"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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Fotogazzeggiando: Immagini e Racconti

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domenica 28 febbraio 2021

“L'oro del mulino”- Un porfolio di Cristina Corsi e Antonio Lorenzini



Quando ti ritrovi un lavoro fotografico completo, corredato pure da una sinossi che descrive perfettamente i luoghi e la storia di un racconto, ti resterebbe solo di prendere atto del prodotto e fare, se del caso, i complimenti agli autori.
Si, perché in questo caso, nel portfolio realizzato, a Cristina si è affiancato Antonio nell'idea e il loro lavoro realizzato a quattro mani ha fuso due racconti in maniera sinergica.
L’intento si è però anche arricchito, col trascorrere del tempo, di un ulteriore contenuto rispetto a quando sono state realizzate le foto, perchè testimonia di una realtà che si è intanto trasformata.
Essendo venuto a mancare il vecchio titolare del mulino e per gli ovvi vari mutamenti intervenuti nella proprietà e gestione dell’impianto, le fotografie hanno assunto oggi quella che è la funzione principale dell’opera: quella documentale, che congela persone e cose per tramandare il tutto alla memoria.
La collaborazione collaudata fra i due autori, peraltro e nel caso, costituisce un elemento in più che arricchisce il prodotto.
Nel fornire un risultato che è frutto di scatti operati da angoli visivi differenti e, quindi, da diverse metodologie e differenti letture culturali, l’esito testimonia anche di quanto può tornare utile – specie in questi casi – il lavorare in coppia; purchè si sia già affiatati, ovviamente.
Chi pratica assiduamente la fotografia e con passione, ha già avuto modo di collaudare quanto sia più proficuo non lavorare soli molte volte.
L’importanza che ciascuno dei fotografi (due in questo caso) ha nel supportare e aiutare la naturalezza dell’azione, coinvolgendo anche gli attori nel racconto con lo svolgimento della loro piccola storia è fondamentale. Come in questo caso, per catturare, alternandosi, pose e scene che quelli creano istintivamente durante la loro azione.
In questo lavoro si ritrovano le immagini del padre con figlio e loro due nelle singole azioni, ma mai ritratti in atteggiamenti di posa bensì inseriti nel contesto che Cristina e Lorenzo hanno così ben narrato.
Se dovessi aggiungere una mia personale considerazione, aggiungerei che questa è una dimostrazione della formula ideale per rappresentare una realtà che si compone di tanti elementi, per poterla anche esporre in modo sfaccettato e completo.
Nel caso in esame ci sono, infatti: la struttura architettonica del mulino, il suo funzionamento, i suoi intriganti marchingegni meccanici, l’attività umana, la presentazione di quanto viene li prodotto. Insomma, potremmo dire, senza tema di smentite e per il genere fotografico in esame, che questo loro lavoro fotografico potrebbe rappresentare un’apoteosi di un certo modo di fare fotografia.
In un mondo vanesio come spesso appare quello della fotografia, in questo caso è evidente l’amalgama di due io, che hanno generato un prodotto accomunato. Ha poi poca importanza da chi è nata l’idea, quello che conta è solo il risultato che, equamente e secondo le sensibilità di ciascuno, si è infine andato a realizzare. Complimenti a entrambi.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

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N.B. Per una migliore visione delle immagini che costituiscono il portfolio, basta cliccarci sopra.

La sinossi del Portfolio scritta dai due autori:

"L’oro del mulino"
C’è un luogo alle pendici del Pratomagno, in provincia di Arezzo, dove l’acqua del torrente Ciuffenna scava il suo cammino da secoli e si fa strada tra le turbine di un vecchio mulino a Loro Ciuffenna. Da secoli lì si consumano le giornate dei mugnai e le loro storie. Oggi vi si avvicendano due generazioni. Padre e figlio che portano avanti, fuori dal tempo, un mestiere di fatica, sacrificio e attenzione. Ad un passo da lì il tempo va aventi frenetico, ma basta scendere nel vecchio mulino per scordare in quale secolo siamo, inebriati dal profumo della farina e dal suono dello scorrere dell’acqua che con la forza che gli è propria danno sussistenza ad un paese che riconosce nel mulino la sua anima immortale.

Cenni storici
Il mulino di Loro Ciuffenna (Arezzo) è il più antico mulino ad acqua della Toscana tutt’ora funzionante. Costruito intorno all’anno mille ai margini di un orrido sul torrente Ciuffenna. E’ composto da 3 macine in pietra attivate da un albero centrale (ritrecine) su la cui estremità si trovano le pale che ne consentono il movimento sfruttando lo scorrere impetuoso dell’acqua. Le tre macine servono per il grano, per il granturco e per le castagne.

Autori
Cristina Corsi e Antonio Lorenzini sono uniti dalla passione per la fotografia. Prediligono il “linguaggio” del bianco e nero che utilizzano per raccontare scene di vita quotidiana attraverso le loro emozioni che si fondono nella caratteristica del loro essere e del porsi di fronte alla vita. Spesso i loro soggetti si trasformano in personaggi onirici che ci parlano del loro vivere con delicatezza e potenza espressiva. Sono attratti da luoghi che conducono indietro nel tempo nonostante la loro attualità. Nel reportage trovano la massima espressione della semplicità e della verità.


sabato 27 febbraio 2021

Autorialità nella fotografia



Ieri sera ho assistito, all’appuntamento incentrato su Alec Soth curato da Claudia Ioan e mi ha intrigato. Sai, certe volte le poche conoscenze aiutano a focalizzare alcuni aspetti che appaiono più facili per un neofita. Allora, come avrai già intuito, ho unito la nostra breve corrispondenza elettronica a piccole riflessioni suscitate dalla Ioan.

Nella mia email sostanzialmente scrivevo che: nell’ambito degli appuntamenti Fiaf del giovedì, ho avuto l’opportunità di assistere all’appuntamento dedicato a Lorenzo Cicconi Massi, condotto da Attilio Lauria, che nella mia ignoranza fotografica, sconoscevo del tutto. Nel caso te lo fossi perso, potrai recuperare attraverso la registrazione che è messa in rete il sabato (già disponibile https://www.youtube.com/watch?v=uFXUZwKapWU).

A stretto giro di posta ricevevo:
“Stavolta ti devo bacchettare. Lorenzo è stato uno dei nostri desideri realizzati in tempi ante coronavirus. Con gli amici della Plenum lo abbiamo voluto a Catania, ospitato, in mostra ed in cattedra. E la mostra ha avuto una certa risonanza. Perchè dirai? Perché, come penso tu abbia capito dal suo lavoro, la sua formazione risente dell'ambiente culturale maturato a Senigalia e dell'influenza esercitata sulla sua formazione dal compianto Giacomelli. Ti consiglio di cercare ed acquisire il film, trasportato in cd, da lui realizzato su Mario dove tante testimonianze di persone viventi e no, tra cui Enzo Carli, sono utilizzate per tracciare una biografia meno pallosa e più penetrante. Lui rifiuta, in fondo in fondo, l'accostamento con Mario ma l'impostazione iconica è assai simile così pure a disponibilità a strutturare l'immagine fotografica sub specie figurae retoricae; senz'altro è comune una certa libertarietà che in Lorenzo è meno istintiva di Mario e, peraltro, più controllata da una formazione culturale di eccellente livelllo. In libreria è disponibile un libro recentissimo confezionato insieme ad altri fotografi tra cui Comello e Faraci che abbiamo avuto ospiti negli streaming con Luce Iblea. Anche lui è d'accordo che potrebbe risultare facile copiare il linguaggio giacomelliano; impossibile renderlo espressione delle potenzialità di quella visione. (intervista rilasciatami nel 2018).”

La mia risposta:
Accetto la bacchettata, comunque nell’elencare il suo palmares Attilio ha citato l’esperienza catanese. Si è parlato anche di un ultimo lavoro collettivo sul lockdown. Devo dirti che i suoi alberelli e le donne volanti hanno subito richiamato e portato a Giacomelli, ovviamente, e costituiscono un’elaborazione/sviluppo ulteriore dell’opera del suo Maestro ispiratore specie nel mantenere le sottrazioni di colore (neri profondi e bianchi evanescenti). Facile considerazione, dirai tu! In ogni caso, mi ha anche colpito molto positivamente il suo approccio nel raccontare il modo di suo fare fotografia e la disponibilità assoluta nel prestarsi a qualunque confronto; quasi come fosse un bambino che venisse a raccontare sul come maturassero nella sua fantasia le idee per realizzare fotograficamente le sue visioni, i suoi sogni. Una gran bella persona comunque. Grazie Pippo.

