"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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mercoledì 31 agosto 2022

Reminiscenze che ritornano ..... ripensando ai "migliori"



Facendo un percorso all’indietro per ricercare analogie con l’attualità di oggi, ciascuno di noi avrà modo di scoprire tanti fatti accaduti che, in qualche modo, magari somigliano.
Per quanto mi riguarda, anche nella struttura ove ho lungamente lavorato, fortemente imperniata sull’ordine gerarchico, c’erano dei Migliori.
La frammentazione burocratica in una moltitudine di ruoli operativi (dai dirigenti alle maestranze ordinarie che costituivano la massa) tendeva ad agevolare la gestione attraverso l’ordine gerarchico.
Si trattava di un sistema ampiamente collaudato che, specie in presenza di dipendenti mansueti, consentiva anche a funzionari poco esperti di amministrare facilmente le risorse professionali assegnate.
L’avvento di sindacati, sempre più orientati verso obiettivi economici, associato a dirigenze interessate ad avere sempre maggiori autonomie nella gestione del personale, in poco tempo comportarono introduzioni di nuove posizioni d’impiego che, più che differenziarsi in effettive nuove mansioni, andavano a favorire maggiori discrezionalità nell’utilizzo delle risorse.
In breve, migrazioni di ruoli ausiliari di base verso compagini impiegatizie, ebbe a consentire opportunità anche a soggetti meritevoli e capaci, ma più in generale anche di annacquare il livello medio professionale dei comparti operativi. Così come il fatto che corsie preferenziali - già in fase di assunzione - concedevano vantaggi basati su lauree o altre specializzazioni suffragate da meriti teorici da collaudare.
Per quanto poi verificato sul campo, tranne delle rarissime eccezioni, i tipici periodi di esperimento, legati a nuove assunzioni dall’esterno, stante la trasparenza dei processi di selezione e l’indubbio livello dei candidati, non costituivano mai delle valide attestazioni per certificare l’idoneità agli specifici ruoli assegnati.
Nella realtà operativa presa ad oggetto, una miriade di gradi e ruoli venne in breve a confondere i comparti, lasciando ogni libertà gestionale attraverso regolamenti interni generici, che seppur dettagliati, mantenevano vive tante forme di sudditanze e ricatto. Dall’assegnazione a un ufficio all’attribuzione delle valutazioni annuali d’accompagno; con opportunità remunerative anch’esse spesso discrezionali (invio in missione, svolgimento di attività ispettive in accompagno e tanto altro).
Va da sé che l’allocazione sul campo di sostanziali pari grado, venivano a stabilire ulteriori scale di riconoscimenti legittimate dagli stessi regolamenti interni riguardanti la gestione del personale.
La frammentarietà dei gradi e la promiscuità operativa, attraverso possibilità di avanzamenti di carriera (spesso solo teorici, ancorché pilotati a monte da tanti fattori occulti) aderivano agli scopi aziendali orientati ad alimentare competitività interne e aspettative specifiche; con il classico “dividi et impera” da tempo alla base dell’intera organizzazione. Salvo delle dovute classiche eccezioni.
Una regola certa è stata e sempre stata quella che in ogni realtà lavorativa occorre preparazione e competenza, ma è anche acclarato che quasi mai però la meritocrazia è l'elemento posto al vertice o anche ai primi posti fra i valori di riferimento nelle selezioni di avanzamento.
Tutta questa premessa vuole significare che spesso sono tante le concause che determinano certi assetti.
Del resto, nel mondo del lavoro, mentre un’organizzazione privata mira sempre a dei risultati e profitti certi, l’apparato pubblico si muove su altre logiche, spesso scollegate da reali controlli di efficienza e merito.
Nel primo caso l’agilità gestionale costituisce elemento essenziale per la sopravvivenza delle realtà produttive sul mercato di riferimento, nel secondo burocrazie e occupazioni di spazi di potere e condizionamenti sono quelli che governano le realtà lavorative.
Per dare un esempio di come talvolta taluni settorialismi eccessivi possano risultare inefficienti e pure pericolosi, si viene a riportare un evento realmente accaduto e del quale sono stato anche testimone.
Ad un certo momento accadde che il responsabile della Sede doveva essere trasferito a una nuova residenza più importante che, in pratica, veniva a costituire una prestigiosa promozione sul campo.
Poiché l’orientamento fino ad allora tenuto nella gestione dei vari uffici, al di là dei titoli necessari alla copertura dei ruoli, si era essenzialmente orientato sulle empatie, le novità vennero a determinare tante preoccupazioni, specie fra alcuni di quelli che avevano sempre beneficiato di maggiori privilegi e di attenzioni.
Come si usa dire per i topi che lasciano la classica nave che accenna imbarcare acqua, avvenne che ciascuno si premurò di spendere subito i tanti coupon accumulati che, con il cambiamento ormai prossimo e il preannunciato nome del nuovo dirigente, difficilmente avrebbero mantenuto lo stesso valore.
Si conosceva, come detto, il nome del nuovo e i più addentro alle cose avevano già ben chiaro cosa sarebbe potuto anche accadere.
In relazione ai diversi trasferimenti strettamente collegati all’avvenimento, un ufficio in particolare divenne oggetto di una vera decapitazione. Andarono, infatti, via il responsabile della divisione e il suo stretto sostituto, lasciando sostanzialmente acefalo un intero reparto per la particolarità attuata da tempo nella sua gestione.
Chi ha lavorato in certe realtà conosce bene la professionalità necessaria per lo svolgimento dei vari compiti demandati agli uffici. Non è tanto importante l’assegnazione ordinaria degli addetti ai settori, ma è indispensabile il trasferimento più ampio delle conoscenze fra gli impiegati (anche di diverso ruolo e grado) al fine di poter sempre assicurare una costante copertura omogenea e lo svolgimento professionale di ogni possibile compito o funzione.
La realtà di cui si viene a narrare era invece precostituita in settori, che andavano quasi a formare compartimenti stagni, dove i compiti reputati più d’eccellenza restavano esclusivi solo per pochi addetti.
La natura umana è quella che è e, come dice il famoso detto, signori si nasce.
Con la nuova realtà, figlia del nuovo avvento, si vennero a determinare esigenze che – associate a stupide complicità e leggerezze di elementi compiacenti – determinarono il classico esempio dell'ecco a voi "i dilettanti allo sbaraglio”.
La reggenza della Divisione temporaneamente assegnata a un soggetto che era sempre stato volutamente mantenuto escluso da certi compiti, combinata a assenze improvvise che andavano a sospendere la copertura di quelle che erano talune delicate procedure di “eccellenza”, comportarono un’esposizione al ridicolo dell’Istituzione per definizione infallibile.
Questo aneddoto nasce da certe coincidenze di personaggi che, riproponendosi ancora, talvolta tendono a ripetere, anche intersecandosi, strade di coloro che si credono convintamente “Migliori”.
Allo scopo di rendere l’idea, non occorre fare citazioni specifiche o dare altri particolari e men che meno indicare nomi degli interpreti in quei ruoli. Chi conosce l’ambiente o anche chi ha avuto modo di vivere (o vive ancora) in ambienti similari, potrà adattare il racconto alle propri esperienze che, certamente, gli daranno modo di rivivere e rivedere nelle personali avventure le relative figure.
Del resto siamo tutti appartenenti alla razza umana, con pregi e difetti, a prescindere da dove ci si collochi o altri ci allochino.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

