Giuseppe Bottai, di persona, non l'ho mai conosciuto. Ma l'ho sempre stimato. Era, tra i gerarchi fascisti, certamente il più aperto, molto colto e capace di autocritica: Il destino di un uomo, ha scritto, è la sua coscienza. Ed è stato il solo che ha pagato gli errori, andando ad arruolarsi, soldato semplice, nella Legione straniera. Ho anche, nei suoi confronti, un dovere di gratitudine. Quando avevo vent'anni pubblicò due o tre miei brevi racconti su Primato, la sua rivista, alla quale collaboravano le grandi firme della letteratura e del giornalismo e qualche giovane speranza. Non l'ho mai dimenticato, come sempre ricordo Giorgio Vecchietti e Giorgio Cabella, che allora mi diedero, con generosità, una mano. Ho letto, con appassionato interesse, il suo Diario: 1925-1944, curato con molta intelligenza da uno dei pochi storici che sanno anche raccontare: Giordano Bruno Guerri. E’ una acuta radiografia di un'epoca, un testo pieno di notazioni, di riferimenti, anche di aneddoti e di ritrattini secchi e incisivi, dalla quale emerge la crisi di un regime e la fine di un mondo. Perché Bottai, a parte certi vezzi, (dice Affrica, sur una guancia), ha gusto, forza di rappresentazione, umore. Sentite De Bono: Ha un viso di capra felice. Un breve colloquio mi conferma la sua dote principale: il buon senso. Buffarini-Guidi: Un piccolo uomo condannato al tradimento. Per Badoglio prova una antipatia profonda dovuta alla volgarità della sua persona fisica. E’ circondato da un clan di figli, nipoti e devoti che tacitata la stampa, su ogni nome e azione non sua, asservita la censura, opera con metodo. Bottai annota molte delle sue avventure in Abissinia. Quando parte, Mussolini gli dice: Ti invidio, sei ancora così giovane e puoi fare una seconda esperienza di guerra. Anche stavolta, un disastro; arrivano da Bologna quattro sezioni chirurgiche: una è comandata da un dentista, una da un pediatra, una da un ostetrico e l'altra da un otorino. Il bombardamento dell'Amba Alagi è considerato un successo, perché secondo un'intercettazione pare ci siano 60 tra morti e feriti. Badoglio definisce De Bono un rammollito, e Graziani un capo di bande armate. Farinacci, che ci lascia una mano, in una impresa per niente eroica, si raccomanda: Che nessuno dica che eravamo a pescare. Del duce, riporta una serie di definizioni: prevede, per il prossimo conflitto, una durata di sette settimane, e sbaglia evidentemente il conto; l'Albania è una provincia italiana senza il prefetto; la Cecoslovacchia è la nave portaerei della Russia; dall'impero si aspetta pelli, lana, cotone; ha un progetto: un giorno bisognerà fare una marcia su Napoli, per spazzare via chitarre, mandolini, violini. Il re e Rachele lo chiamano il presidente, e durante una festa in Sicilia il duce adocchia le ragazze più graziose, senza squisitezze di linee, un po' tarchiate e grasse, e si butta nella danza. Ha scelto come biografi due ebrei: Emil Ludwig e Margherita Sarfatti, che è stata anche sua amante, e prova qualche imbarazzo quando deve associarsi a Hitler: Sono stanco spiega di sentire ripetere che una razza, la quale ha dato al mondo Dante, Machiavelli, Raffaello e Michelangelo, è di origine africana. Mena il vanto di essere lui l'estensore del manifesto con il quale si ingaggia la nuova battaglia: e si scopre, con qualche sorpresa, che gli israeliti sono 70.000 contro i 44.000 previsti, ma precisa: Le nostre direttive non sono né persecutorie né distruttive. A questo punto anche Bottai, ministro dell'Educazione nazionale, va in crisi, perché gli manca una irresistibile resistenza morale, e deve procedere all'epurazione degli insegnanti semiti e all'esclusione degli alunni, e Balbo gli rimprovera la fiacchezza. Decide i provvedimenti con una tal commozione. Il nome che torna più di frequente è Galeazzo Ciano, un ragazzo vano e astuto, che ascende con un ondeggiare di mongolfiera; ma poi, dietro a quell'apparenza tronfia, scopre un individuo vivo ed energico, di una furberia sempre in agguato, dotato di una memoria prodigiosa, di acutezza e tenacia non comuni. Ciano considera Alfieri un cretino fedele, disprezza Grandi, che ritiene uno dei massimi responsabili della corsa alla guerra, ed è molto critico sulle iniziative del suocero. Già De Bono annuncia: Sta combinando una serie di fesserie. Un giorno o l'altro lo facciamo fuori. Altro che il tu, il voi e la stretta di mano: Contiamo confida Galeazzo su 13 mila cannoni, di cui oltre 4 mila tra nostri e tolti al nemico nel '15. Valle, che è responsabile dell'Aeronautica, va gridando di non avere caccia e di non disporre che di 50 ore di volo, l'ammiraglio Cavagnari dichiara che la Marina è pronta a farsi affondare: la proporzione con inglesi e francesi è di 6 a 1. Solo il generale Pariani fa lo spaccatutto. La verità è che non siamo pronti. Ci vuole un buffone come Starace per dire il contrario. Il popolo non vuole questa guerra. Non la sente. Non ci crede. Il duce non sopporta chi critica le cose tedesche, ma per Ciano la Germania è un gigante tubercolotico. Descrive l'ultimo incontro con Hitler, depresso, perché costretto a qualche penosa ammissione: La Russia bolscevica confessa è stata per me una sorpresa; se avesse appena sospettato l'ingente massa di armamenti dell'Armata rossa avrebbe esitato ad attaccare. Sono tanti i segni di disfacimento, e Bottai li avverte anche nell'aspetto del capo: Il suo volto è, ormai, d'un vecchio, il capo canuto; e v'è, nel suo dire, qualcosa di accorato, di mortificante. Nelle pagine affiora anche la piccola cronaca o il pettegolezzo; si parla di Susanna Agnelli, che va a Roma in terza classe per economia, e Ciano commenta: Neppure viaggiando il nonno vuol restituire allo Stato il denaro che gli ruba con le forniture; Galeazzo, che non fuma, non beve, non gioca, ha per suo vizio un nottambulismo ciarliero tra donne facili e uomini compiacenti; compaiono anche Missiroli, con quella sua allucinata scaltrezza di animale notturno, e l'accademico d'Italia Papini, che avendo sposato una cameriera, dice: Quasi tutti prendono moglie per avere una serva, lo prendo una serva per avere una moglie. La tristezza è condensata in una battuta: Se i tedeschi perdono, noi siamo perdenti, se vincono, noi siamo perduti. Una citazione, e il perché dei voti del 25 luglio 1943, la ritrovi nella difesa del generale Marmont, accusato di avere tradito Napoleone: Fin che egli ha proclamato: - La France - l'ho amato e servito, quando ha detto: - La France et moi - l'ho amato un po' di meno e ho continuato a servirlo. Poi ha invertito: - Moi et la France - e l'ho soltanto servito. Infine ha detto: - Moi - e io mi sono rifiutato di servirlo. Il duce è ormai solo, e una perfida barzelletta lo presenta nel bagno, nudo, con accanto Claretta: Che guardi, Benito? chiede la signora. Risposta: Gli ultimi coglioni che mi sono rimasti attaccati.
Enzo Biagi ("I" come italiani)
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