In serata c’è stato anche un evento curato dall’’associazione fotografica Il Fotogramma dal titolo “La fotografia contemporanea: Alec Soth”, incontro online con Claudia Ioan, rientrante nell’ambito della ricca programmazione dei Circoli Fiaf e che si stanno svolgendo in tutt’Italia con l’intervento dei vari docenti dell’associazione.
Anche qui, come si sul dire, grasso che cola. Le esposizioni della Ioan ormai sono cosa nota, e ad Alec Soth più che una radiografia è stata fatta una TAC. Ma come quasi sempre accade in questi appuntamenti, l’apparente appendice alla Lectio - che si sviluppa coi vari commenti - costituisce una approfondimento della cartella clinica dell’autore di turno che viene osservato. Per chi ne avesse l’opportunità, si rimanda a rivedere la registrazione dell’evento.
Capita pure che quasi sempre, chi si trova fra gli spettatori, alla fine si trova a rimuginare sulla base dei tanti input ricevuti dal conferenziere. Occorre talvolta anche del tempo per riordinare, specie quando, nel caso di Soth, le questioni appaiono molto complesse e più profonde rispetto alle apparenze.
Dall’elaborazione batch che ciascuno di noi lentamente elabora affiorano talvolta delle intuizioni che sarebbero state opportune esternare per delle considerazioni o delle domande da porre al docente, ma la serata è già andata.
Quello che mi è rimasto sospeso e avrei voluto esternare era che le fotografie di Alec Soth sembrano rappresentare molto più semplicemente il suo pensiero del momento, del come vedeva e sentiva quella realtà che fotografa nell’attimo del suo click, influenzato dallo stato d’animo provato. In questo ricomprendo anche la foto cartolina tra le più vendute e che raffigura uno scorcio all’imbrunire delle cascate del Niagara.
Il parallelismo, poi, fra The Americans di Robert Frank e tutta l’operazione sviluppata da Soth è vero che in qualche modo traspare, seppur correlato ai tempi, e, come ha evidenziato Torresani nel suo intervento, che Soth è stato agevolato dai precedenti di Frank, riportati nel suo libro del 1958 ampiamente digerito dal popolo americano dopo gli iniziali attacchi, ma forse è pure vero che gli approcci estetici dei due fotografi sono stati differenti.
Cerco di spiegarmi meglio. I reportages di Robert Frank, come ha fatto vedere Torresani mostrando ad esempio una foto del libro, erano sostanzialmente di piena denuncia, di un’America che gli americani non volevano vedere e che non gradivano fosse loro proposta in quei termini.
Soth, invece, con i suoi vuoti che fanno intendere e le allusioni liberamente interpretabili, ha sempre lasciato a ciascun osservatore di leggere ciò che ognuno ha voluto, facendo sì che si restasse liberi di costruire un personale racconto da ogni immagine proposta. Magari, nel suo caso la denuncia sarebbe un po’ soft …. ironizzando sul nome dell’autore, ma anch’essa efficace.
Del resto l’americano medio è sostanzialmente un provinciale, con addosso le scorie della acerba storia degli USA ancora attaccate alla pelle, e non tollera che certe verità gli siano sputate in faccia. Soth, in questo suo sottintendere, nell’alternare solitudini e crude realtà, rimane, forse, più accessibile, accettabile e sicuramente riesce a entrare nel più profondo di una popolazione conscia dei propri limiti, ma che non li vuole mai mettere in piazza in maniera troppo evidente.
Ma la serata intanto era già finita. Saranno forse delle considerazioni da porre in una prossima volta.

L’amico Pippo, che ha letto il pezzo in anteprima, alla fine mi ha anche saggiamente risposto: “Vedo che le tue scorribande si dirigono sulle cantine che "passano per la maggiore" e quindi Barolo, Monteplulciano, Champagne, etc..... Che tutto ciò buon pro ti faccia purchè non scompaia il ricordo dei vecchi vitigni.”

Buona luce a tutti!

© ESSEC

venerdì 26 febbraio 2021

Lectio Magistralis di Giuseppe Conte all'Università di Firenze per gli studenti della Scuola di Giurisprudenza



Una Lectio Magistralis che al netto delle presentazioni di rito del Rettore è durata poco meno di un’ora (inizio ore 15,39 e fine ore 16,33), svolta con un’argomentazione articolata e con un taglio espositivo coerentemente giuridico, rivolto per l’appunto agli studenti dell’anno accademico dell’università fiorentina.
Un intervento che ha sviluppato tutti gli aspetti dell’esperienza pandemica legati alla propria esperienza di governo, sviluppato senza particolari enfasi e che ha incluso citazioni, di molti filosofi e letterati noti di diverse culture e orientamenti, senza però mai citare, pur essendo un cattolico, Papa Francesco o fedi religiose d’ogni genere.
Livello professorale elevato, cognizioni giuridiche appropriate, rappresentazione degli eventi efficace. Complessità dell'argomento sviluppato.
Per il testo dell'intera lectio, ci si riserva di dare indicazione non appena reperibile alla fonte.
I dati che sintetizzano le presenze in diretta You Tube, gli ok e i nok espressi dagli stessi partecipanti, sono riassunti nello schema sottostante.

Orario spettat ok nok
15,18.. 1436.. 415... 6
15,30.. 3555.. 795... 10
15,31.. 3932.. 860... 10
15,34.. 4941.. 1119.. 11 Monoscopio UNIFI
15,35.. 5541.. 1197.. 10
15,38.. 7425.. 1533.. 15
15,39.. 7775.. 1574.. 15
15,39.. 7949.. 1613.. 15 Inizio
15,59.. 8020.. 2895.. 29
16,01.. 7830.. 2948.. 30
16,10.. 7340.. 3274.. 35
16,15.. 7072.. 3409.. 37
16,20.. 6768.. 3511.. 40
16,25.. 6531.. 3593.. 42
16,30.. 6322.. 3664.. 46
16,33.. 6385.. 3727.. 48 fine
16,33.. 6396.. 3737.. 48
16,34.. 6231.. 3769.. 49
16,35.. 6137.. 3782.. 49
16,35.. 3955.. 3817.. 49 Monoscopio UNIFI

Fin da subito si rileva che, ancor prima di ogni pronunciamento e della stessa apparizione in video dell’ex Premier Prof. Giuseppe Conte, risultano cliccate approvazioni via via crescenti che, nello schema riportato partono da 415 e ascendono a ben 1574 ancor prima che si sia ascoltata una sola parola. Parallelamente, secondo la stessa logica, i nok dei prevenuti partono da 6 e si posizionano a 15 negli stessi tempi corrispondenti.
Sorgerebbe però anche un dubbio di una evidente partigianeria aprioristica, del tipo "tifo calcistico", io mi posizionerei fra questi dubbiosi. Del resto il panorama del politichese italiano è quello che è.
Qualcuno certamente interpreterebbe la cosa con la considerazione che potrebbero anche intendersi, assensi e dissensi, alla sola approvazione o non, dell’evento che è stato organizzato dall’Università di Firenze. Potrebbe anche essere, chissà.
Il punto di picco dei partecipanti collegati, al canale You Tube dell’Università di Firenze, si posiziona a un massimo di circa 8700 presenze (intorno alle ore 16,20 circa), fatto registrare nei venti minuti iniziali della lectio.
Poi via via le persone collegate incominciano a decrescere lentamente fino ad arrivare a 6385 (-2315 rispetto al picco di presenze). Nello stesso intervallo di durata della lectio i consensi palesati dai partecipanti ascendono da 1613 a 3727 (+2114), i dissensi in più sono solo 33.
Che vorranno dire queste semplici rilevazioni statistiche direte voi? Agli esperti la parola.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

giovedì 25 febbraio 2021

Ecco a voi la “Draghi – Giavazzi & Co”.

Copiare del tutto un articolo pubblicato in un giornale in vendita in edicola non è corretto, ma in questo caso, come si dice per i vaccini "espropriabili" – riguardo ai diritti commerciali per copyright e brevetti – procedo a un utilizzo proletario, per un interesse che accomuna tanti e per l’importanza di un argomento, purtroppo, sottostimato o poco posto in evidenza da molti media e dalla quasi totalità della Stampa nazionale.
In ogni caso sembra che copiare da un articolo di un giornale non è corretto, a meno uno non sia il capo di un governo dei “migliori”, che non può sbagliare mai ... e al quale tutto è concesso "per definizione".
Marco Palombi, nel suo articolo di oggi, fotografa con un’ottica - che gli appassionati di reflex di alta qualità definirebbero fantastico, di luminosità assoluta e senza aberrazioni cromatiche - lo stato reale dell’arte della politica italiana in questi giorni.
Nell’articolo di Palombi di oggi si dice: “Con la prossima nomina dell’ex rettore della Bocconi a consulente economico di Palazzo Chigi è forse più chiaro perché Mario Draghi abbia copiato un pezzo del suo discorso alle Camere da un editoriale di giugno di Francesco Giavazzi: una coppia di fatto che, se non altro, fa chiarezza su quale indirizzo si darà il governo dell’ex presidente Bce.”
L’articolo continua con considerazioni personali che preludono all’Addio al Draghi “keynesiano”, “allievo di Caffè”, “liberalsocialista”.
Poi si dice: “questo esecutivo pare nato negli anni Novanta della globalizzazione ruggente e ha al suo cuore un rifiuto radicale della presenza dello Stato nell’economia: forse la differenza più marcata con le pur confuse aspirazioni “interventiste” del governo Conte 2, tra i cui consulenti figuravano economisti come Mariana Mazzucato e Gunter Pauli, entrambi sostenitori di un ruolo attivo del pubblico nel guidare la politica economica e industriale.”
Marco Palombi quindi entra nel nocciolo della questione evidenziando che “Per capire quale cambiamento sia avvenuto a Palazzo Chigi, e come questo influenzerà il Recovery Plan, ci affideremo agli ultimi tre articoli di Giavazzi per il CorSera, i cui e chi sono presenti nel discorso di Draghi.”
Quindi citando il “Francesco Giavazzi pensiero” scrive: “Ha sostenuto il 30 gennaio il professore, con una certa disinvoltura rispetto a sue affermazioni passate, che il problema non è il debito pubblico, ma il tasso di crescita. Per alzarlo dovremo usare il Next Generation Eu, che si compone di due parti: “Un elenco di progetti che soddisfino i criteri indicati e alcune riforme senza le quali è difficile pensare che qualunque piano si traduca in crescita. Evidentemente è il secondo aspetto quello cruciale”. Quali riforme? “L’elenco è chiaramente indicato nello schema redatto dall’Europa: innanzitutto giustizia e pubblica amministrazione”. Insomma, fare le riforme chieste da Bruxelles – dentro ci sono pure liberalizzazioni, privatizzazioni, aumento dell’età pensionabile eccetera – e poi si vedrà.”
L’articolo procede ora, ponendo pure una domanda. “E i soldi? Qui la faccenda si fa interessante: inutile puntare troppo sulle infrastrutture, scrive Giavazzi il 19 dicembre, perché “non sarà certo qualche ponte in più a far sì che il tasso di crescita fletta”. Per capire cosa serve, basta guardare alla “storia economica del Paese” (6 dicembre): all’inizio c’era l’orrida Iri, poi “le privatizzazioni muovendo gli ostacoli normativi, quelli posti dagli Enti locali e alzando i limiti alle emissioni elettromagnetiche (linea sulla quale, per la verità, concorda quasi tutta la maggioranza). Colao, poi, dovrà garantire anche gli americani, che vogliono epurare il futuro 5G dalla presenza cinese.”
Entrando nella spartizione scuola “Cencelli” del potere politico e dei relativi interessi rappresentati dai singoli partiti associati (tipo quelle società col marchio &Co.) partecipanti al “Governo di unità nazionale”, Palombi propone delle sue riflessioni, e scrive: “chi ottiene molto è invece il ministero della Transizione ecologica, che eredita il cuore della politica energetica del Mise (due direzioni generali, centinaia di dipendenti e fondi miliardari). Cingolani presiederà l’apposito Comitato interministeriale che dovrà stendere entro tre mesi il “Piano per la transizione ecologica” per delineare le strategie dei prossimi anni su mobilità sostenibile, dissesto idrogeologico, infrastrutture idriche, qualità dell’aria ed economia circolare. Il Mite dovrà anche indicare quali dei sussidi dannosi per l’ambiente (Sad) andranno tagliati. Insomma, indicazioni un po’ più precise di quelle riservate al comitato di Colao.”
A questo punto sarebbe occorso che, al termine dell’ultimo Consiglio dei Ministri, che aveva indotto allo spreco di molte energie anche nella spartizione/accaparramento delle solite poltrone di sottogoverno, qualcuno avesse detto: Signori, il pranzo è servito, accomodatevi cortesemente nei posti assegnati, non assembratevi troppo e mantenetevi fra voi a almeno un metro di distanza, Lega compresa, per favore. Scusate per l'esclusività che ci stiamo ritagliando per i pochi di noi che, in ogni modo, ci siederemo in un tavolo a parte "riservato". Ai convitati politicanti bastava ora solo sedere ciascuno al proprio posto, servirsi per soddisfare la fame impellente e saziarsi ciascuno alla bisogna.
Il quadro della situazione, in ogni caso, appariva già chiaro fin dall’origine e era già stato immaginato anche in un precedente scritto, intitolato “Il parto cesareo e i gemelli eterozigoti” e cui si rimanda. Riguardo al programma del neocostituito Governo si è pure scritto in altri due articoli postati sullo stesso blog. Inerenti alla relazione per la Fiducia alla Camera e quella fatta il giorno prima al Senato.
Quasi sicuramente accadrà che, una volta spolpato l’osso, certi interessi economici ora impellenti (Recovery Plan in primis) s’affievoliranno e molleranno la presa; con una “normalizzazione politica” del paese. C’è da augurarselo, specie nell’interesse e per un miglior benessere delle future generazioni.
Una triste considerazione occorre però fare, anche al fine di rivalutare, in qualche modo, la valenza educativa di certe favole e racconti di gioventù. Perché, per amor del vero, anche Collodi ebbe a scrivere - e in tempi non sospetti - che il Grillo da lui narrato fece una brutta fine, per un martello scagliatogli contro dal discolo Pinocchio.
In conclusione non rimane che aggiungere, a questo chiaro scritto di Marco Palombi pubblicato oggi, la considerazione a cui spesso inducono tanti romanzi e che invita a dire “meditate gente, meditate”.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

