"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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Fotogazzeggiando: Immagini e Racconti

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domenica 3 agosto 2025

Una mattina, mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao



Tutto quanto si tenta di approfondire sempre più spesso appare banale, per il semplice fatto che si rimestano tematiche, per poi pervenire a considerazioni scontate.
È questo il modo del nostro interagire con quanto ci sta intorno, che vorremmo analizzare con argomenti nuovi per potere magari attenzionare e osservare cose ed eventi secondo angolature diverse rispetto al sentire comune che incanala verso il “pensiero unico”.
In modo figurativo però, tentando di accendere fari e spot per evidenziare aspetti particolari, si manifestano anche i paletti che indicano ripetitività e, ovviamente, quelli che sono i nostri limiti. Sempre più difficile è poi trovare argomenti per poter imbattersi in originalità interpretative, con modi di leggere e di pensare diversi.
Per non arrendersi al piattume e mantenere le sinapsi sveglie occorrerà continuare a inventarsi qualcosa e ricercare spunti per avventurarsi in nuove questioni che riescano magari a produrre coinvolgimenti, che intrighino, suscitando anche in altri interesse e riflessioni.
In questa chiave, quindi, si prende oggi spunto da un interessante articolo pubblicato sul numero di Fotoit di giugno, utile a intavolare dei ragionamenti per valorizzare l’importanza che dovrebbe avere la storia.

Prima di iniziare mi piace richiamare l’attenzione sul fatto che l’emancipazione è una condizione acquisita, ma alla quale però non sempre è prestata la giusta attenzione. Nella grammatica italiana corrisponde a un sostantivo che identifica un proprio status, sicuramente correlato a conquiste, a diritti civili e sociali. Un termine che ha anche molto a che fare con altri due, ovvero la riconoscenza e la gratitudine, che non tengono in giusto conto la provenienza delle opportunità ritrovate.

Fatta la dovuta premessa, veniamo al pretesto offerto da Pippo Pappalardo che, con il suo attento articolo, ha voluto mettere in luce ed evidenziare il contributo prestato dalle donne partigiane e, specificatamente, nella resistenza italiana.
L’intento confessato era quello di voler richiamare in origine l’attenzione al libro “L’Agnese va a morire” di Renata Viganò, poi non poté’ frenare la voglia di allargare il discorso sulle donne della resistenza.
A supporto dell’argomento viene anche fatto cenno anche al volume di Benedetta Tobagi (“La resistenza delle donne”), utile ad allargare le tante considerazioni inerenti al ruolo delle donne assunto nella resistenza, nella liberazione e nel successivo momento di rifondazione sociale sfociato con il plebiscito per l’assetto repubblicano dell’Italia.
In forza di ciò nel 1946, in Italia le donne votarono per la prima volta e parteciparono anche all'elezione dei membri dell'Assemblea Costituente. Le donne elette diedero un contributo determinante nella stesura della nostra Carta costituzionale entrata in vigore nel 1948.
L’interessante articolo cui si rimanda pone delle riflessioni sia sull’attualità politica che stiamo vivendo che sull’emancipazione cui si è fatto cenno.
Per quanto evidente, la partecipazione fattiva delle donne italiane, sommato alla variegata partecipazione delle diverse ideologie dei tanti attori intervenuti nelle varie fasi costituzionali, ha creato un equilibrio democratico aperto e idonea a creare una serie composita di pesi e contrappesi, frutto anche della cultura millenaria sedimentatasi nel nostro paese.

Atteso che è stato il governo Giolitti a introdurre nel 1912 il suffragio universale maschile per chi avesse compiuto trent'anni (nel 1918 tale diritto fu esteso ai maschi che avessero compiuto 21 anni o che avessero effettuato in servizio militare) e che nel febbraio 1945 venne emanato il decreto legislativo che conferiva il diritto di voto alle italiane che avessero almeno 21 anni ne consegue che:
1) Il voto universale deriva da un provvedimento regio sabaudo.
2) L’estensione del diritto di voto alle donne deriva da un provvedimento giuridico emanato dalla nascente Repubblica italiana postfascista.
Per quanto ovvio durante il fascismo le donne non avevano voce in capitolo nell’ambito della rappresentanza politica e tanto meno nel poter ricoprire incarichi istituzionali di alto rango.

Fortunatamente l’emancipazione sociale contempla progressi, ma non può certamente confutare certe evidenze della storia. In questa chiave appaiono bizzarre e certamente singolari le tante opportunità politiche offerte a partiti di derivazione postfascista, restie a valutare le fortune ereditate attraverso una serie di combinazioni occasionali laiche d'ispirazione anche cristiane e democratiche.
Il pensiero non può, quindi, non andare all’attuale Primo Ministro donna. Quella declamante “Dio, Patria e Famiglia”.
Ritornando alle donne della resistenza, se non fosse stato per quelle partigiane forse oggi non solo non avrebbe ancora possibilità per il diritto di voto, ma avrebbe potuto forse aspirare al solo ruolo di cortigiana di un capo.

Verrebbe da dire: Alla faccia della emancipazione conquistata da chi ha lottato contro il regime fascista” e degli appuntamenti annuali rievocativi di “Acca Larentia”, spesso pure partecipati e mai rinnegati.

Buona luce a tutti!

