"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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domenica 12 gennaio 2025

"Esiste un tempo esterno e un tempo interno" di Luciano De Crescenzo



Come accade a molti di noi che amiamo appuntare sui social o su spazi web personali, sono gli incontri ordinari che spesso inducono a riflessioni, facendo talvolta intravedere, in vissuti d'altri, situazioni in cui ci si rispecchia.
Il recente pezzo “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”, come è evidente, trae origine da esperienze direttamente ascoltate come confidenze, ma anche solo percepite, per quanto non esplicitamente detto e fatte intuire.
La lettura del libro “Mirabilis” di Ersilia Vaudo, incentrato sull’evoluzione della nostra idea dell’universo, conduce a ricollegare i fili, a riequilibrare pesi e misure, anche in funzione del principio di relatività che sovrasta il tutto.
Da cosa nasce cosa e una ricerca di curiosità nel web hanno inevitabilmente riportato all’attenzione il geniale e, per me, mitico e poliedrico Luciano De Crescenzo, anche come divulgatore filosofico.
Nel suo blog "Mangia, vivi, viaggia", lo scrittore Gianluca Gotto, in occasione della scomparsa del genio, spentosi alla veneranda età di 90 anni, venne a scrivere l’articolo intitolato “Luciano De Crescenzo: Il tempo non esiste! La vita va allargata, non allungata” che sintetizza perfettamente i pensieri che affiorano spesso nella mente di ciascuno (specie in età matura).
Gotto scrive, al riguardo: “Io lo conobbi proprio grazie a una sua riflessione sul tempo. Ero un ragazzo e mi capitò per puro caso di guardare il suo film ‘32 dicembre’, lo spezzone in cui interpretava un astronomo-filosofo. Parlando con un uomo unicamente interessato al capodanno che di lì a poche ore si sarebbe festeggiato nella sua Napoli, disse qualcosa che suonò strano e innovativo alle mie orecchie, ma anche assolutamente vero".
Veniva detto:
“E a te chi te l’ha detto che oggi è il 31 dicembre? Ti debbo dare una brutta notizia: non solo non esiste il 31 dicembre ma non esiste nessuna giornata del calendario per cui tu possa dire “oggi è il 31 dicembre”.
Sarebbe più corretto dire che è sempre il 32 dicembre! Che ora è, Alfonso?
Ora sono le sette.
A Napoli, sono le sette. In questo momento a Calcutta è mezzanotte. Se tu ti trovassi a Calcutta, festeggeresti la mezzanotte di Calcutta o aspetteresti quella di Napoli?
Aspetterei la mezzanotte di Napoli.
Perché tu sei convinto che la mezzanotte di Napoli sia “più mezzanotte” di quella di Calcutta! Il problema è che il tempo non esiste. È tutta una convinzione: tu festeggi il 31 dicembre perché sei nato cristiano; fossi nato musulmano, festeggeresti il 28 febbraio; fossi nato copto, festeggeresti il 18 agosto; se fossi nato maronita festeggeresti il 30 settembre. Non esiste un giorno che segni la fine dell’anno!”
A chiusura del suo articolo Lotto ripropone il testo del concetto emblematico del “De Crescenziano” pensiero sulla concezione/percezione del tempo, espresso con queste comprensibili e semplici parole:
“Il tempo è un’emozione ed è una grandezza bidimensionale, nel senso che puoi viverlo in lunghezza o in larghezza. Se lo vivi in lunghezza, in modo monotono e sempre uguale, dopo 60 anni avrai 60 anni.
Se invece lo vivi in larghezza, con alti e bassi, innamorandoti e magari facenso pure qualche sciocchezza, magari dopo 60 anni avrai solo 30 anni.
Il problema è che gli uomini studiano come allungare la vita, quando invece dovrebbero studiare come allargarla.
Vedi, esiste un tempo esterno e un tempo interno. Il tempo esterno è quello degli orologi, dei calendari, ed è uguale per tutti. Il tempo interno, invece, è un fatto personale nostro, come il colore degli occhi e dei capelli, ed è diverso da persona a persona. Ecco perché ci sono persone che hanno 60, 70 o 80 anni ed hanno l’impressione di averne 20.
La verità è che non è un’impressione: ne hanno davvero 20.”

