Pubblichiamo la lettera aperta arrivata in redazione di un gruppo di studenti, dottorandi e ricercatori italiani che lavorano nei Paesi Bassi.
Spett.le redazione del Fatto Quotidiano,
vi scriviamo per esprimere la più indignata disapprovazione per la cosiddetta Riforma Gelmini dell’Università e dell’istruzione in Italia.
Vogliamo anche spiegare la scelta di lavorare nei Paesi Bassi, che è strettamente legata al nostro dissenso per la cosiddetta Riforma, e più in generale per la politica intrattenuta dai diversi Governi nel corso degli ultimi trent’anni.
Sia chiaro fin d’ora che l’immagine degli emigranti costretti a partire in cerca di fortuna senza bagaglio e con le scarpe di cartone non ha nulla a che fare con noi: ciascuno ha una diversa storia che l’ha portato nei Paesi Bassi, ma ciò che ci accomuna è che partire è stata una libera decisione. Abbiamo scelto di cogliere un’eccezionale opportunità di crescita personale e professionale, di metterci alla prova in un ambiente internazionale così diverso da quello dove siamo nati e cresciuti.
Abbiamo scelto di trasferirci in un Paese in cui il nostro lavoro è valorizzato ed incoraggiato, e dove ci vengono forniti tutti gli strumenti necessari a svolgerlo nelle migliori condizioni possibili, senza essere costretti ad implorare per due soldi e un po’ di considerazione.
Abbiamo scelto di trasferirci in un Paese in cui chi decide di lasciare la carriera accademica dice che “cambia mestiere”, non che “va a lavorare”: perché il nostro è considerato un lavoro, al pari di un poliziotto, un impiegato o un carpentiere, e non siamo costretti a vivere con l’umiliazione quotidiana di essere bollati come un peso per lo Stato e per i contribuenti, come se non fossimo noi stessi dei contribuenti.
Abbiamo scelto di trasferirci in un Paese in cui la cultura è realmente considerata importante e, sebbene la crisi economica abbia colpito anche qui, non si perde occasione di promuovere attività divulgative nelle scuole, per le strade, alla radio e alla televisione, affinché la cultura sia un bene accessibile a tutti.
Abbiamo scelto di trasferirci in un Paese in cui, per il posto di lavoro che occupiamo, dobbiamo ringraziare solo noi stessi e il nostro impegno, e non la benevolenza pelosa di qualche protettore.
Per tutte queste ragioni, quella che abbiamo fatto potrebbe essere ritenuta la scelta più semplice. Non è così, e non è stata indolore o a cuor leggero.
Abbiamo lasciato il nostro Paese e le nostre famiglie, senza una chiara prospettiva di tornare in Patria. I dottorandi e ricercatori olandesi, per contro, vanno all’estero consci che arricchiranno il loro curriculum vitae e, forti delle loro nuove esperienze, torneranno dopo qualche anno a lavorare nei Paesi Bassi. Noi questa consapevolezza non l’abbiamo, né possiamo averla, e la ragione di ciò è che l’educazione e la cultura non sono considerati valori in cui investire, bensì un privilegio che non ci possiamo permettere.
La mentalità diffusa che la ricerca di base sia inutile, che gli universitari (studenti e lavoratori) siano dei fannulloni privilegiati, va sradicata e sostituita dalla consapevolezza che la cultura e l’istruzione sono l’acqua potabile di una Nazione.
Siamo convinti di questo: l’unico modo per ottenere questo cambio di mentalità è investire nell’istruzione.
Derek Bok disse: “Se pensate che l’Istruzione sia costosa, provate l’ignoranza.” In Italia sono anni che stiamo “provando l’ignoranza”, e il degrado culturale della nostra Nazione è il risultato di questo.
Fino a quando il valore della cultura non sarà riconosciuto e la dignità di chi lavora nell’istruzione e nella ricerca non sarà rispettata, fino a quando le uniche parole spese su questi argomenti saranno gli sterili piagnistei per la “fuga dei cervelli”, fino ad allora noi non avremo la possibilità di tornare a casa.
