Caro ministro, cara Annamaria,
in Italia si dimettono gli innocenti e invece resistono, con le
unghie e con i denti, i colpevoli e soprattutto i furbi. E le persone perbene
come te si devono dimettere anche per non farsi sporcare dai difensori pelosi
che, in questo caso, esibiscono più pelo delle scimmie quando ti assimilano a
Berlusconi e al suo reato di concussione nella vicenda Ruby.
Sperimentano su di te una sofisticata variante della macchina del
fango: con sapienza offensiva ti attribuiscono sui loro giornali ogni
nefandezza sino ad equiparare la telefonata, che hai fatto ai dirigenti del
dipartimento penitenziario a favore di Giulia Ligresti, a quell’altra
telefonata, che Berlusconi fece ai funzionari della questura di Milano per
sottrarre alle istituzioni la prostituta minorenne che “proteggeva” e
affidarla, come nipote di Mubarak, alle discinte emissarie del suo gineceo
privato: una vera porcheria di Stato.
Dunque ti attribuiscono lo stesso ripugnante reato che ha commesso
lui e poi ti blindano politicamente perché, in questo gioco di specchi
deformanti, riflettono lui in te, e ti difendono per ripulirlo, e ti imbrattano
per difenderlo. E io sono certo, conoscendoti, che tu senti, ad ogni loro
parola di difesa, il diavolo che sguazza nell’acqua santa.
Io conosco la tua sensibilità antimafia, il coraggio che hai
mostrato come ministro dell’Interno, il tuo equilibro di prefetto al di sopra
delle parti, ma credo che la divulgazione delle tue telefonate con la famiglia
Ligresti, una famiglia di malfattori finanziari, tra i quali c’è pure un dorato
latitante, abbia ormai determinato un inquinamento ambientale e abbia fatto
esplodere il conflitto — si diceva un volta — tra la Corona e i sentimenti
privati, tipico della gabbia-istituzione che non sopporta la lievità delle
buone intenzioni, non riconosce specialità, non distingue ma livella anche nel
caso dei malati, tutti i malati, senza differenze di nome, di rango, di
parentele, di numeri di telefono.
So bene che in Italia a volte solo la raccomandazione, che è
scorciatoia e personalizzazione, riesce a svegliare l’istituzione e anche io,
come tutti, non penso che sia reato né che sia riprovevole, finché però non
delegittimi l’istituzione facendosi essa stessa istituzione, finché non privatizzi
lo strumento pubblico.
Giulia Ligresti, come ha testimoniato Giancarlo Caselli, è stata
tirata fuori dalla sua cella perché il suo caso era in mano a magistrati
attenti e perché ha dei buoni avvocati. Il tuo intervento è stato forse
ininfluente. Ma senza il bisogno di ricorrere al senno di poi, devi ammettere
che è assolutamente necessario che un ministro segnali i casi di disagio, come
tu hai fatto per ben 109 volte, in silenzio e in solitudine, senza mai cercare
il grazie dei parenti del reo, senza comunicare alla banda — allo “zio” della
banda: «segnalazione fatta», cioè missione compiuta, senza privatizzare mai il
tuo «sono a disposizione».
Tu sei a disposizione dell’Italia ed è giusto che tu abbia una
particolare sensibilità per la condizione carceraria, che in Italia è spesso
tortura, ma quelle telefonate inscrivono il tuo intervento non solo alla tua
umanità, ma anche a quel grumo di rapporti e di sentimenti privati che
coinvolgono, come si capisce bene dalle intercettazioni, l’affetto e il rancore,
l’accusa di ingratitudine e i sensi di colpa, «io, guarda, avrei dovuto
chiamarti prima, non fare complimenti, qualunque cosa io possa fare …».
E c’è anche quel loro parlare di te in modo sguaiato, come se tu
dovessi a loro la tua bella carriera, come se il tuo atto fosse loro dovuto,
come se tu fossi quel che sei anche grazie ai Ligresti e ai loro affari, che
sono malaffari. Millantano? Inventano? Sicuramente inquinano e aggravano quel
che io chiamo la tua incompatibilità ambientale.
Nessuno aveva mai sollevato il ben più piccolo sospetto su di te,
nessuno stava appostato per tenderti un agguato. È stato un fulmine a ciel
sereno per tutti. E qui c’è anche il sospetto odioso, ben alimentato dal
cattivo umore dei Ligresti, che tuo figlio fosse lì perché era amico e che
dunque questo sia anche un ordinario caso di interfamilismo: noi a tuo figlio,
e tu a nostra figlia; la tua famiglia e la mia famiglia. Come fermare questi
sospetti? Anche solo per aiutare il tuo Piergiorgio a chiarire il suo ruolo, e
a liberarsi di quell’alone di unto che gli lascia addosso una liquidazione
legittima ma spropositata, dovresti dimetterti: volevi fare del bene alla
figlia loro e rischi di fare del male al figlio tuo.
E non senti, acquattato nell’ombra, il solito razzismo che insinua,
già nel linguaggio, la combine familistica tra gli intrallazzatori di Paternò e
la parte siciliana della tua famiglia?
Sei stata, non solo ai miei occhi, un buon ministro per l’Italia,
contro i cattivi poliziotti quando era il caso, e a favore della polizia quando
bisognava, mai per partito preso. Hai finalmente dato un qualche ristoro, sin
dove ti è stato possibile, alla famiglia Cucchi che te lo ha riconosciuto.
Hai lavorato non solo per l’amnistia ma per ridare un po’ di
umanità al sistema carcerario, inseguendo persino il progetto di un carcere
modello costruito in Italia da Renzo Piano … Ecco: le tue dimissioni non sono
più un problema solo tuo. Coinvolgono tutti noi italiani che crediamo ancora
nella uguaglianza della legge e nella imparzialità dei servitori dello Stato,
quelli di cui purtroppo si è perso lo stampo originale.
Io credo infine che solo le dimissioni ti restituiscano un futuro
a testa alta e orizzonti puliti. Non puoi essere un ministro dimezzato, come un
Alfano qualsiasi; né, come un secondo Monti, puoi farti logorare e imprigionare
dalla peggiore politica italiana, carne da macello di Grillo, foglia di fico di
Berlusconi. In Italia le dimissioni, non offerte ma date prima che ti ci
costringano, nobilitano e sono eleganza. Quando avranno bisogno di te verranno
di nuovo a cercarti.
Francesco Merlo (Jack's Blog - La Repubblica, 5 novembre 2013)
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