sabato 20 febbraio 2021

“A ME QUESTO FESTIVAL DI SANREMO NON MI PIACE!”

Nei prossimi giorni ci sarà l'ennesima edizione del Festival di Sanremo: quanti ricordi. L'amico Gaetano ha appena pubblicato un pezzo che miscela sapientamente attualità e passato, facendo riemergere in ciascuno un insieme di ricordi che, sedimentati, costituiscono oggi i tanti tasselli personalizzati della nostra memoria. Certi appuntamenti, anche mediatici, costituiscono in ognuno dei paletti che delineano i confini del nostro trascorso. Ogni perimetro e spazio temporale associa, come fossero dei grappoli d'uva una serie di personaggi, di esperienze, di ricordi. La prosa di Gaetano aiuta nel lento scorrere mentale con un percorso che, partendo dall'oggi, ci porta indietro negli anni; a quando bastava assai poco per essere felici, la solidarietà era una regola e la serenità era presente in molti dei volti che ci stavano attorno. Con il beneplacito dell'autore, mi accingo a convididere il suo raccondo per rendere fruibile anche ad altri questo viaggio un pò onirico.

© ESSEC

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“A ME QUESTO FESTIVAL DI SANREMO NON MI PIACE!”

“A me questo Festival di Sanremo non mi piace”. Mi verrebbe da dirgli: “a me mi” non si dice, mi taccio. Questa frase l’ho sentita in un dialogo sull’autobus che mi porta a casa; io non lo prendo mai, ma oggi, maledetta batteria guasta, mi ha lasciato a piedi e sono stato costretto a viaggiare con questo mezzo. L’autobus che mi porta a casa parte dal centro di Palermo, per arrivare in periferia attraversando un quartiere popolare un “poco” degradato.
Aver ascoltato questa frase, mi ha suscitato una certa curiosità, alzo gli occhi e vedo la donna giunonica che l’ha detta ad una donnina piccola, emaciata e con una grossa borsa del supermercato di zona, che sembra più grandedi lei.
Le guardo e mi viene da ridere, la donnina è talmente minuta che sembra poter entrare nella borsa che tiene infilata al braccio, guardandole sembrano quella strana coppia del cinema americano, Stanlio e Ollio, uno saccente e presuntuoso e l’altro che subisce maldestramente. La poverina minuta cerca di intervenire nella discussione, ma la donnona le prende il braccio bloccandola, lei ha deciso: il suo deve essere un monologo da opinionista televisivo.
Mi è piaciuto assistere a questo simpatico siparietto popolare, mi ha suscitato una simpatica allegria. Finalmente, le due, scendono e l’unico suono che si sente è il sibilo del motore elettrico, un campanello si unisce al sodo rumore della turbina l’autobus, poi si ferma ancora ed altri passeggeri scendono. Resto solo e ripenso a quanto detto da quella signora sul Festival, e quindi mi faccio la domanda: “io che faccio quest’anno, lo guardo oppure no?”
Credo che farò come ogni anno, comincerò a seguirlo e poi durante la prima interruzione smanetterò sul telecomando facendo zapping; magari se becco qualcosa di più interessante, naturalmente più interessante per me, lo abbandono, per poi magari ogni tanto tornare a guardarlo.
Su Sanremo quest’anno si sono fatte tante congetture, con i teatri chiusi è normale, si sono scatenate feroci polemiche e saccenti disquisizioni elaborate dai tuttologi televisivi e anche sul Web. Certamente non come quelli della donnona sull’autobus che erano semplici e personali con il rafforzativo del: “a me mi”. Infine la soluzione è stata trovata, certamente non starà bene a tutti. Per questo evento la decisione della commissione sanitaria è stata definita, nonostante l’Italia non ci sia un governo.
Comunque è doloroso pensare che gli operatori dello spettacolo non hanno lavoro da undici mesi; vedere i cinema e i teatri chiusi è veramente deprimente, nel pensare a queste attività ferme, vengo assalito dallo sconforto. Forse qualcuno ha ricevuto qualche piccolo aiuto che gli ha consentito di tirare avanti, ma le bollette certamente non le ha potute pagare, chissà cosa li aspetta; poi, magari, se Dio vorrà si pagheranno quando si riprenderà a lavorare; qualcuno potrebbe finire per strada, perdere quel poco che ha, e si aggiungerà alle vittime, insieme ai morti, di sua “Maestà il Virus”.
La speranza è che il Festival intanto aiuti qualche padre di famiglia, meglio di niente per i lavoratori dello spettacolo! Un vecchio proverbio recita: “Ogni ficateddu i musca è sustanza”, ammesso che la mosca abbia un fegato, meglio che niente.
Certo la cultura, in questo anno d’epidemia, ha avuto un pesante arresto. Qualche museo o sito archeologico ha provato a far fare delle visite virtuali, ma non è la stessa cosa; immergersi negli spazzi d’arte, e provare l’emozione di vivere quella liturgia dell’osservare i reperti, scrutare nei quadri alle pareti, quella sensazione unica di trovarsi all’interno dello stesso… sono cose che si provano soltanto in presenza.
In quest’ultimo anno, anche i ragazzi hanno dovuto cambiare le loro abitudini, non sono più andati a scuola, fanno lezione a distanza, con la DaD. Ma questa innovazione quanto ci costa in termini di socializzazione? Gli studenti, hanno perso il piacere di incontrare i compagni, il piacere dell’abbracciarsi, il gusto di andare a zonzo, magari oziando e chiacchierando del nulla e farsi risate per le battutine sciocche dell’amico burlone.
Questo nuovo corso mi porta al ricordo personale del desiderio che avevo io, quando ero studente, nell’incontrare amici e compagni, ma oggi per questa maledetta pandemia i ragazzi non lo possono fare.
Non godono nell’incontrarsi la mattina in affollati autobus, dove nascono belle amicizie, simpatie e antipatie, qualche filarino che, secondo me, sono il sale nella vita dei ragazzi.
Certo Sanremo non è la Galleria degli Uffizi da visitare, non è il tempio della cultura, ma se il Festival quest’anno compie settantun anni, si vede che a molti piace, nonostante tutto unisce gli italiani dalla Vetta d’Italia in Trentino, al nord, a Lampedusa ancora più a sud di Tunisi, da Otranto in Puglia al colle del Frejus in Piemonte, tutti uniti per cinque giorni in questo abbraccio virtuale, tra i terroni e i polentoni che si trasformano in italiani, anche in conflitto, ma certamente italiani.
Giorni fa ho chiamato una vecchia amica della mia mamma, per sapere come stava, per fare quattro chiacchiere e un poco di compagnia, l’ho trovata un poco giù, la poverina è una novantenne che non esce di casa dall’otto febbraio dell’anno scorso. Abbiamo parlato di vaccinazioni… e di altre piccole cose. Allora, per tirarla un po’ su, le ho raccontato l’aneddoto della donna giunonica e la donnina.
Mi ha detto, con voce allegra, che il Festival di Sanremo lo avrebbe visto, perché da quando hanno cominciato a farlo lei li ha visti o sentiti tutti. Alla radio fino al 1969, quando a maggio la “bonarma” di suo marito, aveva comprato il televisore.
Mi raccontò che nel 1970 le era successa una cosa strana. Il 23 febbraio di quell’anno nel suo televisione si vedevano le immagini e non si sentivano le voci, si era guastato l’altoparlante, il tecnico le aveva detto che non lo avrebbe potuto riparare, mancava il ricambio al deposito e non sarebbe arrivato prima di una decina di giorni. Allora alzando l’ingegno lo aveva ascoltato alla radio e visto in televisione, concluse ridendo di cuore.
Questo mi confortò, era contenta di aver vissuto questa simpatica avventura cinquant’anni prima. Poi dopo le risate aggiunse, ma tu lo sai che mia suocera che viveva a casa mia, prima di accendere la televisione si ‘mpustava”, – cosi la signorina non la trovava in disordine e quando l’annunciatrice dava la “buonasera” lei rispondeva, la sentiva come un’amica che veniva a trovarla ogni sera.
La signora ‘Gnazzina il Festival lo vuole vedere, la sua unica compagnia ormai è la televisione, per lei è importante Sanremo, è importante come il telefonino che le hanno comprato i figli; è contenta e ha imparato ad usare anche la video chiamata, perché così può vedere i suoi figli e i suoi adorati nipoti. È da un anno che non li incontra, che non li può toccare, che non li può baciare. Dopo avermi detto queste cose, è tornato un velo di tristezza nella sua voce, salutandomi ha aggiunto: “speriamocà mi nnipozzuviririavutri”.
Non ho risposto per paura che sarebbe stata troppo evidente la mia commozione.
Certo il problema di un Festival senza pubblico in sala con l’Ariston vuoto sarà triste, gli artisti senza applausi, non potranno testare il gradimento del pubblico in teatro.
Ma questa maledetta “guerra” ci ha abituato a delle cose impensabili, impedendoci di andare a vedere fisicamente gli spettacoli, questo stato di cose è veramente terribile, non potere guardare un film e godere la proiezione in una sala cinematografica è veramente duro.
Ma il Festival di Sanremo è una manifestazione nazional popolare, in tanti possiamo vederlo o seguirlo distrattamente, ma alla signora ‘Gnazina piace e per cinque giorni è contenta di guardarlo.
Sanremo è solo uno spettacolo televisivo, ci sono gli sponsor, ci sono gli artisti e poi pure le canzoni… ma io di canzoni del Festival non ne ricordo tante. Infatti, ogni tanto, riascoltandone qualcuna presentata al Festival, mi fa strano, non me la ricordo… io “un ci pienzu”.

