La Quarta Dimensione Scritti
"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."
Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).
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mercoledì 23 luglio 2025
Roberto Scarpinato, dichiarazione di voto sul Ddl ‘Separazione delle carriere’.
Intervento dell'Onorevole Roberto Scarpinato al Senato della Repubblica (<-- Video)
"Non impiegheremo i pochi minuti a nostra disposizione per lumeggiare ancora una volta l’inconsistenza delle motivazioni ufficiali poste a fondamento di questa riforma costituzionale. Andiamo alla sostanza politica.
Siamo consapevoli che si tratta di un regolamento di conti della casta dei potenti contro la magistratura, che per essere attuato richiede necessariamente uno stravolgimento dell’assetto dell’ordinamento della magistratura previsto dalla Costituzione ed un cambio di paradigma culturale.
La Costituzione ha infatti profondamente trasformato il Dna culturale della magistratura ed il suo rapporto con il potere.
Per tutto il lungo periodo storico dell’Italia monarchica e fascista, la magistratura era stata pienamente omologata al potere politico, e, tranne rare eccezioni, aveva praticato una giustizia di classe considerando il mondo del potere al di sopra della legge e non giustiziabile.
Per questo motivo in 88 anni di storia nazionale, dalla fondazione dello Stato unitario sino all’avvento della Repubblica, non si è registrato alcun conflitto tra mondo politico e ordine giudiziario.
La Costituzione ha introdotto una cesura storica rispetto a questo passato.
Garantendo l’indipendenza dei giudici e dei pubblici ministeri ha emancipato la magistratura dalla cappa dei condizionamenti diretti e indiretti del mondo del potere, trasformandola da corpo di funzionari che operava come articolazione della classe dirigente, in un potere autonomo, in una variabile indipendente dagli equilibri politici contingenti e, quindi, fuori controllo.
La progressiva perdita di controllo della magistratura, è divenuto nel tempo un fattore destabilizzante per il sistema di potere italiano che dietro la facciata dello Stato legale, ha in larga misura fondato e continua a fondare i suoi equilibri e la concreta gestione del potere su occulte pratiche illegali: dalla normalizzazione delle tangenti e della corruzione, alla normalizzazione del voto di scambio e del conflitto di interessi, alle varie forme di piduizzazione del potere, alla commistione tra politica e affari, alla sudditanza delle decisioni pubbliche agli interessi di lobbies e di gruppi di interessi, agli accordi sottobanco e ai matrimoni di interessi con le mafie in cambio di voti e di lucrosi affari.
L’incompatibilità tra la costituzione materiale del paese contrassegnata dall’illegalismo di larghe componenti delle classi dirigenti e la Costituzione formale che impone il controllo di legalità sull’esercizio del potere, ha causato nel tempo una crisi di sistema di lungo periodo con ricorrenti fasi di fibrillazione.
Tutta la storia italiana del dopoguerra dagli anni Settanta in poi, è stata segnata da una profonda crisi di insofferenza e di rigetto di larghe componenti del sistema di potere nazionale nei confronti di una magistratura che essendo divenuta a causa della Costituzione fuori controllo, ha sistematicamente messo in crisi la sopravvivenza e la perpetuazione di metodi illegali di gestione del potere.
Dai giovani pretori che negli anni Settanta scoperchiarono lo scandalo del petrolio – tangenti miliardarie di grandi petrolieri ai partiti in cambio di leggi di favore che facevano lievitare oltre misura i prezzi della benzina ai danni dei cittadini – alle indagini della Procura di Milano che portarono alla luce il verminaio della P2, esempio paradigmatico di Stato occulto e parallelo antidemocratico ed eversivo, alle indagini del pool antimafia di Palermo che con l’arresto di Vito Ciancimino e dei potentissimi cugini Nino e Ignazio Salvo, misero in fibrillazione la borghesia mafiosa, uno degli architravi del sistema di potere nazionale, ai processi della stagione di Tangentopoli e di Mafiopoli degli anni Novanta che rivelarono alla nazione il vero ritratto di Dorian Gray di larghe componenti della classe dirigente, si arriva rapidamente alle cronache giudiziarie dell’attualità.
