Il Senato approva, con opportune modifiche, il decreto sulle
quote Banca d’Italia. La Bce bacchetta il Governo italiano per non
averla consultata, ma soprattutto lancia un avvertimento sul potenziale
costo dell’operazione per la Banca d’Italia stessa.
L’aula del Senato ha approvato (9 gennaio) in prima lettura la conversione in legge del discusso decreto che rivaluta le quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia (1). In questa fase, sono state introdotte modifiche opportune che, come già avevamo notato, seppelliscono l’idea iniziale di creare un libero mercato internazionale delle “azioni” della banca centrale.
Nel frattempo, è stato reso noto (27 dicembre) il parere della Banca centrale europea sulla bozza di decreto. Il parere richiede “ulteriori dettagli” sul metodo di valutazione, che ha condotto alla cifra di 7,5 miliardi per il capitale complessivo della Banca d’Italia, e richiama il rispetto delle regole prudenziali e contabili europee nelle operazioni di ricapitalizzazione che le banche italiane, azioniste della Banca d’Italia, potranno fare sfruttando la rivalutazione delle loro quote. Ma al di là di questi aspetti tecnici, quello che colpisce sono due richiami espliciti, seppure formulati nel linguaggio soft dei banchieri centrali.
Nel frattempo, è stato reso noto (27 dicembre) il parere della Banca centrale europea sulla bozza di decreto. Il parere richiede “ulteriori dettagli” sul metodo di valutazione, che ha condotto alla cifra di 7,5 miliardi per il capitale complessivo della Banca d’Italia, e richiama il rispetto delle regole prudenziali e contabili europee nelle operazioni di ricapitalizzazione che le banche italiane, azioniste della Banca d’Italia, potranno fare sfruttando la rivalutazione delle loro quote. Ma al di là di questi aspetti tecnici, quello che colpisce sono due richiami espliciti, seppure formulati nel linguaggio soft dei banchieri centrali.
TROPPA FRETTA
A pagina 2 del parere leggiamo: “La Bce ha ricevuto la richiesta di
consultazione il 22 novembre 2013, mentre il decreto legge è stato
approvato il 27 novembre 2013”. Il Governo italiano ha dato solo tre giorni
lavorativi alla Bce per emanare il parere che, secondo quanto previsto
dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, doveva precedere
l’approvazione del decreto. Ciò equivale in sostanza a “un caso di non consultazione”,
ragion per cui “la Bce desidera richiamare l’attenzione del Ministero
circa il rispetto della procedura di consultazione”. In altre parole,
Mario Draghi (firmatario del parere in qualità di Presidente della Bce),
ha dovuto tirare le orecchie al suo ex-collega Saccomanni, che prima di diventare Ministro sedeva al vertice della Banca d’Italia, parte dell’Eurosistema.
POSSIBILI TRASFERIMENTI DALLA BANCA D’ITALIA ALLE BANCHE AZIONISTE
Ma veniamo a un aspetto di sostanza, anziché di procedura. Il decreto prevede un limite massimo alle singole quote, pari al 3 per cento del capitale della Banca (2).
Esso autorizza la Banca d’Italia a effettuare operazioni di acquisto
(temporaneo) delle proprie quote, presso quegli azionisti che detengano
partecipazioni superiori a quel limite. A pagina 5 del parere si legge:
“La Bce prende atto che la possibilità, per la Banca d’Italia, di
effettuare tali operazioni, può comportare un trasferimento di risorse
finanziarie agli azionisti”. In sostanza, la Bce richiama l’attenzione
sul potenziale costo, a carico della banca centrale, di quelle
operazioni a favore dei suoi azionisti. Poiché la Bce non quantifica
questo costo, proviamo a farlo noi. Naturalmente, il costo effettivo
dipenderà dalle decisioni del Consiglio superiore della Banca d’Italia.
Noi possiamo solo indicare una forchetta, che va da un minimo pari a zero, qualora il Consiglio decidesse di non fare alcuna operazione di riacquisto, a un massimo indicato nella tabella
sottostante. Gli importi massimi, indicati nella terza colonna della
tabella, sono stati calcolati moltiplicando la quote di capitale che
devono essere cedute da alcuni azionisti della Banca d’Italia (in
pratica le partecipazioni in eccesso rispetto alla soglia del 3 per
cento, indicate nella seconda colonna) per il valore nominale del
capitale della Banca, che rappresenta il prezzo massimo d’acquisto da
parte della Banca d’Italia. Come si vede, si tratta di importi
rilevanti, che sommano a un totale di quasi 4,2 miliardi di euro (corrispondente a quasi il 56 per cento del capitale della Banca).
Trasferimento massimo a carico della Banca d’Italia, a favore di:
È bene sottolineare che quello esposto qui è solo un esercizio.
Siamo sicuri che la Banca d’Italia eserciterà con la massima prudenza e
parsimonia l’autorizzazione ricevuta con il decreto legge, facendo in
modo che gli azionisti che hanno partecipazioni eccedenti il 3 per cento
trovino altri acquirenti delle eccedenze. Forse però si poteva evitare
di introdurre una discrezionalità, il cui esercizio potrebbe esporre la
banca centrale al rischio di acquistare le proprie quote a un prezzo superiore a quello al quale le dovrà rivendere in un momento successivo.
Si può obiettare che questa autorizzazione era necessaria, per
agevolare il processo di smaltimento delle quote in eccesso rispetto al
limite del 3 per cento. Tuttavia, lo stesso decreto prevede che le quote
eccedenti siano “sterilizzate”: private del diritto di voto e di
ricevere dividendi (dopo un periodo transitorio). Quindi, i “grandi
azionisti” hanno tutto l’incentivo a trovare acquirenti per le
partecipazioni in eccesso; al giusto prezzo, s’intende. Perché allora
introdurre una agevolazione? Forse anche alla Bce se lo sono chiesto…
Angelo Baglioni (La Voce Info)
(1) Su questo sito siamo più volte intervenuti sull’argomento: si vedano gli articoli raccolti nel dossier. Si vedano anche gli interventi di Marco Onado e di Luigi Zingales sul Sole-24-Ore del 20/12/2013.
(2) La soglia era pari al 5 per cento nel decreto originale; è stata abbassata al 3 per cento in fase di conversione.
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