"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

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mercoledì 23 settembre 2009

Paese ad mafiam

Testo:
"Buongiorno a tutti, la settimana scorsa si è celebrato a Palermo l’anniversario della strage di Capaci (23 maggio 1992), solita sfilata di politici, c’era persino Schifani, c’era persino il Ministro Alfano, tutti impegnati a parole, a cominciare dal capo dello Stato, a non abbassare la guardia, a promettere lotta dura senza paura a Cosa Nostra. Curiosamente qualche giorno prima due giornali, La Stampa e Il Corriere, avevano riportato le dichiarazioni di Giovanni Brusca, che è l’uomo che azionò il telecomando nella strage di Capaci che poi confessò, che poi aiutò i magistrati a scoprire i responsabili diretti e mandanti diretti di quella strage insieme a altri pentiti. Quindi è stato sempre ritenuto estremamente credibile sulle vicende di mafia.
Brusca è stato sentito nel processo a carico del generale Mori e di un suo collaboratore, il maggiore Obinu, per la storia che conoscete perché l’abbiamo già raccontata in passaparola, la storia della mancata cattura di Provenzano nel 1995, cioè 11 anni prima di quando poi Provenzano fu catturato. Lasciamo perdere quella storia, Brusca viene sentito in quel processo dove si parla naturalmente delle trattative tra esponenti dello Stato e della politica e esponenti della mafia negli anni delle stragi, cioè dopo Capaci, prima di via d’Amelio, dopo via d’Amelio e nel periodo poi delle stragi del 93 a Milano, Firenze e Roma.

