi, le interpellanze raramente indicano problematiche chiare e certificate per consentire di verificare al meglio la veridicità o anche l’attendibilità di domande e risposte.
Il tutto sembra infine ridursi all’esigenza per alcuni di legittimate un’alzata di toni e sollevare polveroni incomprensibili, falsamente ideologici o demagogici (fate voi), che si riducono a proclami e rivendicazioni marginali e tipici dei cori facinorosi di una curva da stadio.
Il tutto con la coreografia di una gaudente clack di nominati - denominati onorevoli – che battono le mani soddisfatti di aver assolto allo svolgimento dei compiti e aver offerto materiale ai media assetati di "scoop da copertina" (particolare effetto ha avuro, in altro contesto, ma non tanto dissimile il fatidico "capra, capra, capra, capra" ormai passato alla storia).
Anche questi sono aspetti curiosi della nostra democrazia fatta di fortunati calati alla politica d’oggi, che si accontentano, dopo lo spettacolo da circo, di ricevere il loro meritato zuccherino.
Nella politica italiana c’è ancora molto da fare, ma il più è richiesto ai cittadini quando sono chiamati al voto. La classe politica proposta sarà sempre quella candidata, pertanto la responsabilità maggiore ricadrà sempre su chi esercita la scelta e che poi, anche se come percentuale ridotta del totale degli aventi diritto al voto, alla fine determina la selezione.
Nel sistema politico italiano, in ogni caso, comunque vada e quando non si trovano soluzioni valgono gli “inciuci”, i patti trasversali e ogni accordo utilizzabile per espellere quelli che - per i politicanti più navigati - rappresentano anticorpi estranei da fagocitare. Magari ricorrendo a un “patto di unità nazionale” per ripristinare la conosciuta sempre valida ed equa spartizione compartecipativa, che non si confonde in ideologie e che è sempre utile alle attente lobbies dei potenti.
In un altro articolo si ebbe a fare un’ampia dissertazione sulle reali percentuali di rappresentanza dei partiti dopo il voto, in quanto le tanto rivendicate percentuali dei seggi assegnati a ciascun gruppo o coalizione a fine elezioni, sono meno rappresentativa perchè subalterne al numero più ridotto dei votanti rispetto agli aventi diritto al voto.
© Essec
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