Buona luce a tutti!
© Essec

sabato 11 novembre 2023

“Se ne vanno sempre i migliori”



Un uno dei suoi tanti film che hanno rappresentato la società italiana c’è una scena emblematica di un Totò pragmatico e cinico che porta a ripetere una consueta considerazione ovvero che “se ne vanno sempre i migliori” (https://www.youtube.com/watch?v=KC6h6oHvOPM).
Il detto appare calzante anche per il compianto sociologo Domenico De Masi che avrebbe avuto ancora molto da dire e da insegnare.
Chi ha avuto la fortuna di averlo incontrato testimonia dell’ampia visione sui fenomeni e le caratteristiche del contesto umano in cui sempre più confusamente noi tutti ci barcameniamo.
Per alcuni aspetti ho sempre associato il suo personaggio al mitico Luciano De Crescenzo, come lui campano, anche lui per genialità e i variegati impegni culturali portato naturalmente a saper comunicare, in modi semplici e solo apparentemente leggeri, aspetti della vita assai complicati e complessi.
Un regalo che Domenico De Masi ha voluto lasciare sono i libri: “Felicità negata” e “Destra e Sinistra”. Eccellente condensato degli sviluppi socio-economici (principalmente rappresentate dalle Scuole di pensiero contrapposte di Francoforte e Vienna) che hanno costituito da preludio alla realtà neoliberista che sempre più sovrasta gli assetti politici e l’economia reale attuale il primo libro (Giulio Einaudi editore). Una pacata messa a confronto dei pensieri di diversi intellettuali, di scuole di pensiero contrapposte, sugli eterni problemi e concetti socio-politici di destra e sinistra (Dialoghi su: DPF ovvero Dio, Patria, Famiglia / e su LUF ovvero Libertà, Uguaglianza, Felicità) il secondo (con scritti di Sergio Belardinelli, Massimo Cacciari, Franco Cardini, Dino Cofrancesco, Donata Francescato, Eernasto Galli della Loggia, Gad Lerner, Giacomo Marramao, Tomaso Montanari, Marco Revelli, Marco Tarchi, Marcello Veneziani e dello stesso Domenico De Masi che ne ha anche curato il progetto edito da PiperFirst).
Il convincimento di De Masi, esplicitato in copertina di “Felicità negata”, è che “non c’è progresso senza felicità e non si può essere felici in un mondo segnato dalla distribuzione iniqua della ricchezza, del lavoro, del potere, del sapere, delle opportunità e delle tutele. Questo è l’esito raggiunto da una politica economica che ha come base l’egoismo, come metodo la concorrenza e come obiettivo l’infelicità”. In entrambi, poi, si sofferma sulle conseguenze occupazionali che verrebbero prodotte dalla IA (Intelligenza Artificiale), introducendo anche il termine “Ozio Creativo”, definendolo come “quella parte del nostro tempo, sempre più estesa, che noi trascorriamo in ufficio, al bar, in viaggio, al cinema, leggendo, ascoltando musica, parlando con gli amici, cenando, durante la quale non ci limitiamo a lavorare, o a studiare, o a giocare ma facciamo qualcosa di indeterminato in cui queste tre funzioni e questi tre stati d’animo convivono potenzialmente a vicenda.” Prosegue affermando che “questa parte crescente della nostra vita non è regolamentata e tantomeno contrattualizzata, non rientra nelle leggi dello Stato o negli accordi sindacali. Eppure, sta ormai determinando la qualità della nostra vita e del nostro grado di felicità.” Considerazioni positive che dovrebbero tranquillizzare, se gestite con sagacia e lungimiranza dalla classe politica che sarà chiamata ad amministrare il futuro assetto sociale che ci aspetta.
Quanto si potrebbe ulteriormente aggiungere, per recensire adeguatamente entrambi i volumi, non potrebbe essere mai esaustivo rispetto alle tante sfaccettature affrontate nei rispettivi saggi.
Se adeguatamente incuriositi, non rimane pertanto che procedere all’acquisto di entrambi i volumi per una spesa complessiva di euro 28 (per le edizioni cartacee che io preferisco: 12 + 16) e ancor più modica se si opta per gli ebook. Due libri che intrigano, allargano gli orizzonti e inducono a pensare, al di là d'ogni propria convizione politica consolidata.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

sabato 24 ottobre 2020

"Accadde domani - Scritti quasi profetici" di Luciano De Crescenzo

 

In tanti ci si avventura a voler scrivere sulle quotidianità del nostro mondo, molti articoli trattano sui vari argomenti, ma sono pochi quelli che riescono a concettualizzare pienamente le questioni per poi trarne anche delle considerazioni interessanti. 