© Essec

mercoledì 11 ottobre 2023

Pietro Tramonte, inventore di una biblioteca del popolo a Palermo, per una cultura riciclabile alla portata di tutti



“Scoprire come appaiono le cose quando sono state fotografate e come le modifichi il fatto di essere state fotografate. Spesso accade che una volta fotografate le cose assomiglino ad altre fotografie, sia che si tratti di foto che sono state scattate, sia che si tratti di foto che attendono ancora di essere realizzate”.
È una delle tante asserzioni contenute nell’ampio saggio “L’infinito istante”, nel quale Geoff Dyer effettua una lunga disamina di tantissime fotografie/pitture collegate, contaminate, emulate e talvolta messe anche a paragone, associandole all’intendimento narrativo e alla sottostante filosofia di molti fotografi famosi che hanno molto influenzato e talvolta scritto importanti capitoli nella storia della fotografia.
Indipendentemente dalle tante opinioni, è altresì certo che – specie nell’analogico - il risultato dello sviluppo della pellicola impressionata è sempre stata una spasmodica attesa (in parte l’attesa rimane anche nella post produzione del digitale di adesso, per verificare al computer la presenza di eventuali mossi indesiderati, sfocature, elementi di disturbo o altro). Ed è pure vero che, nell’immaginario del fotografo d’ieri e come in quello di oggi, ben precisi fotogrammi rimangono immediatamente impressi nella memoria perché già da subito pensate come fotografie azzeccate.
Un occhio attento sa, infatti, riconoscere al volo la potenzialità di una scena, di un fenomeno, di un accadimento improvviso ma previsto, di una propria invenzione creativa estemporanea.
Quando, però, del contenuto di certe immagini – specie nel concettuale - si è chiamati a dare troppe spiegazioni può anche accadere come per le barzellette, prive di acutezza e talvolta insipide nella reale efficacia.
Non sempre chi crea è felice nel riuscire a mandare messaggi specifici, specie se ricorre a troppe metafore o eccede nelle allusioni; miscelando talvolta disordinatamente troppi elementi che così facendo si confondono e diventano non facilmente distinguibili.
Ma la bellezza del gioco artistico è anche quella di perseverare nel continuare a buttare piccole pietruzze nell’acqua stagnante e magari stare ad aspettare, per vedere l’effetto che fa.
Capita, quindi, che qualcuno colga già il gesto - individuando le caratteristiche della mano che le getta - ovvero che alcuni si accorgano della cosa solo quando cerchi concentrici cominciano ad allargarsi.
Ma c’è anche chi rimane distratto e si accorge solo dell’increspatura, senza riuscire a capire l’origine dell’azione e magari permane indifferente nell’ascoltare la risacca delle piccole onde che s’infrangono ai bordi della pozza d’acqua, senza capire né chi è stato a lanciare il sasso e nemmeno il perché.
Ambizione di molti rimane quella di riuscire a inglobare in un’opera una narrazione coinvolgente e una musica sottesa fatta da equilibri compositi che si completano e si esternano contemporaneamente attraverso la loro osservazione.
È indubbio che l'ignoranza non potrà di per sé costituire automaticamente per alcuno una colpa. Ciò per il semplice fatto che potrebbe discendere o anche essere stata influenzata dal contesto sociale che modella ogni crescita individuale; per ciascuno specifica e unica, magari legata alle opportunità economiche famigliari, dal contesto socio-politico in cui si vive, a partire dal livello del corpo insegnante che ci ha nutrito culturalmente nel corso degli anni e fin dalle scuole d’infanzia.
Anche per questo motivo l'ignoranza non dovrebbe mai generare imbarazzo. Tutti quanti, senza eccezione per nessuno, non potremo mai essere onniscienti e ignoreremo sempre tantissime cose e, anche se il bagaglio culturale di cui siamo dotati potrà essere più ricco, nella vita non si finirà mai d’apprendere; indipendentemente da quanto siamo in condizioni di poter noi dare agli altri.
La casualità è un’altra importante componente variabile che prescinde da qualsiasi condizione. Porta ad avere incontri imprevisti con personaggi strani o, per meglio dire, non consoni alle usuali normalità domestiche. Soggetti che appaiono quasi inesauribili per la carica che li anima e l’entusiasmo che sono capaci empaticamente di trasmettere.
In questa casualità imprevedibile il Pietro Tramonte che ho avuto modo di incontrare è un giovanile uomo della classe '48, al quale piace vivere in mezzo alla gente e che si è inventato dal nulla una realtà seguendo l’istinto in un’impresa quasi utopica.
La sua Biblioteca Privata Itinerante è un’invenzione che contrasta con tutte le regole del commercio moderno, che riporta alla donazione e baratto, a sistemi assolutamente non consoni al modello sociale di sviluppo di oggi, improntato al consumismo capitalistico basato sul lucro.
La sua operazione, grazie al sapiente utilizzo dei social, lo ha fatto assurgere a un fenomeno turistico anche per i tanti crocieristi che lo cercano e incontrano girando per i vicoli del centro storico di Palermo e con i quali dialoga grazie alle conoscenze linguistiche acquisite.
Oltre ad assolvere a una sua missione culturale, col suo fare dispensa accoglienza, entusiasmo per continuare a conoscere e intanto rallegrare le genti.
La storia insegna che sono tanti i folli che si ribellano o si sono ribellati all’andazzo ordinario omologato. Qualche volta, sappiamo che seppur fisicamente eliminati, sono riusciti a creare proseliti, fondando magari religioni.
Si seguito un link che documenta il mio incontro e che forse riesce a dare, in qualche modo, un’idea del personaggio: https://youtu.be/WScftPRVK7Q?si=YOyXwpZW2E-uZMe_

Buona luce a tutti!