© Gaetano Martorana

Progetto di recupero dei resti della Chiesa Madre di Santa Margherita Belice, che nel 1968 venne quasi totalmente rasa al suolo.



Con la depressione che pervade un pò tutti quanti, a causa dei frequenti lokdown che ci obbligano a clausure, scegliere una escursione fotografica fra amici per rivisitare i ruderi dei paesi siciliani terremotati del sessantotto non è il massimo per migliorare l’umore. Ma questo si era deciso al volo, approfittando della temporanea “finestra” che consentiva adesso le escursioni intercomunali, grazie al passaggio del nostro territorio pandemico da zona arancione a zona gialla.
In qualche modo, già nel passato avevo fatto un’escursione similare in abruzzo e precisamente a L’aquila. Quella volta per verificare a che punto stavano le opere di ricostruzione a distanza di quattro anni dal sisma.
Qui l’intento era diverso. I paesi di Poggioreale e Montevago che ci apprestavamo a visitare erano ruderi di contesti urbani sostanzialmente abbandonati, avendo deciso le relative amministrazioni pubbliche di edificare secondo nuovi piani regolatori che prevedevano edificazioni completamente nuove, ubicate in aree prossime ai comuni storici collassati.
Per i ruderi di Poggioreale c’era stato anche un momento in cui si era dati da fare per trasformare il vecchio sito un luogo monumentale. Tanti erano stati i propositi e le buone intenzioni che in breve però, almeno fino ad ora, sono rimaste idee fumose, sogni nel cassetto e niente di più. Solo qualche troupe di cineasti e sparuti fotografi ne hanno fatto sporadicamente un set per delle loro riprese.
Per la sua costante spettralità il sito si mantiene ancora affascinante e ogni stradina e edificio annesso porta a immaginare scene di una vita che fu. La manutenzione è però ridotta al minimo, per far sì che almeno un certo tipo delle erbacce, le più invasive, siano mantenute a bada, per non far scomparire completamente l’identità dei luoghi.
Il Comune di Montevago, sotto l’egida di una amministrazione più illuminata e che vuol tenacemente mantenere radicata la sua storia a un territorio quasi totalmente raso al suolo, ha avviato invece di recente un'azione di recupero di alcuni resti e che sta cercando di valorizzare. Anche se queste iniziative restano delle piccole azioni in un territorio martoriato, emulando delle scelte operate nel vicino comune attiguo di Santa Margherita Belice ci si sta avviando ad attuare interventi artistici che abbracciano anche forme innovative moderne, come è la streetart.
Lungo un vecchio muro di cemento che delimita l’area del vecchio paese è in qualche modo già stata sintetizzata la narrazione della storia locale, mitizzata anche un poco, con un lungo murales commissionato nel 2018 e realizzato a più mani da graffitari isolani che si firmano: Luogo Comune, Collettivo FX, Mangiatori di Patate e Zeno.
Di recente, all'artista siciliano Ligama è stato affidato un nuovo compito creativo, con l’intento di allestire e simulare scene rappresentative di ricordi di vita reale; destinando per l'operazione i pochi resti di edifici che hanno mantenuto, seppur parzialmente, in piedi solo le mura.
Certamente il risultato è frutto di un connubio felice per cercare di valorizzare un territorio che, diversamente, documenterebbe soltanto tracce di desolazione.
Le radici umanistiche del Sindaco La Rocca stanno pure ispirando l'Amministrazione comunale di Montevago, nell'avvio di un progetto volto al recupero possibile dalle macerie - partendo da quanto potrà essere ripristinato - dell’edificio settecentesco che fu la Chiesa Madre del paese, che nel 1968 venne quasi totalmente rasa al suolo.
Una bella avventura anche questa che si svilupperà con un work in progress, secondo quanto sarà possibile riutilizzare.
C’è già un esempio cui forse ci si potrebbe ispirare. Quello costituito dall’analogo edificio terremotato di Santa Margherita che, riedificato anche con la creazione di protesi metalliche integrate alla vecchia struttura, ha dato vita all’attuale sito museale dedicato alla memoria del terremoto di quegli anni; che custodisce al suo interno documenti e tante fotografie dei vari fotografi che, per la cronaca, immortalarono scene dell’evento Scafidi, Minnella e altri.
Nel cinquantenario del Terremoto della Valle del Belice, che ha interessato molti dei piccoli paesi del comprensorio, anche il foto-giornalista Nino Giaramidaro ebbe ad allestire una mostra che ha raccolto molti dei suoi scatti realizzati a quel tempo come inviato del giornale L’Ora. Le sue fotografie, che sono state esposte in diversi dei Comuni della Valle del Belice terremotati, e le foto sono tuttora visionabili su You Tube https://youtu.be/BF_qFEbmMmE.
Per chi volesse fare una gita fuori porta, lockdown e colori vari zonali permettendo, ci si potrà ora recare a visitare la sola Montevago. Per vedere le installazioni di Street Art di cui si è fatto cenno e dare un’occhiata, ma solo da lontano, ai ruderi della Chiesa Madre che costituiscono oggi un cantiere aperto.
Il sito di Poggioreale Vecchia è inibito al turismo e l’accesso ai luoghi rimane tuttora vietato a improbabili visitatori. Uno slide show consente di avere di una visione recente dei ruderi del vecchio paese.
Rimanendo nella zona, per pranzare si consiglia il Ristorante-Pizzeria Genco, dove Marcello saprà soddisfare i desideri di una cucina genuina, mentre per un dolcino o una più veloce tavola calda alla vicina Pasticceria Sant’Angelo avreste solo l’imbarazzo della scelta.
Buona luce a tutti!

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venerdì 19 febbraio 2021

Ormai il governo del paese da oggi è “cosa loro”. Chissà, forse avendogli accordato la fiducia, potrebbe diventare pure “cosa nostra”.