Carlo Abate
Sara Dal Gesso
Fred Benedosso
Fulvia Ferri
Andrea Cimatoribus
Stefano Messina
Anna Rabitti
Il Fatto Quotidiano - 22 dicembre 2010
Spett.le redazione del Fatto Quotidiano,
vi scriviamo per esprimere la più indignata disapprovazione per la cosiddetta Riforma Gelmini dell’Università e dell’istruzione in Italia.
Vogliamo anche spiegare la scelta di lavorare nei Paesi Bassi, che è strettamente legata al nostro dissenso per la cosiddetta Riforma, e più in generale per la politica intrattenuta dai diversi Governi nel corso degli ultimi trent’anni.
Sia chiaro fin d’ora che l’immagine degli emigranti costretti a partire in cerca di fortuna senza bagaglio e con le scarpe di cartone non ha nulla a che fare con noi: ciascuno ha una diversa storia che l’ha portato nei Paesi Bassi, ma ciò che ci accomuna è che partire è stata una libera decisione. Abbiamo scelto di cogliere un’eccezionale opportunità di crescita personale e professionale, di metterci alla prova in un ambiente internazionale così diverso da quello dove siamo nati e cresciuti.
Abbiamo scelto di trasferirci in un Paese in cui il nostro lavoro è valorizzato ed incoraggiato, e dove ci vengono forniti tutti gli strumenti necessari a svolgerlo nelle migliori condizioni possibili, senza essere costretti ad implorare per due soldi e un po’ di considerazione.
Abbiamo scelto di trasferirci in un Paese in cui chi decide di lasciare la carriera accademica dice che “cambia mestiere”, non che “va a lavorare”: perché il nostro è considerato un lavoro, al pari di un poliziotto, un impiegato o un carpentiere, e non siamo costretti a vivere con l’umiliazione quotidiana di essere bollati come un peso per lo Stato e per i contribuenti, come se non fossimo noi stessi dei contribuenti.
Abbiamo scelto di trasferirci in un Paese in cui la cultura è realmente considerata importante e, sebbene la crisi economica abbia colpito anche qui, non si perde occasione di promuovere attività divulgative nelle scuole, per le strade, alla radio e alla televisione, affinché la cultura sia un bene accessibile a tutti.
Abbiamo scelto di trasferirci in un Paese in cui, per il posto di lavoro che occupiamo, dobbiamo ringraziare solo noi stessi e il nostro impegno, e non la benevolenza pelosa di qualche protettore.
Per tutte queste ragioni, quella che abbiamo fatto potrebbe essere ritenuta la scelta più semplice. Non è così, e non è stata indolore o a cuor leggero.
Abbiamo lasciato il nostro Paese e le nostre famiglie, senza una chiara prospettiva di tornare in Patria. I dottorandi e ricercatori olandesi, per contro, vanno all’estero consci che arricchiranno il loro curriculum vitae e, forti delle loro nuove esperienze, torneranno dopo qualche anno a lavorare nei Paesi Bassi. Noi questa consapevolezza non l’abbiamo, né possiamo averla, e la ragione di ciò è che l’educazione e la cultura non sono considerati valori in cui investire, bensì un privilegio che non ci possiamo permettere.
La mentalità diffusa che la ricerca di base sia inutile, che gli universitari (studenti e lavoratori) siano dei fannulloni privilegiati, va sradicata e sostituita dalla consapevolezza che la cultura e l’istruzione sono l’acqua potabile di una Nazione.
Siamo convinti di questo: l’unico modo per ottenere questo cambio di mentalità è investire nell’istruzione.
Derek Bok disse: “Se pensate che l’Istruzione sia costosa, provate l’ignoranza.” In Italia sono anni che stiamo “provando l’ignoranza”, e il degrado culturale della nostra Nazione è il risultato di questo.
Fino a quando il valore della cultura non sarà riconosciuto e la dignità di chi lavora nell’istruzione e nella ricerca non sarà rispettata, fino a quando le uniche parole spese su questi argomenti saranno gli sterili piagnistei per la “fuga dei cervelli”, fino ad allora noi non avremo la possibilità di tornare a casa.
Carlo Abate
Sara Dal Gesso
Fred Benedosso
Fulvia Ferri
Andrea Cimatoribus
Stefano Messina
Anna Rabitti
Il Fatto Quotidiano - 22 dicembre 2010
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