La Quarta Dimensione Scritti

"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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Fotogazzeggiando: Immagini e Racconti

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venerdì 7 novembre 2025

Portfolio "Aqua" di Giusy Tarantino



Portfolio d’immagini creato da Giusy che, nel completare la sua operazione, viene a chiedere dei consigli per definire la sinossi d’accompagno.


a) Ecco quella di Gregorio Bertolini, che si rifà a una sua poesia intitolata “RITORNO” ... "Oh natura eccomi nel fluido respiro della tua essenza, sono tornata per godere del tuo".


b) Poi la mia di sinossi:
"Premesso che la psicologia è una materia complessa di cui tutti discutiamo (1), ma che non dipana i dubbi e che, anzi, torna a porci domande e risposte incerte, è indubbio che l’acqua è uno degli elementi essenziali della vita.
Accade pure che il nostro inconscio conserva tante esperienze che rimangono intrinseche all’individuo e che lo accompagneranno, quasi sempre a sua insaputa, nell’avventura terrena.
Il concepimento si sviluppa in una massa amniotica che ospita il feto per un lungo periodo e non si può assolutamente escludere che, specialmente nel nascituro più definito, possa costituire una “comfort zone” (2), sviluppando da subito esperienze che rimarranno intrinseche nell’individuo.
Le fotografie proposte sono il risultato di scatti realizzati in maniera inconscia, apparentemente seguendo una ricerca estetica, a ruota libera, ma che richiamano inequivocabilmente all’importanza data all’acqua nel nostro modo di essere (animale, cerebrale e tutto quanto includibile).
Il fatto che poi siano state realizzate da una donna, l’insieme composto richiama a Oriana Fallaci e alla stessa Dacia Maraini, riguardo al desiderio mai assopito di vivere l’esperienza di madre.
In questa chiave le pantofole possono rappresentare il simbolo della inconfessata e continua attesa che accompagnerà sempre chi madre non è stata e non sarà mai (includendo in queste le adottive). Pantofole che potrebbero anche ripetersi a chiusura del portfolio."
(1)” La differenza sostanziale tra Psicologo, Psicoterapeuta e Psichiatra risiede nel modo di vedere la persona e nell'approccio utilizzato: mentre i primi due guardano la persona nel suo insieme, evitando di concentrarsi solo sul disturbo, lo Psichiatra utilizza un metodo che può essere definito di diagnosi/cura” (fonte web).
(2) Utile, al riguardo, quanto evidenziabile in rete, dove si legge che “La comfort zone è lo stato mentale della persona che agisce in assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire rischio. Quando ci capita di andare oltre la zona di comfort, ci sentiamo vulnerabili e soggetti ad un alto grado di rischio, perché nella comfort zone siamo a nostro agio”.


c) Inoltre interviene Cristian con la sua lettura: “L’acqua come metafora di uno stato d’animo interiore calmo e disposto alla ricerca dell’anima gemella nell’incedere della vita che scorre, l’avvicinarsi lentamente all’altro, anche le forme sul fondo della piscina denotano un qualche fattore di forma e compatibilità dalle sfumature erotiche, l’entrata in scena di lei, la comparsa di lui e poi la sua uscita lasciano pensare ad un semplice flirt. Da qui il titolo: Flirt.” E poi aggiunge: “Se le persone vedono cose diverse significa che l’opera è diventata arte.”


d) Quindi, a chiudere, la sinossi ufficiale di Giusy per il portfolio ridotto a sei fotografie e reintitolato “Aqua”, presentato nel partecipare al concorso:
“Oh natura, eccomi nel fluido respiro della tua essenza, sono tornata per godere del tuo. Immersa in acqua, godere di essa con momenti lenti e leggeri, svuotando la mente e rilassandomi. A volte dimentichiamo d’importanza di ritrovare se stessi e godere della meraviglia della natura come l’acqua, fonte di vita e rigenerazione.”



Buona luce a tutti!