“Questo è il terzo governo della legislatura. Non c’è nulla che faccia pensare che possa far bene senza il sostegno convinto di questo Parlamento. È un sostegno che non poggia su alchimie politiche ma sullo spirito di sacrificio con cui donne e uomini hanno affrontato l’ultimo anno, sul loro vibrante desiderio di rinascere, di tornare più forti e sull’entusiasmo dei giovani che vogliono un Paese capace di realizzare i loro sogni. Oggi, l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere. Ma è un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce tutti: l’amore per l’Italia.”
Così chiudeva la relazione che il Presidente del Consiglio aveva letto ai Senatori della Repubblica, dopo che aveva incassato quel giorno prima il consenso plebiscitario dal Senato della Repubblica.
In climi di guerra, si potrebbe sintetizzare il tutto con una di quelle frasi che si leggevano fino a qualche tempo fa e scritte, su molti muri, dalla propaganda fascista: “credere, obbedire e combattere”. Ma paradossalmente neanche quelli di Fratelli d’Italia, che sono in qualche modo eredi di quella cultura, sembrano crederci tanto, ponendosi - anche per opportunità palesemente strategiche - a esercitare il ruolo di unica forza politica di opposizione (escluse le altre piccole fronde sinistrorse).
In verità, non ci crederete, ma anche la guerra veniva accennata nell’esordio del discorso, quando affermava che “Il principale dovere cui siamo chiamati, tutti, io per primo come Presidente del Consiglio, è di combattere con ogni mezzo la pandemia e di salvaguardare le vite dei nostri concittadini. Una trincea dove combattiamo tutt'insieme. Il virus è nemico di tutti.” Ed è questo un concetto su cui ritorna anche più avanti con le parole: “Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi dell’immediato Dopoguerra, la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una Nuova Ricostruzione.”
L’unico pronunciamento chiaro aveva riguardato, nel discorso al Senato, il “Next Generation EU, ove veniva detto: “come si è ripetuto più volte, avremo a disposizione circa 210 miliardi lungo un periodo di sei anni.” Del resto è ampiamente risaputo, anche ai cittadini più sbadati e distratti, che questa è stata la vera causa della caduta del suo predecessore Conte (di cui si accingeva a copiare molto del compito già svolto), ma ciò non poteva essere certamente ne scritto, ne nemmeno detto.
Sull’affermazione che “nel campo della giustizia le azioni da svolgere sono principalmente quelle che si collocano all’interno del contesto e delle aspettative dell’Unione europea”, non si capiva bene se il riallineamento a cui si accenna riguardava anche quello diferito all’Italia in tema di prescrizione.
Tralasciando tutte le frasi di rito, nel suo debutto alla Camera, fa come usava fare a suo tempo il Maestro Paganini, che non si ripeteva. Gli Onorevoli Deputati li rimandava a leggersi quindi le dichiarazioni già rese il giorno prima nell’altra aula, con un protocollo (come oggi si usa dire in tempo di Covid) alquanto inconsueto. Forse la premura è tanta, non c'è tempo da perdere e il Paese aspetta (??).
Con una relazioncina che, questa volta, è limitata a poco più di una sola paginetta, Il PdC risparmia sulla stentorea lettura del bollettino economico nazionale. Qualcuno gli avrà forse fatto notare che di quella sfilza d'informazioni se ne poteva fare a meno, stante che sono facilmente consultabili e disponibili attraverso le produzioni statistiche pubbliche.
Nell’occasione cerca di recuperare su quanto, però, era colposamente assente nella prolissa (??) relazione programmatica enunciata al senato. Qualche parola di più si viene, infatti, a spendere sull’impegno prossimo futuro per la lotta all’illegalità, alle mafie, alla corruzione e quant’altro.
Accorpando l’intervento alla Camera dei Deputati con quanto aveva già detto ai Senatori il giorno prima, si potrebbe - con generosità concessa "in fiducia" - anche dare atto della buona volontà e dei buoni propositi elencati, però, in forma troppo succinta e, scolasticamente, votabile pure come insufficiente. Più che delle relazioni programmatiche, quelle recitate nei due ambiti parlamentari, possono solo definirsi delle letture di una serie di appunti, una specie di promemoria della spesa e niente di più.
Sicuramente, come sembra che abbia già ripetutamente detto ai suoi accoliti, occorrerà giudicare questo Governo solo per i fatti ("parlare con i fatti" è il nuovo motto). Non occorrerà illudere, pertanto, i cittadini o promuovere in loro eccessive aspettative.
Il governo del paese ormai è da oggi “cosa loro”, cioè di loro esclusiva competenza. Chissà, forse avendogli accordato la fiducia, potrebbe diventare pure “cosa nostra”.
I risultati per il voto di fiducia del giorno prima al Senato erano stati: favorevoli 262, contrari 40 e 2 astenuti. Alla Camera dei Deputati, invece: i Si sono risultati 535, i no 56 e 5 gli astenuti.
Un inciso che inserisco alla fine è rilevare il lunghissimo applauso che alla Camera ha accompagnato l'argomento "Carceri" (accertabile attraverso la registrazione postata anche su You Tube). Qui, ci si astiene da qualsiasi commento; perchè ogni considerazione risulterebbe come "voler vincere facile".
Su eventuali considerazioni e ogni commento riguardante il dramma dei Cinque Stelle e i dissensi palesati, si stende un velo pietoso, ma chi rimane curioso può anche leggere l'esaustivo editoriale di Marco Travaglio pubblicato su Il Fatto Quotidiano di oggi.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

mercoledì 17 febbraio 2021

Il suo nome era cerutti gino ma lo chiamavan drago


Il nuovo Governo Draghi debutta per la fiducia al senato di giorno 17. Non so a voi, ma a me il 17 piace e fino ad ora non mi ha mai portato sfortuna.
Mi accingo a leggere il discorso che ha pronunciato.

Nelle due prime pagine trovo un mix di stereotipi e frasi fatte, forse anche frutto di un laborioso copia/incolla sempre in auge, tecnica compositiva e redazionale di cui si fa abbondante uso in molte realtà e specie in una di provenienza dello stesso Capo del Consiglio.
Certo metterci anche Cavour mi è sembrato un po’ esagerato, ma tant’è.
Determina perplessità comunque da subito il “si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d’accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese” se dopo poco viene associato a “nel rispetto che tutti abbiamo per le istituzioni e per il corretto funzionamento di una democrazia rappresentativa, un esecutivo come quello che ho l’onore di presiedere, specialmente in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, è semplicemente il governo del Paese. Non ha bisogno di alcun aggettivo che lo definisca”. Ci sarà certamente qualcuno bravo che sarà in grado spiegarlo.
Nella terza pagina “Lo stato del Paese dopo un anno di pandemia” viene fuori il Draghi BCE o ex Governatore conferenziere, fate voi, che rendiconta un bollettino economico facilmente consultabile perché di pubblico dominio e alla portata di tutti.
Quarta pagina “Le priorità per ripartire” e qui, escludendo quanto già programmato dal Governo Conte, vengono poste in luce considerazioni ovvie sulle deficienze causate dalle gestioni passate e prospettate iniziative presenti negli intenti del Mandato precedente.
Andiamo alla quinta pagina “Oltre la pandemia” e qui troviamo una bella frase ad effetto che pone anche un quesito importante, che forse a qualcuno era sfuggito porsi: “Quando usciremo, e usciremo, dalla pandemia, che mondo troveremo? Alcuni pensano che la tragedia nella quale abbiamo vissuto per più di 12 mesi sia stata simile ad una lunga interruzione di corrente. Prima o poi la luce ritorna, e tutto ricomincia come prima. La scienza, ma semplicemente il buon senso, suggeriscono che potrebbe non essere così.” Per dare maggiore spessore, eccoti servito anche un riferimento a Papa Francesco, perché in un paese cattolico è un buon viatico. Poi viene calato un pensiero profondo: “Uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce. Questa osservazione, che gli scienziati non smettono di ripeterci, ha una conseguenza importante.”
Ancora, un’altra bella frase, probabilmente ispirata da qualche documento redatto in sede europea. “La risposta della politica economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione, di politiche finanziarie che facilitino l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito e di politiche monetarie e fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create.”
A pagina sei si affrontano: la parità di genere, il Mezzogiorno, gli investimenti pubblici; ma nessun cenno viene fatto sulle eventuali iniziative concrete che si hanno in mente o che s'intendono mettere già da subito in campo. Generiche proposizioni amalgamano situazioni di fatto e carenze risapute, tutto il resto è speranza e visioni.
Ecco, dopo ben sei pagine alla settima si arriva al punto nodale che ha determinato la crisi di governo: “Nex Generetion EU”.
“Il precedente Governo ha già svolto una grande mole di lavoro sul Programma di ripresa e resilienza (PNRR). Dobbiamo approfondire e completare quel lavoro che, includendo le necessarie interlocuzioni con la Commissione Europea, avrebbe una scadenza molto ravvicinata, la fine di aprile. Gli orientamenti che il Parlamento esprimerà nei prossimi giorni a commento della bozza di Programma presentata dal Governo uscente saranno di importanza fondamentale nella preparazione della sua versione finale. Voglio qui riassumere l’orientamento del nuovo Governo. Le Missioni del Programma potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno quelle enunciate nei precedenti documenti del Governo uscente, ovvero l’innovazione, la digitalizzazione, la competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per la mobilità sostenibile; la formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere, generazionale e territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva. Dovremo rafforzare il Programma prima di tutto per quanto riguarda gli obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano.”
A questo punto mi disoriento non poco. Se il precedente Governo non era all’altezza, perché si intende continuare quanto era già stato elaborato e portato avanti dallo stesso, senza peraltro sconfessare nulla? Qualcuno dirà che gli appaltatori col nuovo Governo saranno differenti, ma questo l’avevamo capito anche da noi, non occorreva certo un drago.
Certo “Il ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione. Compito dello dello Stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione,dell’incentivazione e della tassazione.” Ma dove sta il nuovo? Forse il Governo Conte ha affermato che non avrebbe valutato con attenzione? Qualcosa sfugge.
In ulteriori due paginette è bell'è finito il tema centrale che ha indotto alla crisi di governo e all’incarico per un nuovo mandato: si parla delle riforme. Era ora, osserverà qualcuno.
Al riguardo s’informa giustamente qualche distratto che “Il Next Generetion EU prevede riforme”. Ci si attenderebbe ora un’ampia relazione sugli intendimenti di questo nuovo esecutivo, ma ben presto si rimane delusi, perché ad ogni problematica viene dedicato in media un massimo di cinque frasi.
I paragrafi sono sedici e farli rientrare tutti in due paginette scritte a carattere “Helvetica 15” assomiglia molto a quelle tesi di laurea, non destinate certo ad essere pubblicate. Di quelle che adottano interlinee e spazi finalizzati principalmente ad aumentare il numero delle pagine dell'elaborato.
La cronaca riferisce che il discorso è durato una cinquantina di minuti (applausi compresi). Chi non ci crede potrà verificare il tutto andando a visionare la registrazione postata su You Tube https://youtu.be/zFm54EwGlMo.

