Slobodan
Milosevic (1999), Saddam Hussein (2003), Muhammar Gheddafi (2011). Il prossimo
obbiettivo è Nicolàs Maduro.
Nel 1999 avevo capito che gli americani avevano
l’intenzione di attaccare la Serbia di Milosevic, che non era un dittatore ma
un autocrate, tipo il Putin di oggi, ma aveva il gravissimo torto di
essere il capo dell’unico Paese rimasto paracomunista in Europa, quando
vidi che la CNN trasmetteva ogni giorno, ripresa senza nessuna verifica dalla
Televisione italiana, gli eccidi che avvenivano quotidianamente in Serbia
a danno degli albanesi. Le immagini erano autentiche, ma si riferivano ad un
solo episodio, avvenuto nella cittadina di Račak (45
morti), ma opportunamente miscelate, riprese da varie
angolazioni, sembravano appartenere ogni volta ad episodi diversi, per cui
l’apparenza era che in Serbia fosse effettivamente in atto un genocidio ai
danni dei serbo-albanesi. E arrivò, contro la volontà dell’Onu, la prevedibile
aggressione americana, una grande e colta capitale europea come Belgrado
bombardata per 72 giorni (5500 morti) con la complicità del governo italiano
(premier D’Alema) che si prestò a fare la parte più ignobile, la nostra, come
sempre, quella del ‘palo’ (gli F-15 e i Tornado partivano dalla base di
Aviano).
Sono mesi e mesi che i media occidentali insistono su
qualsiasi notizia negativa che riguardi Maduro, il suo governo e la
situazione interna del Venezuela, sia le notizie rilevanti sia quelle che non
lo sono affatto.
Quando pensano di poterselo permettere le Democrazie
occidentali, con in testa quasi sempre gli americani, bombardano, massacrano,
occupano e poi mettono al posto del leader da loro poco gradito un governo
fantoccio. Così è stato con Saddam Hussein, prima ripto
alleato in funzione antiraniana e anticurda, fornito
all’uopo delle famose ‘armi di distruzione di massa’, e poi, diventato
ingombrante, inserito nell’ ‘Asse del Male’ con tutto ciò che ne è
conseguito. Così è stato, sempre contro la volontà dell’Onu (ma cosa ci
sta a fare ancora l’Onu?) con Gheddafi la cui eliminazione è culminata in
un linciaggio che avrebbe fatto vomitare, forse, anche gli uomini di Al
Baghdadi. Anche se con la Libia l’occupazione non è riuscita perché
la defenestrazione del Colonnello ha disintegrato quel Paese dividendolo
in mille milizie incontrollabili.
Quando le Democrazie non possono agire in modo così
sfacciato il giro è più lungo. Prima si infama il leader indesiderato, poi si
comincia a strangolare economicamente il Paese su cui si vuole mettere le mani,
si rinfocola il malcontento della gente, si conta sugli inevitabili scontri fra
l’opposizione e il governo in carica. Negli scontri in Venezuela sono
stati uccisi 125 oppositori. Cosa grave certamente. Ma allora cosa
dovremmo dire dell’Egitto? Dove il generale golpista Al-Sisi, ex braccio
militare del dittatore Mubarak, ha messo in galera tutta la dirigenza dei
Fratelli Musulmani, i legittimi vincitori delle prime elezioni libere in quel
Paese (compreso il loro leader, Mohamed Morsi, condannato a morte, pena poi
benignamente commutata in ergastolo), ha ucciso, in un sol colpo, in due
successive manifestazioni pro Morsi, approfittando della morte di un
poliziotto, dai 600 ai 2000 manifestanti, a seconda delle stime, ed è
poi arrivato ad un totale, per ora, di 2500,
altrettanti oppositori ne ha fatti scomparire, 20000 ne ha messi in
galera, ha abolito tutte le libertà civili e da ultimo, non pago, ha fatto
inserire i Fratelli nella ‘lista nera’ dei terroristi
internazionali. Ma l’Egitto è da decenni armato e foraggiato dagli
americani (tranne nel breve periodo, un anno e mezzo, in cui ha governato
Morsi). Ma le Democrazie e le loro ‘anime belle’, gli alfieri del
Bene, i loro politici, i loro media non solo non hanno proferito una
parola contro quel colpo di stato e quei delitti ma hanno appoggiato
il golpe e plaudito al dittatore (basterà qui ricordare le parole del sempre
bulimico Matteo Renzi che ha definito Al-Sisi “un grande
statista”). E adesso noi italiani dobbiamo pure cuccarci, senza fiatare, anche
le grottesche minacce del generale tagliagole Khalifa Haftar che è la
‘longa manus’ dell’Egitto, e quindi degli americani, in Libia.
