PALERMO - Una grande banca siciliana si era messa al servizio di potenti imprenditori, faceva business per favorire gruppi al di sotto di ogni sospetto, c' erano clienti specialissimi che solo grazie a certe operazioni potevano sanare debiti miliardari. Quali clienti? Ad esempio un uomo d' affari catanese che era in ottimi rapporti con il boss Nitto Santapaola. Una brutta storia - ed è solo l' inizio - ha investito il vertice della Sicilcassa. E' uno scandalo intorno a palazzi comprati e venduti, uno scandalo che sembra proprio l' apertura di una colossale inchiesta giudiziaria su tutti gli "affari" del secondo istituto di credito dell' isola. In uno solo colpo - e dopo quasi un anno di investigazioni - sono finiti all' Ucciardone il presidente della Sicilcassa Giovanni Ferraro, l' ex direttore generale e attuale presidente del collegio sindacale, Agostino Mulè, il dirigente in pensione e consulente Francesco Savagnone, l' imprenditore edile palermitano Ignazio Barra e il gioielliere catanese Giovanni Restivo. Un ingegnere che eseguiva perizie fasulle sugli immobili, è latitante. Come latitante è anche Placido Aiello detto Dino, uomo di collegamento tra l' impero del cavaliere del lavoro Gaetano Graci e la "famiglia" catanese di Cosa Nostra. L' inchiesta che ha azzerato i vertici della Sicilcassa è partita da un esposto di alcuni sindacalisti della Fisac-Cgil e dalla Falcri sul Fondo di previdenza dell' istituto di credito e, più precisamente, sull' acquisto di immobili. L' esposto segnalava alcune "modalità poco chiare": sul prezzo degli immobili e sui venditori. L' inchiesta giudiziaria - pubblici ministeri Biagio Insacco e Mauro Terranova, il giudice per le indagini preliminari che ha firmato i 7 ordini di custodia cautelare per abuso di ufficio è Gioacchino Scaduto - ha accertato che il Fondo pensioni della Sicilcassa "ha pagato un prezzo maggiorato almeno del 100% rispetto a quello di mercato". Sotto inchiesta ci sono anche altri 25 personaggi, tra cui un paio di ex presidenti del Fondo Pensioni della Sicilcassa come l' avvocato Angelo Bonfiglio, ex presidente della Regione siciliana ed ex parlamentare democristiano. Questa prima parte dell' indagine sulla Sicilcassa riguarda l' acquisto di tre palazzi per un totale di 65 miliardi. Uno dei palazzi è stato venduto da una società che fa capo al gruppo Graci, il secondo palazzo da una società del gruppo Costanzo, il terzo palazzo da uno sconosciuto costruttore palermitano del quartiere Noce. Scrivono i magistrati nell' ordinanza di custodia cautelare: "Emerge con chiarezza che i vertici della Sicilcassa si sono serviti del Fondo Pensioni per ripianare rilevanti e altrimenti non sanabili posizioni debitorie di alcuni clienti...". Ma le investigazioni sono soltanto all' inizio: la Guardia di Finanza sta esaminando tutte le compravendite effettuate dal 1982 al 1990. Ieri mattina, i finanzieri del nucleo regionale di polizia tributaria hanno sequestrato casse di documenti negli uffici della Sicilcassa e hanno perquisito decine di abitazioni tra cui quella del presidente Giovanni Ferraro, cavaliere del lavoro e vicepresidente dell' Acri, l' associazione tra le Casse di Risparmio. Ma quali sono esattamente le operazioni incriminate? Quali sono i palazzi finiti al centro dell' inchiesta? Uno è a Catania, nella centralissima via Etnea. E' Palazzo Tezzano, un monumento barocco che - coincidenza tutta siciliana - una volta ospitava il Tribunale. Due palazzi sono a Palermo. Uno in periferia, in via Dotto numero 12. L' altro, nel cuore della città, in via Libertà: è il famoso "palazzo di vetro" che 12 anni fa attirò l' attenzione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il "palazzo di vetro" è un pezzo di storia giudiziaria palermitana. Nel 1982, il generale-prefetto intuì che - proprio intorno a quel palazzo non ancora ultimato - c' era stata una saldatura tra gli interessi mafiosi della Sicilia occidentale e orientale. Un paio di anni dopo, la vera scoperta fu di Giovanni Falcone: quel palazzo segnalava collegamenti strettissimi tra gli esattori Salvo di Salemi e i Costanzo di Catania. E intorno a quell' "affare" giravano mafiosi di ogni calibro. Tutta la vicenda del "palazzo di vetro" finì nella gigantesca istruttoria poi confluita nel primo maxi processo a Cosa Nostra. E, anche allora, emerse il ruolo del Fondo Pensioni della Sicilcassa. L' immobile, che apparteneva originariamente alla Spa Sas (una società del gruppo Caltagirone), era stato acquistato in sede di asta fallimentare per 14 miliardi e 550 milioni dalla Gei-Sicilia, una società del gruppo Costanzo. Il giudice Falcone annotava nella sua ordinanza del maxi processo: "Alla gara aveva stranamente partecipato una società del gruppo Costanzo, in concorrenza con il Fondo pensioni della Sicilcassa. La stranezza consiste nel fatto che le imprese del gruppo Costanzo sono affidate per cospicui importi presso la Sicilcassa e l' aver ' soffiato' un affare all' istituto di credito con cui si è in rapporti non è cosa che, normalmente, pone in buona luce il cliente nei confronti dell' istituto stesso...". E aggiungeva il magistrato: "Nel caso in esame, però, nessun contraccolpo sfavorevole ha subito il Costanzo; anzi, la Sicilcassa, il 10 maggio del 1982 ha concesso alla Gei Sicilia un finanziamento di 15 miliardi per il completamento dell' immobile...". Falcone aveva già capito tutto. Successivamente l' immobile, ancora prima di essere completato, fu rivenduto per 26 miliardi allo stesso Fondo pensioni della Sicilcassa che aveva tentato invano di acquistarlo in sede fallimentare per 13 miliardi. Il business della Sicilcassa ha come protagonisti anche due generi di Gaetano Graci, il cavaliere del lavoro catanese arrestato a luglio per associazione mafiosa. Tutti e due erano nel consiglio di amministrazione di una società che ha venduto Palazzo Tezzano alla Sicilcassa. Uno è stato catturato dai finanzieri, è un noto gioielliere catanese, si chiama Giovanni Restivo. L' altro è Placido Aiello. E' ricercato da tre mesi. Secondo i magistrati catanesi, il cavaliere Graci "dietro le quinte, attraverso il genero Dino Aiello, ha gestito fin dai primi Anni 80, i suoi rapporti con Cosa Nostra, beneficiando degli interventi del gruppo Santapaola... Del quale nel contempo garantiva lo sviluppo economico".
ATTILIO BOLZONI - Repubblica — 06 ottobre 1994 pagina 49 sezione: ECONOMIA
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