"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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sabato 28 marzo 2020

Il testo integrale dell'omelia di Papa Francesco in tempo di epidemia


Di seguito il testo integrale dell'omelia pronunciata da Papa Francesco al momento di preghiera straordinario in tempo di epidemia:

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre      piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.

È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).

Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.

La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.

Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.

Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.

Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, e di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).


mercoledì 25 marzo 2020

"Brunello"


In questi periodi di Covid 19 che costringono tutti noi a restare a casa, il tempo libero abbonda e così ci inventiamo tante occupazioni. 
Riordiniamo  spazi, cose, idee, rivediamo programmi, focalizziamo scelte.
Per quanto mi riguarda, mi capita di saltellare da una cosa all'altra, cercando di mescolare e diversificare gli impegni.
Nel dare un'occhiata alle bozze di idee rimaste nel cassetto, oggi mi sono imbattuto in uno scritto di qualche tempo addietro e, il rileggerlo, mi ha fatto tornare a riflettere su considerazioni ormai accantonate e di cui mi ero già fatto una ragione.
L'articolo, scritto nel giugno scorso, al di là delle reali motivazioni che lo avevano ispirato, mi è apparso però ancora valido e meritevole di essere postato. 
Ho pensato che potesse, in qualche modo, anche essere valido per utilità altrui; a monito di possibili scivoloni o di aperture di credito eccessive che potrebbero sempre presentarsi a ognuno. 
Per dovere di cronaca, confesso che il pezzo ha trovato ispirazione da una curiosità "terminologica" per un termine disuso che nel periodo dell'infanzia era molto utilizzato fra noi ragazzini a mò di insulto, casualmente incontrato nel web per la mia innata mania di ricercare ogni tanto nelle praterie delle curiosità offerte dalle tante piattaforme dell'informatica moderna.

"Ci sono vari tipi di brunello, il più noto in assoluto è quello di Montalcino, un vino toscano dalla caratteristiche particolari, forse un po’ troppo pungente, ma sono gusti.
Nel nostro modo di dire locale l’uso di questo termine non vuole comunque evidenziare aspetti malevoli in un soggetto che noi definiamo “brunello”; è una peculiarità specifica dell’individuo e di cui lo stesso non ha colpa.
Un soggetto può oggettivamente e in modo naturale essere biondo, bruno, rosso, nero, alto, basso, grasso, smilzo e anche ……. 'brunello'. Non sarà anche in questo caso deliberatamente colpa sua, è una prerogativa che si può avere o no ……. semplicemente assegnata dal destino.
Potrà forse tornare d’aiuto, al riguardo, l’articolo di Saverio Schirò (Le parolacce a Palermo - https://www.palermoviva.it/le-parolacce-palermo/), che in modo alquanto chiaro esplicita la funzione e il significato di alcuni appellativi in uso nel linguaggio palermitano e che tendono a sintetizzare - spesso in una sola parola - le peculiarità che, a nostro dire, caratterizzano taluni personaggi. 
Nello specifico, ad esempio, lo Schirò descrive il “brunello” come uno che non ha parola, un cambiabandiera, uno tipo poco affidabile.
Per deridere un pò - o forse di più - un soggetto che presentava caratteristiche similari,  qualcuno qualche tempo addietro, ironizzando, ebbe a scrivere questa poesiola: 
'Un odore di merda si spande nell’aria, s’insinua pian piano avvolgendo anche te. Il puzzo che domina ti nausea assai, ma fai finta di nulla sperando che cessi. Però l’odore è continuo e tu solo lo noti. Nessun dubbio ti assale, non ti poni domande e non provi a chiedere neanche a te stesso: “è d’intorno uno stronzo o son io che lo sono?'.
Il titolo del componimento era, ovviamente, 'Dedicato a …'
Un modo forse eccessivamente elegante per mandare a quel paese qualcuno che evidentemente se lo meritava a pieno titolo? Chissa? 
Un 'vaffa' di cuore, però, rimane sempre più terapeutico, principalmente per quell’aspetto spiccatamente liberatorio collegato all’esternazione accorata che l'accompagna."

Il mio solito correttore di bozze, che mi legge spesso in anteprima", mi chiosa:  "😂😂😂  È vero, un’espressione di “irosa insofferenza e risentita avversione” è sempre alquanto liberatoria . 👌"

 © Essec


lunedì 23 marzo 2020

Non è questo il tempo delle polemiche, ma …...