Maduro deve essere cacciato perché è erede della
cosiddetta ‘linea bolivariana’ che fu di Castro e in seguito, con più
successo di Chavez, che tende a tenere a distanza, a molta distanza,
l’inquietante ‘amico americano’. Per soprammercato è anche socialista
e non vede di buon occhio la borghesia del suo Paese che considera
parassitaria. Ecrasez l’infame!
Paolo Guzzanti (Il Giornale dell’ 8/8) in
una sua singola ricostruzione delle vicende venezuelane e più in generale
sudamericane sostiene che Maduro riceve ordini direttamente da
Cuba. Il che è ben curioso visto che, perduto l’appoggio
dell’Urss dopo il collasso di quel regime nel 1989, è stato proprio il
Venezuela di Chavez a dare una mano, col suo petrolio, a
Cuba. Se c’è una dipendenza è di Cuba verso il Venezuela e non il
contrario. Retrocedendo nel tempo, per dimostrare l’influenza di Castro in Sud
America, Guzzanti sostiene che Salvador Allende, socialista, eletto in regolari
elezioni, accerchiato nella Moneda e “sostenuto da sindacati armati”,
si difese “sparando con il mitra dalle iniziali d’oro che gli aveva
regalato Fidel Castro”. E qui Guzzanti supera il suo record d’infamia, cosa
che, dati i livelli raggiunti dalla sua asticella, sembrava impossibile. Il
colpo di stato del generale Pinochet fu organizzato dalla Cia e direttamente da
Henry Kissinger. Il golpe fu reso possibile anche dal lungo sciopero
del sindacato degli autotrasportatori che mise in ginocchio il Cile. Non
so se Allende si difese sparando con una mitraglietta d’oro, quel che è certo è
che si suicidò. Tutti quelli che ne hanno l’età, e Guzzanti che è del 1940
ce l’ha, ricordano le migliaia di sostenitori di Allende ammassati nello stadio
di Santiago del Cile, le mani tagliate a un pianista, le torture, gli
assassinii.
Alla fine del 1973 intervistai l’allora giovane
Bettino Craxi che era stato in Cile con una delegazione italiana. E Craxi
parlava con molto pathos e partecipazione di ciò che aveva visto in Cile, di
quella Santiago feroce, divisa, incarognita dove, mi disse, “tutti erano
pallidi, pallidi di paura e di odio”. Se non della verità, di Allende, dei
morti del golpe di Pinochet e di quelli che vennero dopo, Paolo Guzzanti
dovrebbe avere almeno rispetto di Bettino di cui, se non ricordo male, fu amico
e beneficiario.
Il generale Augusto Pinochet verrà poi arrestato e
processato per “crimini contro l’umanità”. Ma Henry Kissinger, che fu il vero
deus ex machina di tutta quell’infame operazione, e che è ancora vivo, non sarà
mai toccato da alcuna inchiesta.
Ma una cosa è certa: il socialismo in Sud America non
ha diritto di cittadinanza, né in Cile, né in Brasile (vedi Lula), né in
Venezuela.
Ringrazio i lettori per i complimenti ad un pezzo molto
spinoso quale era quello su Maduro. Al lettore Galdieri faccio notare che uno
dei pregi del Fatto è di accogliere anche opinioni assai diverse e
spesso contrastanti fra di loro. E ciò è dovuto sia all'impostazione del
giornale che, com'è noto, è autogestito e indipendente, sia al suo Direttore,
Marco Travaglio, che è un liberale autentico, un montanelliano.