© ESSEC

martedì 10 maggio 2022

Erice 2022-05-10: "Il fotografo sconosciuto"



Nella continua smania comune a noi fotoamatori di ricercare sempre e di voler catturare in uno scatto delle pose particolari, delle scene imprevedibili, attraverso dei punti di ripresa inconsueti, t’imbatti talvolta con chi come te ama la caccia.
Mi è capitato per quest’ultimo Venerdì Santo a Erice di cogliere lungo il percorso della processione dei misteri un tizio, come me fotoamatore, che apparentemente in maniera distratta attendeva il passaggio delle vare in prossimità però di una edicola votiva.
Il soggetto attirò subito la mia attenzione, anche perché non ci voleva molto a capire l’intenzione, e più che cercare di emulare il suo progetto mi intrigava vedere come si sarebbe comportato nello svolgere l’azione.
Il riflesso che lui aveva intuito sul vetro dell’edicola votiva e la statua della vergine e del cristo infante che era posta all’interno costituivano certamente elementi che lo sconosciuto fotografo avrebbe inglobato nella scena.
Mi sono riproposto, quindi, di fotografare il tizio in azione, lasciando solo immaginare il risultato che avrebbe potuto conseguire, vedendo le posture nell’atto del fotografare.
Attraverso la post produzione dei miei scatti ho tratto i fotogrammi che raccontano questo mio scritto e credo che la sequenza sia abbastanza sufficiente, specie per un occhio fotografico esperto, per immaginare le immagini che ha potuto realizzare il fotografo sconosciuto.
Chissà, magari se avrà modo di leggere questo piccolo aneddoto, potrebbe completare con le sue immagini il racconto.

Buona luce a tutti!

© ESSEC

mercoledì 13 maggio 2020

Anche Michele Buonanni ha risposto presente



Ricevuta la domanda, anche Michele Buonanni ha aderito alla richiesta di offrire un pò della sua esperienza ai componenti del gruppo Afa.
Buonanni nell’editoria fotografica ha iniziato da professionista con la rivista Fotografare, di cui è stato direttore responsabile dal 1981, è poi stato direttore editoriale - e fino alla chiusura - del mensile Fotografia Reflex.
Nel solito appuntamento del martedì Afa, è stato il suo turno per assumere la collaudata funzione di docente, in un incontro dove sono state discusse cinquantaquattro fotografie presentate da diciotto soci.
Sin dall’inizio Giancarlo Torresani, pure presente nella videoconferenza, è stato chiamato dal Buonanni ad affiancarlo nelle veloci letture che, senza tanti fronzoli o smancerie, hanno puntato a focalizzare in modo diretto pregi e difetti delle immagini proposte.
Michele Buonanni non è tipo che le manda a dire, pertanto, senza giri di parole, si è dilungato laddove ha ritenuto necessario suggerire all'autore tagli compositivi, aggiuntivi o sottrattivi, o la scelta del colore piuttosto che il bianco e nero per enfatizzare o rendere più esplicito il messaggio.
Tutti hanno pure notato come, al cospetto di fotografie non proprio immediate, Buonanni ha richiesto al fotografo di descrivere in una presentazione le sue foto. In altri casi, quando cioè le immagini parlavano già da sole, i commenti - sia di Buonanni che di Torresani - sono stati dei veri e propri telegrammi.
Chi non era abituato ne è quasi rimasto deluso. Ma riflettendoci un po’ su, sappiamo che per un trenta – con più o meno lode – spesso non occorre un esame che si dilunghi per mezz'ora. Il professore esperto sa cogliere al volo il livello, anche mettendo assieme molti piccoli ma significativi dettagli che suscitano attenzione.
L'abbinata Buonanni/Torresani, sperimentata in altre occasioni, si è rivelata ancora una volta una combinazione vincente.
La sintesi di entrambi ha completato l’unione di differenti sfaccettature, ma di visioni nel complesso univoche, di critiche convergenti, con suggerimenti, consigli e approvazioni sempre collimanti.
Come in altre circostanze, quindi, tutti i partecipanti hanno tratto vantaggio dalle cinquantaquattro letture incrociate.
E si è ancora una volta accertato come, in questi casi che accomunano autori differenti, vengono maggiormente assorbite le osservazioni riferite alle produzioni altrui.
Tutti quanti hanno accettato indifferentemente complimenti e critiche. Il gruppo ha del resto compreso, con prove tangibili, la solita verità e cioè che non si finisce mai di conoscere cose nuove se ci si pone a vedere attraverso visioni differenti.
In tutto questo e per quanto ovvio, un ritorno arriva a tutte le parti coinvolte, anche al docente e per una serie di motivi.
Attraverso le letture d’immagini variegate, anche questi ultimi hanno modo di verificare le tendenze e si gratificano nell'individuare potenzialità abbozzate, o stimolando autori a migliorarsi.
Intravvedono talenti, scoprono idee sulle quali invitano a puntare.
Alla fine della fiera, pertanto a ogni partecipante resta qualcosa, sempre e a condizione che si rimanga nel solco umile e dinamico di chi vuol continuare ad apprendere.
Del resto tutti abbiamo sempre tante piccole cose da offrire e prendere, nell’interscambio libero che vuole principalmente accrescere una passione.

Buona luce a tutti!