mercoledì 24 agosto 2022

La politica italiana dei "tengo famiglia"



C’è un modo di dire in uso a Palermo che ha uno specifico significato, lasciando intendere una specie di monopolio assoluto nel gioco del contendere: “a mia ava a iessiri”, per voler chiaramente far intendere: “a me devono necessariamente venire” se vogliono raggiungere il loro scopo.
È un pò l’impressione che si trae dall’ascoltare l'intervento pomposo fatto oggi a Rimini dal "Migliore dei Migliori".
Senza particolari sforzi interpretativi, infatti, si potrà facilmente intravedere nelle parole del “nostro” una sostanziale autocandidatura per il "post elezioni", con una chiara sottintesa allusione all’accennato detto siciliano.
Una performance nella relazione autocelebrativa (alla "Petrolini") del Bene, bravo, bis, con applausi continui su un discorso abbastanza banale, destrorso e nazionalista (che amano sentirsi dire gli italiani tutti) che lascia prefigurare trame - avviate e caldeggiate dai tanti potentati in campo - per mantenere in sella il “provvidenziale unico salvatore della nostra Italia”. In pratica, se si può anche constatare che già siamo messi abbastanza male, neanche il futuro prossimo sembrerebbe promettere cose migliori.
Del resto, nel seguire in questi giorni i vari dibattiti dei supposti leader impegnati nella campagna elettorale ci si imbatte con frequenza in cose paradossali.
Talvolta è come assistere a confronti spesso surreali tra adolescenti di scuola, un po’ mentecatti, specie per le molteplici diatribe di basso profilo innescate, che sviluppano temi costantemente lontani dal vissuto ordinario del mondo dei votanti.
Una situazione che, essendo costretti a scegliere, ripropone l’ormai solita questione su chi fra i candidati potrebbe risultare il male minore e, nella per maggioranza dei casi, il meno peggio.
Astuzie e stupidità inconsce confondono tesi e antitesi che vengono fleshate a raffica. Con tematiche e obiettivi che spuntano e spariscono in un baleno, nelle performance di candidati sostanzialmente gestiti da spin doctor poco originali e un pò copioni.
Tutti i propositi contenuti nei programmi appaiono e scompaiono come succede per giochi di prestigio nei baracconi e nei circhi.
Al pari di un mercatino, capannelli improvvisati e desktop colorati raccolgono altresì le tendenze dei sondaggi e profetizzano percentuali nel gioco del: Carta vince, carta perde, dove sta il re?
Mentre la scadenza si avvicina, affiorano le solite carenze e malattie ataviche che caratterizzano una politica non più vissuta - e da tempo - come gestione della polis ma come esercizio diretto e indiretto del potere.
Con una missione, quindi, coltivata non come aspetto virtuoso nella amministrazione della cosa pubblica, ma come accaparramento di spazi - per sé e gli altri che affollano i carri - al solo scopo di mantenere privilegi personali, di gruppo e andare a gestire dei vantaggi esclusivi più in generale.
Intanto personaggi supponenti e caricaturali inscenano pseudo dibattiti e dirigono tribune elettorali che puntano più sulla fidelizzazione dei cittadini che, per tifo fazioso di appartenenza o puro interesse, tendono ad appoggiare programmi politici – in teoria perseguibili - prospettati come semplici e attuabili, seppur con formule di governo abbastanza indefinite e men che meno chiaramente pubblicizzate.
Le liste dei partiti presentano, come sempre, anche tanti nomi meritevoli, utili alla raccolta, e molti portatori d’acqua, proposti negli elenchi dei potenziali papabili.
Ma in verità il sistema feudale che domina il carrozzone politico italiano, rimane ancora costituito da Re, Principi, Vassalli, Valvassori, Valvassini e sempre servi della gleba. Ci sarà sempre tempo e modo per poi ricompensare chi si sarà ben speso, magari in altre circostanze e ad altri livelli.
Ma il sistema elettorale italiano, il Rosatellum, non è per nulla trasparente e, in un guazzabuglio mantenuto manovrabile che nasconde i trucchi dei veri grandi maestri – portatori di voti o segretari più scaltri – i pochi che contano si metteranno poi in opera per convogliare e imbrogliare i risultati derivanti dal voto secondo i desiderata già prefissati e concordati a monte.
Sotto il manto di una pseudo democrazia manovrata da partiti opachi, i tanti cittadini avranno modo comunque e in ogni modo di essere tutti coerenti, perché avranno la possibilità di proiettare col loro voto l’immagine di se stessi. Riusciranno così a ricostituire - come ogni volta - tante fotografie panoramiche corrispondenti ai gruppi, conformi a quello che è realmente il loro ceto.
In funzione di ciò, ultimato lo spoglio, tutti potranno così felicemente affermare di aver vinto. L’onorevole che ha mantenuto il posto nello scranno, il nuovo arrivato che si è battuto tanto, gli apparati di partito interessati ai posti di sottogoverno e ogni forma aggregativa che si mantiene sempre celata dietro le quinte.
In un suo articolo Claudio Rossi sosteneva nel 2018 che circa 1,3 milioni di italiani vivono di politica e considerevole, viene da aggiungere, è la moltitudine di soggetti che costituiscono l’indotto “industriale" della filiera alla stessa strettamente connessa.
E vuoi anche metterci oggi i tanti piani attuativi dei 200 e passa miliardi del PNRR e tutto quanto ne consegue?

