Ieri pomeriggio, davanti a Senato e Camera, il ministro degli Interni nonché vicepresidente del Consiglio Alfano, detto Angelino, ha comunicato e certificato quanto segue: nessuno mi ha detto niente perché io non conto nulla. Lo ha fatto leggendo con partecipazione il rapporto predisposto dal suo capo della Polizia, Pansa,
probabilmente inconsapevole (condizione in qualche modo connaturata
alla sua indole) che quelle pagine e quelle virgolette (che apriva e
chiudeva agitando festosamente le mani) sono la corda a cui la sua dignità di uomo politico è stata impiccata.
C’erano molti modi per affrontare una delle vicende più vergognose per uno Stato democratico:
la consegna di una donna e dalla sua bambina nelle grinfie di un
dittatore, nemico giurato del loro marito e padre. Angelino ha scelto
quello più ridicolo, fin dalla prima affermazione: “La mattina del 28
maggio l’ambasciatore del Kazakistan tentava inutilmente di contattare
il ministro degli Interni, cioè il sottoscritto”. Purtroppo il
“sottoscritto” evita di spiegare il perché di quell’“inutilmente”. E
come mai, avendo affidato l’incombenza al suo capo di gabinetto Procaccini,
non abbia poi sentito il bisogno di chiedere cosa c’era di così
importante. Tanto più se il diplomatico appartiene a un governo con il
quale il padrone del partito del ministro, un certo Berlusconi, intrattiene calorosi rapporti di amicizia.
Lacunosa
e spesso incredibile, la presunta ricostruzione dei fatti contiene un
nodo scorsoio che nessuna grande intesa al mondo potrà sciogliere: la
favola secondo la quale Alma Shalabayeva non avrebbe
mai chiesto asilo politico prima di essere imbarcata destinazione
Astana. Una menzogna, come la magistratura potrà facilmente appurare
anche sulla base della testimonianza della donna che qualcuno dovrà pure
ascoltare. Non sarà qualche testa tagliata a salvare Angelino, né la
presa in giro di una “riorganizzazione” degli uffici.
Al premier Letta, in gita premio a Londra, chiediamo di rileggere il secondo comma dell’articolo 95 della Costituzione:
là dove è scritto che “i ministri sono responsabili individualmente
degli atti dei loro dicasteri”. “Responsabili” significa che di fronte a
un errore grave dei sottoposti è soprattutto il ministro che deve
pagare. Ovvero: dimissioni inevitabili. Ma, visto che
qui si fa finta di niente, è troppo chiedere al presidente Napolitano di
uscire dal suo impenetrabile silenzio per dire qualcosa in proposito?
Del Pd, infine, ci resta l’immagine delle facce di pietra mentre un
povero senatore s’arrampicava sugli specchi per salvare con Angelino le
preziose poltrone di governo. Alla fine tutti contenti hanno applaudito
il loro funerale.
Antonio Padellaro (Il Fatto Quotidiano, 17 Luglio 2013)
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