Brusca: so chi è l'uomo delle istituzioni

E Brusca ha detto una cosa nuova rispetto a quello che aveva sempre detto e cioè che intanto gli risulta che ci fossero esponenti dello Stato italiano che trattavano con la mafia dopo la strage di Capaci e anche dopo la strage di via d’Amelio, ma che una trattativa avviata dopo la strage di Capaci e prima di via d’Amelio, quindi in quei 56 giorni che separano il 23 maggio dal 19 luglio, fu portata avanti da un uomo politico, da un uomo delle istituzioni, all’epoca c’era nell’estate del 92 il governo Amato che era appena nato, da un uomo politico al quale lui aveva sempre detto di essere giunto, per identificarlo e per individuarlo, tramite sue deduzioni. Invece nel processo ha detto che quel nome glielo fece esplicitamente il capo della mafia dell’epoca Toto Riina, dice testualmente Brusca “Riina mi fece il nome dell’uomo delle istituzioni con il quale venne avviata, attraverso uomini delle forze dell’ ordine, la trattativa con Cosa Nostra dopo la strage di Capaci”. Gli uomini delle forze dell’ ordine sono presumibilmente il generale Mori e il capitano Dedonno che avviarono, tramite Ciancimino, la trattativa con Riina e Provenzano che poi finì il 15 gennaio 93 quando Riina fu arrestato e chi è questo uomo politico? Anzi delle istituzioni? Delle istituzioni vuole dire che era un membro del governo o comunque un rappresentante delle istituzioni nell’estate del 92.
Brusca si avvale della facoltà di non rispondere sostenendo che su questo nome è in corso una indagine nuova, perché nessuno ne ha mai parlato e saputo nulla, alla Procura di Caltanissetta che è competente sulle indagini per i mandanti come per gli esecutori delle stragi avvenute a Palermo a carico di magistrati, per questa ragione se ne occupa Caltanissetta.
È piuttosto interessante che l’uomo che aziona materialmente l’ordigno che fa esplodere l’autostrada con Falcone, la moglie e gli uomini della scorta dentro alle macchine riveli in un pubblico dibattimento che il capo della mafia che gli aveva dato l’ordine di eseguire la strage di Capaci gli aveva anche detto dopo la strage di Capaci che si era avviata una trattativa con gli uomini delle forze dell’ ordine, ma per ordine di un esponente delle istituzioni più alto in grado rispetto a questi ufficiali dei Carabinieri.
Curiosamente questa domanda rimane con un bel punto interrogativo perché Brusca in questo momento non lo dice, ma immediatamente si è fatto silenzio su questo interrogativo, nessuno ci ha fatto trasmissioni televisive, nessuno ha avviato dibattiti, nessuno è andato a vedere chi potrebbe essere questo uomo politico, ripeto non stiamo ancora parlando della Seconda Repubblica e quindi non stiamo ancora parlando della pista che poi è stata archiviata durante la quale per un certo periodo erano stati indagati anche Berlusconi e Dell'Utri, stiamo parlando dell’ultimo governo della Prima Repubblica e cioè del governo Amato, a cui seguì poi il governo tecnico di Ciampi.
È interessante in quelle istituzioni Brusca dice c’è l’uomo che autorizzò quelle trattative all’indomani all’eccidio sull’autostrada di Capaci. È curioso che in questo paese dove si fa sempre scandalo su tutto anche sulle sciocchezze l’individuazione di questo uomo non sia stata oggetto di articoli di approfondimento, di trasmissioni televisive o forse non è affatto curioso. Ed è curioso, o forse non è affatto curioso, che nelle celebrazioni avvenute due giorni dopo a Palermo per la strage di Capaci nessuno di quelli che si sono alternati sui palchi a fare retorica antimafia abbia detto “vogliamo sapere il nome dell’uomo delle istituzioni che autorizzò la trattativa di questi ufficiali del Ros dei Carabinieri con la mafia, cioè lo Stato che tratta con la mafia all’indomani della strage”. Lo Stato che come al solito in pubblico si presenta con la faccia antimafia e in privato tratta con la mafia, il famoso doppio Stato, quello che non piace a certi giornalisti e a certe alte istituzioni di oggi, ma anche di questo ci siamo occupati recentemente.
Tenete presente dunque che c’è un nome di un esponente della Prima Repubblica e chi lo sa, visto che tanti della Prima Repubblica sono transitati immediatamente nella Seconda, se non sia ancora presente nelle istituzioni della Seconda, lo vedremo prossimamente quando si saprà qualcosa di più di queste indagini di Caltanissetta, c’è un signore che sa che Brusca sa. E nessuno pone nessuna domanda su chi sia, su che cosa faccia e soprattutto su che cosa abbia fatto.
Questa è una occasione forse per fare un po’ il punto sulla lotta alla mafia, vi dico soltanto una cosa incidentalmente, tenete a portata di mano una penna e un foglietto di carta perché poi alla fine del passaparola vi chiederò di segnarvi un indirizzo mail ma ci arriviamo. Questo politico, pare, abbia ricevuto anche lui, così come il figlio di Ciancimino dice lo abbia ricevuto anche il generale Mori, il famoso papello che Riina consegnava ai trattativisti dello Stato per dire queste sono le nostre condizioni per interrompere la strategia delle stragi. E se è vero quello che dice Brusca è curioso perché chiunque esso sia questo uomo delle istituzioni non è mai venuto fuori, non ha mai detto sì sono io, non ha mai detto “ecco qua il papello che ho ricevuto”, evidentemente l’ha tenuto in qualche cassaforte a doppia mandata.