Due parole su Wojtyla in riferimento a una lettera, riportata dal lettore Burattini, che Giovanni Paolo II inviò al generale Pinochet. Durante i venticinque anni del suo Pontificato Wojtyla fu una Superstar ma le vocazioni crollarono, i monasteri si svuotarono, iniziò anche una forte crisi del sacerdozio e si ridusse al minimo quel poco di senso del sacro che era rimasto in Occidente. Come mai questa stridente contraddizione? La crisi della Chiesa cattolica è dovuta a vari fattori legati soprattutto alla modernizzazione che si porta dietro materialismo e un edonismo straccione. Ma Wojtyla ci ha messo molto del suo. Sia perché si è confuso con la modernizzazione usandone a tappeto i mezzi (tv, jet, viaggi spettacolari, creazioni di 'eventi', concerti, gesti pubblicitari, 'papamobile', 'papaboys') sia, e forse soprattutto, perché è stato un Papa politico che è entrato a piedi uniti in questioni, appunto, politiche che poco o nulla hanno a che fare con la ragione inditta della Chiesa che, lo dico 'in partibus infidelium', dovrebbe essere la cura delle anime e dello spirito. Per restare in Italia basterebbe ricordare i suoi anatemi contro l'indipendentismo della Lega delle origini, come se un Paese fosse più o meno religioso se unito o trino. Con questa funzione politica, e non con una sorta di dimenticanza, si spiega la lettera, che mi permetto di definire infame, che scrisse al generale tagliagole Pinochet e alla sua 'augusta' consorte. Su questa buona o, per meglio dire, cattiva strada sembra avviato anche il molto popolare Papa Bergoglio che è andato a stringere la mano a un altro assassino di Stato come il generale Abd Al-Fattah Al-Sisi. Forse, tra i più recenti, il Pontefice che è stato più vicino alle esigenze spirituali dell'uomo moderno è l'ascetico Ratzinger, teologo finissimo, che, quando era ancora Cardinale, scrisse: "Il Progresso non ha partorito l'uomo migliore, una società migliore e comincia ad essere una minaccia per il genere umano". In ogni caso, né Wojtyla né Ratzinger né Bergoglio, sempre pronti a 'chiagne' sulle vittime del terrorismo o di terremoti o delle 'bombe d'acqua', hanno mai speso una parola, una sola, per i civili, uomini, donne, bambini uccisi in Afghanistan dai nostri bombardieri. Ma questo è un altro discorso.
Due parole su Wojtyla in riferimento a una lettera, riportata dal lettore Burattini, che Giovanni Paolo II inviò al generale Pinochet. Durante i venticinque anni del suo Pontificato Wojtyla fu una Superstar ma le vocazioni crollarono, i monasteri si svuotarono, iniziò anche una forte crisi del sacerdozio e si ridusse al minimo quel poco di senso del sacro che era rimasto in Occidente. Come mai questa stridente contraddizione? La crisi della Chiesa cattolica è dovuta a vari fattori legati soprattutto alla modernizzazione che si porta dietro materialismo e un edonismo straccione. Ma Wojtyla ci ha messo molto del suo. Sia perché si è confuso con la modernizzazione usandone a tappeto i mezzi (tv, jet, viaggi spettacolari, creazioni di 'eventi', concerti, gesti pubblicitari, 'papamobile', 'papaboys') sia, e forse soprattutto, perché è stato un Papa politico che è entrato a piedi uniti in questioni, appunto, politiche che poco o nulla hanno a che fare con la ragione inditta della Chiesa che, lo dico 'in partibus infidelium', dovrebbe essere la cura delle anime e dello spirito. Per restare in Italia basterebbe ricordare i suoi anatemi contro l'indipendentismo della Lega delle origini, come se un Paese fosse più o meno religioso se unito o trino. Con questa funzione politica, e non con una sorta di dimenticanza, si spiega la lettera, che mi permetto di definire infame, che scrisse al generale tagliagole Pinochet e alla sua 'augusta' consorte. Su questa buona o, per meglio dire, cattiva strada sembra avviato anche il molto popolare Papa Bergoglio che è andato a stringere la mano a un altro assassino di Stato come il generale Abd Al-Fattah Al-Sisi. Forse, tra i più recenti, il Pontefice che è stato più vicino alle esigenze spirituali dell'uomo moderno è l'ascetico Ratzinger, teologo finissimo, che, quando era ancora Cardinale, scrisse: "Il Progresso non ha partorito l'uomo migliore, una società migliore e comincia ad essere una minaccia per il genere umano". In ogni caso, né Wojtyla né Ratzinger né Bergoglio, sempre pronti a 'chiagne' sulle vittime del terrorismo o di terremoti o delle 'bombe d'acqua', hanno mai speso una parola, una sola, per i civili, uomini, donne, bambini uccisi in Afghanistan dai nostri bombardieri. Ma questo è un altro discorso.
Massimo Fini (Il
Fatto Quotidiano del 25 agosto 2017)
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