Intervista pubblicata nel numero 9 di settembre 2018 della rivista Fotoit - La Fotografia in Italia - edita dalla FIAF
I tuoi contributi, all’interno della nostra rivista,
riflettono assai spesso sul rapporto tra l’immagine e la parola. L’una richiama
l’altra e, insieme, risolvono in una nuova rappresentazione. Com’è maturata
questa peculiarità?
P) Dovrei ritornare, addirittura, alla mia adolescenza,
allorquando rivedendo le fotografie dell’album di famiglia ne trovai una piccolina,
realizzata probabilmente da un fotografo di strada, che ritraeva mia madre
seduta accanto ad una fontana, con un neonato avvolto in una coperta. Vi era
ritratto anche mio fratello e, evidentemente, il neonato ero io. Capovolgendo
la foto ritrovai la cara calligrafia di mia madre che testualmente scriveva, a
mo’ di didascalia: “Pippo (cioè io) quindici giorni prima di morire”.
Qualcosa non quadrava in quell’immagine: mia madre non
mentiva, ma io, adulto, stavo vedendo la foto, ed ero vivo e vegeto; quindi ero
sopravissuto; ma per i primi giorni di vita di quella fotografia io ero stato
un bimbo di cui si aspettava la morte e quell’immagine doveva diventare il suo
ricordo; e, per mia madre, l’immagine di suo figlio era qualcosa che io stento
ancora a capire. Compresi, allora, che
l’immagine è qualcosa che bisogna penetrare e attraversare con partecipazione e
attesa. Dentro e attraverso.
Per fare ciò ho avuto bisogno, anzi mi sono affidato, alla
parola e alla sua contornualità visiva.
Ti affidiamo assai spesso l’analisi delle fotografie che
pubblichiamo: potresti accennarci alle tue metodologie di lettura?
P) Con l’amico Sergio Magni ho condiviso l’insegnamento di
Nazareno Taddei. Poi sono andato per la mia strada senza mai abbandonare
quell’impianto teorico. Mi piace ricordare l’ultima telefonata ricevuta da
Sergio: “Quando ti leggo vedo ciò di cui scrivi e leggo ciò che sto vedendo”.
Può sembrare un gioco di parole ma è un complimento e, adesso che lo riporto,
mi commuove la memoria del caro compagno di avventura..
Poi sono venuti gli amici Carli, Torresani, Bicocchi,
Pieroni eppure, alla fine, anche per colpa dei miei studi umanistici, ricorro
sempre al Quadrato dell’ermeneutica scolastica. Vi risparmio il latino di
Nicola de Lira e, riassumendo vi confido che “muovo sempre dal dato letterale e
immediato per penetrare la possibile allegoria, quindi capire la morale della
proposta e, guardando all’autore, intuirne l’anagogia” (è la stessa “tiritera”
che Dante consigliava al suo lettore, Cangrande della Scala che voleva iniziare
la lettura del suo poema).
Molti dei nostri lettori, dopo la lettura dei loro
portfolii, continuano con te un intenso rapporto epistolare abbastanza insolito
nell’esperienza delle Pedane di lettura: come ti spieghi questa persistenza,
questo desiderio di incontrarti nuovamente?
P) A tal proposito vorrei aggiungere un’ulteriore definizione
di Porfolio alle tante che ne sono state formulate: “Il portfolio fotografico è
una relazione che attende una relazione affinchè si crei una relazione”. Mi
rendo conto che se ho davanti una donna, assai spesso sorge il sospetto che ci stia provando, ma alla
fine dell’incontro, ve lo assicuro, c’è
sempre, dico sempre, un arrivederci ed un sorriso.
Hai messo da parte, e da tempo, lo strumento fotografico. E’
vero, allora, che fotografi solo con le
parole?
No. Fotografo anch’io, e posseggo un’attrezzatura di tutto
rispetto. Ma sono figlio del mio tempo laddove ho incontrato la straordinaria
esperienza di Larry Sultan e Mike Mandel e quindi di “Evidence”, un libro, una
mostra, (1977) composta assemblando immagini trovate. Anch’io mi sono lasciato
prendere da quest’avventura e invece di cercare immagini nuove ho guardato a
quella straordinaria risorsa che è l’archivio e, da lì, son partito per un
viaggio dal quale forse non sono più tornato. Non sono, quindi, un autore ma un amministratore amico degli
autori (spesso ignoti) e più ancora
delle loro immagini.
