Chi segue le vicende finanziarie, ricorderà sicuramente che la notizia più battuta sui social all’inizio dell’anno ha riguardato il Texas Ratio e quella classifica di 114 banche “malate” stilata dal Sole24Ore. Tanti commenti, giuste preoccupazioni ma poi il silenzio e soprattutto nessun dubbio ulteriore, nessuna analisi che approfondisse la dinamica di costruzione formale dell’indice. Ma se di forma e sostanza abbiamo già parlato a proposito dei controlli degli organi competenti, ci meravigliamo invece quando la sostanza manca nelle analisi fatta da autorevoli commentatori economici.
Ma andiamo con ordine.
Il Texas Ratio deve il suo nome allo Stato americano in cui il banchiere Gerard Cassidy della RBC Capital Markets lo creò negli anni 80 per la valutazione delle banche locali dopo una catena di fallimenti che ne aveva mandato in default alcune centinaia a seguito di una crisi immobiliare. Si tratta di un indicatore che mette in rapporto i «prestiti non performanti» (i crediti deteriorati o Non Performing Loans) al patrimonio netto tangibile di una banca.
Tecnicamente i crediti deteriorati comprendono, in ordine decrescente di gravità, le sofferenze, le partite incagliate, i crediti scaduti e/o sconfinanti deteriorati e i crediti ristrutturati.
In parole semplici questo indicatore rapporta i crediti a rischio al patrimonio tangibile della banca (ossia al capitale netto diminuito delle immobilizzazioni immateriali) per verificare che quest’ultimo superi il primo e che quindi la banca sappia far fronte all’eventuale perdita di questi crediti. Per questo motivo il Texas Ratio, per esprimere un valore positivo, dovrebbe sempre essere inferiore all’unità (quindi con un patrimonio tangibile che supera i crediti a rischio). Può essere espresso sia come rapporto puro, ossia con un parametro di riferimento pari a 1 (quando crediti deteriorati e patrimonio si equivalgono), sia in termini percentuale (quindi con il 100% al pareggio).
Basta quindi dare una occhiata alla tabella per rendersi conto se i nostri risparmi sono a rischio.
E se la nostra banca non è invece in quella tabella? Posso stare tranquillo? Ecco, qui è mancato l’approfondimento e c’è tuttora silenzio.
Va evidenziato infatti che i crediti deteriorati (numeratore del rapporto) sono considerati come crediti deteriorati netti, ossia al netto delle rettifiche di valore che nel tempo le banche hanno compiuto per tenere conto dei rischi connessi a eventuali insolvenze. Il loro valore lordo di libro (che indica il totale di crediti e interessi che la banca si attendeva di recuperare quando ha prestato il denaro) va sempre depurato delle rettifiche di valore apportate nel tempo per tenere conto dei rischi materializzatisi (valore netto di libro, ossia i crediti deteriorati netti).
A tal proposito nessun autorevole commentatore ha evidenziato un altro dato più volte ribadito dagli uffici studi delle banche (e approfondito da noi a più riprese): il nostro sistema bancario stima mediamente i crediti a sofferenza a un valore pari al 42% di quello facciale. Tradotto: per ogni 100 euro dati in prestito a chi non può più ridarceli, le banche stimano di farsi restituire 42 euro e portare a casa una perdita (soldi che non vedranno più) di 58 euro. Quindi il NPL è iscritto a bilancio per 42 euro. Gli analisti, e ora anche la Bce, hanno invece ultimamente ribadito che quella stima è sbagliata e sopravvalutata perché, in considerazione di quanto sta vivendo la nostra economia e tenendo conto del reale valore delle garanzie a presidio di quei rischi (per le banche), il concreto apprezzamento di quei crediti non dovrebbe superare il 17-20%. Quindi, per ogni 100 euro dati in prestito a chi non può più ridarceli, le banche riusciranno a farsi restituire non più di 17-20 euro con una perdita di circa 80 euro. Quindi il NPL iscritto a bilancio dovrebbe essere in realtà di 17-20 euro.
Non solo ma nell’ultimo anno le banche stanno cedendo i crediti marci a prezzi di realizzo. Un sistema oscuro, molto poco trasparente dove ci sono società che comprano i crediti deteriorati mediamente all’11-12% e poi propongono ai debitori una transazione a “saldo e stralcio” tra il 25% e il 40% della debitoria.
Capite bene che, tenendo conto di questa piccolissima precisazione, lo scenario cambia completamente perché il numeratore del Texas Ratio diminuisce sensibilmente e l’indice peggiora fortemente.
Sicuramente per le banche già segnalate nella tabella ma molto probabilmente per tanti altri Istituti di credito che, allo Stato, sembrano porti sicuri per i nostri risparmi. Occhio ai social, spesso ingannano e soprattutto dimenticano.
Vincenzo Imperatore (Il Fatto Quotidiano - 22 settembre 2018)
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