Fedeli alla linea che i fatti devono essere separati dalle opinioni, nel senso che non devono disturbarle, i giornaloni
geneticamente modificati a immagine e somiglianza del Palazzo non
dedicano una riga di commento alle conseguenze politiche della fuga del latitante Dell’Utri. Così come, verosimilmente, taceranno oggi su quelle del suo arresto a Beirut da parte dell’Interpol, e martedì su quelle della sentenza di Cassazione nel processo per mafia.
Hanno fatto lo stesso l’altroieri su quelle della promozione di
Berlusconi al rango di detenuto. “Non aprite quelle porte”, è la
consegna.
Altrimenti bisognerebbe dare ragione, con vent’anni di ritardo, a chi l’aveva sempre detto che Forza Italia è un partito fondato da fior di delinquenti
per farla franca. “Le prove, ci vogliono le prove”, ribattevano i finti
tonti. Poi arrivarono le prove. “Le sentenze, aspettiamo le sentenze”,
insistevano. Poi arrivarono le sentenze. “Devono essere definitive,
presunzione di innocenza, garantismo”, salmodiavano. Con comodo,
arrivarono anche le sentenze definitive. Previti fu condannato in Cassazione per due corruzioni giudiziarie, finì in galera per tre giorni, poi andò ai domiciliari e ne uscì grazie all’indulto. Silenzio generale. B. fu condannato per frode fiscale e sta per essere affidato ai servizi sociali. Zitti tutti.
Dell’Utri attende la condanna definitiva per mafia, che lui dà per
scontata (e per la precisione l’ha già avuta: la Cassazione ha annullato
il primo verdetto d’appello solo per un periodo di 4 anni,
confermandolo per oltre un ventennio) e se la svigna in Libano.
Non vola una mosca. Intendiamoci: il silenzio non riguarda i dettagli,
che anzi vengono sminuzzati e scandagliati nei minimi particolari
proprio perché nessuno alzi gli occhi per uno sguardo d’insieme.
Il
partito fondato da questi criminali matricolati è forse marginale ed
emarginato, nella vita politica italiana? No, è tuttora centrale anzi indispensabile. E non solo per la riforma elettorale, che dovrebbe essere condivisa da tutti. Ma anche per il voto di scambio e persino per riformare la Costituzione repubblicana:
un testo che nessun sano di mente farebbe toccare a certi figuri
neppure con una canna da pesca. Invece Renzi, Boschi & C., sotto lo
sguardo vigile di Re Giorgio, la stanno riscrivendo proprio con B. e con
il partito fondato da Dell’Utri (il cui fratello gemello confida agli
amici: “Quando Marcello parla, Silvio ubbidisce”). Eppure non si sente
una voce, dal cosiddetto Parlamento e dalle presunte istituzioni, che
osi obiettare: “Scusa Matteo, ma con chi stai parlando? Non sarebbe il
caso di riconsiderare i compagni di viaggio, che fra l’altro hanno le
mani impegnate da robuste paia di manette e potrebbero presto
raggiungere Dell’Utri oltre confine? Che si fa, si organizza una
Bicamerale nelle piantagioni d’oppio della valle della Bekaa, si
traslocano i vertici istituzionali dal Nazareno alla foresta nera della Guinea-Bissau?”.
Dopo
vent’anni trascorsi a fingere di non vedere e non capire cos’è Forza
Italia, farlo ora tutto d’un colpo pare brutto. Con la consueta
eleganza, Pigi Battista ci spiega sul Corriere
che fra i vari problemi del centrodestra c’è “l’istinto di abbandono di
Dell’Utri”. Non è meraviglioso? Se la latitanza di Bottino Craxi era
“esilio”, quella di Dell’Utri è “istinto di abbandono”. Del resto Fedele Confalonieri assicura a Salvatore Merlo, l’intervistatore più boccalone del Foglio,
che Vittorio Mangano non era un boss sanguinario, ma “una specie
contadino capo” che accudiva “un giardino di un milione di metri
quadri”. Marcello l’aveva portato su direttamente da Palermo perché “si
occupava di tutto, persino delle tende del salotto”. Poi, com’è noto,
divenne un manager, un pubblicitario e soprattutto un bibliofilo, molto religioso tra l’altro. Ultimamente – rivela alla Stampa il gemello Alberto
– era passato al “commercio di cedri”, e dove se non in Libano? Ma la
sua vera passione “è crescere i giovani, formare le coscienze delle
persone”. Sono vent’anni che raccontano balle e tutti ci credono. Perché
dovrebbero smettere proprio adesso? Hanno ragione loro.
Uno meno..meno.
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