Due
giugno, Festa della Repubblica. Il Presidente Napolitano ha fatto,
tutto festante, un bagno di folla traendone i più beneauguranti auspici
(bisognerebbe stare attenti ai bagni di folla, visto i precedenti). Il
premier Renzi si è fermato ad accarezzare i bambini (bisognerebbe stare
attenti a strumentalizzare i bambini ad uso di propaganda politica,
visto i precedenti) e poi si è fermato a prendere un caffè in un bar
dell'Ara Coeli, sotto i flash dei fotografi, per far vedere che lui è
'uno come tutti gli altri'. A Parigi qualche anno fa ho visto Carla
Bruni in un bistrot, insieme a dei suoi amici, era lì per divertirsi non
per far vedere che anche una 'Première dame' può fare una vita normale.
Sarebbe bene che i nostri uomini politici non facessero 'bagni di
folla' o perlomeno che non li facessero tra gente che agita bandierine
predisposta ad osannarli, come avviene nei regimi. A me basterebbe
vederli, almeno una volta, in un cine nascosti fra il pubblico. Forse si
renderebbero meglio conto degli umori dei cittadini.
Due
giugno, Festa della Repubblica. Cosa c'è da festeggiare? Per almeno 35
dei suoi 68 anni, e quindi più della metà, la Repubblica italiana ha
vissuto stagioni orribili. Quella delle stragi, da piazza Fontana (1969)
a Brescia, a Bologna, a Ustica. Poi abbiamo avuto il 'terrorismo
rosso', il più feroce e spietato dei terrorismi interni in Europa. La
Democrazia Cristiana non l'affrontò sul campo, contando, come suo
solito, che il fenomeno si esaurisse da solo, per il Pci erano 'compagni
che sbagliano', parte del Psi, per snobismo intellettuale, ne era
addirittura contiguo (Giampiero Mughini si vanterà, in un libro, che un
comunicato di Morucci e Faranda fosse stato scritto nella sua cucina,
con la sua Lettera 32). Così da noi il terrorismo, a differenza di
quanto è successo in Germania o in Francia, è durato dieci anni, più o
meno fino all'assassinio del mio fraterno amico Walter Tobagi, cui
nessuna Festa della Repubblica ridarà la vita.
Poi
sono venuti gli anni socialisti, gli anni della 'Milano da bere'. Per
la verità se la bevevano solo i socialisti. Perché Don Rodrigo stava a
Roma ma molti suoi vassalli spadroneggiavano a Milano fino a 'torre le
donne altrui' in cambio di una conduzione o di una comparsata a Rai Uno e
Due di cui si erano nel frattempo impadroniti. Sono gli anni del voto
di scambio, clientelare, delle 'pensioni baby', delle pensioni fasulle
di vecchiaia, delle false pensioni di invalidità, delle 'pensioni d'oro'
in cui abbiamo accumulato una parte di quel debito pubblico che oggi
grava sui ceti più deboli. L'altra parte è venuta fuori con Mani Pulite:
non c'era appalto, nella festosa Repubblica, che non fosse gravato da
una tangente politica, 630 mila miliardi di ruberie il cui costo è
ricaduto sulla testa dei cittadini perché gli imprenditori rincaravano i
prezzi in proporzione.
All'inizio
della Repubblica c'era una sola mafia, cui peraltro il fascismo aveva
tagliato le unghie. Oggi ce ne sono quattro: la mafia propriamente
detta, la camorra, la Santa Corona Unita e la mafia calabrese che, a
differenza della vecchia, cara e mai troppo rimpianta 'mala' meneghina,
non si vede, perché ha alzato il livello e fa affari con i politici e
gli amministratori.
La
principale responsabilità del ventennio berlusconiano è di aver tolto
agli italiani quel poco di senso della legalità che gli era rimasto.
Oggi, nella festosa Italia repubblicana, c'è gente, già miracolata
perché occupa posti di prestigio e benissimo remunerati senza alcun
merito, che si vende per un pranzo in un bel ristorante, per una mutanda
chic. Una escort ha più dignità. Lo scandalo recentissimo del Consorzio
Nuova Venezia, in cui sono coinvolti personaggi politici e
amministratori, di alto e basso livello, ne è una rappresentazione
plastica.
A
noi ci ha rovinato il benessere. Nel 1960, sedicenne, entrai per la
prima volta in un Supermarket. Mi pareva il Paese di Bengodi. Era invece
il cavallo di Troia che entrava in città e ci avrebbe tolto, per
sempre, l'innocenza.
Massimo Fini (Il Gazzettino, 6 giugno 2014)
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