© Essec

mercoledì 5 novembre 2025

"Reportage emozionale" di Cristina Corsi e Antonio Lorenzini



Cristina Corsi e Antonio Lorenzini, rispettivamente di Montevarchi e Siena, riescono a fare una fotografia, a quattro mani dicono loro, ma in verità con una sola mente.
Per chiarire, la loro mente costituisce l’assemblaggio naturale di due cervelli che ormai vedono con un ampio occhio panoramico, del tipo di quelle telecamere che riescono a racchiudere un raggio di 360 gradi, che possono vedere però anche gli angoli bui e gli interni nascosti.
Basta ascoltare i racconti dei loro portfolio, quando oltrepassano le sinossi sintetiche scritte per i lettori, per scoprire le complessità nei loro lavori.
Empatia, studio, sensibilità, partecipazione, sono elementi sempre presenti che costituiscono delle costanti, che accompagnano il loro modo di fotografare.
Il loro fare fotografia, seppur nato seguendo dei canoni classici, ben presto per entrambi si è trasformato in un metodo originale di scrittura visiva.
Dietro ogni immagine c’è la cattura dell’attimo fuggente del personaggio che loro vengono a raccontare; attuando un approccio delicato, sempre lieve, leggero, mai invadente, che rende immediatamente partecipe l’osservatore che si approccia a leggerne la narrazione.
Maggiormente efficace risulta la loro metodologia se applicata al mondo delle malattie invalidanti, rare, che loro prediligono trattare. Vissute come impegno sociale e desiderio costante di ricerche intimistiche.
Con Antonio ci siamo conosciuti attraverso la rete, seguendo una lettura di un suo portfolio in un concorso organizzato dalla Fiaf. Chi ne avrà voglia potrà anche leggere dei miei post che hanno riguardato alcuni lavori, realizzati da solo o con Cristina.
Lo scorso lunedì, Cristina e Antonio, ospiti del gruppo “We Love PH” di Lucca, hanno proposto "Reportage emozionale", illustrando quattro loro portfolio fotografici, accompagnandoli con i relativi racconti di backstage e rispondendo agli interventi del pubblico coinvolto.
Ho avuto modo di recuperare la visione attraverso la registrazione privata fatta dagli organizzatori dell’incontro e, senza alcuna retorica, devo dire che ne valeva la pena.
Per chiudere segnalo che Cristina e Antonio si rendono disponibili a ripetere l’iniziativa anche in altri ambienti. Basterà contattarli per concordare i termini per l’eventuale incontro.

Buona luce a tutti!

© Essec

lunedì 3 novembre 2025

Album di viaggio numero Uno - Fotografie della Cina 1991



1991 – “Cina classica”