 © Essec


martedì 28 aprile 2020

“E’ verosimile che accada l’inverosimile”



“E’ verosimile che accada l’inverosimile” era il titolo dell’intervista che sarebbe stata condotta da Giusy Lisuzzo a Davide Sisto, programmata nell’ambito del Festival delle filosofie di Palermo organizzato dall’Associazione Lympha.
Il tema dell'evento si prospettava interessante e l'argomento avrebbe dovuto riguardare la memoria e l’oblio nell’era digitale. Con le sue diverse sfaccettature, l’evento morte avrebbe costituito asse centrale della videoconferenza.
L’inizio mostrò l’attualità dell'oggetto di disquisizione e si capì che l'argomentazione avrebbe di certo suscitato interesse. L’esordio del prof. Sisto, docente al Dipartimento di filosofie e scienze dell’E.D. dell’Università degli studi di Torino, da subito risultò catalizzante. L’oggetto della trattazione però, per certi aspetti, è anche apparso quasi profetico.
La partecipazione in diretta del Prof. Sisto, per un collegamento informatico precario, infatti, è risultata quasi un'apparizione eterea, a causa di una durata d'intervento molto limitata. Gli scaramantici goliardici  avranno di certo dato una intuibile interpretazione su quanto è poi accaduto.
Dopo dieci minuti iniziali, all'incirca, il collegamento con Torino è venuto meno e "spiritosamente" si potrebbe quindi affermare che in breve l’intervento del Prof. Sisto “è venuto a mancare”.
Dopo una brevissima ripresa, la linea con la sede piemontese ebbe una nuova ricaduta, e questa volta in maniera irrecuperabile, per sempre. Quindi, il tempo dell’intervento del cattedratico fu nel complesso solo un flash: tutto in breve si "spense" definitivamente.
Il coordinatore, subentrando ancora una volta nella videoconferenza in diretta, a un certo punto fu quindi portato a dire, mestamente: “Davide non si trova, non cè”.
Per salvare l’appuntamento, furono subito introdotti, nuovi argomenti, con disquisizioni sull’attualità, sulle situazioni socio-economiche che si profilano all’orizzonte e altro ancora …….
Volendo leggere quanto accaduto in una chiave ironica è risultato facile imputare l'incidente occorso al tema originario. Era appunto successo quanto profeticamente annunciava lo stesso titolo dell’evento: “E’ verosimile che accada l’inverosimile”.
Per chi volesse soddisfare la curiosità sugli argomenti di cui avrebbe dovuto trattare il Prof. Davide Sisto, si consiglia di procedere con una ricerca nel web attraverso il nome. In sintesi, potrebbe anche tornare utile un intervento che è stato registrato su You Tube e che è accessibile attraverso il link: https://youtu.be/bfK1R6Xv4Ls

© Essec


martedì 21 aprile 2020

Un fotografo a tutto tondo dei nostri giorni: Emanuele Carpenzano



Gli autori minimalisti, siano essi artisti, saggisti, poeti o altro, sono quelli dotati della grande capacità di concettualizzare moltissimo attraverso pochi elementi. 
La proprietà di linguaggio e la padronanza nell’uso delle parole, in letteratura s’identificano nel famosissimo esempio del “m’illumino d’immenso” di Giuseppe Ungaretti.
Avendo avuto l’opportunità di seguire ieri a una "lectio" di Emanuele Carpenzano ho potuto scoprire che anche in fotografia si possono raggiungere eccellenze similari, attraverso l'uso  parsimonioso delle giuste parole e scatti fotografici. Mi spiego meglio.
In questi periodi di lockdown, Nikon con l’iniziativa “iofotografodacasa” ha avuto la felice intuizione di saper intrattenere e coinvolgere proficuamente i fotografi del proprio bacino d’utenza, senza però - in questo - voler escludere altri appassionati di fotografia; argomentando, con l'intervento di fotografi della propria scuola e con ampie e variegate dissertazioni, sulla fotografia professionale e non.
In questo quadro, Carpenzano ha proposto ieri in un incontro sulla “fotografia sociale” che, in poco più di un’ora e mezzo e con ritmo narrativo incalzante corredato dalla proposizione di notevoli immagini scelte, ha saputo dimostrare come si può eccellere nel racconto andando all'essenza.
Attraverso una succinta miscellanea, da lui sapientemente dosata, ne è venuta fuori un trattato minimalista sulla fotografia di superba efficacia, corredato da una lezione supportate da proprie fotografie di livello, frutto di esperienze professionali e non solo.
Non occorre dilungarsi oltre su quanto potrà facilmente essere constatato direttamente attraverso la visione della registrazione dell’evento, da attenzionare soprattutto, nel crescendo espositivo che va dal 27^ minuto in poi. 



Buona luce a tutti!


 © Essec



domenica 19 aprile 2020

Covid 19, le problematiche e il blocco imposto - "Cu è chiù fissa, Carnalivaru o cu ci va appressu?"




