Quando se ne va un Maestro ti
senti, inevitabilmente, un po' sperduto. E per coloro che si occupano di
Politica, per ragioni scientifiche, di studio e di ricerca, Giovanni Sartori è
stato "il" Maestro.
Per quanto discusso. Tanto più
per questo. Perché ha fatto - e continuerà a fare - discutere. Non solo gli
studiosi e i ricercatori di Scienza Politica, della Politica come Scienza, che
egli ha contribuito, in modo determinante, a "fondare". Ma
anche per gli attori politici e per i cittadini. Perché la voce di Sartori ha
superato i confini della Scienza. È giunta, forte, fino agli ambienti nei quali
si discute e si decide - di politica. Ma anche ai cittadini. Con cadenza
regolare e quotidiana. Giovanni Sartori è intervenuto sui media, in primo luogo
sul Corriere della Sera, dove scriveva
con regolarità, per commentare e, spesso, sanzionare i diversi progetti di
riforma del sistema istituzionale. Anzitutto e soprattutto: elettorale.
Coniando formule suggestive, entrate nel linguaggio corrente. Dal Mattarellum
al Porcellum. Mentre dell'Italicum si limitò a dire che era un
"pasticcio" con un nome ridicolo che gli ricordava "un
treno". La sua attenzione critica, peraltro, non ha sortito gli effetti
sperati. E di ciò si rammaricava. Anche se è difficile verificare - e, ancor
più, misurare - il contributo degli intellettuali in modo immediato e diretto.
Sartori, tuttavia, ha orientato
la sua attenzione in diverse direzioni - della politica e della società. Perché
la sua interpretazione dello scienziato politico era, sicuramente,
"attiva". Da "attore politico". Di certo non delimitata e
delimitabile agli ambienti scientifici. Così, dopo la "discesa in
campo" di Silvio Berlusconi, Sartori dedicò un saggio alla "ascesa
sociale" dell'Homo videns, il soggetto che aveva occupato il centro dello
spazio occupato, prima, dall'Homo sapiens. Allo stesso tempo, non perse
occasione per stigmatizzare il deficit di "anticorpi della
democrazia" che affliggeva gli italiani. Retroterra e causa
"culturale" dell'affermazione del Cavaliere. Una formula suggestiva,
oltre che acuminata, che, a mia volta, non esitai a riprendere e a riproporre.
Personalmente, ho dialogato con
Sartori in diverse occasioni. Ne ho affrontato i testi e la lezione, anche in
modo critico. Come nel saggio "Gramsci, Manzoni e mia
suocera" (edito dal Mulino nel 2012). Dove ho sviluppato e
tematizzato il mio approccio ibrido allo studio dei rapporti fra politica e
società. D'altronde, la mia stessa biografia scientifica mi ha spinto a
frequentare terreni disciplinari diversi. Senza stabilire gerarchie fra i
piani. Come ha fatto Sartori. Secondo il quale, la scienza politica riconduce
la politica "a un'attività di governo e, in sostanza, alla sfera dello
Stato". Laddove la sociologia politica "parte, dunque dalla società
ed esamina come essa eserciti influenza sullo Stato". Io, invece,
attribuisco pari attenzione e interesse alla sfera delle relazioni sociali e al
"senso comune". Che vincolano le scelte e gli orientamenti delle
istituzioni e degli attori politici. Tanto più oggi, al tempo della
comunicazione mediale, della Tv e del digitale. Che hanno allargato lo spazio
della politica alla vita quotidiana delle persone. Rendendo difficile tracciare
confini netti fra i luoghi e i centri della decisione e dell'azione politica.
Ho avuto la possibilità - e il
privilegio - di discutere di questa e di altre questioni con Sartori. In sedi
pubbliche e sui media. Infine, soprattutto, a "casa mia". In altri
termini: all'Università di Urbino. Dove, nell'ottobre 2005, su mia proposta,
gli venne conferita la Laurea ad Honorem. Dopo un seminario, dedicato
alla sua figura e ai suoi studi, al quale parteciparono Gianfranco Pasquino,
Mauro Calise e Angelo Panebianco. Insieme a un politico "capace di leggere
e scrivere" - secondo la definizione di Sartori - come Massimo
D'Alema. Un'occasione importante. Per me, oltre che per Urbino. E io ne
conservo e conserverò gelosamente la memoria. Come conservo e conserverò
gelosamente la memoria di Giovanni Sartori. Un Maestro, per chi studia la politica.
Uno dei pochi rimasti. Mentre il tempo della Politica sembra ormai perduto.
Ilvo Diamanti (La Repubblica - 5 aprile 2017)
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