"Durante l’attività lavorativa ho dedicato buona parte delle mie giornate di ferie facendo dei viaggi all’estero. Ma non tanto per poter apporre la classica bandierina sul mio mappamondo ideale e poi poter dire agli amici questo l’ho visto, ma per allargare le conoscenze nell’andare a conoscere luoghi culturalmente diversi e, soprattutto, verificare di persona organizzazioni sociali di cui avevo letto o appreso accadimenti attraverso i media.
Nella celebre e immensa piazza Tienanmen (Porta della Pace Celeste), monumento di Pechino simbolo nazionale della Cina e prospicente la Città Proibita, il 4 giugno 1989 era finita nel sangue una protesta popolare.
Decine di migliaia di studenti, a cui si erano aggiunti anche lavoratori, si accamparono per settimane, facendo anche lo sciopero della fame, per contestare riforme economiche e chiedere libertà di stampa e di parola.
L’accadimento ebbe a rappresentare un evento di risonanza mondiale, sul cui esito si venne a discutere molto e del quale, al riguardo, anche assecondando i diversi orientamenti politici, i media occidentali vennero ad esprimersi in modi fra i più disparati.
A distanza di due anni restava in me la forte curiosità sull’intera vicenda e fu quella la motivazione che mi portò a scegliere la Cina classica come mia impellente prima tappa turistica in estremo oriente.
L’approccio che ho avuto nei viaggi è sempre stato quello di avvicinarmi ai luoghi senza pregiudizi ed essere aperto a osservare e leggere le cose cercando di scoprire con i miei occhi le realtà tangibili nel paese visitato; ovviamente per quanto a un occidentale, sensibilità e cultura, potesse consentire di cogliere e comprendere.
Quindi la mia regola di base non era mai quella di giudicare, ma di ricercare risposte alle tante domande e ai dubbi, per trovare delle logiche plausibili derivanti dalla visione diretta delle realtà politiche, spesso culturalmente assai lontane.
In breve quell’esperienza si dimostrò fantastica. L’empatia con la gente si rivelò immediata e l’entusiasmo giovanile fu sufficiente ad alimentare l’incoscienza necessaria per una visita approfondita e, per quanto concesso dalle circostanze, un po’ all’avventura.
In Cina, nel 1991, oltre alla guida italiana ce n’era un’altra assegnata dal partito.
Nelle escursioni giornaliere venivamo prelevati al mattino di buon’ora e lasciati in albergo nel pomeriggio, in piena luce. Quindi, atteso che le giornate estive erano lunghe, rimanevano delle ore sfruttabili prima della cena, sufficienti per escursioni autonome, all’inizio non viste di buon occhio dalla guida cinese, che era responsabile del gruppo verso il partito.
Complice nelle escursioni “over” mi ritrovai con una toscanaccia assai tosta, anch’essa appassionata di fotografia, pure curiosa a sufficienza per immergersi nei variegati contesti per vivere quelle ore residue all’avventura.
Mercati e agglomerati urbani popolari erano le mete preferite e sempre interessanti, sia per i personaggi che per le scene che si rivelavano sempre di grande interesse.
Gli abitanti dei luoghi, perennemente gentili con noi, disponibili, generosi e tolleranti, acconsentirono in taluni casi anche l’accesso alle loro dimore private.
Quel viaggio nella Cina classica ci consentì una “full immersion” nella profondità della Cina popolare, che ci permise, oltre che di documentare, di comprendere anche gli umori genuini che caratterizzavano i ceti delle variegate classi sociali del paese.
Le occasioni di visita nelle fabbriche, sempre tipiche costanti nei tour cinesi, finalizzate a proporre e vendere loro produzioni ai gruppi turistici, erano per noi occasione per sgattaiolare e insinuarsi nei meandri, introducendoci nei comparti di lavorazione spesso adiacenti agli stessi negozi. Per vedere direttamente e magari fotografare gli operai e i tecnici intenti nel lavoro, impegnati nelle specifiche assegnazioni dei cicli produttivi.
L’apoteosi reportistica, ovvero il massimo dell’avventura con la mia amica lo provammo una notte.