L'avvento imprevedibile del pericoloso nemico killer Corona Virus ha anche creato un congelamento dello status quo che ha, di fatto, generato un'istantanea ad alta definizione della situazione socio-economica del paese Italia.
Dalla foto ingrandita, il dettaglio evidenzia una moltitudine di complessità a tutti note e che nessuno ha mai voluto ammettere, vedere e tantomeno tentare di risolvere.
E’ pur vero che sviluppare un’analisi di dettaglio appariva difficile, perchè i tanti colori sovrapposti, stratificati o nascosti, necessitavano di osservazioni molto attente.
Ora, oggi, vedere è però possibile, perché la staticità fermata con l'istantanea fotografica scattata consente di evidenziare ogni minimo dettaglio e una attenta osservazione non nasconde più, in ogni caso, i piani sovrapposti.
Fino a ieri, nella visione prospettica di un'immagine piana, non si era solo portati a non immaginare quanto potesse esserci di realmente sommerso. Nel film che scorreva giornalmente del nostro vivere frenetico, nessuno si era mai voluto preoccupare di visionarne i frames, rallentandone magari la sequenza.
Tutto questo ci ha sempre portati a tollerare, a far finta di niente, a pensare che i problemi fossero marginali, a non porci domande e, in assenza di intellettuali di spessore, a illuderci nel credere agli stereotipati slogan dei politici e degli amministratori, alla bellezza del nostro “sociale” umano 2.0, il Truman Show dei nostri tempi.
Sono tante le tessere che compongono il mosaico di un complesso paese. Stante il fermo immagine e il decorrere rallentato, cerchiamo per un attimo di impegnarci nell'abbozzare una analisi osservando ogni pixel della gigantografia fotograficamente prodotta; guardando magari i dettagli del plastico ricostruito, come fossimo archeologi che classificano i singoli reperti scoperti.
Chiamiamo in nostro ausilio anche tecnici e scienziati esperti, per valutare la qualità e la consistenza delle componenti che costituiscono il puzle tridimensionale da sottoporre a verifica.
Il plastico ricostruito attraverso la fotografia, con un’attenta scansione, mostrerà la natura di tutti gli elementi, mobili e immobili; anche la struttura di ciò che proietta ombre e la corrispondenza alle ombre stesse; lo spessore e la tenuta delle fondamenta, la consistenza della eventuale ruggine, delle muffe, la valenza delle singole componenti meccaniche che assicurano il dinamismo del contesto sociale in esame. 
Attraverso una dettagliata analisi non potrà, quindi, non emergere la coesistenza di un’economia sana apparentemente contrapposta e che spesso s’integra con quella sommersa o che magari talvolta ne fa pure da indotto.
Non potrà non vedersi una moltitudine di gente che ogni giorno s’inventa un modo per sopravvivere, falsi invalidi, mazzette, collaudi fasulli, appalti pilotati, corruzioni diffuse, posteggiatori abusivi, pizzo, lavoratori in nero, tanti disoccupati senza speranze, tanti cervelli che continuano migrazioni verso l’estero in cerca di fortuna, tanti immigrati invisibili, tanti imprenditori pronti a lucrare su ogni occasione, fosse anche un evento nefasto o speculando anche sui morti.
Non potrà non essere colta la prassi clientelare, la mafia reale e quella dei partiti, la burocrazia autonoma e quella pilotata che attanaglia; la pletora di lobbies contrapposte, gli abusi, la disomogeneità delle regole e l’irrazionalità di norme contraddittorie che alimentano discrezionalità inammissibili ma legalmente legittime; la farraginosità e l’opinabilità nell’operato di organi giudiziari, i protocolli disarticolati per gli ampi margini d’autonomia gestionale.
Oggi però, volendo, tutto appare trasparente e visibile perché il “lockdown” ha diradato la "nebbia dei porti", quella che aiutava la confusione sociale, che caratterizza e avvolge ogni contesto urbano, specie nei grandi centri ove, in qualche modo regna assoluto e incontrastato l’anonimato, l’isolamento sociale e l’abbandono.
Oggi, quindi, quell’istantanea bloccata e l'abbondanza di tempo a molti "giornalisti" è disponibile e potrebbe tornare loro utile, se solo volessero, per poter procedere ad acute osservazioni oggettive - di cose, di fatti e di fenomeni - per far affiorare e catalogare la reale capacità/incapacità gestionale dei diversi apparati, privati e pubblici, e anche quella decisionale dei managers e dei politici.
Competenze e capacità, quindi, apparirebbero oggi ineludibili per apportare i correttivi necessari al riequilibrio complessivo.
Improvvisazioni o un continuare a gridare “al lupo al lupo” risultano pertanto solo degli atteggiamenti infantili, irresponsabili, oltre che pericolosi.
Del resto è a tutti evidente il come le presunte “eccellenze” siano evaporate davanti agli eventi.
Seppur imprevedibili certe azioni irresponsabili sono state ingenerate non soltanto dal panico, dalla sorpresa, ma anche per l’incapacità gestionale di taluni, cooptati a presidiare posizioni delicate e strategiche. E non si può certamente biecamente tentare di addebitare alla classe medica l’accelerazione inopportuna dei decorsi clinici, il mandare deliberatamente allo sterminio tanti poveri cristi con i ricoveri avventati nelle RSA, emulando i lager nazisti delle deportazioni ebree. Con l'emergenza scoppiata indubbiamente si è creata la necessità di liberare posti letto negli ospedali, ricoveri di terapia intensiva, ma la soluzione assunta per scongiurare la saturazione dei pochi posti disponibili è stata una pura follia. Per non parlare, poi, delle situazioni patologiche della provincia e dei medici del territorio, rimasti abbandonati al loro destino, mentre ai VIP si assicuravano tamponi e al “patrimonio” delle società di calcio altrettanto.
E’ del tutto evidente che il sistema è ben presto impazzito, che le discrimine e che le “conoscenze” o i ruoli sociali hanno assicurato privilegi.
Lo stallo socio-economico venutosi a determinare necessita ora che siano al più presto approntate delle risposte, delle scelte percorribili; anche se prive di garanzie e certezze, appaiono indispensabili per limitare i danni e evitare potenziali ulteriori disastri.
La pace sociale e le garanzie per la tutela pubblica dipendono da decisioni e scelte, non più demandabili o delegabili, che devono essere assunte esclusivamente dalla classe politica, nel suo insieme.
In queste circostanze difficili, occorre senso dello Stato, di responsabilità da parte di tutte la parti in causa.
Politicamente, maggioranza di governo e opposizione sono chiamate a lavorare per un intento unico: quello di cercare di limitare il più possibile potenziali danni e di assicurare piena assistenza, non solo sanitaria; dare il massimo delle garanzie possibili, per avviare prontamente il paese verso una ripresa economica.
Le diverse ideologie possono solo orientare in un’unica direzione e il compromesso politico è la sola risposta, assolutamente indispensabile e costituisce l’unica strada percorribile.
Occorre un’azione basata su decisioni che vedano un'attività lucida del governo e un’opposizione responsabile e attenta, volta a garantire trasparenza e assicurare quel controllo assegnato al ruolo dalla democrazia. Ma aimè questa disamina, ha il sapore d’utopia.
Ancora, per concludere e tornare al quel realismo che ci identifica come italiani, è bene tenere sempre a mente la massima siciliana di “Cannilivaru o cu ci va appressu”.
A tal proposito riporto, quindi, fedelmente uno scritto ripreso nel web da un blog e attribuito a “Apollonio Discolo”.