Buona campagna elettorale, buon voto e buona luce a tutti!

© ESSEC

venerdì 19 agosto 2022

Liquidità e credito come opportunità per pochi



In appendice all’articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano della giornata di Ferragosto si legge: “come scrisse Giorgio Meletti sul Fatto del 10 dicembre 2017, “se i banchieri vengono assolti dall’ostacolo alla vigilanza, o Banca d’Italia è stata complice (“Toccami Cecco che mamma non vede”), salvo poi denunciarli a cose fatte per salvarsi (“Mamma, Cecco mi tocca”), o Banca d’Italia non serve a niente”. Qualcuno dovrebbe ricordarlo a Banca d’Italia, anche per conto delle centinaia di migliaia di risparmiatori coinvolti (anche per essersi fidati dei controlli di Vigilanza) nei troppi crack delle banche italiane.” Al riguardo, la lettura del recente articolo di Daniele Corsini, incentrato sulla territorialità del sistema bancario, suscita degli interrogativi in merito al fatto che una delle problematiche legate anche alla distribuzione della ricchezza, deriva dalla politica che risulta nefasta se mantenuta disgiunta dall’azione di una efficace gestione amministrativa e da controlli di garanzia.
Una eccessiva liquidità finanziaria, al di là degli intenti economici, in assenza di adeguate azioni di vigilanza e in presenza di un persistente sistema giudiziario ordinario, lento e sostanzialmente inadeguato, ha consentito sempre più ai soliti noti ogni possibilità di arricchimento incontrollato. Marginalizzando al contempo chi, magari, poteva presentare tutte le prerogative per un merito creditizio finanziabile.
Per quanto risaputo l’accesso al credito è oggi quasi inibito a chi non dispone di conoscenze o autorevoli agganci più che affidabilità creditizia, mentre è via più facilmente accessibile a coloro che non abbisognerebbero talvolta di supporti finanziari. In pratica si è come davanti a un azzeramento del così detto ascensore sociale una volta praticato, nell'ambito creditizio, come espressione di una sana e prudente gestione.
Detta ultima incongruenza, tranne rare eccezioni, ha indotto a trasfigurare concettualmente la stessa natura del principio d’impresa; almeno per come un tempo veniva studiato sui testi di economia politica, traslando e incentivando di fatto il rischio d’intrapresa a esclusivo carico del sistema bancario e della relativa raccolta di risparmio privato che supporta gli impieghi.
Come se non bastasse, l’assoluta assenza di efficaci validi controlli su professionalità e onorabilità degli amministratori componenti i collegi delle istituzioni eroganti, ha sempre più facilitato azioni di lobby e circoli magici (esclusivi e poco indipendenti) propensi a finanziamenti rischiosi – talvolta pure sprovvisti di garanzie - ad aziende di proprietà, direttamente gestite (come amministratori o sindaci) ovvero collegate o ad amici o amici degli amici.
Ma di questo poco si parla e men che meno si enfatizza, stante il coinvolgimento politico, manifestatosi con il periodico annacquamento e depotenziamento nel tempo di vincoli e controlli pubblici, sia per la classificazione delle irregolarità, che per l’irrogazione di sanzioni per eventuali violazioni, formali o sostanziali, e l’attribuzione di potenziali significative ammende economiche.
In risposta a un articolo di qualche tempo fa, riguardo alla sostanziale immunità da sempre assicurata a chi è chiamato alle azioni di vigilanza bancaria un dirigente con il quale ho avuto l'onore e l'opportunità di collaborare mi pose una domanda che non mostrava equivochi: “nella nostra pluriennale esperienza hai mai visto condanne ad esponenti bancari?” Verità inconfutabile e storicamente provata! Così nessuno potrà mai accusare di comportamenti "Fuori legge" se la politica farà da sponda e avrà cura di depenalizzare o propendere per prescrizioni e inserirà adeguamenti delle regole rendendole più permissive, con sempre meno vincoli.
In questo orizzonte un pò liberticida, al di là da come ci si possa schierare sulla materia, la vicenda “Diamanti”, viene in parte riesumata dall’articolo pubblicato a ferragosto dal Fatto Quotidiano – intitolato “Guerre di Potere” – che riallacciandosi a quei fatti costituisce un buon esempio su come vanno talvolta le cose in tema di controlli e azione di vigilanza.
In merito all’ormai famoso "Affair Bertini", assurto alle cronache televisive e che ha recentemente comportato il licenziamento del funzionario di Banca d’Italia, un articolo del 24 luglio scorso a firma di Tobia De Stefano, pubblicato su Verità&Affari, si dice che il giornale ha avuto la possibilità di leggere su una serie di email inviate dallo stesso ispettore dell’istituto di via Nazionale ad alcuni colleghi nell’ottobre 2021, dove - udite, udite - si sarebbe mostrata una certa disponibilità a mettere una pietra sopra a quella vicenda in cambio delle scuse del Governatore e una promozione a dirigente. Che scandalo! Che scoop, che verità!
Strano paese il nostro, se da un lato secreta deposizioni di interesse pubblico oggetto di inchiesta parlamentare, rendendole di fatto inaccessibili anche alla stampa, e dall’altro una qualsiati testata giornalistica può esplicitare, senza far cenno a nomi o fornire dettagli sufficienti a farne prova, comportamenti apparentemente poco lusinghieri; che, a onor del vero, potrebbero anche solamente intendersi come quel “dire a nuora perché suocera intenda”; ovverosia rivolgersi a qualcuno con l'intenzione che altri senta e capisca che quelle parole sono rivolte a lui. Con allusione al tradizionale e proverbiale contrasto tipico e ricorrente fra le due soggetti che, con schermaglie, intanto contendono.
In tutto questo sembra poi paradossalmente irrilevante e sembrerebbe quasi indurre a sorvolare su diverse ben più gravi dichiarazioni e comportamenti di funzionari e dirigenti dell'Istituto. Documentati e tutti registrati, prodotti in diretta durante la trasmissione su RAI 3 di Report; pure sull'affermazione dell'ancora Vice Direttrice in carica che, per quanto è dato a conoscere, non risulta essere mai stata scalfita da particolari richiami o da azioni disciplinari interne per quanto affermato, seppur in forma riservata.
Nell’articolo del Fatto Quotidiano del 15 agosto scorso si dice come la testimonianza di Carlo Bertini offre uno squarcio interno all’attività ispettiva e la gestione dei relativi rapporti: “C’è stato un crescendo, a un certo punto le pressioni subite erano, a mio avviso, fortissime, dopo qualche mese ho dovuto lasciare immediatamente team Mps divisione e poi alla fine mi sono arreso perché ero distrutto”. Aiuta l’ascolto della registrazione, messa in onda da Report, di Alessandra Perrazzelli, membro del Direttivo e vice Direttrice generale di Banca d’Italia, la quale dice a Bertini: “Però vede lei ha capito dei gangli no di questa vicenda, gestire questo tipo di cose richiede una grande libertà. Non mi sembra che sia la modalità ma non solo qui dentro, sa? Tutte le grandi strutture, tutte le grandi organizzazioni si muovono in maniera militare. Allora io le racconto delle cose di me che forse non dovrei condividere ma io nella mia vita professionale mi sono trovata di fronte a delle cose spaventose nei confronti delle quali mi veniva detto che io dovevo essere come una statua di marmo, quindi farmele scivolare addosso no? Come l’acqua... E questa cosa qui mi ha aperto gli occhi sostanzialmente su come, in Italia e mondo, si fa carriera”.
Come è noto l’intera questione è stata oggetto di approfondimento in seno a una Commissione Parlamentare d'inchiesta, seguibile in streaming e in seconda parte secretata, quindi occultata al pubblico in collegamento, per questioni di presunta privacy.
Interessanti potrebbero intendersi qui delle considerazioni avanzate dagli autori dell’articolo del Fatto, quando si vengono a esprimere sostenendo che “Occorre ora una riflessione sulla governance della funzione di Vigilanza. Un primo passo sarebbe quello di istituire la regola della pubblicazione delle risultanze delle relazioni ispettive dopo un adeguato lasso di tempo (ad esempio 12 mesi) perché l’informazione non incida negativamente nell’opera di risanamento. Avere consapevolezza della obbligatorietà della pubblicazione, indurrebbe tutti i soggetti, controllati e controllori, a un’opera di concreto risanamento, senza ritardi e omissioni. Auspichiamo che la pubblica attenzione alla questione possa indurre un pro- cesso riformatore certamente utile alla reputazione della istituzione Banca d’Italia, per molti versi nel tempo avvilita.”
L'ipotesi introdotta potrebbe costituire una importante innovazione di trasparenza.
Ma i problemi dell’Italia ritenuti oggi più urgenti sono ben altri e si ama dimenticare quel vecchio motto siciliano che stigmatizza come in genere “U pisci feti ra testa“? Che letteralmente significa: “Il pesce puzza dalla testa”. Quando si vuol fare intendere che le origini dei comportamenti errati vanno ricercate nelle loro radici. Nel caso, fra teste pensanti e non pensanti, nel gran guazzabuglio dell'acquario senza ricambi e per la grande abbondanza, rimane solo l’imbarazzo della scelta.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