Certo su quanto mi accingo a dire si evidenzierà, ancora una volta, la mia grande ammirazione per l’intellettuale De Crescenzo, ma tant'è.

Chi andrà a leggere il libro “Accadde domani. - Scritti quasi profetici” ne avrà la prova e si renderà subito conto di quanto erano ampie le dissertazioni di Luciano De Crescenzo. Un saggista, narratore, fantasista, regista, autore, etc. che, in modo semplice, attraverso un breve articolo sapeva anche rendere comprensibile a tutti la teoria della relatività di Albert Einstein.

Il prodotto editoriale realizzato dalla figlia Paola (Mondadori Libri – 2020) raccoglie una serie di articoli che, abbracciando un ampio arco temporale, evidenziano una certa preveggenza di fenomeni di costume solo in embrione e acute ironie sulla politica e la società in genere.

Per creare un parallelismo con l’attualità sociale dei nostri giorni, mi piace soffermarmi sull’articolo di pag. 129 intitolato “La democrazia spiegata a un marziano”. Rimandando il lettore al testo originale, riporto alcuni brani dello scritto.

 

Marziano: Quale sistema di governo avete?

Luciano: La democrazia.

M: E che cos’è la democrazia?

L: Un sistema che serve a eleggere i governanti dello Stato. In un giorno dell’anno prestabilito si va tutti a votare.

M: E chi va a votare?

L: Tutti gli italiani che hanno più di 18 anni.

M: Anche gli stupidi?

L: Anche gli stupidi.

M: E poi che succede?

L: Che vengono scelti i governanti. Noi li chiamiamo “Parlamentari”.

M: Ho capito e, una volta scelti, questi parlamentari che fanno?

L: Governano.

M: E cioè?

L: Fanno le leggi e nominano gli amministratori che devono gestire gli enti pubblici, tipo la Rai, l’Inps, l’Enel e via dicendo.

M: Si, ho capito, ma così facendo, non restano in qualche modo obbligati nei confronti di chi li ha nominati?

L: Certo che restano obbligati. Perché vedi, marziano mio, un partito per farlo funzionare come si deve ha bisogno di un sacco di soldi, e allora può accadere che qualcuno degli eletti, per disobbligarsi di essere stato nominato, che so io …. Amministratore delegato delle ferrovie ….

M: Non ho capito, delegato a che cosa?

L: A raccogliere i soldi per ………….

 

Domande e risposte continuano ancora nell’articolo e alla fine, alla domanda del marziano che chiede: “E questa è democrazia?”, Luciano mestamente e fanciullescamente risponde: “Praticamente, si”.

 

Ora, sotto la cappa catastrofica di un Covid 19 che fa tanta paura, sono portato a fare delle semplicissime considerazioni.

Abbiamo oggi un Presidente del Consiglio di estrazione civica, peraltro nominato e assurto casualmente al ruolo e che non si era mai occupato di politica attiva.

Lasciando perdere l'ampio consenso popolare che lo sostiene, in un contesto politico ed economico completamente avverso, è indubbio che questa figura di cittadino normale sta mostrando maggiore "padronanza gestionale" rispetto all’isteria dei tanti politicanti che gli ruotano attorno e che lo dovrebbero, almeno alcuni, pure "professionalmente", sostenere.

Appare altresì sorprendente che, davanti ad una pandemia acclarata e diffusa a livello mondiale, neanche l’opposizione politica riesca a trovare una logica costruttiva o quanto meno intellegibile sulle proposte praticabili e, nel caso, alternative. O che taluni politici più sgamati, da sempre concentrati al mantenimento del potere e dei relativi benefici, continuino a tenere d’occhio principalmente le disponibilità liquide presenti nei bilanci delle loro “Fondazioni di riferimento” ovvero ai tanti affari che si potrebbero incrementare attraverso ulteriori debordi di debito pubblico, MES compreso, ovviamente per il "rilancio dell'economia". 