Il lupo perde il pelo ma non il vizio, recita un vecchio e popolare detto.
Fa specie che in un momento così problematico qualcuno possa continuare a ergersi con critiche inconcludenti.
Taluni non hanno ancora capito, forse, che la gente è stanca di ascoltare negatività, leggere pettegolezzi, dietrologie improbabili, contestazioni gratuite e senza alcun costrutto.
Con ciò non si vuol certo dire che non occorre vigilare sull’operato di tutti coloro che ricoprono ruoli di responsabilità, specie su quanto mette in campo chi ci amministra e governa.
Quando già piove a catinelle e non c'è riparo, non serve a nulla lamentarsi perchè mancano i tetti.
Chi disapprova ora e denuncia mancanze dov’è stato finora? Perché non ha evidenziato, con una pari virulenza come quella attuale, queste critiche che odorano tanto di tatticismo da sciacalli?
Oggi a capo del Governo abbiamo un avvocato cooptato dal mondo civile, un soggetto imprestato alla politica che, con tutti i limiti umani possibili, sta cercando di gestire un apparato pubblico fino a ieri amministrato anche da tanti burocrati e da politici incapaci.
Per quanto evidente le carenze di certo affiorate, in sanità, in infrastrutture, in sicurezza, non sono ascrivibili “tout court” alla gestione di questi ultimi due o tre anni.
È abbastanza risaputo il panorama che sta nel rovescio della medaglia generato dalla politica, con l'abdicazione del pubblico verso il privato. 
Oggi però ingenuamente scopriamo quanto sia fondamentale, per la gestione degli interessi della collettività, il ruolo super partes di uno Stato che ha il dovere di tutelare al meglio il benessere e la sicurezza dei cittadini.
Se non bastasse, il degrado amministrativo risente anche dell'abbandono del progetto d’integrazione politico-economico europeo, al quale  si è associata una globalizzazione che, in molti gangli sociali, ha indirizzato al ribasso anche le economie nazionali più evolute.
Nei primi degli anni novanta, "checchè" se ne dica, tutti speravamo in qualcosa o in qualcuno che riuscisse a frenare la corruzione economica e politica dilagante. La magistratura a quel tempo – e in particolare quella milanese con "Mani Pulite" - assurse a un ruolo forse improprio. Stante i vuoti decisionali della politica, invase in parte il campo della stessa, con un’azione che risultò efficace per frenare il dilagante sconquasso.
Qualcuno lamenterà prigioni facili e suicidi eccellenti, era forse un rischio che si doveva pur correre e, in molti casi, si tolsero la vita persone che avevano un’etica che non consentiva loro di sopportare lo scherno e – per carità – furono anche coinvolti in questo pure degli onesti.
Oggi, nell'attualità che ci allarma, ci ritroviamo magari con dei politici governanti forse anche impreparati e non sempre puntuali nelle risposte, ma animati in buona parte – con i loro seppur evidenti limiti - di acclarata buona fede.
Se una certa parte della classe politica - e qualche esponente in particolare - continua a speculare e a criticare in una fase di così grave emergenza, cosa deve ancora accadere perché torni ad alcuni un minimo di senno?
Questi "onorevoli" si comportano da avventurieri, in comunella con quegli pseudo giornalisti criticoni, quei soloni insolenti che giudicano – senza se e senza ma - chi magari si impegna a immaginare e a trovare soluzioni, senza però mai avanzare un minimo di proposta concreta e realizzabile.
Un amico che ha letto questo pezzo in anteprima, molto abile nelle "chiose" che hanno il pregio della sintesi, mi ha risposto che "c’è sempre qualcuno che non riesce, nemmeno oggi, a liberarsi della sindrome da campagna elettorale. E anche per questo non esistono ancora cure né vaccini.👍👋"
In tutto questo, nello scenario noto degli opportunismi speculativi affiorano gli atavici fantasmi dell'economia, fioriscono i mercanti delle mascherine, dei respiratori e perfino dei carri funebri e delle tante bare.
Non manca poi la sudditanza della politica alle varie lobbies e alla finanza speculativa. Tutta l'economia è pressochè ferma ma inspiegabilmente le borse restano aperte. Per rendere ancor più vulnerabile la debolezza dei mercati? Che forse giova a qualcuno. Chissà! 
I credenti potrebbero a questo punto ben dire: "God, if you are here and listen us, send us good!" (Dio, se sei lì e ci ascolti, mandaci il bene!).