mercoledì 17 agosto 2022

Elisabeth (Lee) Miller Penrose



Quando si dice di essere prevenuti e ci si crede immuni da pregiudizi in verità si manifesta una supposizione di superiorità che non si rivela solo teorica.
Casualmente, leggendo qua e là, ad un certo punto è saltato fuori un libro che avevo pure visto presentare in una trasmissione in tv, ma al quale non avevo dato particolare importanza, devo riconoscere, in funzione dell'autore.
Specie per i personaggi dello spettacolo, quasi automaticamente si associano le loro produzioni al ruolo ricoperto, salvo poi - in molti casi - scoprire lati di quel personaggio che si ritenevano impensabili per preconcetto.
Giorgio Faletti ne è stato un eclatante esempio. Palesatosi a lungo nella televisione berlusconiana come un artista dalla comicità surreale, coi suoi romanzi gialli ebbe a manifestare, in tempi più maturi, una capacità di scrittura e un'abilità di narrazione fino ad allora impensabili.
Il successo ampiamente riconosciuto in breve annullò le peculiarità del suo personaggio artistico, collocandolo in una dimensione più seria, quale può essere il mondo letterario.
Tanti altri personaggi hanno mostrato, in momenti diversi delle loro stagioni di vita, la poliedricità nascosta e solo occasioni o maturità raggiunte hanno fatto affiorare aspetti e capacità fino ad allora inespresse.
Leggendo la storia romanzata scritta da Serena Dandini su Elisabeth (Lee) Miller Penrose ne esce fuori una imprevedibile scrittrice, almeno per me, che con un'abile narrazione - scorrevole e asciutta - riesce a raccontare un personaggio composito e protagonista nella storia che, di per sé, costituisce una sintesi di quello che può raccontarsi di una caleidoscopica figura complessa e impegnativa.
Riconosco che dopo i primi capitoli del romanzo ho abbandonato la Serena Dandini del mondo dello spettacolo a me nota e presente.
Con una scrittura efficace e coinvolgente, infatti, dalla lettura subito traspariva una passione nel racconto intrapreso che immergeva in una interessantissima storia.
Un variegato racconto di un personaggio che manifesta tanti aspetti dell'intimo umano e che si relaziona con artisti di un tempo che affascina molti.
Tra Man Ray e Picasso, in un arco temporale vasto e alquanto travagliato quale può essere la prima metà del novecento sfilano, alternandosi, celebrità e figure umane molto interessanti che fanno da sfondo - e talvolta esaltano - la figura della protagonista, descritta a volte quasi come eroina, vissuta dalla Dandini come modello di riferimento di un femminismo sempre mantenuto represso anche nel mondo occidentale più evoluto.
Con un abile intreccio narrativo e l'essenzialità espositiva l'autrice riesce a mantenere nel racconto un ritmo appassionante che induce il lettore ad andare avanti senza sosta, per vedere cosa saprà ancora mostrare quell'imprevedibile personaggio che, in breve, costituisce il mito su cui si incentra il romanzo.
Accenni alle due guerre, alla depressione economica degli anni trenta e a vicende legate alla seconda guerra mondiale e all'olocausto, contestualizzano i tempi e i luoghi che danno notevole valenza alle vicende vissute dalla protagonista.
Il mondo della fotografia e dell'arte che circondano e traspirano dalle pagine del libro, costituiscono la classica ciliegina sulla torta dell'intero romanzo.
Il libro della Einaudi, ora anche in commercio in edizione economica, si intitola "La vasca del Furer" e consta di circa 250 pagine che scivolano leggere e veloci.
Ogni altra considerazione su di esso appare superflua, non ultimo, per il fatto che sarebbe molto difficile riuscire a condensare la ragguardevole mole di avvenimenti e dei personaggi che racchiude.
Concludo il tutto con un significativo periodo che Serena Dandini riporta nel libro: "Si dice che si dovrebbe scrivere solo di quel che si è sperimentato in prima persona, ma sottovaluterei il fascino delle esistenze che non abbiamo avuto il coraggio di percorrere fino in fondo, accarezzandole da lontano e restando spettatori dei nostri sogni. A volte l’unico modo per trovare un senso nel nostro percorso è rivolgerci alle vite che non ci appartengono: alle brutte ci saremo almeno distratti dalla nostra."
Delle considerazioni che, a mio parere, riescono a concettualizzare a pieno l'essenza di questo bel romanzo che, per i tanti aspetti e non solo letterari, invito vivamente a leggere.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

