Quello
di Luiz Inacio Lula, il popolarissimo ex Presidente socialista del
Brasile ora in carcere per un’accusa di corruzione tutta da provare e
probabilmente, con ciò, impedito a partecipare alle prossime elezioni
presidenziali brasiliane, non è un caso giudiziario, è un caso politico
(come non è un caso giudiziario ma politico quello del Presidente
indipendentista catalano Puigdemont costretto a riparare all’estero per
cercare di sfuggire a un mandato di arresto del governo di Madrid). E’
l’ennesimo tentativo, di ispirazione americana, già riuscito con Dilma
Rousseff, di spazzar via una volta per tutte la rivoluzione ‘chavista’
dal Sudamerica. Di quella rivoluzione sopravvivono Evo Morales in
Bolivia e, per ora, Nicolàs Maduro in Venezuela. Diciamo per ora perché
col Venezuela è in atto il consueto giochetto: prima si stringe il paese
in una morsa economica, poi si fomentano rivolte popolari e si
enfatizzano le repressioni del governo dando loro grande risalto sulla
stampa internazionale anche se sono lontanissime da quelle del nostro
alleato Nato, la Turchia, o da quelle di un nostro altro alleato, anche
se non sta nella Nato, il generale tagliagole egiziano Abd al-Fattah
al-Sisi. Con la Serbia di Slobodan Milosevic che era rimasto l’ultimo
Paese socialista in Europa, il giochetto fu solo un poco diverso: prima
si armò l’indipendentismo albanese-kosovaro e poi si decise che fra le
ragioni di questo indipendentismo e quelle della Serbia a mantenere
l’integrità del proprio territorio esistevano solo le prime. E ci furono
i 72 giorni di bombardamenti su una grande e colta Capitale europea
come Belgrado. Il socialismo non ha diritto di esistere nel mondo
globalizzato. E non parliamo del comunismo, vedi Corea del Nord. Solo le
Democrazie hanno diritto di esistere e se gli avversari sono di natura
diversa da quella socialista si va ancor più per le spicce: li si
elimina ‘manu militari’ come è avvenuto in Afghanistan (2001), in
Somalia (2006/2007), in Libia (2011). Il prossimo sarà il Venezuela di
Maduro.
Ma
torniamo a Lula. La sinistra italiana, svegliatasi per un attimo dal
suo decennale torpore, si è schierata a favore di Lula con un documento
firmato da alcuni dei suoi più importanti esponenti, da Prodi a D’Alema
alla Camusso a Bersani, a Epifani. Nello stesso senso si era espresso
pochi giorni fa, proprio sul Fatto, un ritrovato Fausto
Bertinotti. Fa piacere che la sinistra italiana, come chiedeva Nanni
Moretti, ricominci a dire, se non a fare, cose di sinistra.
Naturalmente
non poteva mancare, in Italia, il tentativo di equiparare il caso Lula
con quello di Silvio Berlusconi: l’eliminazione dell’avversario politico
per via giudiziaria. Ci ha pensato per primo Paolo Mieli con un lungo
editoriale sul Corriere della Sera (10.4). A parer mio i due
casi, quello di Lula e quello di Berlusconi, non sono paragonabili.
Berlusconi non è un sospettato, è stato condannato in via definitiva da
un tribunale della Repubblica e definito “delinquente naturale”. Si è
salvato da accuse molto più gravi di una pur grave evasione fiscale
(corruzione di magistrati, di testimoni, compravendita , con denaro, di
parlamentari) grazie a nove prescrizioni e a leggi ad personam
emanate quando era presidente del Consiglio. E’ stato degradato da quel
Parlamento di cui tutti, a cominciare da Paolo Mieli, ci enfatizzano la
centralità in una democrazia. Ma nell’articolo di Mieli c’è pure un
sottotesto: quello di delegittimare definitivamente anche le inchieste
di Mani Pulite che sono state l’ultimo tentativo di richiamare anche la
classe dirigente del nostro Paese a rispondere a quelle leggi che noi
tutti siamo tenuti a rispettare. Tentativo fallito. Ora ci riprovano i
Cinque Stelle. Ma tutti noi abbiamo assistito e assistiamo al fuoco di
portata contro questo Movimento che ha come suo valore fondante il
ripristino della legalità.
Secondo
Mieli i princìpi sono princìpi e non possono essere scalfiti. Anche per
noi e lo abbiamo scritto mille volte. Peccato che questi princìpi non
solo non sono stati semplicemente scalfiti ma sfondati, in Italia, per
altrettali mille volte. Basta pensare a tutte le leggi liberticide,
antidemocratiche, totalitarie di cui è zeppo il nostro Codice penale. E
se guardiamo allo scenario internazionale vediamo che nel 1992 tutte le
democrazie occidentali, compresa la nostra, hanno appoggiato il colpo di
Stato contro il Fis che aveva vinto le prime elezioni libere in Algeria
e più recentemente hanno appoggiato, anzi esaltato, l’ancor più grave
colpo di Stato di Al Sisi contro i Fratelli Musulmani che avevano vinto
le prime elezioni libere in Egitto. La democrazia vale quindi solo
quando vinciamo noi o i nostri ‘amici’. E anche l’inviolabilità dei
princìpi. E’ anche per questo che Paolo Mieli e tutti i Mieli che
popolano il nostro Paese non hanno, ai nostri occhi, alcuna credibilità.
Sia quando parlano di Lula, sia quando parlano dell’eterna vittima
Silvio Berlusconi.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2018)
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