Panico a Matrix

L’altra sera, fingendo di celebrare l’anniversario della morte di Falcone e Borsellino, Matrix ha messo in piedi la solita trasmissione dell’antimafia dei pupi e delle fiction dove naturalmente si faceva grande retorica, i cento passi, il film di Peppino Impastato, i film su Riina, i film su Falcone, i film su Borsellino, il procuratore Grasso con il libro da presentare, l’ex procuratore Ayala con il libro da presentare. A un certo punto in questo idillio dove non si facevano nomi di politici – per carità – questo idillio viene rotto da un magistrato collegato da Palermo, Gaetano Paci, Gaetano Paci che sta tra l’altro seguendo insieme a un’altra magistrata, Anna Maria Picozzi, il processo Addio pizzo, processo nel quale il comune di Palermo aveva annunciato di costituirsi Parte Civile e poi il giorno della costituzione si era dimenticato di costituirsi Parte Civile e poi ha avuto i tempi supplementari per farlo, perché altrimenti sarebbe rimasto escluso. Bene, Gaetano Paci, Presidente di una fondazione che ricorda le stragi, ha interrotto l’idillio dei presenti in studio e ha detto “vorrei dire una cosa, un anno fa si sentì dire che Vittorio Mangano era un eroe” sapete chi lo ha detto, lo ha detto l’editore di Canale 5 su cui andava in onda il Matrix di Alessio Vinci per la strage di Capaci. Dice Gaetano Paci “volevo fare presente che Vittorio Mangano non era un eroe, gli eroi sono Falcone e Borsellino e Vittorio Mangano era un mafioso sanguinario condannato per traffico di droga, per mafia e poi in primo grado per tre omicidi, all’ergastolo, ergastolo che poi non divenne definitivo anche perché Mangano morì prima che si arrivasse alla fase di appello”.
Chi di voi ha visto quella scena ha visto il gelo che in quel momento si è dipinto sul volto degli ospiti, tutti impietriti perché? Perché si stava parlando di corda in casa dell’impiccato, si stava parlando dell’amichetto di Berlusconi nella televisione di Berlusconi in una trasmissione che avrebbe dovuto occuparsi di mafia ma che naturalmente aveva tenuto fuori tutti i rapporti che la mafia ha al di sopra del suo livello militare. Questi si sono detti “oddio adesso questo magistrato dirà anche il nome di Berlusconi che si è tenuto Mangano in casa per due anni!” invece chiunque volesse intendere ha inteso e chiunque volesse vedere in quelle facce impietrite ha potuto vedere, Vinci naturalmente cuor di leone ha immediatamente mandato un servizio sui cento passi e su Peppino Impastato, in modo da tornare all’antimafia delle figurine e con ciò non voglio minimamente sminuire la figura di Peppino Impastato intendiamoci. È semplicemente che la creazione di queste icone dell’antimafia come Impastato, Falcone e Borsellino diventa spesso un alibi per fermarsi lì e non andare ai livelli superiori, al famoso doppio Stato che tanto poco piace a certi giornalisti e a certe alte cariche dello Stato.
Non mi risulta che la Commissione parlamentare antimafia abbia avviato accertamenti sulle dichiarazioni di Brusca, come non mi risulta che ci sia una grande mobilitazione, eppure quella era l’occasione le celebrazioni per la strage di Capaci, rispetto a una denuncia drammatica fatta dal procuratore aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato, coordinatore del pool che si occupa dei reati finanziari legati alla mafia, il quale ha detto a Il Sole 24 ore anche lui alla vigilia delle celebrazioni per il 23 maggio, che il governo nelle persone del Ministero della Giustizia e del Ministero dell’economia, Ministeri retti da Angelino Alfano presente alle celebrazioni e dal Ministro Tremonti, avevano deciso di togliere, per motivi burocratici chissà quali, l’accesso alla Procura di Palermo e a tutte le procure all’anagrafe dei conti correnti bancari, prima le procure avevano la password e poi gliela hanno tolta, non possono più entrate nella anagrafe dei conti correnti bancari e naturalmente entrare in questa anagrafe significa riuscire a recuperare enormi patrimoni di mafiosi, a dare nomi e cognomi agli intestatari di questi patrimoni per poterglieli portare via.
Casualmente è sparita la password e quindi i magistrati sono disarmati sul fronte della lotta ai patrimoni mafiosi e al riciclaggio, naturalmente per pura coincidenza questa denuncia è arrivata nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci e nessuno ne ha parlato, proprio perché non si può andare al di là del teatrino dei pupi.