sabato 13 agosto 2022

Talento & …



Non sempre è facile trovare nuovi spunti che possano intrigare in fotografia. Sull’argomento ormai si discute tanto e scrivono in molti, ma spesso ricalcando percorsi conosciuti, senza apportare delle novità che possano suscitare un reale interesse.
Sempre più di frequente, nella saggistica di oggi, sono più le sfumature accennate quelle che fanno intuire valide alternative rispetto all’ovvio riciclato che, nel tentativo di presentarsi forbito, rimane solo imbellettato in una prosa erudita infarcita di citazioni, aneddoti, personaggi e quant’altro viene genericamente usato per voler apparire colti.
Ne deriva che un lettore che intendesse ricercare stimoli utili alla sua passione, più che soffermarsi sull’ennesimo autore del momento o alla stratificata storia della fotografia, può trovare maggior interesse nelle peculiarità che hanno caratterizzato o riguardino taluni personaggi meno noti, che si sono però rivelati nel tempo degli innovatori.
Al riguardo, in una trasmissione di RAI Cult di qualche giorno addietro, incentrata su quello che vuol intendersi per talento, veniva messa in risalto la figura di Henri-Robert-Marcel Duchamp, considerato fra le più importanti e influenti figure del XX secolo apportatrici del nuovo.
Ne venivano a parlare diversi artisti che, nel descrivere visioni e illustrare alcune delle loro opere palesavano pensieri non confessati da molti, che mettevano in gioco il possibile fallimento dell'idea progettuale da loro stessi pensata e prodotta.
Un modo diverso di collocarsi nell’arte praticata, che, a loro dire, rimane fortemente legata alla dinamica creativa riveniente e condizionata dal puro talento.
Un talento rappresentato come proprietà innata nell'artista; a loro dire, quasi con una assoluta autonomia rispetto all'autore. Una peculiarità quasi aleatoria che non può essere certo oggetto di programmazione a tavolino e men che meno alimentata artificiosamente con trucchi o espedienti.
Ne consegue che quelle che sono delle ripetitività artistiche asettiche, nell’andare a riproporre ad un certo punto solo emulazioni di se stesse, rivelano l’evidente esaurimento del talento. Cosa che può sempre accadere in qualunque momento e che può anche non trovare soluzioni o possibilità per addivenire a sblocchi.
Sono fenomeni e accadimenti abbastanza normali - più di quanto si è portati a pensare - nel panorama artistico e nella vita in genere.
Nel 1980 Ettore Scola mise in scena, nel Film La Terrazza, un personaggio alquanto emblematico per descrivere efficacemente il calo di talento. Nella trama veniva rappresentato (nel ruolo, magistralmente interpretato da Jean-Louis Trintignant) uno sceneggiatore che, a corto d'idee per un copione d'un film commedia commissionatogli ormai da più d'un anno, finisce preda d'un pesantissimo esaurimento nervoso.
Parallelamente fortunatamente sono esistiti e esistono anche soggetti talentuosi che sembrano non aver mai pace. Vuoi per le produzioni artistiche continue e anche per la loro fame di ricerca e di sperimentazione che li porta a variare di continuo gli orizzonti.
Fra gli artisti talentuosi inesauribili, nella trasmissione Rai citata, venivano indicati fra gli altri e dandone maggior risalto: Lucio Fontana per suoi rivoluzionari tagli, Alberto Burri per i neri (prima di ogni altro colore, il buio prima della luce) e la Pop Art di Andy Wharol che, come è stato più volte ribadito “ha voluto mostrarci come nella realtà non c’è ripetizione e che tutto ciò che guardiamo è sempre degno della nostra attenzione”.
Per chiudere il discorso sull'argomento originario, cioè il talento, positivo risulta il fatto che ci vengano ogni tanto in soccorso delle trasmissioni di sottofascia o di seconda serata; di certo magari meno popolari.
Documentari e forme d'intrattenimento che non percorrono i soliti modelli convenzionali destinati alle masse ma che, abbandonando le scorciatoie del pensiero culturale ereditate dal passato, non si orientano a cristallizzare idee preconcette; in genere ritenute più adatte a quello che è presente nello ‘standard mentale’ scolastico medio.
A questo punto ben venga quindi anche quella Rai che, in qualità di divulgatore pubblico, riesce, in qualche modo, a svegliare l'attenzione dello spettatore, immettendo "arditamente" in rete dei format culturali che, a prescindere da come la si pensi, inducono a riflettere.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

martedì 9 agosto 2022

Quanta patologia traspare dal fotografare



Il panorama politico italiano attuale peggiora, quindi, avendolo già trovato come utile diversivo, torno a parlare - cazzeggiando in modo semiserio - di fotografia.
La scoperta della tecnica fotografica ha offerto nuove opportunità, specie a coloro che erano negati nelle realizzazioni di opere pittoriche o nel disegno figurativo più in generale.