"Il mondo in balia di un idiota" è il titolo dell'articolo di spalla che oggi, 11 settembre 2010, compare sulla prima pagina di un importante quotidiano italiano. Lo firma il direttore. L'idiota (è appena il caso di dirlo) è quel religioso americano amante, a suo dire, dei roghi.
A margine delle dichiarazioni di intenti del pastore, dell'articolo dell'illuminato direttore e di tutto l'assordante e caotico rumore che intorno a quelle dichiarazioni è stato fatto, nessun commento è migliore, a parere di Apollonio, di quello fornito dalla saggezza popolare espressa in un tradizionale detto siciliano: "Cu è chiù fissa, Carnalivaru o cu ci va appressu?" [Chi è più stupido, Carnevale o chi gli va dietro?].
Il mondo in balia di un idiota? Quando mai! Come sempre, il mondo in balia degli innumerevoli stupidi che stanno nel codazzo di un idiota, anche solo per atteggiarsi facilmente a critici, e che amplificano con le proprie idiozie l'eco delle sue, altrimenti insignificanti, sovente per calcolo sconsiderato di interessi meschini.  

Per tornare all'argomento principale, per le caratteristiche antropologiche del popolo italiano, che sono frutto di una accozzaglia di tifoserie disparate, sempre intente a seguire un proprio leader, da esaltare o da ghigliottinare a secondo gli interessi d’occorrenza, anche con tutto l'ottimismo possibile, rimangono poche le speranze di successo.

© Essec


P.S. - Dopo aver fatto leggere in anteprima l'articolo, alcuni amici mi hanno trasmesso delle piccole chiose, che sintetizzano l'essenza del messaggio.

La prima: "l’Italia è il paese dei campanili, ci sono ancora signorie e principati che nella versione attuale delle regioni si muovono in ordine sparso di fronte ad un avversario che richiederebbe un fronte unitario e compatto. Comunque la speranza, non so fino a che punto fondata, è che, come già qualcuno ha scritto, che il carattere degli italiani non “sia genetico e immutabile ma frutto di circostanze sulle quali si possa intervenire “. 

La seconda: "la soluzione  salvifica rimane nel confidare in coloro che posseggono valori individuali che hanno saputo resistere al richiamo delle sirene mistificatrici, eufesmistica definizione, dei nostri tempi. Sarebbe auspicabile, come dicono gli oratori aulici, che tali individui si organizzassero in una coalizione  sinergica per tentare l'impossibile impresa di una sana, umana ribellione e che demolisca  tutti gli ottimi  schemi di facciata  che ci hanno portato a questi risultati. Se così non sarà io speriamo che me la cavo e chi s'è visto s'è visto. La situazione è fluida....... e attualmente non vedo l'ora di andare nel mio arcadico rudere di campagna."

lunedì 13 aprile 2020

Vivo nel quartiere dello Sperone da 37 anni, ovvero da quando sono nata


Per il grande scalpore suscitato a livello mediatico internazionale, ritengo sia opportuno pubblicare e dare giusta evidenza anche alla legittima esternazione formalizzata da una normale abitante di quello stesso quartiere Sperone di Palermo, oggi assurto agli onori della cronaca e messo all'indice. Riporto di seguito il testo integrale assunto da FB e che non necessita di alcun altro commento.
 © Essec