Nella serata dedicata alla degustazione dell’anatra laccata, programmata in un famosissimo ristorante ubicato nel cuore di Pechino, ultimata la cena, ottenemmo l’avallo - dopo una lunga contrattazione da entrambe le guide - e ci venne concesso di rimanere da soli sul luogo, oltre i tempi programmati, in assoluta autonomia. Fummo così i soli occidentali presenti nell’immensa piazza Tienanmen.
Rimanemmo fino a notte fonda a curiosare e a fotografare i presenti. Non ci intendevamo sulla lingua ma ci capivamo perfettamente a gesti. Capimmo subito che anche per loro noi costituivamo un’attrazione atipica e le reciproche disponibilità incrociate produssero euforie e scatti, quasi insoliti. Non c’erano tracce dei fatti sanguinosi dell’89, ci relazionavamo come umani liberi in quel contesto buio che sembrava proprio non avere limiti.
Fin oltre l’una di notte restammo a peregrinare in quella piazza infinita, senza alcuna voglia di tornarcene in albergo. Qua e là capannelli o coppie di fidanzati a passeggiare. Incrociavamo militari, fotografi pechinesi con relative modelle, coppiette, famiglie con bambini al seguito lasciati liberi anch’essi di scorrazzare in quell’immenso spazio.
Quella notte per il rientro escogitammo anche una soluzione insolita. Scartata da subito l’idea di ricorrere a un taxi, anche perché a quell’ora fonda non se ne vedeva alcuno, contrattammo con un classico risciò che, in una mezz’ora circa di sbuffi e ansimi, per far presto come pattuito, ci portò nel nostro albergo allocato in periferia, distante circa una decina di chilometri dalla piazza. 
Convenimmo il prezzo a gesti confondendoci tra la loro moneta e dollari americani, ma alla fine ci accordammo per un buon prezzo che, peraltro, non offriva alternative rispetto a possibili altre soluzioni. Le stesse licenze ci vennero concesse durante le altre tappe del tour, che ci consentirono di entrare all’interno del tessuto popolare cinese e coglierne gli aspetti.
Nanchino, Guilin, Xian, Suzhou, Shangai, Canton, Hong Kong e altre ancora, con il nostro approccio, furono pure opportunità per conoscere le viscere sociali di quella che era la Cina reale del tempo, quella che a viaggiatori occidentali difficilmente era consentito accedere.
Non credo di essere riuscito a scoprire fino in fondo la filosofia di vita che si respirava a quel tempo in oriente ma di certo trovai tante risposte alle mie domande; sufficienti a spiegarmi tante cose, che a prima vista - avvolti da pregiudizi - troviamo sbagliate o inutili.
La bellissima esperienza vissuta quella volta procurò un innamoramento immediato per la Cina rivelata; che si era mostrata nelle sue tante differenti e specifiche etnie, tenute assieme da un sistema politico complesso si ma che assicurava una sussistenza minimale e dignitosa ai suoi abitanti.
Anni dopo, quella mia positiva impressione fu alla base per un ritorno (nel 1995), volto a ripercorrere le orme di Marco Polo e visitare i luoghi della Via della Seta.
Anche questo nuovo viaggio venne a rivelarsi un’esperienza ricchissima. Per le innumerevoli emozioni e i tanti spunti offerti; anche per fotografie inusuali e per me uniche che porto nel cuore: incredibili e quasi impossibili per un ordinario “travet” occidentale.
La distanza di Pechino da Hong Kong è di 2246 km e le centosettanta fotografie selezionate in questo piccolo volume raccontano, come fossero pagine di un diario, lo zigzagare per i luoghi nel corso di oltre venti giorni.
Cercando di fissare lungo il percorso sia emozioni che cartoline paesaggistiche o documentali di quanto stavo vedendo per la prima volta, in quella rotta turisticamente definita per noi occidentali come “Cina Classica”.
In tutto il viaggio, l’unica inibizione a poter fotografare la trovammo esclusivamente a Xian, nel corso della visita nei luoghi museali dove si stavano ancora dissotterrando le migliaia di guerrieri connessi a un faraonico mausoleo, casualmente scoperto nel 1974 da un contadino durante lo scavo di un pozzo. Costituito da statue di soldati alti quasi due metri (allora non ancora quantificati) che andavano a comporre con armature, carri e cavalli il famoso “esercito di terracotta”. Un imponente insieme statuario attribuito alla volontà del primo imperatore cinese Qin Shi Huan e risalente al III secolo avanti cristo."
Prodotto tramite Youcanprint, 170 fotografie a colori, 140 pagine, euro 29,90.