Buona luce a tutti.

© ESSEC

P.S. – Dimenticavo di dire che la lettura del documento e la visione su You Tube, mi hanno ricordato molto una vecchia e notissima performace di Petrolini che evocava, a suo modo, Nerone e che alludeva al ventennio https://youtu.be/iMcAIMVxa9s. Potremmo pure rifarci a Tognazzi, nel capolavoro"Amici miei" di un altro Mario, Monicelli, in questo caso. Un'altra precisazione che è d'uopo fare è che il titolo attribuito all'articolo pezzo è stato preso dalla famosa canzone di Giorgio Gaber https://youtu.be/IyhRJnacMEk ; ma in questo caso non c'è nessuna allusione, perchè ci si riferisce ad altro.

L'amico che d'abitudine è portato spesso a commentare i miei scritti dice: "Complimenti. Hai le qualità per fare il cronista politico, visto che in poco tempo hai scritto un convincente (e severo) commento alla relazione. In sintesi, stai affermando che il programma presentato è in bilico tra il “non dire nulla precisamente” e il “non dire precisamente nulla”. Ma saranno proprio queste capacità una dote politica? 🤣🤣🤣". Anche questo, a parer mio, meritava di essere citato!

martedì 16 febbraio 2021

Giuseppe Conte


Ho lavorato nel “Palazzo”, occupando la “poltrona” più importante. Ma tra i corridoi e gli uffici di Palazzo Chigi, anche alla fine delle giornate più dure e dopo le scelte più gravose, ho sempre avvertito l’orgoglio, l'onore e la responsabilità di rappresentare l'Italia.
Sono grato a Voi cittadini per il sostegno e l'affetto, che ho avvertito forti e sinceri in questi due anni e mezzo. Ma vi sono grato anche per le critiche ricevute: mi hanno aiutato a migliorare, rendendo più ponderate le mie valutazioni e più efficaci le mie azioni.
La forza e il coraggio dimostrati dalla intera comunità nazionale soprattutto durante quest’ultimo anno di pandemia sono stati davvero incredibili: ci hanno dimostrato che ogni ostacolo, anche il più alto e insidioso, può essere superato, scacciando via le paure e i calcoli di convenienza, fidando nel coraggio dell’azione, nella determinazione dell’impegno, nell’etica della responsabilità. Io stesso ho cercato di far tesoro di questa esperienza, pur con i miei limiti, ma - vi assicuro - con tutto il mio impegno e la mia massima dedizione.
Da oggi non sono più Presidente del Consiglio. Torno a vestire i panni di semplice cittadino. Panni che in realtà ho cercato di non dismettere mai per non perdere il contatto con una realtà fatta di grandi e piccole sofferenze, di mille sacrifici ma anche di mille speranze che scandiscono la quotidianità di ogni cittadino.
È davvero necessario che ognuno di noi partecipi attivamente alla vita politica del nostro Paese e si impegni, in particolare, a distinguere la (buona) Politica, quella con la - P - maiuscola, che ha l’esclusivo obiettivo di migliorare la qualità di vita dei cittadini, dalla (cattiva) politica, intesa come mera gestione degli affari correnti volta ad assicurare la sopravvivenza di chi ne fa mestiere di vita.
Insieme a tanti preziosi compagni di viaggio abbiamo contribuito a delineare un percorso a misura d’uomo, volto a rafforzare l’equità, la solidarietà, la piena sostenibilità ambientale. Il mio impegno e la mia determinazione saranno votati a proseguire questo percorso. La chiusura di un capitolo non ci impedisce di riempire fino in fondo le pagine della storia che vogliamo scrivere. Con l’Italia, per l’Italia. Grazie.

F.to Giuseppe Conte

lunedì 15 febbraio 2021

Il parto cesareo e i gemelli eterozigoti


Di certo sono state tante le stranezze politiche che hanno costellato i quasi settanta anni di vita della Repubblica, ma un governo “fiduciato” da onorevoli mascherati, con sedute alle due camere programmate per i giorni di chiusura di un carnevale costituisce un unicum internazionale e che passa alla storia.
Altri precedenti storici analizzati hanno in parte poi chiarito perplessità sulla costituzione della nazione unificata, considerati anche i Mille avventurieri mal equipaggiati che riuscirono nell'impresa; anche il successo della “marcia su Roma” dei pochi fascisti ebbe ad alimentare dubbi, così pure la semplicità dello sbarco alleato, facilitato e supportato dagli italiani d’America e non solo.
Ma, in assoluto, un governo che andasse a nascere in pieno carnevale è un unicum mondiale che sublima l’originalità italiana che prevale sempre e non si pone limiti.
In ogni caso, ad oggi, un nuovo Governo è stato appena costituito, anche se il Premier non ha ancora esposto il suo programma. “Parlare con i fatti” sembra essere il nuovo mantra che il Premier Draghi avrebbe ufficialmente indirizzato ai suoi collaboratori e all’intera compagine ministeriale (così hanno ufficialmente riportato i media e così risulta dalla lettura degli articoli pubblicati dalla carta stampata). Una prassi strana, inusuale e bizzarra anche questa.
Stressando l’originalità di questo esordio, implicitamente il suddetto mantra somiglierebbe a un modo di fare risaputo e pure inflazionato. Potrebbe un pò accostarsi, infatti, a un altro detto famoso, come al voler scandire quella frase del Marchese del Grillo che, rivolgendosi a sudditi e plebei, ribadiva con somma baldanza: “Mi dispiace, ma io so' io e voi non siete un cazzo!”
Nella vita pratica, specie in quella amministrativa, non è però compito facile quello di cercar d’imporre disciplina in una ammucchiata eterogenea e composita dalla strana forma, anche per le conflittualità congenite, frutto di differenze insopprimibili.
In tutto questo anche l’operazione del Grillo ligure appare opaca, per non dire strana; sicuramente irrazionale, se accostata al principio della storia movimentista: ab origine.
Questo harakiri politico che porta all’incomprensibile rinuncia a far valere il peso parlamentare del 32% conseguito alle ultime elezioni indurrebbe quasi a pensar male. Nel migliore dei casi manifesterebbe un’incapacità assoluta nel saper negoziare in modo intelligente una valenza politica consolidata e così rilevante (al di là della casualità e l'emotività italiota che l’abbia anche occasionalmente generata).
Cedere tout court tutti i ministeri cardine, oltre ad abdicate sulla presidenza del consiglio e al relativo sottosegretariato collegato (naturale appannaggio al partito di maggioranza relativa), apparirebbe come una stupidità politica, a voler essere buoni, e dal contenuto assolutamente irrazionale.
E dire che gli interventi di Beppe Grillo erano fin qui sempre stati lungimiranti e opportuni. E allora? Non vorremmo ipotizzare che ciò sia frutto della presa di coscienza dell’incapacità della sua compagine nella gestione del governo del paese. Questo, nel caso, sarebbe stato il risultato di un'improvvisazione, un vero dramma non solo per lui, ma anche per noi italiani.
Qualcuno, atteso che i figli so’ pezze e core, mette in campo aspetti personali che potrebbero preoccupare il fondatore, magari anche legati alla vulnerabilità del figlio coinvolto in questioni che attendono ad imminenti pronunciamenti di natura giudiziaria. Altri potrebbero, invece, prospettare una deliberata volontà di voler sfasciare il giocattolo M5S, anche se è risultato un capolavoro per l’aver concretizzato un mix di assurdo e utopia. Non si capisce quale potrebbe essere la realtà dei fatti, quali potrebbero essere stati i discorsi preliminari propedeutici alla realizzazione di questo nuovo governo. Chissà? La storia di domani forse ci saprà dire qualcosa.
Tornando all’attualità e alla politica concreta, andando ad analizzare la composizione della nuova compagine governativa, appare alquanto evidente quanto ha già fatto notare Antonio Padellaro nel suo acuto scritto pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” di domenica 14 ("Prima Mario, poi ancora Draghi"), che può così sintetizzarsi: i ministeri e tutto quanto attiene alla gestione e alla spesa dei famosi cospicui fondi europei è mantenuto di fatto a esclusivo appannaggio del Primo Ministro e dei suoi cortigiani di fiducia; tutto il rimanente, legato all’amministrazione del governo ordinario della nazione, è concesso e spartito (in modo forse anche iniquo, tenuto conto del reale peso politico rappresentativo delle forze in campo, così com'è risultato dalle elezioni) all’accozzaglia politica, destinata a continuare a beccarsi per accaparrarsi le poche briciole economiche, chiaramente marginali rispetto al “gran malloppo accordato dall’UE”.
Si dirà e la pandemia, la vaccinazione? Il povero Speranza e il suo malcapitato comitato di esperti dovrà sobbarcarsi quella rogna complicata. In questa sua missione impossibile il confermato ministro della sanità di pazienza ne dovrà avere proprio tanta, anche perchè non potrà neanche più avvalersi dell'esperto politico mediatore - quale è stato Boccia - che, al di là di ogni appartenenza a fazione o quota, aveva ampiamente dimostrato sul campo le capacità che deve avere un politico di vecchia scuola. Sentito il nome del nuovo ministro per il rapporto con le regioni sicuramente il grande Totò avrebbe esclamato: "ma mi faccia il piacere". L'estromissione di Francesco Boccia sarà stata accolta certamente con gran giubilo dagli starnazzanti furbastri e multicolorati governatori.
In pratica il decantato capolavoro di Draghi non appare nella realtà proprio tale. Il suo risulta essere come un parto “cesareo” gemellare improvvisato, che ha portato alla luce due governi eterozigoti: uno destinato alla gestione straordinaria (di serie A collegata all’UE e agli ormai mitici 209 mld), l’altro malaticcio fin dalla nascita, con i soliti difetti, i soliti ministeri, le solite beghe, i soliti politicanti (chiaramente di serie cadetta rispetto ai “tecnici dei migliori”).
In questo scenario che appare un po’ temerario e presuntuoso non si prospettano futuri felici, nè tempi sereni, anzi. Risulterebbe difficile anche alla tata superesperta saper gestire una tal complicata situazione.
Già taluni badanti (Sinistra Italiana) con abile maestria politica, sono riusciti a dare dimostrazione di come siano diversi i desiderata rispetto a quella che è da sempre la realpolitik italiana. LEU è riuscita a spuntare subito un ministero e già parte della sua coalizione (Fratoianni, per la cronaca) si sta defilando nel non assicurare il presupposto supporto.
Sul fronte M5S, ci sarebbe d’aspettarsi ora che anche i dissidenti del movimento grillino facessero la loro parte. Manifestassero cioè apertamente il loro dissenso, disconoscendo l'adozione dei due gemelli neonati di DNA incerto. Anche qui, il realismo politico dovrebbe far riflettere gli interessati (considerati anche i limiti connessi a un improbabile, per loro, possibile secondo mandato) e, quindi, indurli a prendere coscienza sul fatto che molti di loro non hanno prospettive e alcuna opportunità di accedere nel prossimo parlamento di domani.
Un vaffa interno potrebbe pure risultare salutare in tutta questa confusione, per dare una coerenza storica a questa legislatura, che li vede attori come espressione della vera anima di un Movimento idealista, che li ha portati a vivere un’incredibile avventura. E l’utilizzo o no dell’ormai famosa Piattaforma Rousseau o quant’altro strumento ha poca importanza in questo caso.
Intanto nei social si moltiplicano iniziative spontanee (che saranno pure nostalgiche e idealiste) e raccolte di firme a sostegno dell'ex presidente Conte, un uomo prestato alla politica, benvoluto da molti cittadini, encomiabile per coerenza e l'opportuna assai necessaria affabulazione.
Per concludere si osserva che il Capo dello Stato, che da buon siciliano, conosce bene un vecchio proverbio dei suoi luoghi, forse, dovrebbe far partecipe anche il suo Primo Ministro che ha già prestato giuramento. Ci si riferisce a quel detto che invita sempre alla prudenza, quella che spesso conclude con una presa d'atto: “iu pi futtiri e fu futtutu” (alias: andò per fregare e venne fregato”), che certamente può costituire un buon suggerimento anche per un uomo esperto e navigato quale è Mario Draghi.