"Vivo nel quartiere dello Sperone da 37 anni, ovvero da quando sono nata.
Vivo di fronte i palazzi incriminati da 12.
Non è un quartiere facile, anzi, è molto difficile.
Abbiamo provato a portare, nel nostro piccolo, un po' di legalità e ne abbiamo anche pagato le conseguenze.
È un quartiere che detesto, in cui vive molta gente per bene, ma anche moltissimi criminali.
Eppure non riesco a non guardare con enorme pena tutta questa situazione.
Non indignazione, non rabbia, ma pena.
Mai avevo assistito ad un simile impiego di forze dell'ordine.
Mai.
I bambini su quei tetti, ve lo posso garantire, ci salgono pure da soli.
I bambini vanno in giro sulle bici elettriche -avete presente quelle che sembrano motorini? Quelle - da soli portando dietro bambini anche più piccoli di loro.
Lo spaccio è noto a tutti.
Parrebbe anche la prostituzione.
Abbiamo avuto anche le lotte clandestine tra cani.
Dio solo sa cosa vedono i bambini che vivono in quei palazzi.
Nel mio quartiere ci vive gente abbandonata a se stessa.
Se, in altri tempi qualcuno avesse segnalato le stesse cose (casino, fumo che invade le case, minorenni in pericolo e varie ed eventuali) la risposta sarebbe stata: "Eh. Lo sappiamo. Non possiamo farci nulla".
Ma non sono cose che conosco perché me le hanno raccontate, lo so perché quelle risposte sono state date a me.
Se chiami per segnalare una lite - e credetemi che qui le liti sono di un certo peso, perché scendono in campo intere fazioni- la risposta è quella.
Se tu sei in auto con i tuoi tre bambini piccoli che (per fortuna) dormono, ed è sera tardi e non puoi rientrare a casa tua perché c'è una "lite" in corso, puoi solo aspettare in auto che le acque si calmino perché la risposta che ricevi, chiamando la polizia, è sempre quella "Eh. Lo sappiamo. Avete ragione. Ma non possiamo fare nulla".
E allora un po' di rabbia ti viene.
E un po' di rabbia mi è venuta pure ieri, perché sinceramente la prima cosa che ho pensato è stata "ma allora ci potete fare qualcosa!".
Sì, lo so c'è una pandemia, un casino, etc etc.
Lo so.
Ma prima cosa c'era?
Solo una fetta della popolazione che evidentemente non merita impegno.
E poi mi chiedo: che cosa gli hanno fatto? Tamponi? Sono stati trattenuti? Che è stato?
Dopo la dispersione, le generalità prese ai pochi trovati che, riportando testuali parole di un gruppo di ragazzi del mio residence, se ne saranno bellamente fottuti perché "tanto sono già segnalati", che accadrà?
Sono stati tutta la giornata a gozzovigliare e qualora avessero qualunque tipo di virus se li saranno belli e scambiati ben prima che arrivasse la polizia.
Cui prodest tutto il casino di ieri?
Gli toglieranno i figli perché si sono improvvisamente accorti che sti ragazzini vivono in un contesto non sano?
È da sempre così!
Sempre.
Cosa è cambiato adesso?
Sono la prima ad aver invocato l'arrivo dell'esercito, lo sterminio di massa, la peste bubbonica concentrata in quei palazzi che mi hanno fatto arrabbiare, indignare, spaventare più e più volte.
Ma lo sapete che c'è?
Che da quando viviamo in questa situazione fuori dal reale io provo pena per loro.
Perché non ne hanno colpa.
Tutto questo è solo la dimostrazione che se non c'è uno stato che si occupa anche degli ultimi, non si va da nessuna parte.
Perché non è l'esercito che serve ma la cura.
In uno stato di disagio socioculturale ed economico come quello di questo quartiere, ci vuole cultura.
È necessario educare, perché solo educando crei coscienza.
È necessaria la scuola, è necessario un impegno del servizio sociale inteso come aiuto alle famiglie, è necessario affiancare le famiglie nella crescita dei figli.
È necessario insegnare la legalità.
È necessario un programma di recupero.
È necessario lavoro.
Se cali dall'alto una regola hai più probabilità che quella regola venga infranta, che si trovi il modo per aggirarla, anche solo per il fatto che sia tu Stato ad impormela.
Se rendi la regola condivisa, accettata, se hai creato un substrato in cui quella regola possa mettere radici, non hai bisogno dell'esercito.
Ieri non è stata un' impresa eroica delle forze dell'ordine, è stata la dimostrazione del fallimento dello Stato.
E non me ne frega niente se mi dite che sono la solita fricchettona di sinistra che sogna un mondo utopico, scendete qui in basso e poi ne riparliamo."
  F.to Monica Li Vigni

venerdì 3 aprile 2020

Corona e fu... Sentenza! (I “Misteri” in dieci minuti)


Vi vengo a dire su quanto mi è capitato oggi. Un accadimento che dimostra plasticamente come l'abbattimento dello spazio e l'ottimizzazione del tempo, ormai nei tempi dell'informatica moderna, rendono  possibili fatti come quello che vado a raccontare.
Stamani, quindi, ho postato questo mio slide show riferito all'evento religioso dei"Misteri" di Trapani, un lavoro fotografico sostanzialmente incentrato, non tanto sull'evento estetico delle "vare" ma sul popolo dei fedeli.
Un caro amico del luogo, dopo aver visto lo slide, ha rilanciato segnalandomi a sua volta un recentissimo lavoro approntato da Giuseppe Vultaggio. Il lavoro proposto era stato messo a punto per colmare l’abolizione dell'evento - causa Covid  - per il 2020.
Il prodotto, che merita un'ampia diffusione, rappresenta un eccellente documento che nel riepilogare la storia delleprocessioni dei "Misteri" trapanesi racchiude anche una bellissima poesia composta per l'occorrenza dal Vultaggio, che costituisce un accompagnamento didascalico alle immagini che scorrono.
Dopo aver visto il video, invito a soffermarsi nella lettura della poesia, gentilmente messami a disposizione dall'autore e che riporto di seguito. 

Buona luce a tutti!

© Essec

--

Corona e fu... Sentenza!   (I “Misteri” in dieci minuti)
Son 400 anni, era il Seicento,
quand’è che prese vita, come aurora,
la processione che, con fare lento,
ancora oggi, a Trapani, dimora.


Diciotto vare, la “Madonna” e il “Cristo”
realizzate con grande maestria,

con legno, tele e con sughero misto,
con l’arte del “carchet1” di casa mia.


Portate a spalla, sono venti vare2,
poggiate sulle spalle dei massari3,
concretizzate da maestranze rare,
scultori, intagliatori, artisti rari.


Artisti dal talento innato e vero
come Giuffrida, Li Muli e Pisciotta;
Lombardo, i Nolfo e, ancor, Beppe Cafiero
e poi Tartaglia, il Milanti e Ciotta.


