Trent’anni fa, a Padova, si spegneva Enrico
Berlinguer. Oggi la politica trova il modo più indegno per celebrare
l’uomo che mise per la prima volta l’Italia di fronte alla Questione
Morale. Nello stesso giorno in cui i pm di Napoli indagano per
corruzione il secondo generale della Guardia di Finanza e quelli di
Venezia scoprono un filo rosso che lega gli scandali del Mose e
dell’Expo, il Parlamento non serra i ranghi contro i «ladri», ma
brandisce la clava contro le «guardie».
Che altro giudizio si può dare, sulla norma che reintroduce la responsabilità civile «diretta» dei magistrati, inasprendo le sanzioni per gli errori commessi nell’esercizio della funzione? Un emendamento della Lega, ricalcato dal testo di un disegno di legge che l’allora Pdl provò più volte ad imporre nella passata legislatura, ora improvvisamente agganciato all’iter della legge europea 2013-bis e inopinatamente approvato dalla Camera. Contro il parere del governo e della maggioranza. Ma a scrutinio segreto, e dunque con il contributo fattivo di almeno 50 franchi tiratori che al riparo dell’urna hanno deciso di votare insieme al centrodestra e di scompaginare il fronte del centrosinistra.
Che altro giudizio si può dare, sulla norma che reintroduce la responsabilità civile «diretta» dei magistrati, inasprendo le sanzioni per gli errori commessi nell’esercizio della funzione? Un emendamento della Lega, ricalcato dal testo di un disegno di legge che l’allora Pdl provò più volte ad imporre nella passata legislatura, ora improvvisamente agganciato all’iter della legge europea 2013-bis e inopinatamente approvato dalla Camera. Contro il parere del governo e della maggioranza. Ma a scrutinio segreto, e dunque con il contributo fattivo di almeno 50 franchi tiratori che al riparo dell’urna hanno deciso di votare insieme al centrodestra e di scompaginare il fronte del centrosinistra.
Fioccano le solite accuse incrociate e le rituali pratiche
auto-assolutorie. Renzi parla di una «tempesta in un bicchier d’acqua».
Un pezzo di Pd lancia strali contro i grillini, «colpevoli » di essersi
astenuti e dunque di aver teso una misteriosa «trappola» alla
maggioranza. Un altro pezzo di Pd, più dissennato ma meno ipocrita,
rivendica orgogliosamente il voto in nome di un «garantismo» ormai
assolutamente imprescindibile (benché, nello specifico, totalmente
incomprensibile). Per quanto logori e sbandati, i manipoli berlusconiani
in servizio permanente effettivo hanno almeno il coraggio di rivelare
pubblicamente quello che appare chiaro a chiunque abbia il buon senso di
vedere e di capire: «L’indipendenza della magistratura non può
continuare a coincidere con la totale mancanza di responsabilità della
stessa per gli errori commessi nell’esercizio del suo strapotere».
Dunque, di questo si tratta: al culmine della nuova Tangentopoli 2.0
che i pubblici ministeri stanno faticosamente disvelando, la politica
consuma una sua simbolica «vendetta » ai danni della magistratura. Non
importa che il merito di quella norma sia palesemente incostituzionale,
come denunciano il Csm e l’Anm. Non importa nemmeno che
quell’emendamento arrivi al traguardo finale della conversione in legge.
È anzi molto probabile che questo non accada, visto che lo stesso
presidente del Consiglio (pur con un surreale cortocircuito logico,
vista la sua strenua battaglia contro il «bicameralismo perfetto»)
annuncia adesso «al Senato rimedieremo ». Quello che importa, ancora una
volta, è il «segnale» che si vuole lanciare. Quello che importa è che
lo «strapotere» delle Procure (come recita appunto la propaganda
forzaleghista) venga tamponato o almeno influenzato. Quello che importa è
che i magistrati sentano tutta la pressione, chiaramente intimidatoria,
di un Palazzo che non intende farsi processare da nessuno. Quello che
importa, alla vigilia di un Consiglio dei ministri che si spera domani
possa prendere finalmente per le corna il tema della lotta alla
corruzione, è che a una giurisdizione così pervicacemente ostinata a
scavare nel malaffare arrivi anche un altro messaggio: «Attenti a ciò
che fate, sappiamo come rimettervi in riga».
Il presidente della Repubblica Napolitano fa opportunamente sentire
la sua voce, a sostegno dell’autonomia e dell’indipendenza della
magistratura. Ma neanche questo basta a spiegare il cupio dissolvi che
ancora una volta attraversa il Partito democratico, capace di farsi del
male da solo persino su una questione pacifica come la difesa della
legalità e la guerra alle mazzette. I magistrati hanno commesso e
commettono molti errori. L’uso a volte eccessivo della carcerazione
preventiva, un filtro non sempre rigoroso nella discovery degli atti,
una gestione non sempre lineare delle inchieste. I problemi non mancano,
e perfino la Procura più seria e più efficiente d’Italia, quella di
Milano, non ne è risultata del tutto esente. Per questo, nessuno auspica
o sogna una Repubblica delle Manette, dove i pm siano depositari
incontrastati dei destini dei leader politici o tenutari indisturbati
delle «vite degli altri». Una riforma organica della giustizia, che
affronti «anche» il tema della governance del Csm e dell’autodisciplina
sanzionatoria del potere giudiziario, è opportuna.
Ma appunto: la chiave sta tutta in quell’«anche». Oggi la priorità
assoluta nel Paese non è certo intralciare o condizionare il lavoro dei
magistrati con un «colpo di mano» che non esiste in nessun’altra
democrazia occidentale. E non è nemmeno istituire l’ennesima Commissione
che, dal ministero della Giustizia, monitori i risultati raggiunti fino
ad oggi nella lotta alla corruzione (con il paradosso ulteriore di
affidarne la guida proprio all’ex Guardasigilli Paola Severino, chiamata
a giudicare gli effetti della riforma palesemente insufficiente da lei
stessa firmata nel 2012).
La priorità assoluta è ripristinare lo Stato di diritto, rafforzando
sul serio l’azione del Commissario anti-corruzione Cantone (che non a
caso si auto-rappresenta come «potere monco», vista la scarsità di mezzi
e di strumenti normativi di cui dispone). È riformare l’istituto della
prescrizione, che snaturato dalle leggi ad personam di Berlusconi
«inghiotte» il 35% dei reati commessi ogni anno, corruzione compresa
(come denuncia il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti). È
introdurre una volta per tutte il reato di autoriciclaggio, che
determinerebbe di fatto l’imprescrittibilità dei reati più gravi contro
la Pubblica Amministrazione. È ri-potenziare il reato di falso in
bilancio, depenalizzato pro domo sua dall’ex Cavaliere.
Non c’è altra emergenza, in un Paese
stordito e disgustato dai miasmi che spurgano dal ventre molle della
Padania felix e dalla testa marcia delle Fiamme Gialle. Domani Renzi ha
l’occasione per trasmettere al Paese la volontà di questo «scatto morale
». Un altro rinvio, stavolta, sarebbe davvero imperdonabile. Tanto
imperdonabile da risultare, alla fine, addirittura sospetto.
Massimo Giannini (Jack's Blog - La Repubblica - 12 giugno 2014)
Nessun commento:
Posta un commento
Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.