La mafia a Lodi e Milano

L’altra sera a Anno Zero abbiamo raccontato a quali livelli sono arrivate le infiltrazioni mafiose nel nord, abbiamo raccontato le possibili penetrazioni della mafia che sicuramente insieme alla ‘ndrangheta e alla camorra si avventerà su quei 15 miliardi di Euro che arriveranno per l'Expo a Milano e dintorni, Letizia Moratti ha risposto come rispondevano i sindaci di Palermo negli anni 50/60/70 e cioè “non bisogna infangare il buon nome della Sicilia parlando di mafia” e lei ha detto “non bisogna infangare il buon nome di Milano parlando di mafia”. Il giorno prima c’era stato un delitto mafioso proprio alle porte di Milano e il Consiglio Comunale di Milano aveva pensato bene di bocciare, di chiudere appena aperta la Commissione consiliare antimafia, anche lì per motivi burocratici o forse per non infangare il buon nome di Milano perché infangare il buon nome di Milano non significa aprire Milano alle infiltrazioni mafiose ma, nell’ottica di questa signora , significa parlare delle infiltrazioni e evidentemente combatterle. Chi di voi vuole un esempio di quello che sta succedendo in Lombardia con la mafia in grande spolvero può leggere una intervista a un giovane regista e attore del lodigiano pubblicata questa settimana da L’Espresso. È un ragazzo che praticamente vive sotto scorta da qualche mese perché ha osato mettere in scena uno spettacolo sui pizzini di Provenzano, uno spettacolo satirico e evidentemente mettere in scena uno spettacolo satirico sui pizzini di Provenzano a Lodi, è altrettanto pericoloso come farlo a Corleone. Tant’è che questo ragazzo ha avuto le gomme della macchina tagliate, ha avuto delle bare disegnate sulla porta di casa e adesso vive sotto scorta: a Lodi, non a Corleone!
Ma non bisogna parlarne perché altrimenti poi oltre a infangare il buon nome di Milano si infanga anche il buon nome di Lodi e non sia mai: lodi a Lodi bisognerebbe dire così!
Un’altra notizia scomparsa, questa veramente non l’ha data nessuno, riguarda una indagine aperta dalla Procura di Palermo e che ha portato addirittura l’altro giorno a una raffica di arresti (una ventina) di persone, diciamo manovalanza, capetti e capoccia della mafia che si dedicavano naturalmente alle loro attività preferite: da un lato il pizzo, dall’altro il sostegno ai detenuti mafiosi perché non parlino e dall’altro ancora alla compravendita di voti con politici. Abbiamo sfiorato l’argomento nel passaparola della settimana scorsa quando abbiamo parlato dell’assessore regionale Antonello Antinoro, candidato dell’Udc alle europee, assessore regionale alla cultura nella giunta Lombardo, il quale è indagato per voto di scambio mafioso in quanto avrebbe comprato, secondo l’accusa, proprio in cambio di soldi i voti o una parte dei voti ottenuti per essere eletto. Adesso lo mandiamo al Parlamento europeo: Udc.
In questa operazione c’è ovviamente un voluminosissimo ordine di custodia per questi mafiosi e tra i tanti che vengono catturati per il 416 bis, cioè per associazione a delinquere di stampo mafioso, per partecipazione e non per concorso esterno, sono proprio mafiosi membri interni, si leggono alcune intercettazioni telefoniche che ne riguardano due, uno si chiama Antonino Caruso, è stato arrestato perché è accusato di essere un membro del clan mafioso dell’Arenella a Palermo, di essere in affari illeciti con il clan del quartiere di Resottana, impegnatissimo nel pizzo e cioè nelle estorsioni, nel sostegno ai detenuti mafiosi e nel voto di scambio.