Buona luce a tutti!

© Essec

mercoledì 10 febbraio 2021

Il prossimo mercoledì, 17 febbraio, è il giorno delle "Ceneri".


L’ultimo comunicato stampa dell’alto Gabinetto riportò l’annuncio: “Si pregano tutti gli interessati a pronunciarsi al più presto. Il carnevale di quest’anno si chiude infatti il 16 febbraio e il tempo ormai rimasto per gli inviti è assai breve. Si ricorda altresì che gli intervenuti dovranno munirsi tutti di mascherina”.
Le varie segreterie che ricevettero il comunicato andarono in fibrillazione e così anche i rispettivi leaders, che da tempo non partecipavano più a feste carnascialesche a causa della pandemia, pensarono bene di buttarsi in quella mischia che preannunciava una gran bella carnevalata.
Nessuno ebbe a preoccuparsi per i costumi e le maschere, atteso che con le mascherine non sarebbero stati immediatamente riconoscibili, specie in quella che sarebbe stata una gran baraonda.
Nessuno pensò più ai programmi o a chiedere se ce n’era già pronto uno, nemmeno agli inviti ad personam atteso che il comunicato era stato rivolto erga omnes, senza pregiudiziali politiche o appartenenze varie.
Sarebbe stata un’ammucchiata perfetta per legittimare il Re Carnevale 2021, per quest’anno che si preannunciava pure esso nefasto come lo era stato già quello precedente.
Il cavaliere, il bomba e l’innominato furono i primi ad aderire all’invito, anche perché si erano molto prodigati per l’organizzazione di quell’evento. Del resto i ritrovi con ammucchiate e tanti scambisti erano sempre stato il loro punto debole.Erano tutti uomini di mondo e navigati da sempre.
Gli altri, che esibivano una certa reputazione, argomentando sulla necessità di non poter esimersi nel cercare di risollevare l’umore e gli entusiasmi da tempo intristiti, arzigogolando sull’opportunità dell’uso delle maschere, accettarono anch’essi l’invito, purchè fossero tutti quantomeno forniti e indossassero una propria mascherina.
Mascherine e maschere avrebbero confuso tutto e eventuali discorsi o nuove riconversioni, in quel bordello, avrebbero portato tutti facilmente fuori strada su chi fosse chi e su cosa ciascuno avesse eventualmente detto.
Per l’adesione così numerosa, registrata inaspettatamente dallo stesso Gabinetto che aveva emanato l’annuncio, venne cambiata la scelta del salone che avrebbe ospitato la festa.
In ogni caso non occorreva organizzare particolari giochi a premi e cotillon …… anche perchè non ci sarebbe stato più il tempo, erano già tutti così entusiasti nell’esserci fra gli invitati …… bastava solo che ognuno portasse in proprio, coriandoli, stelle filanti, trombette e cappellini …… per le maschere, ciascuno avrebbe fedelmente mantenuto coerentemente la propria.

Chi mi ha già letto mi suggerisce la famosa frase del sommo poeta «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!» Più che appropriata per questo pezzo. Scriveva infatti così Dante Alighieri nella sua Divina Commedia, precisamente nel VI canto del Purgatorio, che come ogni VI canto, in tutte e tre le cantiche, è dedicato ai temi politici.

Buona luce a tutti!

© Essec

martedì 9 febbraio 2021

«O capitano! Mio capitano!»


Chi non ha mai visto il film “L'attimo fuggente (Dead Poets Society)” del 1989 con protagonista Robin Williams. Quanti non si sono commossi nel vedere le scene finali.
Anche DiBa era in fondo un romanticone e qualche tempo fa, consultando wikipedia, aveva letto la trama che lo portava adesso a rivivere le immagini del film che andava così a riassumersi fantasticando.
John Keating, insegnante di letteratura trasferito nel collegio maschile Welton, nel Vermont, ha un approccio didattico originale che spinge gli alunni a distinguersi dagli altri e a seguire la propria strada; inoltre spiega ai suoi studenti che la poesia non è un elemento geometrico ma il sentimento dell’uomo.
Nel suo d’insegnamento Keating adotta un suo originale metodo che entusiasma e sembra contagiare i ragazzi (anche se la sua didattica infastidisce sia il preside che la classe insegnante conservatrice).
I metodi anticonformisti del professore sono tollerati malvolentieri e, quando succede un’imprevedibile tragedia, che stravolge tutto e mette in discussione i ruoli di ciascuno, il professore viene sollevato dall’incarico. La cattedra di lettere è, quindi, affidata provvisoriamente e fino al completamento dell'anno accademico al preside.
Keating, durante la lezione tenuta dal nuovo docente entra nella classe per raccogliere i suoi oggetti personali, e in quel momento Todd sale coraggiosamente sul proprio banco (per mostrare di aver compreso e recepito l'incoraggiamento del suo professore; a "guardare cioè le cose da angolazioni diverse") e ne richiama l'attenzione pronunciando la frase «O capitano! Mio capitano!».
Una frase chiave per il professore, poiché era il modo con cui lui voleva essere chiamato; subito dopo, tanti altri ex allievi compiono lo stesso gesto, mentre il professore si allontana dopo aver detto «Grazie, figlioli», comprendendo che qualcosa ha lasciato di suo in quegli studenti e hanno voluto ringraziarlo dedicandogli un ultimo saluto.
DiBa riflette, sogna e accosta i momenti del film a quanto gli sta accadendo oggi. Il suo mentore è stato per l’appunto appena rimosso, il suo preside ha ripreso le fila politiche di un movimento confuso e che non riesce più a vedere e razionalizzare. In una cosa però lui si riconosce immediatamente e s’immedesima in “Todd”. Vorrebbe anche lui fortemente salire sul suo scranno, che invece non ha, per aver rinunciato a candidarsi in un’elezione che era sicura.
Ora, fantasticando, trasla quelle scene del film alla realtà politica che sta vivendo, che coinvolge sia lui che tutti i compagni del movimento.
Idealmente, nell’aula istituzionale dove sarebbe potuto essere, si immagina nel saltare sul suo banco ….. e, mentre il presidente della Camera o del Senato avrebbero ripetutamente richiamato all’ordine, rivolgendosi al suo Primo Ministro, avrebbe detto le stesse parole che nel film Todd rivolse al suo Keating: «O capitano! Mio capitano!». Non potè però verificare, neanche in sogno, il prosieguo della sua fantasticheria, perchè un suono molesto entrò in campo a risvegliarlo e non permise di vedere quanti sarebbero stati - fra i tanti - i compagni che avrebbero emulato quel suo gesto.
DiBa si destò col cellulare che squillava con insistenza, la memorizzazione del numero mostrava che chi lo stava chiamanto era proprio Beppe.

Buona luce a tutti!