Buona luce a tutti!

© Essec

martedì 28 ottobre 2025

I.A. per aprire nuove strade a tutte le forme dell’arte futura



L'Intelligenza Artificiale costituisce per molti l'argomento del giorno. In verità la sua applicazione è diffusa e da tempo governa la quotidianità della nostra vita. Nell'articolo "IA: All you can" postato in questo stesso blog ci si era soffermati su alcuni dei diversificati aspetti.
L’altro giorno l’amico Pippo, divoratore di libri, mi ha consigliato la lettura di “L’Occhio Sintetico” di Fred Ritchin, insegnante di Fotografia e Imaging alla New Yok University.
Mi ha raccontato d’essere rimasto affascinato anche dalla scorrevolezza della scrittura che ne ha reso piacevole la lettura, rendendola maggiormente comprensibile nella complessità dei contenuti.
Difficile risulterebbe poter scrivere un qualcosa che possa rendere un’idea completa degli argomenti trattati, per i quali, prendendo a pretesto quanto recitato nel sottotitolo del volume (la trasformazione della fotografia nell’era dell’intelligenza artificiale), si è indotti a sviluppare ampie riflessioni sull’universo fotografico contemporaneo e non solo.
Al riguardo assai significativo appare quanto riportato in quarta di copertina, laddove viene acutamente osservato come “nel 1840, un anno dopo l’invenzione della fotografia, il pittore Paul Delaroche esclamò ‘d’ora in poi, la pittura è morta’. La fotografia era più veloce, economica e realistica: la sua invenzione emancipò i pittori dalla realtà, aprendo la strada a tutte le forme dell’arte futura.”
Ci sarebbe d’augurarsi, quindi, che anche con l’avvento dell’IA la fotografia possa produrre input innovativi e incentivare nuovi sviluppi artistici, con messaggi stimolati dal fenomeno pur restando totalmente indipendenti dalle inevitabili dirette interferenze.
Nel suo scritto Ritchin da dimostrazione del tempo che ha dedicato all’IA e quanto sia addentro alla materia, avendo fin dagli albori sperimentato direttamente le progressive applicazioni nella fotografia.
Quello che viene fuori è sicuramente la possibile produzione di una moltitudine di variabili, quale risultato d'infinite combinazioni d’immagini (o parti di esse) assemblate attraverso un database (o di tanti archivi collegabili fra loro), governate attraverso prompt singoli e progressivamente implementati (generanti conseguenti algoritmi), producenti un’infinità d’immagini sintetiche mutevoli: tutte quante false e altamente verosimili.
Per cercare di rendere un'idea approssimata, si sarebbe portati a immaginare un risultato elaborativo che potrebbe ispirarsi alle funzioni di sinapsi celebrali attive, anche in stato onirico; ma rimane da osservare che l’IA, nel suo processo, va oltre, in quanto rimane attualmente indipendente da logiche razionali definite e tantomeno collegate a etiche o formule didattiche di qualunque genere.
Un altro aspetto non irrilevante è che, mentre la fotografia del passato costituiva in qualche modo un valore documentale, potenziali interventi per il tramite dell’IA creano incertezze sulla veridicità delle immagini prodotte.
Anzi di più, poiché desideri di revisionismo o altre potenziali follie o mode potrebbero rendere possibile riscrivere elementi documentali per renderli coerenti ad una qualsivoglia revisione storica. Si pone pertanto l’urgenza del mantenimento di fonti originali e integre di video e fotografie, per creare un archivio – quasi museale - delle immagini, preservate da ogni potenziale manipolazione. In qualche modo, come esempio per rispondere all'esigenza, si propone un'applicazione "Free/Libre/Open Source Software" idonea ad associare contenuti testuali alle immagini (https://fourcornersproject.org/en/how/).
Il contenuto del libro affronta tanti aspetti che non si limitano alla sola fotografia. Etica, storia, politica, costumi e quant’altro viene espressamente affrontato nei diversi capitoli e tutto quanto apre pure a tantissime intuizioni.
Recensire un libro complesso del genere risulta pertanto assai arduo, anche per le profonde conoscenze culturali necessarie per riuscire a decifrare le tante allusioni immaginabili e non dette.
Da qui, affermare, quindi, che la lettura viene raccomandata a chi si occupa del mondo della fotografia sarebbe assai riduttivo.
Le argomentazioni sviluppate in separati capitoli prendono a pretesto la storia della fotografia per andare indietro nel tempo e anche viaggiare contemporaneamente verso un futuro ancora indecifrabile, che potrebbe apparire vantaggioso oppure terribilmente avverso.
Tutto dipenderà dalla reale gestione delle opportunità innovative e su quanto offerto al nostro tempo, pure in relazione alle regolamentazioni che saranno necessarie per consentire una pacifica convivenza civile nel prossimo futuro.
In ogni caso con “L’occhio sintetico” Ritchin ci dice molto, aiutandoci anche a capire lo stato dell'arte.
Utile per tutti quindi assicurarsene la lettura che, come assicurava Pippo e come confermo, risulterà piana, comprensibile, molto coinvolgente per i contenuti e assai scorrevole.

Buona luce a tutti!

