Seguendo le orme di Marco Polo anche i moderni Dogi del Veneto hanno fatto rotta a Oriente: puntando dritti alla Città Proibita. Magari, esagerando un tantino. Il leghista Luca Zaia si è quindi ritrovato a governare una Regione che ha 10 (dieci) uffici in Cina. Avete letto bene: dieci. Ma la moltiplicazione dei «baili», come si chiamavano anticamente gli ambasciatori della Serenissima, non si è certamente fermata lì. Poteva forse il Veneto rinunciare ad aprire un ufficetto in Bielorussia? O un appartamento in Bosnia? Un paio di punti d’appoggio in Canada? Tre in Romania? Quattro negli Stati Uniti e altrettanti in Bulgaria (sì, la Bulgaria)? Un pied à terre in Vietnam? Un appartamento in Uzbekistan? Una tenda negli Emirati arabi uniti? Un bungalow a Porto Rico? E un consolato in Turchia, alla memoria dell’ambasciata veneziana alla Sublime Porta, quello forse no?
Si arriva così a 60 sedi in 31 Paesi: alla quale si deve aggiungere, ovviamente, quella di Bruxelles. E si sale a 61. Irraggiungibile, il Veneto: a elencarle tutte, sarebbe già finito l’articolo e non ci sarebbe spazio per raccontare quello che combinano invece le altre Regioni italiane. Perché scorrendo i dati che sono in un dossier del Tesoro su questo incredibile fenomeno della diplomazia regionale «fai da te», il Veneto è soltanto in cima a una piramide molto più grossa. Le Regioni italiane hanno all’estero qualcosa come 157 uffici, ai quali si devono aggiungere i 21 di Bruxelles. Per un totale di 178. Già: a un’antenna nel quartier generale dell’Unione europea non ha voluto rinunciare proprio nessuna. «D’altra parte», ha spiegato il governatore lombardo Roberto Formigoni, «è importante avere un presidio a Roma e Bruxelles. Non è affatto un lavoro inutile quello che i nostri funzionari svolgono organizzando a esempio numerosissimi incontri istituzionali per aziende, centri culturali, organizzazioni non governative e così via, che vengono supportati nel dialogo con le autorità nazionali ed europee». La Lombardia, che ha quasi 10 milioni di abitanti: ma il Molise? Che senso ha per una Regione con 320 mila abitanti come quella di Michele Iorio mantenere un ufficio a Bruxelles, peraltro pagato un milione 600 mila euro, oltre ai due di Roma?
Per non parlare dei valdostani, che sono 124 mila. Peccato però che la Lombardia non abbia solo un presidio Roma e uno a Bruxelles. Bensì, secondo il Tesoro, altri 27 sparsi in giro per il mondo. Ce n’è uno in Argentina, un paio in Brasile e Cina, quattro in Russia (esattamente come la Regione Veneto), e poi uno in Giappone, Lituania, Israele, Moldova, Polonia, Perù, Uruguay, Kazakistan... E il Piemonte? Che dire del Piemonte? La Regione appena conquistata da un altro leghista, Roberto Cota, presidia 23 Paesi esteri. Con la bellezza di 33 basi. Frutto di scelte apparentemente sorprendenti. Per esempio, ce ne sono due in Corea del Sud. Altrettanti in Costa Rica (perché il Costa Rica?). Altri due in Lettonia (perché la Lettonia?). Roba da far impallidire i siciliani, che avevano riempito mezzo mondo di «Case Sicilia»: dalla pampa argentina a Boulevard Haussmann, Parigi. Poi la Tunisia, e New York, Empire state building. Ma volete mettere il fascino della Grande Mela? Dove gli uomini dell’ex governatore Salvatore Totò Cuffaro si ritrovarono in ottima compagnia. Quella dei dipendenti della Regione Campania, allora governata da Antonio Bassolino, che aveva preso in affitto un appartamento giusto sopra il negozio del celebre sarto napoletano Ciro Paone. Nientemeno.
Costo: un milione 140 mila euro l’anno. A quale scopo, se lo chiese nell’autunno del 2005 Sandra Lonardo Mastella, in quel momento presidente del Consiglio regionale, visitando una struttura il cui responsabile, parole della signora, «viene solo alcuni giorni ogni mese ». Struttura per la quale venivano pagati tre addetti il cui compito consisteva nell’organizzare, per promuovere l’immagine regionale, eventi ai quali non soltanto non partecipava «alcun esponente americano », ma nessuno «che parlasse inglese». Quello che colpisce, però, sono sempre i luoghi. La Regione Marche, tanto per dirne una, ha nove basi all’estero. Di queste, ben quattro nella Cina. Il Paese decisamente più gettonato: alla Corte di Hu Jintao ci sono ben sette enti locali italiani, con addirittura ventitrè uffici. Il doppio che nella federazione russa. Quattro, in Cina, ne ha pure il Piemonte. Regione che si distingue da tutte le altre per avere attivato anche una sede a Cuba. Oltre a due in India, dove hanno un punto d’appoggio pure le Marche. Ma non l’Emilia-Romagna, che paradossalmente ha meno presidi esteri della piccola Regione confinante: cinque anziché nove, numeri a cui bisogna sempre aggiungere quello di Bruxelles. Quasi tenerezza fanno gli ultimi in classifica. Il Friuli-Venezia Giulia, che si «accontenta» (si fa per dire) di tre «consolati» oltre a quello europeo: in Slovacchia, Moldova e Federazione russa.
La Basilicata, andata in soccorso ai lucani dell’Uruguay e dell’Argentina. La Valle D’Aosta, che non sazia della sede di Bruxelles ne ha pure una in Francia. Ma dove, altrimenti? Infine la Puglia: come avrebbe fatto senza un comodo rifugio dai dirimpettai albanesi? Quello che non dice, il dossier del Tesoro, è quanto paghiamo per tale gigantesca e incomprensibile Farnesina in salsa regionale. Per saperlo bisognerebbe spulciare uno a uno i bilanci degli enti locali. Dove intanto non è sempre facile trovare i numeri «veri». E soprattutto non è spiegato a che cosa serva tutto questo Ambaradam. A favorire gli affari delle imprese di quelle Regioni? Al prestigio dei governatori presenti o passati? A mantenere qualche stipendiato illustre? Il sospetto, diciamolo chiaramente, è che nella maggior parte dei casi l’utilità di tutte queste feluche di periferia sia perlomeno discutibile. Come quel Federico Badoere, nel 1557 ambasciatore veneziano a Madrid presso la corte di Filippo II, autore di una strepitosa relazione spedita al Senato della Serenissima nella quale liquidava come una trascurabile quisquilia ciò che stava succedendo dopo la scoperta dell’America, evento che un suo predecessore si era addirittura «dimenticato» di riferire a Venezia: «Sopra le cose delle Indie non mi pare di dovermi allargare, stimando più a proposito compatire il tempo che mi avanza a narrare le cose degli altri stati di Sua Maestà».
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