Siccome Calderoli, che aveva ben meritato col
Porcellum, sta scrivendo la nuova legge elettorale, a chi è stata
affidata la riforma della diffamazione? A un altro benemerito della
libertà di stampa: naturalmente Gasparri. La nuova norma, firmata anche dall’astuto Vannino Chiti
del Pd, dovrebbe passare giovedì in sede deliberante alla commissione
Giustizia del Senato, senza passare dall’Aula. Tanta fretta viene
giustificata con l’esigenza di salvare dal carcere il direttore del Giornale Alessandro Sallusti,
condannato a 14 mesi senza la condizionale per omesso controllo su un
articolo pieno di balle. Ed è una balla anche la giustificazione, perché
Sallusti in carcere non ci andrà, salvo che ne faccia espressa
richiesta (rifiutando i servizi sociali e i domiciliari).Come
la pensiamo sul tema l’abbiamo scritto: la legge attuale è incivile
perché la pena detentiva dev’essere l’extrema ratio, riservata ai
giornalisti che mentono sapendo di mentire e rifiutano di rettificare le
inesattezze o le falsità che hanno scritto. Ma questo punto
fondamentale la porcata Gasparri-Chiti neppure lo sfiora. Si limita ad
abrogare le pene detentive tout court, anche per i diffamatori
professionali e incalliti. E a sostituirle con pene pecuniarie che non
potranno essere inferiori ai 30 mila euro. Oggi, se un cronista pubblica
una lieve inesattezza causando un piccolo danno, può essere condannato
anche a una multa e una riparazione pecuniaria di poche decine di euro:
in futuro il giudice non potrà affibbiargliene meno di 30 mila (il
massimo non è fissato: teoricamente, anche miliardi). E, come se il primo bavaglio non bastasse,
eccone un altro: i direttori responsabili di giornali e testate radio o
tv risponderanno di omesso controllo anche per tutto quanto esce sulle
edizioni online. Due spade di Damocle che convinceranno molti giornali e
siti a chiudere e molti giornalisti a smettere di scrivere o a
dedicarsi a rubriche di giardinaggio o gastronomia. E questa schifezza
liberticida viene spacciata per un capolavoro di civiltà, solo perché
nessun giornalista rischierà più il carcere (peraltro all’italiana, cioè
finto).
Il risultato è lampante: gli editori miliardari continueranno a scatenare campagne di menzogne contro avversari politici o affaristici tramite i loro killer a mezzo stampa, che saranno disposti a tutto: tanto, se condannati, non rischieranno più una pena detentiva (che, se cumulata più volte, potrebbe anche superare i fatidici tre anni e portarli davvero in cella), ma solo una multa. Che, per quanto salata, non pagheranno di tasca propria, ma accolleranno ai loro mandanti, come incerto del mestiere, anzi come investimento per i loro sporchi interessi. Idem per i giornali che non vendono una copia, ma sono finanziati dai milioni del finanziamento pubblico e ne accantoneranno una parte nel fondo-rischi per campagne di discredito. Invece i giornali piccoli come il nostro, che campano solo grazie ai propri lettori e abbonati, vivranno sotto il perenne ricatto di querele che, ogni volta che finiranno male, sottrarranno al giornalista o alla società da 30 mila euro in su, col rischio di chiudere bottega e senza potersi difendere rettificando eventuali errori commessi in buona fede. Un trionfo per i bugiardi e una disfatta per i giornalisti onesti.
Il risultato è lampante: gli editori miliardari continueranno a scatenare campagne di menzogne contro avversari politici o affaristici tramite i loro killer a mezzo stampa, che saranno disposti a tutto: tanto, se condannati, non rischieranno più una pena detentiva (che, se cumulata più volte, potrebbe anche superare i fatidici tre anni e portarli davvero in cella), ma solo una multa. Che, per quanto salata, non pagheranno di tasca propria, ma accolleranno ai loro mandanti, come incerto del mestiere, anzi come investimento per i loro sporchi interessi. Idem per i giornali che non vendono una copia, ma sono finanziati dai milioni del finanziamento pubblico e ne accantoneranno una parte nel fondo-rischi per campagne di discredito. Invece i giornali piccoli come il nostro, che campano solo grazie ai propri lettori e abbonati, vivranno sotto il perenne ricatto di querele che, ogni volta che finiranno male, sottrarranno al giornalista o alla società da 30 mila euro in su, col rischio di chiudere bottega e senza potersi difendere rettificando eventuali errori commessi in buona fede. Un trionfo per i bugiardi e una disfatta per i giornalisti onesti.
Ps. Due anni fa ho fatto causa a
Gasparri per aver mentito sapendo di mentire, dicendo in tv che andavo
in vacanza a spese di mafiosi quando già avevo documentato pubblicamente
che le ferie in questione me le ero pagate fino all’ultimo euro. Lui,
anziché scusarsi e rettificare, si fa scudo dell’insindacabilità
parlamentare. Intanto, fra un’udienza e l’altra, riforma la
diffamazione. Per competenza specifica.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 6 ottobre 2012)
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