Per i meno esperti in politica che si ritrovano casualmente ad occupare gli scranni del parlamento può ancora valere quello che qualcuno una volta ebbe a dire: "perdona loro, perchè non sanno quello che fanno".

Se al marziano fossero state spiegate anche queste cose, sicuramente avrebbe concluso che i marziani siamo proprio noi, nel vero senso italiota del termine.

Nel chiudere, rimando alla lettura del libro che raccoglie variegati articoli che, pur spaziando dal 1977 al 2002 dimostrano un’attualità incredibile o delle vere e proprie profezie come quelle di un oracolo.

 

  © Essec

 

P.S. - Il mio solito lettore, che spesso vede in anteprima i miei post, in questo caso ha perso tempo e io avevo la fregola di pubblicare. In ogni modo, alla fine mi ha fornito la "chicca" attesa che accolgo e che mi fa piacere riportare, per impreziosire il pezzo. "Ti propongo la frase di Churchill sulla democrazia (che può avere sapore consolatorio). Winston diceva: E’ la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora". 


 

 

venerdì 2 ottobre 2020

Luciano & Sergio …… e il loro volo spiccato da una finestra della IBM


Con Sergio più volte ci siamo intrattenuti nel parlare di Luciano De Crescenzo. 

Io perché curioso di conoscere nuovi aneddoti e risvolti professionali di un personaggio che ho sempre ammirato, lui per le scene convissute come "quasi collega" alla IBM di Napoli. 

Si erano conosciuti, avendogli lavorato spesso a fianco per un certo periodo della sua vita, in quanto collaboratore esterno operante presso il Centro Servizi della IBM. 

Grazie a questo Sergio conserva ora tanti ricordi che fanno immaginare come fosse stato originalissimo anche l'approccio “professionale” del De Crescenzo impegnato nel marketing dell’azienda americana più tecnologicamente avanzata.

Come l’amico Luciano, per certi aspetti e ad un certo momento, anche Sergio scelse percorsi diversi, avventurandosi su nuove strade per sperimentare nuovi sentieri alternativi; cimentandosi in ultimo, con successo, in lavori più consoni a quelli che da sempre erano stati i suoi reali desiderata, fondando una propria società d'informatica. 

“Caro Sergio, qui c’è scritto tutto quello che è capitato a me e tutto quello che è capitato a te. Buon Natale. Luciano” è la dedica - apposta il 23 dicembre del lontano 1981 - sul volume che raccoglie il romanzo “Zio Cardellino”. Un delicato racconto, per molti aspetti surreale e apparentemente leggero, ma che invece illustra in maniera efficace l’incontenibile desiderio di volare che c’è in molti di noi, per osservare il mondo anche dall’alto e da tante altre angolazioni. 

La vita di Luciano De Crescenzo la conosciamo in molti per i suoi tanti scritti. Al di là della supponenza critica del “Ghota culturale” contemporaneo, oltre a una profonda e non comune efficacia divulgativa, le sue opere – letterarie, cinematografiche, teatrali, televisive, etc. – riescono a fornire un quadro della enorme e variegata fantasia creativa di un soggetto motivato, che certamente non poteva rimanere incastrato nei percorsi standardizzati e stereotipati che caratterizzano l’impiegato, dirigente, manager comune, qualunque sia il reddito economico che ne può derivare. 

Chissà, forse con la dedica regalata a Sergio, De Crescenzo avrà magari anche voluto dare un po' di conforto e coraggio a se stesso; rispecchiandosi nell’amico che aveva, anche lui, scelto di percorrere - rischiando quindi - una strada autonoma e più consona a quello che taluni vogliono fortemente, che sognano veramente per "diventare da grandi”, con annessi i pericoli e i rischi di possibili flop. In questi casi, del resto, ci può stare tutto, ogni accadimento è possibile, fortuna compresa.

Il romanzo in argomento l’ho ricercato lungamente quando era difficile trovarlo e lo conservo anch’io oggi fra le cose più preziose, ma per i contenuti dello scritto. La sua lettura infonde una certa leggerezza e aiuta certamente ciascuno di noi a riflettere, sul proprio percorso di vita, in entrambi i sensi: avanti e indietro. 