Vietato parlare di Dell'Utri

Questo signore dentro la sua macchina non sapendo che c’è una cimice nascosta sotto il sedile, il 4 novembre 2007 – stiamo parlando di un anno e mezzo fa, roba freschissima – parla, ripeto dentro la sua autovettura, con un certo Letterio Ruvolo che è il suo braccio destra e anche lui membro, così dice l’accusa, del clan della Arenella molto esperto nella riscossione del pizzo. I due parlano di tante cose e parlano anche di politica, è il 4 novembre 2007, cosa succede il 4 novembre 2007? Siamo ancora sotto il governo Prodi che sta per cadere nel gennaio poi del 2008, “il Caruso - scrive il giudice nell’ordinanza di custodia - iniziava l’esposizione del problema – è un problema che riguardava la famiglia mafiosa – a un certo punto il Ruvolo – cioè il suo braccio destro – lo interrompeva per impartire un ordine perentorio, ovvero di non pronunciare mai il nominativo di Dell'Utri, bisogna proteggere Dell'Utri”, non bisogna mai nominarlo nelle conversazioni perché c’è il rischio di essere intercettati e questi non sapevano che erano intercettati nel momento in cui progettavano di non nominarlo per non essere intercettati e quindi ce l’hanno ficcato dentro anche senza volerlo e questo naturalmente è molto interessante, perché è una intercettazione assolutamente spontanea.
Caruso dice “allora Tonino si è perso in un bicchiere d’acqua, ieri sera d’istante non li ha voluti mortificare” stanno parlando dei fatti loro e Ruvolo dice “no no niente quello che ti voglio dire pure a te – quindi sta passando la voce a tutti – il nome di là non lo dobbiamo nominare” che cos’è il nome di là? L’altro dice “qual è?” e l’altro dice “Dell'Utri, capisti!” è evidente che stavano già parlandone prima da un’altra parte non intercettati e infatti dice “il nome di là” e infatti lui gli vuole dire noi non dobbiamo parlare più. “Dell'Utri, capisti!” e Caruso dice “no” e allora Ettore Ruvolo gli dice “completamente non deve esistere, non deve esistere, Ni’ – cioè Nino – non deve esistere”.
Caruso poi va e dice “noi siamo portati che abbiamo e ci dobbiamo capire, abbiamo un governo regionale e un governo nazionale, basta. Noi qui siamo, ha a che fare con il governo regionale, hai capito. Il governo regionale è qua, il governo nazionale è là, ma lui dice guarda me governo nazionale, Talia – cioè guarda – puoi essere tu il governo nazionale, io quello non si sa. E l’altro cioè Ettore gli dice me ne sono andato io, quel nome non deve esistere completamente, l’ordine scrivono i giudici di non nominare mai Dell'Utri era riferito evidentemente a un precedente dialogo afferente a un argomento riguardante la sfera politica, infatti Caruso poi dice non esiste non esiste e vanno avanti. Insomma di Dell'Utri non si deve parlare più, perché? Perché già se ne è parlato troppo in tante conversazioni che poi sono confluite nelle intercettazioni acquisite agli atti del processo Dell'Utri che hanno portato questo sant’uomo a una condanna a nove anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa e come vedete Dell'Utri è sempre in cima ai pensieri di questi mafiosi, tant’è che o per parlarne o per dire di non parlarne ce l’hanno sempre presente davanti agli occhi come un santino.
Non mi pare che questa notizia l’abbiate letta da qualche parte, non mi pare nemmeno che durante le celebrazioni per il 23 maggio qualcuno abbia detto ai compagni di partito di Dell'Utri se avessero qualche dichiarazione da fare, qualcosa da dire, non so per esempio il Presidente del Senato così proiettato verso la lotta alla mafia, almeno a parole, per non parlare del Ministro Alfano che è proprio una specie di scalmanato dell’antimafia, perlomeno naturalmente a parole.
E poi vedete come a furia di fare scomparire i fatti poi ci si riduce a fare celebrazioni oleografiche, celebrazioni retoriche, declamazioni che poi non vanno nel profondo, pensate se dovesse mai succedere che si presenta una volta uno il 23 maggio in piazza e invece di fare le solite giaculatorie, l’amico Giovanni, l’amico Paolo, non abbassiamo la guardia, il bacio alla vedova, il bacio all’orfano etc. dicesse “io voglio sapere chi è l’uomo delle istituzioni che all’epoca del governo Amato avviò la trattativa tra lo Stato e la mafia, ricevette il papello, autorizzò i Carabinieri a andare a negoziare con un mafioso come Ciancimino, cioè con coloro che avevano appena fatto ammazzare Falcone”. Pensate che rivoluzione? Purtroppo dal 92 sono passati 17 anni, sarà perché il 17 porta sfiga, ma nemmeno quest’anno abbiamo avuto la fortuna di sentirne uno solo che facesse questo discorso o che magari sventolasse questa telefonata di due mafiosi che parlano di Dell'Utri e anzi dicono di non parlare di Dell'Utri, per dire ma possibile che noi ci teniamo in Parlamento uno così? O magari aggiungano che nella Giunta Regionale, quel giorno era ancora piedi Lombardo non l’aveva ancora sciolta, sedeva un altro indagato per compravendita di voti con i mafiosi e prossimamente spedito in Parlamento europeo.

Marco Travaglio (Passaparola - 1 giugno 2009)

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