Matteo Renzi appartiene alla schiera dei “figli-padroni”. Un
figlio-padrone fa più simpatia di un padre-padrone, non è mica
Andreotti? È giovane, teorico di quella che si chiama la grande
sveltezza. È infatti sveglio e svelto, ma resta che simpaticamente
comanda come un padrone.
Un renziano le risponderebbe così: Salvatore Settis è pura archeologia, è il simbolo della sinistra chic, elitaria e perdente.
Ho
dispiacere di non apprezzare la speranza che cova in così tanti animi.
Purtroppo quando guardo alla sostanza delle cose mi convinco che la mia
diffidenza affonda in un terreno fertile.
Iniziamo allora a dire che il continuo, insopportabile richiamo alla
volontà popolare è il frutto di una possente alterazione della realtà.
Ha lo stesso stampo del trucco berlusconiano sul mandato del popolo. Ho
fatto due conti: il 40,8 per cento degli italiani ha votato Pd. E pure
ammesso che siano tutti voti per Renzi, dal primo all’ultimo, verifico
che il primo partito è di chi si è rifiutato di votare: ha il 41,32 per
cento. Se aggiungo astenuti e nulle, assisto al miracolo rovesciato.
Renzi ha ottenuto il 40,8 per cento del 50 per cento che ha votato.
Dunque possiede tra le sue mani il favore del 20,62 per cento degli
italiani. È questo venti per cento una maggioranza strabiliante? Una
moltitudine senza pari? A me appare molto più drammatico per la
democrazia che la maggioranza degli italiani si sia rifiutata di
consegnarsi a questa politica.
Nonostante i
suoi calcoli siano corretti le si potrebbe opporre che la cifra
assoluta è comunque elevatissima, mai toccata finora.
Resta che in termini reali non raggiunge il 21 per cento. E resta che
questa concezione dell’investitura come di un mandato a fare quel che
si vuole è la limpida proiezione dell’idea berlusconiana del comando.
Salviamo qualcosa a questo Renzi.
Ottimo
comunicatore, ha l’anagrafe davanti a sè. Ma con tutto il rispetto la
giovane età non sembra coniugata a una competenza straordinaria. E da
quel che vedo anche i suoi collaboratori , malgrado l’anagrafe, non
paiono godere di conoscenze particolari, non mostrano attitudini
portentose.
E dove mette la speranza, il governo della speranza, la
possibilità che questo giovane premier cambi l’Italia e lo faccia per il
meglio?
Invidio chi ha speranza e chi la ripone in
lui. Trovo che sia poco per costruire tutto questo palazzone di fiducia.
Trovo che finora i fatti non esistano, ma solo slogan. Che i problemi
più duri per l’Italia, la corruzione e l’evasione fiscale, siano lì
nella loro dolorosa integrità.
Penso che questo
consenso trasversale non sia un esclusivo merito di Renzi quanto il
frutto della nullità dei suoi antagonisti. Il premier è veloce e
scattante. E qui mi fermo. Siamo alla teoria della grande sveltezza,
dizione molto appropriata
Anche molto determinato il premier. Ha visto come ha fatto fuori i dissidenti del Senato?
Renzi dovrebbe ricordarsi con quale agilità e spregiudicatezza la sua
parte politica promosse la riforma del titolo V della Costituzione. La
cambiò di fretta e furia e s’è visto com’è andata a finire: mi pare che
adesso siano decisi a rimetterci mano. La Costituzione può essere
cambiata.
Ma ha bisogno di una prudenza maggiore, un equilibrio superiore e un
garbo istituzionale, un’attenzione alle minoranze indispensabile perchè
la Carta fondamentale sia sentita da tutti come la tavola su cui fondare
la convivenza civile. Ma qui e di nuovo siamo al concetto berlusconiano
dell’investitura popolare. Mi hanno votato e faccio come mi pare. Un
falso doppio.
Il Pd sembra vicino al suo premier.
Lei
dice? A me pare di no. Magari lo teme. È un atteggiamento silente, non
un sostegno convinto, nè noto una condivisione della strategia. La
sinistra dovrebbe fare quel che non ha mai fatto: autocritica vera e
dura.
Dalla caduta del muro di Berlino in poi ha sbagliato ogni previsione.
Ed è stata dentro alla cultura del ventennio berlusconiano.
Ricordiamoci gli otto inutili anni del governo di centrosinistra. Ha mai
sentito un pensiero autocritico? Una riflessione su quel che è
successo? Nulla.
Adesso hanno vinto
Infatti
dicono soltanto questo: ma Renzi ci fa vincere! E che te ne fai di una
vittoria se non hai idee da promuovere, uno stile da affermare, una
visione della vita da illustrare?
Antonello Caporale per "il Fatto Quotidiano"
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