Annoverarlo fra le cose lette per i giovani può costituire un aiuto nel cercare di non sbagliare nelle scelte importanti che si presentano e che arriveranno. 

Per chi è invece più anziano contribuisce nel tentativo di fare un sereno bilancio del vissuto e riflettere sulle molte opportunità che la vita aveva offerto e che, per pigrizia o quieto vivere o per altro, non abbiamo avuto il coraggio di scegliere, seguendo fino in fondo quanto l'istinto ci suggeriva. 

Ma non si dice nulla di nuovo nell'affermare che le buone letture consentono, nel loro complesso contenuto culturale, di avere un aiuto per un'analisi e un riesame del proprio vissuto o per soffermarsi nel saper meglio valutare eventuali opportunità nuove, imprevedibili, che invece possono ancora e sempre capitare.  

Concludo con un sincero ringraziamento a Sergio per il regalo che a sua volta mi ha fatto, girandomi la foto della copertina di “Zio Cardellino” e della preziosa dedica scritta per lui dal compianto Luciano. 

Buona luce a tutti!

 

 © Essec 

 

 

martedì 30 dicembre 2014

Ti porterà fortuna


Con il volume “Ti porterò fortuna”, edito da Mondadori nello scorso mese di settembre, ancora una volta Luciano De Crescenzo torna a stupire.
Con inesauribile fantasia ed originalità creativa De Crescenzo trova una nuova formula per narrare la sua amata Napoli.
Confrontandosi nel racconto con una giovanissima fan bolognese, impegnata a realizzare una tesi universitaria su di lui ed intanto ignara di stare contribuendo alla realizzazione di un’ennesima felice opera letteraria dell’eclettico e imprevedibile scrittore, torna con una sua nuova formula editoriale.
Nel libro, al particolare ruolo di guida “insolita” della città, De Crescenzo interpola anche una serie di aneddoti e nuovi racconti ovvero, richiamando alcuni suoi precedenti scritti e tanti suoi famosi personaggi, ne approfondisce i tratti, attutalizzando con ciò i profili filosofici della quotidianità partenopea.
Come sempre è difficile trovare nelle opere di Luciano De Crescenzo delle ripetizioni. Nei suoi libri egli ogni volta trova modo per leggere le molteplici sfaccettature che gli offre la realtà che lo circonda, della società civile, della sua Napoli e del suo passato; angolature nuove che gli consentono di fare affiorare nuovi personaggi, ruoli e aneddoti sempre particolari.
Tra i tanti, ad esempio, riesce oggi a romanzare e a rendere un po’ ilare la qualifica di “interprete” esercitata dal padre in tempi di guerra, per poi rivendicare seriamente la valenza insostituibile degli idiomi dialettali, ricchi di essenze filosofiche e piena espressione di localismi nati da spunti di vita reale.
Spaziando nei luoghi della capitale campana, De Crescenzo ancora una volta eccelle nel mescolarli con tesi e teorie dei filosofi del passato e con la semplicità del quotidiano, del popolo che ivi vive.
Un sempre prolifico Luciano De Crescenzo, frizzante e lucido, anche in questo suo nuova opera letteraria viene a raccontare cose nuove e, con la sua fervida fantasia, riesce sempre a mescolare personaggi nel tempo, rivitalizzando il passato e focalizzando risvolti di attualità apparentemente nascosti.
Per chi ama De Crescenzo, un ulteriore libro che non si può fare a meno di leggere, ottima strenna per un buon regalo di natale; leggero e profondo come i tanti suoi altri, scritto sempre con estro e piglio genialoide.