© Essec

lunedì 27 ottobre 2025

Cortigiana? In che senso? ..... si chiederebbe il personaggio di Carlo Verdone



È sempre utile ricorrere anche al web per cercare di documentarsi per avere una veloce contezza sul significato delle parole.
Una consultazione mirata, ad esempio, consente di appurare che “i neuroni specchio permettono di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di porci in relazione con gli altri. Quando osserviamo un nostro simile compiere un particolare gesto si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione.”
Approfondendo, attraverso un altro algoritmo, viene anche fuori che “la mancanza di un corretto funzionamento dei neuroni specchio può influire sulla capacità di imitazione, sulla comprensione delle azioni degli altri e sulla teoria della mente. Queste disfunzioni possono contribuire alla difficoltà nella comunicazione sociale e nell'interazione con gli altri.”
Andando avanti si apprende un’altra cosa interessante, ovvero che “inizialmente l'approccio del bambino ad uno specchio infatti è assolutamente inconsapevole ed istintivo: il neonato non si rende ancora conto che ha davanti a sé nient'altro che la sua immagine riflessa, ma interpreta quella figura come un'entità esterna con la quale interagire.”
La serie di risposte evidenzia che, quindi, non basta accontentarsi e limitarsi alla prima formulazione.
Per la circostanza, l’articolo pubblicato sul portale “Le psicoterapie non sono tutte uguali”, Silvia Rosati risponde con maggiore precisione alla domanda su “Cosa sono i neuroni specchio?
Esordisce col dire che “gli studi sui neuroni specchio, hanno rivoluzionato la nostra comprensione del cervello umano e del comportamento sociale” poi continua dicendo che “questi neuroni si attivano sia quando eseguiamo un’azione che quando osserviamo qualcun altro farla, consentendo la comprensione delle azioni altrui e la condivisione delle emozioni. Oltre a svolgere un ruolo cruciale nell’empatia, i neuroni specchio influenzano l’apprendimento sociale, permettendo di acquisire abilità osservando gli altri, sia nella prima infanzia che nell’età adulta. Inoltre, questi neuroni sono fondamentali per la percezione dell’arte e della creatività.”
La risposta chiude sostenendo che la presenza di questa specifica tipologia di neuroni risulterebbe fondamentale nell’interpretazione … e nell’apprendimento attraverso l’osservazione.
Questioni afferenti ai neuroni specchio abbracciano vari aspetti sensoriali. Non solo, quindi, il mondo delle immagini o comunque riguardanti aspetti visivi. Infatti, il suono, la letteratura e l’apprendimento in genere rientrano anch’esse nell’ambito delle esperienze che si accumulano e, peraltro, come noto, i neuroni specchio assumono un ruolo molto importante nella complessa evoluzione di ogni bambino.
Per colmare proprie ignoranze, in generale, può tornare utile ricorrere al web, ma senza isolarsi mai a risposte di una sola fonte.
Per vari motivi o necessità d’urgenza, non tutti sono coscienti della necessità di procedere ad approfondimenti diversificati e c’è, purtroppo, chi si limita a effettuare ricerche accontentandosi e fermandosi alle informazioni che corrispondono al suono della campana più gradita. Magari, specialmente in politica, delegando tali compiti ad altri incaricati di analizzare le affermazioni proferite dai tanti esponenti ricoprenti cariche sociali, specie se appartenenti a fazioni avverse.
Forse sarà stato questo il motivo che avrà causato un cortocircuito nella risposta inviperita esternata dall’attuale premier per l’attribuzione di “Cortigiana” conferitale di recente. Restringendo, non escluso anche sui suggerimenti dei suoi “analisti”, il significato della parola a un solo concetto inequivocabile (non ostante potenzialmente articolato) riportato sul portale Wikipedia. Chissà?
In ogni caso, poiché è impossibile entrare nelle menti altrui, indipendentemente dal livello culturale e dal ruolo sociale che si ricopre, restano da valutare i comportamenti di ognuno … e, proprio per questo, risulterà sempre utile e più facile soffermarsi sulla coerenza e i fatti.

Buona luce a tutti!

© Essec

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(La foto utilizzata come copertina è stata ripresa da FB, postata nel Gruppo pubblico "Art and Love Photography" e pubblicata da Raffaele Nero)

venerdì 24 ottobre 2025

Quelli del “L’ORA” e le foto scomparse



Dopo avere visto le fotografie della “Antologica” di Franca Schininà esposte al Centro Internazionale di Fotografia di Palermo, ho dato un’occhiata alle altre sale.
Entrando in quella che vedeva esposte le foto dei delitti di mafia, realizzate dal gruppo capitanato dalla mitica Letizia Battaglia per conto del giornale L’ORA di Palermo, si prova un vuoto per la loro scomparsa.
La delusione non deriva tanto dalla pochezza di quanto occasionalmente viene, di volta in volta, a rimpiazzare quelle immagini storiche, ma per aver privato il pubblico di opere che, oltre a rappresentare insostituibile documento didattico del modo di fare reportage fotografico, venivano a costituire il racconto di un importante – seppur nefasto – periodo nella città di Palermo.
L’impressione che se ne trae è pertanto triste, perché, seppur il ritiro delle foto corrisponde a un legittimo diritto dei titolari di quelle fotografie, per gli appassionati dell’arte fotografica costituisce una privazione. Specialmente se operato nel luogo che rimane ancora intitolato a Letizia Battaglia.
Le considerazioni si rivolgono in questo caso a tutte le parti in causa.
Sembrerebbe quasi corrispondere al comportamento discutibile di quelli che non ci stanno più al gioco e risentiti – seppur, come detto, con ogni legittimità che possa essere loro riconosciuta – danno l’impressione di protestare impedendo agli altri e allo stesso pubblico interessato di poter continuare ad assistere allo spettacolo e, egoisticamente, si portano via il pallone.
Forse qualche responsabile della cultura cittadina più sensibile, l’assessore o lo stesso sindaco pro tempore avrebbero potuto rimediare facilmente, nel contrattare l’acquisto degli originali esposti o di acconsentire a farne delle copie, per evitare la scomparsa “traumatica” dell’allestimento esistente, avente anche un aspetto pedagogico anche per le scolaresche periodicamente in visita.
Ma c’è chi sostiene che con la cultura non si mangia (mi pare di trattasse dell’ex ministro Tremonti), un’affermazione che ha poco a che vedere però con la Sicilia quale regione autonoma, dove le cose funzionano assai diversamente.
Ma anche questi avvenimenti culturali sono da annoverare fra le cose che succedono a Palermo.