Si favoleggia sul numero dei libri di cui è formata la tua
biblioteca: cosa ci dici in proposito?
P) Tanti anni addietro ho avuto la fortuna di conoscere Vittorio Scanferla e
Giovanna Chiti, raffinati cultori di fotografia, i quali m’introdussero al
collezionismo del libro fotografico non come esperienza di possesso in sé, ma
come costruzione di un sapere fondato, meditato lungo il tempo e nell’incontro
con l’autore; quindi come possibilità di riprendere le riflessioni interrotte
e, magari, privatamente, goderne le misteriose ridondanze racchiuse dentro le
pagine. La disponibilità di quei testi è stato il miglior biglietto da visita
nell’incontro con gli autori della fotografia contemporanea.
E poi, vuoi mettere la soddisfazione delle visite dei
laureandi che mi telefonano alla ricerca
del testo introvabile in Accademia?
A questo punto siamo curiosi di conoscere il tuo fotografo
preferito?
P) E’ ancora viva dentro di me la memoria e la devozione per
Mario Giacomelli di cui ho amato ed amerò sempre la libertà di pensiero e
l’assoluta poesia dei suoi giorni.
Hai, ancora, una
definizione per descrivere cos’è, per te, la fotografia?
P: Certamente, ma vale solo per oggi: fotografia come
deposito di senso, come pretesto per chiacchierare. Domani ……
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Giuseppe Pappalardo - Note Biografiche
Giuseppe Pappalardo - Note Biografiche
Avvocato, ha studiato “Lettura strutturale dell’immagine nei media”
col prof. Nazareno Taddei (Università di Cagliari) continuando a
sviluppare gli studi di “Educazione all’immagine e con l’immagine” e,
più specificatamente, di “Sociologia della comunicazione visiva”col
prof. Enzo Carli (Università di Urbino).
Redattore della rivista “Gente di Fotografia”, é curatore delle
pubblicazioni dell’editrice Polyorama; collabora con importanti riviste
di carattere nazionale proponendosi con saggi di storia della
fotografia, di analisi e di critica delle immagini, di verifica intorno
alle pratiche della fotografia.
In tal senso, ha curato numerosi libri (oltre a quelli compresi nel
catalogo di Polyorama; tutte le pubblicazioni della Galleria Ghirri –
quindi, i cataloghi delle mostre di Leone, Giacomelli, Ghirri,
Meyrowitz, Chiaramonte, etc., e tutte le pubblicazioni dell’A.N.A.F.
(Ass. Naz. Amatori di Fotografia) per la quale, dal 1996 al 2005, ha
curato, come responsabile culturale insieme al prof. Enzo Carli, la
pubblicazione del trimestrale N. Notiziario Fotografico; ha pubblicato,
inoltre, “Note giuridiche e commenti a sentenze sulla tutela della
proprietà dell’immagine e sul rapporto fra diritto di cronaca e tutela
della persona in fotografia”.
Ha partecipato a molte mostre collettive su temi siciliani, e
contribuito alla stesura di molti audiovisivi, per conto della Regione
Siciliana, ma non ha maturato il coraggio di una mostra personale delle
proprie immagini che pur supportano la sua didattica.
Ha sperimentato le metodologie elaborate dal fotografo Nino Migliori
proponendole presso le scuole primarie come forma immediata di
apprendimento della costruzione di un’immagine.
Cura l’organizzazione di manifestazioni fotografiche nella sua
regione assumendone la direzione artistica. A Caltagirone è stato
co-realizzatore del Museo della Fotografia della Provincia di Catania,
ed è condirettore della Galleria L. Ghirri (mostre di P, Monti, Salgado,
Siracusa, Pitrone, Strano e altri). A Catania collabora in progetti
didattici presso l’Ateneo locale, l’Accademia di BB.AA. la privata
Accademia ABADIR e il Centro Arti Visive Sikanie.
Socio onorario di molti circoli fotografici, è stato docente D.A.C.,
grazie al quale ha messo ordine in tanta attività. Tutto il lavoro è
stato svolto per pura passione e senza alcun interesse economico.
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