© Essec

lunedì 8 febbraio 2021

Letizia: “Mi prendo il mondo ovunque sia”

L’esperienza mi porta sempre più a convincermi che spesso la casualità è solo un momento d’incontro di situazioni/persone che in verità magari si cercavano da tempo.
Nel libro su Letizia Battaglia, edito da Einaudi e ottimamente scritto da Sabrina Pisu, sono racchiusi tanti spaccati, racconti, luoghi, ambienti, le tante vicissitudini intrecciate e maturate all’interno di una vita composita e complessa.
La Battaglia, per una serie di circostanze conseguenti alla continua voglia di muoversi, dopo la separazione dal marito, al fianco del nuovo compagno di vita Santi Caleca, si è imbattuta quasi per caso nel fotogiornalismo, maturando con la sua intensa attività lavorativa esperienze e sperimentando nuove formule di reportage.
Milano costituisce la base nel suo lungo soggiorno fuori Palermo che le consente di conoscere ambienti esclusivi nel dinamico sessantotto culturale meneghino del tempo. Qui ha l’opportunità di frequentare circoli e personaggi autorevoli dello spettacolo, immergendosi interamente nel fermento creativo che caratterizza quegli anni.
Il suo ritorno nella sua Palermo da fotografa, accogliendo l’opportunità offertale dal giornale L’Ora, coincide con un momento particolare per la storia siciliana che la indurrà ad operare secondo schemi che produrranno immagini esclusive di una guerra civile che stava intanto sconvolgendo la città. Mettendo anche a frutto, con le sue foto, metodi innovativi di ripresa, che costituiranno una rivoluzione nel reportage giornalistico connesso alla cronaca giudiziaria.
Con a fianco Franco Zecchin, fotograferà le scene di guerra di mafia che ammorberà Palermo.
Certe lacune tecniche - riconosciute dalla stessa Battaglia e che forse ancora esistono – paradossalmente hanno enfatizzano il suo modo di fare fotografia, irruento e passionale, che ha prodotto risultati sorprendenti.
Le sue immagini, che si completano con il modo più distaccato di fotografare di Zecchin, evidenziano uno sguardo diverso e aperto, messo in campo da una donna disinibita, curiosa, libera ma sempre pienamente coinvolta.
Anche se la formazione culturale nel mondo della fotografia ha certamente risentito della vicinanza e della professionalità dei suoi compagni, il suo metodo di fare fotografia è frutto di un’elaborazione personale che potremmo ben definire spontanea e sostanzialmente istintiva.
Nella prima parte del libro, dedicato agli ottantacinque anni di vita, Letizia, racconta tutto di se; i bianchi, i neri e tutte le tonalità di grigio, narrando aspetti e particolari che solo chi le è stato molto vicino può conoscere.
Nella narrazione mette in luce anche le tante ombre della società maschilista presente pure a Palermo e indica le tappe e i tanti cambiamenti che hanno condizionato le sue variegate scelte. I desideri reconditi fin da bambina, le fughe, le iniziative coraggiose che non hanno mai generato rimpianti perché non propensa ai compromessi.
Il guardare sempre avanti è stato per la Battaglia come continuare a ricercare con perseveranza quella terra promessa idealizzata e alla quale ha sempre ambito. Le prime centoquaranta pagine del volume raccontano la storia di una donna del sud irrequieta per il suo tempo, dalle grandi ambizioni cui non ha voluto mai rinunciare e i fatti alla fine le hanno dato pienamente ragione.
Nelle restanti pagine del libro Sabrina Pisu, nel riportare le interviste fatte ai diversi personaggi che hanno accompagnato la lunga traversata della Letizia Battaglia, donna, fotografa, imprenditrice, si sofferma per focalizzare gli aspetti e i fenomeni che hanno caratterizzato la Palermo di fine secolo.
Un ampio racconto descrive quella che fu la realtà editoriale costituita dal giornale L’Ora, in parallelo alle storie di mafia che hanno interessato quei tempi. Non può mancare nella ricca biografia la figura di Leoluca Orlando e anche dei cenni alla “Primavera palermitana” che ha accomunato tanti.
Tornando a Letizia Battaglia, i tanti successi e i tanti attestati internazionali oggi la consacrano nel “gotha culturale” internazionale e la collocano fra le maggiori fotografe del nostro tempo.
In conclusione, può condividersi anche la chiave indicata riguardo alla sua complessa storia, là dove Letizia sposa la frase della fotografa turca Nilüfer Demir che, riferendosi all’immagine del piccolo Aylan morto, dalla stessa fotografato nella spiaggia turca di Bodrum, afferma “sono nata forse per fare quella fotografia”. Questa è anche la domanda che spesso ci poniamo in tanti, anche per cercare di dare un senso più in generale alla nostra vita.
Chi vorrà leggere questo libro scritto a quattro mani da Letizia Battaglia e Sabrina Pisu, dal titolo “Mi prendo il mondo ovunque sia – Una vita da fotografa tra impegno civile e bellezza”, avrà modo di conoscere la Battaglia e di ripercorrere una parte della storia turbolenta della sua Palermo.
Buona luce a tutti!

© Essec

mercoledì 3 febbraio 2021

La peperonata e i sogni


Ricevo e pubblico volentieri questo racconto surreale, ironico per quanto basta e che induce anche a delle riflessioni.

© Essec

 

Beppe è testardo e ostinato, aveva deciso di mangiare quella sera la peperonata, pur sapendo che gli sarebbe risultata indigesta e gli avrebbe certo procurato una brutta nottata.

Altro che arsura e accenni di acidità, quella notte fu una sequela di sogni inverosimili. Appena si addormentava vedeva un drago buttafuoco che inseguiva non solo lui ma anche tutti i ragazzi che gli stavano attorno e che incarnavano la sua creatura politica del movimento.  

Per cercare di ovviare, prese un sonnifero. Il sonno arrivò subito ma anche un nuovo sogno, più lungo, articolato e simile al reale.

Con la sua mente fantasiosa immaginò che ormai i defunti d’oltre tomba avevano ricevuto una forma di delega regolamentata dal padreterno, che consentiva loro di continuare l’esistenza ultraterrena raccordandosi in circoli, club e associazioni coerenti con la vita trascorsa in terra.

C’erano quindi gruppi di religiosi, di atei, di scienziati, di professori universitari e anche di gruppi misti che, in qualche modo, si rifacevano a partiti politici ed altre forme di associazioni specifiche.

Così c’era anche qui, nell'altro mondo, una cupola malavitosa, con lo stesso assetto e di cui facevano parte anche i vari Luciano, Bernando, Totò, Michele e tanti altri, così come era stato per loro in vita. 

Poiché a tutti i gruppi era concesso di mantenere in terra il più possibile un loro terminale vivente (longevo quindi), la congrega avrebbe potuto però solo sceglierne uno e uno soltanto. Venuto meno Giulio, questi avevano unanimemente optato per trattenere come loro rappresentante in terra il geniale e insuperabile Silvio.

Dio era ormai scoraggiato con gli uomini. Il suo ultimo tentativo per aggiustare le cose lo aveva fatto duemila anni prima, ma per com’era andata, aveva ormai deciso di disinteressarsi dall'intervento diretto sulla razza umana e di concedere alle anime trapassate, di organizzarsi da loro anche nel tentare di condizionare e intercedere sull’umanità di riferimento dei viventi. E, nella sua scelta, non aveva certo tutti i torti, dopo che gli avevano ucciso il figlio mandato in terra per portare l'umanità verso la rettitudine e pure mettendolo in croce; non certo una cosa bella!

Nell’assemblea dei così detti “Giusti” Andrea si sollevò veramente adirato e rivolgendosi a Piersanti disse: “ora mi avete rotto proprio i cabbasisi, non è che posso sempre fare tutto io nel cercare di aggiustare le cose, Piersanti pensaci tu, adesso tocca a te”. 

Questi gli rispose: “ma tu che sei un fine romanziere, sai come funzionano le cose, certe trame, specie se ingarbugliate ……”. 

"Si, va bene, ma non posso fare i certo i miracoli. Il materiale umano disponibile è mediocre e non posso realizzare l’impossibile con questa razza di viventi. Ora basta, mi arrendo, passo la palla, tocca ad un’altro.”

Carlo Alberto, che a sua volta era morto crivellato, pur con ancora o forse perchè con addosso tante lucide idee per ristabilire un minimo di legalità nella sua terra (che non gli fu permesso di attuare) accondiscese al discorso disarmante d'Andrea e considerati i tempi e le persone, indicò anche lui in Piersanti l’anima adatta per tentare di assolvere al delicato ruolo.

Piersanti capì perfettamente la delusione degli astanti e promise che si sarebbe speso per cercare di persuadere in sogno il fratello Sergio, visto che ormai - per quanto stava succedendo - sembrava proprio “preso dalla botta”.

Quindi, prendendo l’impegno solenne in uso fra le anime, rivolgendosi agli accoliti convenuti disse: “Va bene, stanotte andrò in sogno a mio fratello Sergio per cercare di fare con lui un po’ il punto della situazione. Mi auguro di riuscire a cavare qualcosa da questa che si prospetta come un’ingarbugliata matassa, che non mostra un capo.”

Così accadde che la notte del 3 febbraio 2021 il mite Sergio, cadde anch'egli nella tentazione culinaria della peperonata serale, poco consigliabile, specie se mangiata poco prima di andare dormire. 

Fece anche lui un sogno che generò il collegamento, in cui gli comparve il compianto fratello defunto.

“Caro Sergio, gli disse Piersanti, ma non è che con il fatto che tutti ti adulano dicendo che sei il presidente più saggio che abbia avuto l’Italia repubblicana, ti sei un pò confuso il cervello?” Aggiunse: “Ma hai capito bene i personaggi con cui hai a che fare? La scuola democristiana tu la conosci bene, quindi dovresti essere avvezzo e vaccinato nel saper pesare gli uomini secondo quella metrica che sintetizzò tanto bene il nostro Leonardo conterraneo”. Ancora: “Non mi fare pentire delle mie tante intercessioni spese in paradiso per favorirti nell’ascesa e farti pure eleggere a Presidente, ora devi farti furbo da solo, anche perché dall’alto del tuo scranno non avresti più nulla da perdere, quindi sii giusto, avveduto e intelligente. Fai quello che devi fare e segui il tuo cuore. Mi raccomando!”

Piersanti, ultimata la sua missione, tornò fra i suoi convitati per tranquillizzarli sull’aver adempiuto al compito assegnato.

Qualcuno ebbe a dire che aveva detto poco in sogno, ma lui rispose: “tranquillizzatevi tutti, il messaggio è stato pienamente acquisito da Sergio. Del resto fra noi siciliani - e specie fra fratelli - non occorrono poi tante parole!”

C.V.

 


 

 

 


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