Buona luce a tutti!

© Essec

sabato 18 ottobre 2025

Vito Guarneri pittore - 2025



In generale l’arte comporta per i creativi dei periodi produttivi catalogabili in generi specifici e ben definiti che, al di là delle intuizioni temporali e dal talento, permangono stabili.
Sono sempre stati, però, frequenti anche i casi di evoluzioni che hanno portato l’artista a stravolgimenti espressivi, con rappresentazioni innovative comportanti significativi cambiamenti.
Alla luce della presentazione alla mostra scritta da Nicolò D’Alessandro, in molti aspetti ribadita durante l’inaugurazione, sembra che interessato a simili cambiamenti risulti l’attuale produzione pittorica di Vito Guarneri, esposta in questi giorni presso la Galleria Fiaf di Palermo.
Le sue ultime scelte “rivoluzionarie” si potrebbero accostare, quindi, anche ad analoghi cambiamenti intrapresi da altri.
Similare a quanto venne ad accadere a Pablo Picasso esaurendo un ciclo produttivo figurativo, il quale, ad un cento punto, da una pittura classica, addivenne a un cubismo unico, diventato ricco di un intenso simbolismo concettuale facilmente riconoscibile.
Le opere di Vito Guarneri esposte all’Arvis, si prestano a tante letture. È sufficiente seguire il proprio istinto per vedere con la propria mente.
L’intera esposizione potrebbero accostarsi alla rappresentazione di una sezione statica e parziale (per l’appunto limitata in sole due stanze) del grande big bang che ci ospita e per noi ancora incomprensibile; con una dislocazione delle opere che risultano disposte in maniera da collocare ogni singolo osservatore al centro di un universo ideale, per indurlo a riconoscersi nella sua vera nuda dimensione, umana e relativa.
Ogni singolo quadro potrebbe così anche intendersi come l’immagine di una specifica costellazione, ovvero come una fotografia che congela in un unico supporto la stratificazione di visibile e invisibile, catturando le differenti lunghezze d’onda della luce, immediate e nel tempo; oppure corrispondere all’assemblaggio dell’extrasensoriale, di visioni normali e paranormali, anch’esse compattate sovrapponendo le varie singole lastre fotografiche. Quest’ultima considerazione, a mio parere, avvicina moltissimo questa formula pittorica di Guarneri alla fotografia concettuale contemporanea.
Tutte quante queste chiavi di lettura, se si vuole, potrebbero essere possibili e, in ogni caso, sono tutte capaci in chi osserva di produrre delle emozioni, obiettivo principale e molla che costituisce sempre la voglia di comunicare per ogni creatore d’arte.
Non occorre dilungarsi in altre considerazioni che potrebbero solo risultare ridondanti, anche perché ciascun visitatore avrà certamente possibilità di farsi una propria idea, sviluppando una diversa lettura.
Concludo invitando i curiosi e gli appassionati d’arte a sperimentare da sé l’interpretazione delle opere, che potrebbero superficialmente essere etichettate come un “astrattismo caotico” ma che, a mio parere, spingono ad accendere la fantasia per andare ben oltre.
La mostra, allestita presso la Galleria Fiaf dell’Arvis di Palermo, sarà visitabile fino al prossimo 25 ottobre.

Buona luce a tutti!

© Essec

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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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Monte Pellegrino visto dalla borgata di Acqua dei Corsari

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