Essec


sabato 14 agosto 2010

A Napoli esiste un gergo chiamato parlesia

A Napoli esiste un gergo chiamato parlesia praticato dai teatranti e in particolare dai musicisti. È un modo per capire se si appartiene o no alla stessa famiglia. Nella parlesia lo stupido è definito 'o bacono', una bella donna 'a jammosa', le tette 'e tennose', quelle più abbondanti 'e to che toche', e l'apparato genitale maschile 'e richignense'.
Verbi fondamentali della parlesia sono l'appunire e lo spunire, usati rispettivamente per evidenziare gli aspetti positivi e negativi della vita.
Esempi: 'Appunisci Totò?', «Ti piace Totò?»; Me s'è spunita 'a jola, «Mi è affondata la barca».
Scopo principale della parlesia è quello di non farsi capire dai non addetti ai lavori. Supponiamo, ad esempio, che due musicisti stiano parlando tra loro e che si avvicini una terza persona alla quale non vogliono far sapere nulla di quanto guadagnano. In questo caso il primo dirà al secondo 'chiste accamoffa', ovvero «questo ci ascolta», per poi aggiungere 'a pila è loffia', ovvero «la paga è bassa».
Tra i tanti modi di dire della parlesia quello che più mi ha colpito è lo specchio, dai più definito 'o tale e quale. Me lo comunicò un suonatore di mandolino prima di uno spettacolo di cabaret al teatro San Ferdinando. Io ero alquanto spettinato e lui, porgendomi un piccolo specchio, mi disse: "Tiè 'stu tale e quale c'a po' adoppo m'o tuorne", «Tieni questo specchio che poi me lo restituisci».
La massima aspirazione di uno scrittore è l'autobiografia, ovvero il potersi scrivere addosso parlando delle esperienze e dei dispiaceri che lo hanno segnato. Quasi sempre ne esce un libro noioso che può piacere solo alla madre e alla moglie dell'autore. Non a caso Narciso morì affogato in un laghetto mentre si stava ammirando. Detto in altre parole, non tutti gli scrittori si possono permettere un’autobiografia. I più seguiti dal pubblico invece sì, e io ne approfitto.
Il mio specchio, o se preferite il mio Tale e quale, altro non è che un sosia che ho incontrato in circostanze misteriose. Lui mi somiglia in modo impressionante, fatta eccezione per la barba e per il modo di pensare. D'altra parte, per poter discutere di tutto, ma proprio di tutto, dell'amore, dell'eutanasia, degli extraterrestri e soprattutto di che cosa sia il tempo, era indispensabile avere idee diverse. Resta al lettore il compito di stabilire chi dei due avesse ragione.

Luciano De Crescenzo (Tale e quale)

