Il primo maggio nel mio editoriale avevo
deliberatamente ignorato la proposta dei «saggi» di creare un nuovo
organo costituente battezzato Convenzione per le riforme addetto,
appunto, a rivedere e rifare la nostra Costituzione. L'avevo ignorata
perché mi interessava spiegare come ci potevamo facilmente liberare del
Porcellum sostituendolo con uno dei due sistemi elettorali più
accreditati e ben riusciti dell'Occidente: il sistema maggioritario a
doppio turno della Francia, oppure il sistema tedesco. Ad entrambi si
sarebbero poi dovute aggiungere strutture costituzionali che avrebbero
richiesto più tempo; ma intanto il rischio di restare con il Porcellum
sarebbe sparito. Perché i sistemi elettorali sono, in Italia, materia di
legge ordinaria, e quindi disgiungibili da riforme costituzionali i cui
tempi possono essere lunghi e soprattutto facilmente allungabili.
Ma oramai questa malefatta - la convenzione per le riforme - è fatta. E mi incombe ora di spiegare perché sia da temere.
In Italia non siamo alla prima prova. Si cominciò nel 1985 con la commissione Bozzi, che combinò poco o nulla. Venne poi, nel 1997, la Bicamerale presieduta da D'Alema che lavorò seriamente ma che alla fine Berlusconi fece affondare. Seguì poi la cosidetta Costituzione di Lorenzago, opera svelta di quattro gatti ma fortemente voluta e sostenuta da Bossi e Berlusconi. Per respingerla (come meritava) si dovette combattere un referendum che la bocciò nel giugno 2006. Quindi oggi siamo alla quarta prova di rilievo: e si pensa a una commissione di ben 75 membri (tanti quanti furono i costituenti del 1946-48) costituita da delegazioni di partito, più qualche esterno al Parlamento.
In Italia non siamo alla prima prova. Si cominciò nel 1985 con la commissione Bozzi, che combinò poco o nulla. Venne poi, nel 1997, la Bicamerale presieduta da D'Alema che lavorò seriamente ma che alla fine Berlusconi fece affondare. Seguì poi la cosidetta Costituzione di Lorenzago, opera svelta di quattro gatti ma fortemente voluta e sostenuta da Bossi e Berlusconi. Per respingerla (come meritava) si dovette combattere un referendum che la bocciò nel giugno 2006. Quindi oggi siamo alla quarta prova di rilievo: e si pensa a una commissione di ben 75 membri (tanti quanti furono i costituenti del 1946-48) costituita da delegazioni di partito, più qualche esterno al Parlamento.
Sia chiaro: anche se mi contenterei di una decina di ritocchi
alla Costituzione vigente, io non sono contrario ad adottare, alla
grande, il semipresidenzialismo francese fondato su elezioni a doppio
turno, o il sistema federale tedesco. Anzi, mi batto per una di queste
due formule da un decennio o anche due. Il punto è che le buone
Costituzioni debbono essere stese da giuristi e costituzionalisti. La
Costituzione di Weimar fu scritta da Preuss, quella della V Repubblica
francese da Debré, e così via. Le assemblee di politici non sanno e
nemmeno vogliono stendere una buona Costituzione che è tale per tutti.
L'America Latina ha scritto e riscritto da un secolo a questa parte
decine di Costituzioni che sono l'una peggio dell'altra. Sarebbe lo
stesso oggi, in Italia. Infinitamente meglio, allora, adottare una
Costituzione già collaudata e sicuramente funzionante.
E vengo al trappolone. Berlusconi sostiene il governo Letta
finché gli farà comodo, e cioè finché la sua popolarità anti Imu (e
simili) non abbia raggiunto un livello di sicurezza a prova di bomba.
Intanto la commissione per le riforme resterà impigliata nel dibattere
le riforme costituzionali. E al momento giusto per lui, «Re Berlusconi»
farà cadere il governo Letta, chiederà nuove elezioni che stravincerà da
solo tornando a votare con il Porcellum . Il trappolone è perfetto. I
suoi hanno già detto che si dovrà discutere la forma dello Stato prima o
comunque insieme alla riforma elettorale. Così potranno tirare per le
lunghe finché Berlusconi non sarà pronto a farsi rivotare con la legge
truffa di Calderoli. Come dicevo, un trappolone perfetto. Un vecchio
proverbio diceva che il mondo è fatto a scale, c'è chi scende e c'è chi
sale. Nel mio scenario il nostro Cavaliere sale, continua a salire.
Giovanni Sartori (Corriere della Sera - 8 maggio 2013)
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