L'avvento della fotografia, quindi, ha consentito a tutti quanti i creativi di potersi esprimere artisticamente, grazie all’utilizzo di uno strumento meccanico basato essenzialmente sul fissaggio della lettura della luce.
La complessità del banco ottico e l’onerosità nell’acquisto in origine, come noto, hanno fatto sì che la fotografia rimanesse un’attività esclusiva, riservata solo a pochi.
La fotografia, oltre a costituire un’opportunità commerciale per immortalare i soggetti, comunque è diventata fin da subito anche un mezzo per una più ampia documentazione del sociale e del territorio.
L’ampia produzione, specie in Nord America, ha generato nei primi del novecento ricchissime raccolte finalizzate a specifici scopi che, oltre a testimoniare l’evoluzione degli strumenti e delle tecniche di ripresa, hanno creato archivi di notevole importanza storica, anche per gli aspetti antropologici e geologici collegati alle genti e ai territori immortalati.
In verità l’invenzione della macchina fotografica sostanzialmente segue quelle che sono le logiche funzionali dell’occhio umano. Applicando dei principi tecnici studiati per fissare in modo similare ciò che noi riusciamo a vedere, attraverso la struttura neurologica e fisica fornitaci da madre natura.
Come tutti gli strumenti innovativi creati dall’uomo, in breve, se ne è omologato l’utilizzo e l’esponenziale evoluzione tecnologica, associata alle culture e alle creatività individuale, hanno reso la macchina fotografica una vera e propria protesi, impiegata per realizzare anche le idee artistiche immaginate da varie menti.
In quanto protesi, il marchingegno utilizzato rimane, quindi e sempre, un mero strumento e quanto viene prodotto dallo stesso resta sempre un qualcosa legato all'autore che decide dello scatto.
Al di la delle premesse storiche, oggi sappiamo pure tutti che la fotografia non sempre documenta il vero; anzi, spesso è apertamente menzognera nell'andare a manipolare rappresentazioni di realtà apparenti.
Senza voler troppo addentrarsi sulla cultura vigente nel tempo o sulle influenze politiche che spesso condizionano (individuali o sociali poco importa) autori e critici di fotografia, è ormai assodato che un’immagine, proposta come risultato fotografico, corrisponde almeno alla parte deliberatamente scelta e inclusa nel campo inquadrato; ancorché potenziale frutto anche di eventuali interventi postumi attuati in sede di post produzione.
Fin qui sostanzialmente è tutto risaputo e nulla di nuovo è stato detto.
Forse l’aspetto maggiormente evidente sarebbe quello che oggi la diffusione delle produzioni fotografiche corrisponde all'utilizzo sempre più frequente di cellulari come mezzo di ripresa.
Il telefonino potenziato, divenuto un mini computer con incorporata una macchina fotografica, oltre a consentire elaborazioni immediate, permette a tutti di essere annoverati fra i potenziali fotografi.
La facilità di accesso alla fotografia ha generato una sorta di democrazia; ma, come è per la letteratura o altre branche artistiche, anche se teoricamente quasi tutti dispongono della grammatica e sintassi necessarie, sono pochi coloro che - attraverso l'uso del mezzo - sapranno esprimersi in modo compiuto; così come pure quelli che, cercando di dire cose interessanti, riescono a farsi capire.
Un aspetto molto interessante e che merita sicuramente maggiori approfondimenti sarebbe quello legato all’aspetto psicologico che collega fotografia e autore.
Al riguardo, per chiudere, esordirei con una serie di domande.
La più ovvia e semplice, sarebbe: quanta cultura riveniente dallo studio della storia della fotografia condiziona i nostri scatti?
Cos’è l’etica per ciascun fotografo e quale è, se c’è, il limite che dovrebbe indurre talvolta a fermarsi e a non fotografare?
E poi, quante reminiscenze della nostra infanzia e adolescenza interferiscono e eventualmente filtrano le scene che andiamo a cogliere e veniamo a immortalare?
Quanti fattori e quali sono quelli che condizionano la nostra concezione del bello?
Infine, se guardiamo l'intera produzione artistica di un autore, quanta patologia mentale può esserci e, se nel caso, come è percepibile osservando le riprese fotografiche di ciascuno?
Qui si potrebbe aprire un nutrito dibattito, che porterebbe anche a mettere in luce tanti altri aspetti collegabili alle questioni, atteso che ogni forma d'arte indissolubilmente è legata alla mente di colui che ha immaginato l'opera e l'ha poi creata.
Tutte domande che rappresentano tanti sassolini buttati nello stagno delle curiosità e conoscenza ...... che generano onde concentriche che s'incrociano e testimoniano dell'apporto dinamico del loro movimento.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

