Gentile Presidente Boldrini, gentili ministre Carrozza e Idem, in questi giorni il Corpo di noi Donne, pare stia diventando popolare. Ci sono voluti più di 100 donne ammazzate l’anno passato e un trend in ascesa anche quest’anno per convincere i media a dare risalto al femminicidio, neologismo che sta a significare omicidio di una donna in quanto donna.
In molte stiamo lavorando su questo tema da anni, a partire dalle donne attive nei centri per le donne maltrattate
alle migliaia di attiviste ignote che con pazienza svolgono un ruolo
fondamentale in rete, luogo prezioso di innalzamento del livello di
consapevolezza, frequentato dalle e dai giovani e quindi luogo di
formazione ed educazione quando ben utilizzato. È forse ridondante
ricordare qui quanto il nostro Paese sia arretrato su questo tema e su
quello della valorizzazione di genere in generale, il nostro 80esimo
posto nella classifica del Gender Gap stilato dal Wef, o le
raccomandazioni inevase della rappresentante della Cedaw-Onu ne sono
testimonianza. Questo è il punto di partenza ed è inutile guardare al
passato. Possiamo decidere che oggi sia l’inizio di un nuovo percorso.
Mi
permetto di consigliare alcune iniziative necessarie la cui richiesta
arriva dalle migliaia di ragazze e di giovani uomini che incontriamo
ogni anno nelle scuole. Il cambio che auspichiamo è culturale,
vogliamo un Paese realmente paritario dove anche per le donne sia
valido quella bellissima parte del terzo articolo della Costituzione che
ci ricorda come ognuno – e immagino ognuna – debba essere messa in
grado di esprimere al meglio il proprio potenziale di persona. I luoghi
idonei da cui iniziare il cambiamento sono i due più importanti agenti
di socializzazione attivi nell’età formativa: i media e la scuola.
Si
stanno raccogliendo firme, si moltiplicano appelli ed è certo bene
innalzare l’attenzione. Ricordo però con preoccupazione che l’anno
scorso partì una campagna contro il femminicidio promossa tra l’altro
anche da noi. Alta fu l’attenzione, anche i calciatori si attivarono,
nomi noti si dissero d’accordo. Ma non successe poi molto di più. È la
bellezza e il limite del web, lo constatiamo nelle
scuole: firmiamo un appello, scriviamo il nostro “mi piace” sui social
network e crediamo di avere fatto il nostro dovere, mentre è solo il
primo, importante, ma solo il primissimo passo.
“Non esco più con
le amiche al pomeriggio” mi confidava una ragazzina al termine di una
lezione a scuola. “Il mio ragazzo è geloso, non vuole”. Inizia da lì il bisogno di educazione prima che alla sessualità,
alla relazione sia per le ragazze che per i ragazzi. È urgente
spiegare, confrontarsi e mettersi in ascolto perché moltissimi parlano
di giovani ma pochi si mettono in reale relazione con loro.
“L’ho uccisa perché mi ha lasciato” è la motivazione più frequente che danno gli uomini di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali. Il colpo di coda del patriarcato,
lo definisce qualcuna. E c’è del vero perché i femminicidi sono tanti
anche nella civilissima Norvegia dove le donne sono occupate, dispongono
di welfare di qualità, ma faticano a compiere l’ultimo passo verso una
reale e definitiva emancipazione: prendere decisioni
che potrebbero anche influire sulla vita del proprio partner. Ciò che
noi donne abbiamo imparato ad accettare da secoli. Un cambio culturale che parta dalle scuole e quindi un tavolo interministeriale. Sarebbe importantissimo coinvolgere anche il ministero dell’Istruzione
perché si faccia promotore di corsi di aggiornamento per gli
insegnanti, che si trovano spesso a gestire una tematica per la quale
non ricevono supporto formativo.
Lascio per ultimo il tema più spinoso, quello della responsabilità dei media per la rappresentazione oggettivizzata e irreale
che propongono delle donne. Le tv private e pubbliche propongono
giornalmente l’immagine di un modello di donna unico, passiva,
spogliata, spesso muta. Non è un corpo nudo che offende, il corpo nudo
può avere una capacità rivoluzionaria di comunicazione, spieghiamo nelle
scuole, ma un corpo passivo e indagato in ogni dettaglio in modo
umiliante e voyeuristico ci umilia tutte.
È necessario chiedere
che nelle redazioni di giornali e tv si compia un passo importante verso
il rispetto costituzionale dei nostri diritti che passa anche, e forse soprattutto, da come veniamo raccontate. Non di censura stiamo parlando, bensì di rispetto
indispensabile per crescere, affermarsi ed esistere pienamente. Un
percorso articolato dove promuovere anche nuove trasmissioni televisive
divulgative che propongano modelli femminili a cui le ragazze possano
ispirarsi e attraverso i quali i ragazzi comincino a conoscerci. Avviene
in altri Paesi europei, chiediamo che avvenga anche qui da noi.
L’Art Directors Club
che riunisce le maggiori agenzie pubblicitarie italiane, ha iniziato un
percorso di riflessione e cambiamento su questo tema, giornali e tv
possono fare altrettanto. Da ultimo è mio compito ricordare come
l’emergenza femminicidio sia stata tenuta viva attraverso la fatica e il
lavoro instancabile di migliaia di giovani attiviste e attivisti che
non hanno mai dimenticato di denunciare, di ricordare, di scrivere alle
redazioni, di accompagnare le vittime a i processi.
A queste
giovani “attiviste anonime” che hanno impedito che il femminicidio
restasse fatto di cronaca perché sanno comunicare con efficacia ai loro e
alle loro coetanee. Onoreremo così con gratitudine il patto
intergenerazionale, base per una indispensabile coesione sociale.
Lorella Zanardo (Il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2013)
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