 © Essec


mercoledì 11 marzo 2020

Massimo Fini: "Ho capito, ora devo darmi una calmata"


La cosa peggiore del Coronavirus, secondo me, è che ci rende untori li uni verso gli altri. L’altra sera doveva venire da me e cucinarmi una cena vegana (lei lo è, sai lo spasso) una mia cara amica. Mi ha telefonato dicendomi che era più prudente rimandare tutto. Non per lei. E’ nel pieno dei suoi quarant’anni, sana come un pesce, ma va avanti e indietro fra Verona e Milano, inoltre nella sua azienda, per fortuna non nel suo reparto, c’è una persona infettata. Del resto di influenza si è sempre morti. Secondo una ricerca molto seria pubblicata da International Journal of Infectious nel periodo dal 2013 al 2017 in Italia sono morte per influenza 68.000 persone. Naturalmente si tratta, in genere, di soggetti molto anziani o affetti da patologie pregresse. La vita si è allungata troppo. E’ una delle “trappole della ragione”. Nei Paesi occidentali siamo vecchi, l’Italia in particolare, credo sia al primo o al secondo posto, col Giappone, in questa classifica. Una “spuntatina” prima o poi dovevamo aspettarcela. 
Io di anni ne ho 76, vengo da una disintossicazione da alcol che mi ha portato in clinica per una decina di giorni e sono ancora in convalescenza. E’ questo il motivo per cui sono stato lontano dal giornale un mese. Molti lettori, insospettiti per quest’assenza, mi hanno chiesto della mia salute. Queste mail da una parte mi facevano piacere, dall’altra incazzare, ma qui entreremmo in meandri da Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij che non è il caso di approfondire. Quindi, anche se in clinica mi hanno fatto una serie infinita di esami che incredibilmente sono risultati perfetti, sono un soggetto “a rischio” (termine che ho sempre detestato perché usato e abusato dal ‘terrorismo diagnostico’, è ovvio che siamo tutti “a rischio”, è vivere che ci fa morire).
Madre Natura non è né maligna né benigna (qualcuno ricorderà, forse, lo splendido film di John Boorman Un tranquillo weekend di paura). Non è né morale né immorale, è amorale. E’ Neutrale. Tutte le epidemie nascono dal fatto che c’è un’eccessiva popolazione o, per essere più precisi, un’eccessiva concentrazione di popolazione (mi piacerebbe che sul Corona si facesse un rilevamento su quanti si sono infettati in città e quanti in campagna, sono abbastanza sicuro che percentualmente questi ultimi sono molti di meno). Il costante inurbamento ha aumentato questa concentrazione, ci sono città con 25, 15, 10 milioni di abitanti. La Natura allora interviene per eliminare i più fragili e mantenere in vita i più robusti. Questa è la dura sentenza. Anche se non credo proprio che il Coronavirus abbia questa forza falcidiante, è solo un’influenza un po’ più forte delle consuete, non è la peste.
Una causa del panico che si è creato è anche che nella società del benessere e del “diritto alla felicità” noi non sappiamo più accettare la morte, quella biologica intendo, che è inevitabile, da quella violenta si può sempre pensare di scapolarla. Non la si nomina nemmeno là dove sembrerebbe ineludibile (basta leggere i necrologi). Nel mondo contadino si sapeva attraverso il ciclo seme-pianta-seme che la morte non è solo la fine inevitabile della vita, ma ne è la precondizione, senza la morte non ci sarebbe la vita. Inoltre in quel mondo ognuno si sentiva parte di una comunità e della natura e quindi la sua morte era meno individuale. Noi viviamo circondati da oggetti, che non si riproducono ma casomai si sostituiscono, ai quali ci sentiamo sinistramente simili e quindi percepiamo la nostra morte come un evento del tutto individuale, radicale, assoluto, definitivo. E quindi inaccettabile.
Non tutto il male vien per nuocere. Credo che questa epidemia ci servirà per riflettere sui nostri stili di vita e sullo stesso modello di sviluppo o quantomeno a non farci incazzare o deprimere per i piccoli intralci che costellano la nostra vita quotidiana. 
Quanto a me dopo aver fatto negli ultimi anni una vita rutilante (viaggi, conferenze, cene, aperitivi, fidanzate una dietro l’altra) non corrispondente alla mia età, ho capito che anche qui è ora di darsi una calmata. Allo stato mi accontento d’esser vivo. E mi basta.

