Nel
corso di una cerimonia in onore di Oscar Luigi Scalfaro a cent’anni
dalla sua nascita il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha
pronunciato un discorso che è l’ultima linea di difesa dei cittadini
dall’arroganza degli uomini politici, siano essi di destra, di sinistra,
di centro o di qualsiasi altra parte. Ha detto il presidente della
Repubblica: “Nel nostro ordinamento non esistono giudici elettivi. I
magistrati traggono legittimazione e autorevolezza dal ruolo che loro
affida la Costituzione. Non sono chiamati a seguire gli orientamenti
elettorali, ma devono applicare la legge e le sue regole. Nessun
cittadino è al di sopra delle leggi”. Un discorso tanto ovvio quanto
ineccepibile in risposta a Matteo Salvini che aveva tirato fuori un
antico refrain
berlusconiano secondo il quale l’uomo politico poiché è stato eletto
dal popolo o da una parte di esso, ha cioè un consenso, non può essere
sottoposto alla legge allo stesso modo degli altri cittadini. Aveva
detto il leader della Lega: “Io sono un organo dello Stato eletto dal
popolo, non come i magistrati”. Il discorso di Mattarella riporta le
cose al loro posto. Mi ricordo che all’epoca in cui Silvio Berlusconi
tirò fuori dal suo cilindro lo strabiliante concetto che il consenso
garantiva all’uomo politico la legittima possibilità di commettere
reati, Marco Travaglio ed io ci divertivamo a scherzare, in privato e
sui giornali, su quale dovesse essere l’entità di questo consenso per
garantire l’impunità: bastavano due milioni, ce ne volevano quattro o
forse otto?
Per
contestare in qualche modo questo discorso ineccepibile Alessandro
Sallusti deve arrampicarsi sugli specchi, come fa ormai da anni, da
decenni, cioè da quando è entrato nel giro berlusconiano, mentre in
precedenza era stato un ottimo professionista. Innanzitutto liquida il
discorso di Mattarella in risposta all’inaudita pretesa di Salvini come
“un gioco delle parti”. Questo è il classico modo berlusconiano, e non
solo berlusconiano, di considerare le Istituzioni. Le Istituzioni non
fanno, non possono fare, non devono fare alcun politico “gioco delle
parti”, ma semplicemente rispettare e rendere effettivo il ruolo per cui
esistono: il presidente della Repubblica è il supremo garante della
Costituzione, l’Esecutivo governa, il Parlamento approva le leggi, la
Magistratura controlla che queste leggi non siano violate e punisce, con
tutte le garanzie previste dall’ordinamento, chi queste leggi invece le
infrange.
Ma
l’affanno di Alessandro Sallusti è ancora più evidente quando si
aggrappa all’occasione in cui Mattarella ha fatto il suo discorso cioè
la celebrazione di Scalfaro. Il direttore del Giornale
definisce Oscar Luigi Scalfaro “il peggior presidente nella storia
della Repubblica”. E lo credo bene. Scalfaro rifiutò di firmare il
decreto-legge Conso che voleva depenalizzare il “finanziamento illecito
dei partiti” e salvare così nel pieno delle inchieste di Mani Pulite
(siamo nel marzo del 1993) i politici e i partiti che avevano ricevuto
per anni quei soldi, depredando di fatto il cittadino italiano. In
precedenza, nel giugno del 1992, Scalfaro aveva rimandato al mittente la
pretesa di Bettino Craxi, sulle soglie di essere indagato per quella
corruzione che gli costerà dieci anni di galera mai scontata ma vissuta
in Tunisia sotto la protezione del dittatore Ben Ali, di fare ugualmente
il presidente del Consiglio. E Craxi era il grande protettore di Silvio
Berlusconi, e viceversa, cui consentì attraverso la famigerata legge
Mammì di essere per anni il padrone assoluto di tutto il comparto
televisivo privato italiano. Sallusti insinua poi che Scalfaro avrebbe
tramato per far fuori Berlusconi attraverso pressioni sui magistrati di
Mani Pulite perché gli inviassero il famoso avviso a comparire mentre
presiedeva a Napoli una conferenza internazionale sulla criminalità. A
parte che, viste le cose con gli occhi di oggi, è abbastanza curioso che
un uomo che sarebbe stato poi definito dai Tribunali della Repubblica
un “delinquente naturale” presiedesse un convegno sulla criminalità,
nella mente bacata di Sallusti non ci può proprio stare che la
magistratura agisca per tutelare il rispetto delle leggi, come
richiamava l’altro giorno Mattarella, e non per motivi politici. Il
governo Berlusconi non cadde per le supposte trame di Scalfaro, fu
Umberto Bossi a farlo cadere con quello che rimane il suo miglior
discorso, anche dal punto di vista stilistico, in Parlamento (“Oggi
finisce qui la Prima Repubblica”. Si illudeva, il buon Umberto).
Sallusti
tira fuori poi il suo asso nella manica: il “non ci sto” pronunciato da
Scalfaro in televisione quando fu accusato di aver percepito in modo
irregolare i 100 milioni al mese destinati al ministro degli Interni
quando lo stesso Scalfaro aveva ricoperto quel dicastero. Peccato che
nel 1999 Oliviero Diliberto, in quel momento ministro della Giustizia,
abbia ricordato che la Procura di Roma aveva comunicato il 3 marzo 1994
che “nei confronti dell’onorevole Scalfaro non sussiste alcun elemento
di fatto dal quale emerga un uso non istituzionale dei fondi”.
Alessandro
Sallusti deve rendersi conto che il ventennio berlusconiano della
guerra senza esclusione di colpi alla Magistratura è definitivamente
tramontato. E deve smetterla di fare come uno scadente illusionista il
gioco delle tre tavolette contando sulla smemoratezza degli italiani.
Perché alcuni testimoni di quel tempo, quorum ego, sono per buona o mala
sorte ancora vivi. E anche che il progetto di legge, di matrice Cinque
Stelle, secondo il quale le amministrazioni dello Stato non devono
fornire la pubblicità ai giornali non è diretto al suo Giornale
come scrive, facendo la vittima, nell’editoriale del 12 settembre, ma a
tutti i giornali perché non c’è nessuna ragione per la quale lo Stato,
cioè noi cittadini si sia chiamati a pagare pubblicazioni private. I
giornali si mantengano da soli, se ce la fanno. Ma visto come sono fatti
e la malafede di cui sono intrisi, di cui il Giornale di Sallusti può essere considerato il vessillifero, dubito molto che ce la facciano.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 15 settembre 2018)
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