domenica 7 agosto 2022

Da non crederci …. tutti rivendicano tutto …. mentre la nave affonda



Capita di sentire il bisogno talvolta di voler interloquire con qualcuno; per cercare di confrontare le proprie opinioni e contrapporre impressioni e differenti punti di vista. Ma mancano ormai i punti di ritrovo e neanche i bar riescono più a sopperire alla scomparsa delle sezioni di partito o delle stesse associazioni ludico-religiose, che almeno consentivano vicinanze fisica fra la gente.
Oggi tutto è virtuale e persino gli stessi algoritmi mediano le posizioni fra i partecipanti ai social; evitando di far incontrare/scontrare – anche virtualmente – individui che presentano idee, politiche e sociali, inconciliabili e radicalmente contrapposte.
Da noi si dice “cu mancia fa muddica” ovvero chi mangia genera sempre molliche. Con ciò per fare intendere che solo chi non fa mai nulla non crea inevitabili resti e indesiderate tracce.
Di certo, come dicono in molti, errori se ne fanno tanti nella vita, ma la sintesi dell’operato di ciascuno è in verità l’essenza reale del proprio costrutto presente.
Gli errori, del resto, in una azione attiva costituiscono elementi essenziali di ogni crescita.
Ciò vale sia nelle esistenze dei singoli che nella gestione di ogni contesto sociale più complesso.
La politica, praticata dal genere umano, non può fare eccezione a queste regole fondamentali che fanno sempre la storia delle civiltà di ogni tempo.
Questa premessa è indispensabile per tentare di capire l’attualità.
Il panorama confuso dalla troppa informazione pilotata e distorta, porta oggi allo spaesamento di tanti che, spesso prevenuti da proprie convinzioni, si trovano portati ad avallare false verità.
In questi giorni accade anche di peggio.
Il bombardamento continuo di dichiarazioni di parte, comportano lo stordimento del cittadino medio, specie se credulone e distratto, che, vuoi per orientamenti fideistici inculcati nel tempo, vuoi per miserabili tornaconti, danno voce e fede alle tante tesi menzognere che gli vengono proposte.
Se vi capita di sentire i leader oggi in competizione – di qualunque parte - in vista della prossima tornata elettorale, avrete modo di riscontrare i furti ideologici perpetui che, senza alcun rossore, vengono proclamati come propri inconfutabili successi.
Capita quindi che un eterno intramontabile, cresciuto e navigato in intrallazzi, rivendichi a sé per il proprio futuro politico il ruolo di vice presidente della Repubblica; perché si crede paladino della libertà (propria soprattutto). In relazione a ciò rinverdisce vecchi slogan e promesse, confidando nella duttilità eterna dell’italiota al seguito, pragmatico e opportunista.
Come pure accade che esponenti di dubbia furbizia vogliano far credere come un loro futuro programma, la promessa di una serie di principi e valori - sintetizzati in 9 punti - che già ieri non hanno avallato, per andare a scongiurare le dimissioni (volontarie ….. subito ma inutilmente refrigerate dal Presidente della Repubblica) di colui che viene ancora venerato da loro come il “Migliore dei migliori” e, se di più, si dice a Palermo all’avventore distratto: “è chiossà …. chi fà u lassamu?”.
Trambusti e poltrone traballanti hanno sollevato un gran polverone che rende impossibile distinguere l’appartenenza e i colori delle maglie indossate dai tanti attori in scena.
Un po’ come succede coi topi nel fuggi fuggi istintivo e di spirito conservativo quando una nave va in fiamme, tutti tentano di trovare salvezza, nel salire in una scialuppa e magari intanto lasciano che affondino quegli stessi “amici di crociera” che si erano fatti convincere ad imbarcarsi con loro, per andare a vivere felici una nuova avventura.
I valori scemano, mentre l’istinto animale è crescente e, tutti quanti consci che nel futuro ormai prossimo i posti sicuri in Camera e Senato saranno proprio pochi, sono molti fra pescicani e sardine.
In questo bailamme, sentire cretini che rivendicano come proprie iniziative politiche di successo di altri (Reddito di cittadinanza, in primis, poi Superbonus, etc…), vengono vissute dai media come cose normali.
Del resto il pesce puzza dalla testa, poiché sono gli stessi media i primi a non essere più credibili, essendo quasi mai indipendenti e spesso al soldo di padroni e d’interessi apertamente di parte.
Tornando all’attualità politica accade che, nella ricerca di una strada che possa confermare lo status di parlamentare, si associno il servilismo dei molti che intravvedono nell’appartenenza l'unica soluzione che accomuni e conforti.
In questo i padroni del mondo sono sempre stati esperti e attenti. Per il popolo che mugugna ci sono sempre le brioches.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