 

lunedì 2 marzo 2020

Sull’opportunità del suffragio universale e altro ....



Nella scrittura, come in altri campi divulgativi o di comunicazione in genere, ognuno ha un suo stile.
L’efficacia della fidelizzazione di un proprio pubblico dipende molto dai contenuti delle composizioni che, nel tempo, devono in qualche modo anche corrispondere alle attese dei lettori.
Con questo non si vuol dire che bisogna scrivere in funzione delle “aspettative” degli altri e men che meno che gli argomenti debbano essere scelti in sintonia col momento e magari, per cercare di conquistare più soggetti possibili, rischiando di argomentare su questioni non conosciute, in maniera palesemente insufficiente.
La sobrietà e l’efficacia comunicativa in ogni caso caratterizzano le qualità del messaggio e, come dicevano alcuni miei saggi insegnanti, per potere spiegare o discutere su un qualunque argomento è fondamentale avere chiari i concetti e le proprie idee sulle questioni trattate.
L’esercizio della lettura in questo aiuta, ma non sempre assicura risultati certi.
La moda di adesso è l’estrema sintesi e i social ci obbligano a un minimo di caratteri o ci impongono un limite di durata.
E‘ certamente vero ed è scientificamente provato che, oltre un certo numero di parole per un testo o una particolare durata di un filmato, scema l’attenzione, cade l’interesse ma è altrettanto certo che argomentazioni di tesi e di messaggi complessi necessitano l’utilizzo di un minimo di approfondimento che talvolta non può trovare un limite in un numero prefissato e standardizzato di parole o di minuti.
In molti talk show attuali si vedono tanti proferire fiumi di domande, a sostegno delle proprie tesi, senza lasciare alle controparti interpellate o coinvolte i tempi necessari per un’adeguata e esaustiva risposta.
In televisione l’odiens di successo è legata alla raccolta, il più possibile plebiscitaria, dei quesiti di “pancia” che potrebbero essere proposti dalla massa generalizzata degli utenti, in maniera tale che ciascuno possa riconoscersi almeno in una rimostranza formulata. Le risposte alle domande – spesso artificiosamente inconcludenti – poi fanno da solo corollario negli show di maggiore consenso.
In tutte le manifestazioni sociali, ciascuno si distingue poi, positivamente o negativamente, a seconda delle capacità nel sapersi collocare sui molteplici aspetti espressivi che, nei tempi occorrenti, non necessariamente impongono esperienze di testimonianze attive o, ancor meno, di documentazioni certe.
Quante volte, assistendo a una qualunque performance, pubblica o privata che sia, sorge spontanea la considerazione sul referenziere di trovarlo “negato”, almeno sul punto in questione. Molti di noi ne hanno fortunatamente coscienza e evitano di esporsi in situazioni difficili che, se reiterate, possono pure apparire “patetiche”.
Diciamo spesso - e in tanti - che il mondo è bello perché è vario, ma c’è però un limite a tutto.
Ciascuno di noi, in un sistema democratico, ha ampi spazi per vivere tranquillo e per alcuni non occorrerebbe ostinarsi oltre il dovuto. E’ però vero che, spesso, barlumi di genialità trovano incomprensioni, gelosie, ostacoli, e non è detto che siano poi proprio loro ad aver torto. 
La società civile nel suo insieme e nella maggior parte dei casi, per le caratteristiche insite a una scarsa scolarizzazione, si muove lentamente; necessita di tempi lunghi per capire le innovazioni, mostra resistenze ai cambiamenti, ha bisogno di essere accompagnata con strategie e didattiche rassicuranti.
Nessuno però è nemico di nessuno, ognuno potrà portare avanti le proprie tesi a condizione che le sappia anche supportare con argomenti accettabili. Magari associandole, se può, a prove inconfutabili, seppur basate su teorie filosofeggianti. Quello che spesso risalta è la mancanza di dialogo. Ciascuno esprime proprie teorie, come fosse depositario del "vero", accompagnandole con tesi approssimate che, quasi sempre, si muovono sul parziale e in maniera pure superficiale.
Negli ultimi tempi vedo crescere il numero di coloro che mettono in dubbio l’opportunità oggi del suffragio universale. Anche questo potrebbe costituire un buon argomento di dibattito.

 © Essec


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