sabato 29 maggio 2010

Elena, Elena, Amore mio: Premessa

Appartengo a una generazione che non ha mai giocato agli indiani e cow-boy. Quali le ragioni non saprei dirlo: sarà che negli anni Quaranta non erano ancora arrivati i fìlm di John Wayne, o che Mussolini ci spingeva di più verso la «classicità» che non verso il Far West, certo è che noi balilla, quando dovevamo fare a botte, preferivamo dividerci in Greci e Troiani piuttosto che in Sioux e soldati del Settimo Cavalleggeri. La prima guerra tra ragazzi di cui conservo memoria fu quella combattuta tra la quarta B e la quarta C del Liceo Ginnasio Umberto Primo di Napoli in Villa Comunale, nel tratto compreso tra piazza Vittoria e la cosiddetta Cassa Armonica (che nella circostanza ci rimise tutti i vetri colorati della fascia inferiore). Avevamo spade di legno e utilizzavamo come scudi i coperchi dei bidoni dell'immondizia, sui quali in precedenza avevamo scritto a grandi lettere: «A MORTE I FIGLI DI TROIA». Il perché poi noi fossimo i Greci e loro i Troiani, non sono mai riuscito a spiegarmelo; probabilmente perché eravamo stati noi della quarta B i primi a pensarci. In realtà avremmo voluto essere tutti Achille, solo che per sostenerlo a voce alta bisognava fare i conti con un certo Avallone, un bisonte, mio compagno di classe, dotato di due mani grosse come prosciutti.
I ruoli di Diomede, Aiace Telamonio, Aiace Oileo e Idomeneo furono subito accaparrati dai ragazzi più robusti della quarta B, motivo per cui dovetti accontentarmi di essere Epistrofo, un eroe focese che perfino Omero aveva snobbato, nominandolo solo una volta nell'elenco dei capitani. Ma per capire fino a che punto i nomi fossero distribuiti a caso, basti pensare che Cotecchia, l'ultimo della classe, individuo noto per la sua dabbenaggine, impersonava l'astuto Ulisse, e solo perché era amico di Avallone.
Inutile dire che nessuno di noi voleva essere Menelao. Che il fratello di Agamennone avesse le corna era fin troppo noto perché qualcuno potesse portarne il nome con disinvoltura. Eppure, a pensarci bene, proprio io avrei potuto accollarmi l'ingrato compito, dal momento che ero stato appena mollato da tale Ceravolo Elena, una ragazzina della terza A che aveva perfino il nome giusto per sostenere il ruolo dell'adultera.
Un giorno, all'una, l'attesi inutilmente all'uscita di scuola. Vidi sfilare, una dopo l'altra, tutte le sue compagne, e quando alla fine chiesi ragguagli a una biondina con gli occhiali, questa, non senza un pizzico di cattiveria, mi rispose: «Elena ha fatto "filone" (1) con Giorgio, quello alto della quarta C». Rimasi annichilito: avevo appena scritto una poesia dal titolo «Elena, Elena, amore mio» e avrei tanto voluto leggergliela mentre l'accompagnavo a casa. Girai come un ebete tutto il giorno e l'indomani mi vendicai nel modo più abietto: andai a dire ad Avallone che quelli della quarta C lo avevano soprannominato «palla di sivo», e tanto bastò per far scoppiare la prima grande guerra tra gli Achei e i Troiani.
Avallone, ovvero Achille, era un autentico camorrista: pretendeva una sigaretta al mese da tutti i suoi compagni di classe e guai a chi non era puntuale. Un giorno, per aver solo tentato un accenno di ribellione, presi tante di quelle botte che ancora oggi ne conservo il ricordo. Ebbi modo, comunque, di rivalermi durante il compito di greco: quando l'energumeno mi chiese di passargli la traduzione, risposi con molto coraggio: «Mi chiamo Epistrofo e sono un misero focese: il greco non lo so. Se proprio non sai cosa scrivere fatti aiutare da Ulisse che è amico tuo!"
Mosso da questi ricordi, quasi per un desiderio incontenibile di rivivere quei giorni, ho cercato di raccontare anch'io nel mio piccolo, la guerra di Troia, vista però con gli occhi di Leonte, un ragazzo di sedici anni che parte per il fronte, insieme al suo maestro Gemonide, con nove anni di ritardo rispetto all inizio delle ostilità.
Leonte è alla ricerca di suo padre, il re di Gaudos, dato per disperso da circa cinque anni: nessuno degli Achei gli sa dire se sia stato ucciso in battaglia o se sia stato fatto prigioniero dai Troiani. Tra le varie ipotesi c'è anche quella di un complotto ordito da suo zio Antifinio per impossessarsi del trono di Gaudos, un'isoletta poco più a sud di Creta. Non appena messo piede a terra, il ragazzo conosce Tersite, il guerriero storpio odiato da tutti a causa delle sue maldicenze. A sentire lui, Agamennone è un volgare profittatore, Achille un feroce assassino e Ulisse un emerito mariuolo. In un primo momento Leonte cercherà di difendere i suoi idoli, ma in seguito dovrà arrendersi all'evidenza dei fatti.
Il romanzo inizia più o meno nello stesso anno in cui comincia l'"Iliade", ovvero con il famoso litigio tra Agamennone e Achille che «infiniti addusse lutti agli Achei», e termina con il cavallo di legno e l'eccidio che ne seguì. Leonte, a forza di chiedere notizie del padre, finisce per conoscere (e per innamorarsi) di una troiana chiamata Ekto. La donna rassomiglia stranamente a Elena. «E' lei o non è lei?» si chiede con ansia il ragazzo. «Non è lei» gli risponde duro Tersite «e anche se lo fosse, non sarebbe mai una donna in carne e ossa: Elena è un fantasma, è una nuvola a forma di femmina costruita da Era solo per distruggere Troia!».

Personaggio ambiguo, sempre oscillante tra la passione e il rimorso, Elena ci guarda. Vittima o colpevole che sia, e lei l'unico motore del mondo. Lidia Storani Mazzoleni, nei suoi "Profili omerici" (Editoriale Viscontea), ne traccia un ritratto a più facce molto suggestivo. Elena è l'essenza della femminilità. Chi nella vita ha amato sa di che cosa sto parlando. Sa, ad esempio, che non è mai riuscito, nemmeno per un attimo, a possederla sul serio: anche quando credeva di stringerla tra le braccia, anche quando lei gli giurava tra le lacrime di amarlo per sempre. Ah, Elena, Elena, amore mio! E' a te che dedico questo libro, nella speranza, e nel timore, d'incontrarti ancora.