Come a scontare un misterioso arcano,
al “Purgatorio” vennero allocati

la chiesa che, nel suo immenso piano,
li offre come quadri inargentati.


Sono affidati a arcaiche maestranze,
congregazioni d’arti e di mestieri,
che, rispettando religiose usanze,

li curano con sentimenti veri.


Venerdì Santo si esce in processione,
ad uno ad uno, lenti tra la gente,
raccontano, del Cristo, la Passione

in modo delicato...mestamente.


Son gli orafi ad aprir la processione,
e c’è Giovanni, insieme, con Maria,
si rappresenta la “Separazione”,

col Cristo sofferente che va via;


dei piedi, la “lavanda” si racconta,

nel gruppo ch’è affidato ai pescatori,

si vede un servo e Pietro che sormonta,
inginocchiato il Cristo, in mezzo ai fiori.


Pronti, a seguire, sono gli ortolani.
Un angelo, sul monte degli ulivi,
ha un Calice tenuto tra le mani,

gli apostoli riposano giulivi.


Il gruppo, ai metallurgici affidato,
racconta del momento dell’arresto;
Giuda ha tradito, Cristo è ammanettato,
sguaina la spada Pietro, con un gesto;


Nel mentre che al Sinedrio è accompagnato,
vicino al Cedron “cade” e non va avanti,
dalle due guardi viene trascinato.

La vara è affidata ai naviganti.


Il quadro, ai fruttivendoli concesso,
“Gesù dinanzi ad Hanna” rappresenta,
il Sacerdote altero, il Cristo oppresso,
la guardia con lo schiaffo lo tormenta...


La “Negazione”, gruppo dei barbieri,
parla di Pietro che, con cuore infranto,
con Cristo, nega di esser amici veri...
d’un gallo, ben tre volte, si ode il canto.


Portano, i pescivendoli, Re Erode,
dinanzi a lui Gesù viene umiliato;
un servo ride, un giudeo ne gode,
lo scriba guarda disinteressato.


Gesù a una colonna, ora, è legato
e insultato da offensivi cori

con rovi e cattiveria è flagellato.
È l’opera affidata ai muratori.


Il gruppo dei fornai avanza lento,
qui si evidenzia l’incoronazione,
viene beffato con fare irruento,
si legge in viso la rassegnazione.


La vara, che ai calzolai è affidata,

ci mette in evidenza il Cristo umano,
con lui Pilato sulla balconata

che lo presenta al popolo sovrano.


Ai macellai è affidata la “Sentenza”,
raccontano di insulti sovraumani
mentre Pilato, per pulir coscienza...
lava dinanzi al popolo le mani.


Col Cireneo procede verso il monte

ma a terra il Cristo cade, ormai, distrutto,
mentre una donna lava la sua fronte.
Questa è la vara del popolo tutto!


Segue la vara dell’abbigliamento

che ci racconta della spogliazione
siamo al Calvario, è l’ultimo momento
che gli precede la crocifissione.



Ora è un momento di gran sofferenza,
il gruppo è quello dei maestri d’ascia,
la croce si solleva con violenza,

il corpo del “Signore” che si accascia.


Finisce Gesù Cristo la Passione,
si spengono le luci e i riflettori,
un tuono segna la Crocifissione
che viene raccontata dai pittori.


Ai sarti e tappezzieri fu affidato
un quadro amaro: la Deposizione!
Si dice fu Giuseppe che ha pagato
per dare al Cristo dignitosa unzione.


Ora al sepolcro viene accompagnato,
con volti mesti e con gli sguardi amari,
si piange con dolore il Cristo amato.
La vara è dei mastri salinari.


La massima espressione del dolore

è il viso di Gesù dentro la bara.

Sono i pastai che, con grande amore,
lo portano con cura sulla vara.


La Vara dei baristi e pasticceri

vanta il trasporto dell’Addolorata

che immensa, e avvolta nei tristi pensieri,
piange su figlio, docile e accorata.


Con lei finisce questa processione
compita con dei sacrifici veri...
Nessuno sa capirne la ragione,

per questo qui, si chiamano “Misteri”.


Però quest’anno resta tutto fermo,
silenti come al tempo del conflitto,
un fermo destinato a essere eterno
per non scordare l’urlo di un delitto.


Pare che il male...voglia far più male,
opprimere e annientare il vero amore,
seppure abbia insegnato quanto vale
un grande abbraccio dato con il cuore.


È il Santo venerdì duemila venti
è tutto strano, sono un po’ confuso,
le vare sono rigide e silenti:
quest’anno quel portone starà chiuso.


Non so se, come e quando, ne usciremo
ma si conferma, qui, una storia immensa:
una corona rossa ha messo un freno,

una corona e fu...triste sentenza!


© Giuseppe Vultaggio



1 Carchet:
 tecnica tipicamente trapanese che permette di modellare gli abiti in statue lignee, grazie all’immersione delle stoffe in una mistura di colla e gesso, concedendo una maggiore naturalezza e maggiore plasticità espressiva.

2 Vara: è un termine utilizzato in Sicilia e in alcune regioni dell'Italia del sud per indicare il carro trionfale su cui vengono posti statue o dipinti di santi per essere portati in processione.

3 Massari:  Nella forma antica indica il massaio. Nell’Italia centro-meridionale, il termine è stato largamente usato per indicare il mezzadro o fattore. Nel contesto dei “Misteri”, a Trapani, il termine indica il gruppo di persone ai quali viene affidato l’incarico di trasportare la vara per tutta la durata della processione.



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Monte Pellegrino visto dalla borgata di Acqua dei Corsari

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