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Il mio caro amico da poco in pensione e che ora ha tempo per leggermi meglio, fa delle considerazioni per farmi osservare che: "in un paese normale si parlerebbe di programmi o proposte per cercare di dare una scossa a un paese in continuo declino (sociale, economico, demografico e culturale) da circa trent’anni . E invece dobbiamo assistere, non da ora in verità, a discussioni su nomi (sempre gli stessi) e candidature e su accordi e alleanze che si fanno e si disfano nel giro di poche ore, senza mostrare neppure un minimo di vergogna e di rispetto per gli elettori, oramai da anni disillusi e tristemente abituati a questi comportamenti incoerenti e dannosi per tutti."
Che la lenta trasformazione da popolo italiano in massa di italioti fosse tutto legato alla decadenza frutto dei benefici di aver vissuto settanta anni di pace? Chissà?

lunedì 1 agosto 2022

Tutto il resto è fuffa e bla, bla, bla



Mentre il popolo bue sembra disinteressarsi alle beghe politiche, i politici politicanti appaiono impantanati in ammucchiate complesse e complicate.
Per quasi tutti il problema principale è quello di accaparrarsi candidature certe per le prossime elezioni.
L’applicazione per la prima volta della drastica riduzione dei seggi alle camere, costituisce quasi un terno al lotto e molti di quei politici - che svolgono ormai l’attività come mestiere – sono in ambasce, non avendo altre alternative ad altre fonti di reddito.
La palude di sottogoverno è peraltro satura e i costi della burocrazia sono ormai insostenibili; occorrerebbe inventarsi qualche nuova istituzione per creare nuovi posti di lavoro che possano fare da paracadute ai tanti onorevoli che verranno trombati.
In questo scenario patetiche figure più o meno erudite si autoproclamano statisti e, con presunzione saccente, vaticinano formule che rispondono principalmente ad ammucchiate per il potere, piuttosto che costituire soluzioni socio-politiche finalizzate a meglio amministrare la cosa pubblica.
Scappati di casa, pinocchi, pidocchi, disturbati mentali, godendo dei benefici della Legge Basaglia si confondono con tanti opportunisti che fanno ammuina. Situazione ideale per confondere le acque.
Le colpe sono così - e continueranno sempre a essere - degli altri. Tutti i traditori che si incrociano cercano di convincersi e convincerci che a tradire sono sempre le parti da loro etichettate avverse. Senza una valida ragione che abbia senso logico o un’etica, se non per seguire un percorso che non si allinea al proprio interesse: diretto o indotto poco importa.
Così è tutto più semplice, non ci sono parti avverse ma solo tanti nemici e pseudo amici alleati per contrapporsi e difendersi da nemici comuni. Come per i tempi delle Crociate insomma.
Il tutto è utile per stordire sempre più la gente sana e tornerà ancora più utile per alimentare il disgusto nel cittadino medio che non si identifica con nessuna fazione; fino al punto di indurlo all’indifferenza e, infine, a invogliarlo a non votare.
Non fosse per qualche milionata di italiani che continuano a pensare con la testa propria, cercando di entrare nel merito delle questioni, il gioco sarebbe già bello è fatto. Mancano pochi giorni per poter affermare "Les jeux sont faits rien ne va plus!"
Per gli impresentabili e i voltagabbana la soluzione di spingere all’astensionismo nel voto sarebbe l’arma ottimale, essendo l’unica possibilità vantaggiosa (il non voto) che a loro potrebbe tornare favorevole.
Paradossalmente, per puro metodo matematico, la riduzione della base elettorale che esprime preferenza incide notevolmente nell’innalzare le percentuali dei voti divisi fra i partiti. Del resto il popolo bue non trova interesse a tradurre le percentuale in numeri di preferenze effettive (il 30 per cento di una percentuale di votanti del 50 per cento, sarebbe il 15 per centro dei cittadini con diritto al voto); il popolo bue vuole essere governato da quello che spesso poi etichetta comunque “ladro”.
Saranno comunque sessanta giorni di giostre continue, di teatrini di pupi e di teste di legno. Con media e giornalisti, si fa per dire, a fare da grancassa.
Tutto quanto sarà fuffa e molteplici bla, bla, bla; mentre il vapore naviga con un condottiero al timone, in una melma dal colore scuro.
Fortunatamente il Covid 19 ha azzerato in tanti il percepimento del gusto e degli odori soprattutto.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

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Dissertazioni su Street Art, ne vogliamo parlare? A cura di Toti Clemente

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Un'immagine, un racconto

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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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