Luciano De Crescenzo (Elena, Elena, Amore mio - Mondadori - 1991)


martedì 5 gennaio 2010

Controra


Sono le tre di un pomeriggio d’estate. Il sole è impietoso. L’ombra non esiste o forse è solo un’illusione ottica, dal momento che non provo alcun sollievo nemmeno a restare seduto sotto un ombrellone degli chalet a Mergellina. A Napoli si chiama «controra». Il termine sta a indicare che si tratta di un’ora contraria, cioè di un’ora che dovrebbe essere vissuta come un’ora della notte: a letto e nel buio di una stanza. L’orario unico è stato inventato nei paesi senza sole.

Sono con un collega di Milano e ci stiamo riposando da un’eccellente colazione consumata a «Vini e Cucina», la famosa trattoria della signora che sta di fronte alla stazione di Mergellina. La signora ci ha preparato una cosa semplice, e durante il pranzo ha ritenuto suo dovere riempire di male parole il mio povero amico, reo di essere milanese e quindi probabile tifoso interista. Inutilmente il mio amico ha fatto presente che lui nella sua vita non era mai andato a vedere una partita di calcio; niente da fare: la signora ha continuato imperterrita a fare apprezzamenti sulla sua persona, sul fatto che parlava con l’erre moscia e sulla sua presumibile scarsa virilità, ha quindi esteso tali dubbi a tutti gli uomini milanesi ed in particolare ad Helenio Herrera, ex allenatore dell’Inter, ed infine ha tenuto una filippica contro Garibaldi, colpevole di aver unificato l’Italia allo scopo d’impedire al Napoli di vincere tutti gli anni lo scudetto del Regno delle Due Sicilie.

Siamo usciti sotto una tempesta di sole con l’intento suicida di arrivare a piedi in ufficio, fin sulla seconda rampa di Via Orazio. Come era facile prevedere all’altezza degli chalet di Mergellina siamo definitivamente crollati, e fortuna ha voluto che nel momento del deliquio abbiamo trovato a portata di mano due dondoli liberi ed un ombrellone. Lawrence d’Arabia non sarebbe andato oltre. Senza parlare, ma spostando leggermente la testa per rispondere sì o no alle domande del cameriere, siamo riusciti ad ordinare due granite di limone. Letargo per dieci minuti e poi le granite. Consumiamo, anzi prosciughiamo i nostri bicchieri; e poi di nuovo immobili, senza muoverci e senza parlare. Guardo, in assenza di pensieri, il tavolino arancione, i bicchieri asciutti, il biglietto da mille ancorato al portacenere e resto in attesa del cameriere. A questo punto compaiono loro: ‘e guagliune. Si tratta di una chiorma (un gruppo) di una decina di ragazzi, tutti scalzi, tutti in costume da bagno e con i jeans arrotolati sotto al braccio. Tornano da uno dei tanti stabilimenti balneari di Posillipo basso. Passano ridendo e gridando. Uno di loro, l’ultimo della fila, tredici o quattordici anni, capelli bagnati, occhi vivi, pelle nera, si ferma davanti al nostro tavolo, pensa, mi guarda e dice:

«Dottò, ma se io adesso mi scippo questa mille lire e me ne scappo, voi che fate?»

«Come che faccio. Ti corro appresso e ti faccio un mazzo tanto

«Ma dove volete correre dottò? Voi state spaparanzato su questa sedia a dondolo e prima che vi alzate in piedi, io già sono arrivato sopra alla chiesa di S. Antonio.»

«Ma tu che vuò

«Niente, volevo solo farvi notare che praticamente avreste potuto perdere mille lire. Facciamo una cosa: me ne date duecento e non ne parliamo più.»

A questo punto il mio amico vuole dargli per forza tutta la mille lire; io mi oppongo perché penso che certe iniziative non bisogna incoraggiarle. Decidiamo per cinquecento lire e una sigaretta.


Luciano De Crescenzo (Così parlò Bellavista - Arnoldo Mondadori Editore)


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Dissertazioni su Street Art, ne vogliamo parlare? A cura di Toti Clemente

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Un'immagine, un racconto

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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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