Una attualità contrassegnata da una successione senza fine di casi giudiziari di corruzione, di commistione tra affari e politica, di collusioni con la mafia che da Milano a Palermo sembrano il replay di storie del passato, di una eterna Tangentopoli e Mafiopoli, di una coazione a ripetere di una classe dirigente irredimibile in sue larghe componenti.
Questo telegrafico excursus della storia nazionale è una premessa necessaria per comprendere le reali ragioni di questa riforma.
Una coalizione di governo costituita da forze politiche storicamente collegate ai mondi del piduismo, della destra eversiva e antidemocratica, della borghesia mafiosa e del berlusconismo, ha deciso di approfittare dei contingenti rapporti di forza attuali per chiudere finalmente la partita, mettendo le mani sulla Costituzione individuata come la causa della perdita di controllo della magistratura, con una riforma blindata e inemendabile da approvare in tempi record.
Una riforma che costituisce il primo tempo di un disegno complessivo da completare solo in seconda battuta dopo avere superato lo scoglio del referendum confermativo, mediante l’emanazione di leggi ordinarie finalizzate a sottoporre l’esercizio dell’azione penale al controllo del potere politico. Come, ad esempio, il disegno di legge numero 1440 del 2009 già predisposto dal governo Berlusconi che prevedeva il trasferimento dei poteri di direzione delle indagini dai Pubblici ministeri alle forze di Polizia, dipendenti dal governo, mediante la semplice modifica degli articoli 326, 330 e 335 del c.p.p.
Una riforma costituzionale che per i modi in cui è stata congegnata e gestita in sede parlamentare costituisce un esempio da manuale della scienza e dell’arte dell’impostura politica. Una impostura diretta a spacciare come interesse generale del paese, gli interessi di casta rappresentati da questa maggioranza.
Una impostura finalizzata a spacciare come riforma neutra rispetto all’assetto dei poteri, una riforma destinata invece a incidere profondamente sugli equilibri tra i poteri dello Stato.
Come viene realizzata questa impostura?
Celando dietro le motivazioni formali e di facciata della riforma esposte nella relazione di accompagnamento del disegno di legge, le vere ragioni politiche inconfessabili apertamente.
Reali ragioni che, tuttavia, come voci dal sen fuggite, sono state esternate apertamente a più riprese da autorevoli esponenti della maggioranza anche nelle sedi istituzionali.
Cosi nella relazione al disegno di legge di iniziativa del senatore Zanettin che proponeva l’elezione per sorteggio dei componenti togati del CSM. Soluzione poi recepita dal Governo in questo disegno di legge, si legge che la riforma è finalizzata a rimuovere l’interferenza delle correnti della magistratura nella nomina dei dirigenti degli uffici giudiziari, perché tale interferenza sarebbe stata la causa di una gravissima patologia del sistema descritta nei seguenti testuali termini: “L’uso a orologeria della giustizia, il distorto pilotaggio delle indagini verso vicende selezionate nei confronti di esponenti politici poco graditi, [..] in grado di condizionare direttamente o indirettamente l’azione di settori essenziali della magistratura secondo quello che, senza timore di smentite, può definirsi un surrettizio e inammissibile esercizio politico della funzione giurisdizionale”.
Traducendo, secondo questa maggioranza bisogna modificare il sistema elettorale del Csm e separare le carriere perché sarebbe dimostrato – “senza timore di smentite” – che le condanne subite da tanti autorevolissimi esponenti politici – Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, Antonio D’Ali, Nicola Cosentino, Amedeo Matacena, Cesare Previti, Giancarlo Galan, Roberto Formigoni, Denis Verdini – e qui mi fermo altrimenti facciamo notte, non sarebbero state determinate dall’accertamento dei reati da essi commessi, ma sarebbero state il frutto di una congiura diabolica delle correnti della magistratura che, dietro le quinte, avrebbero prima pilotato le indagini e poi le condanne, coinvolgendo per ciascuno di questi processi centinaia di magistrati che si sono occupati di questi casi nei vari gradi di giudizio: pubblici ministeri, giudici della udienza preliminare, giudici dei Tribunali, giudici delle Corti di Appello e persino giudici della Corte di Cassazione.
Magistrati tutti obbedienti come soldatini a direttive provenienti dagli organi di vertice delle diverse correnti che, in tal modo, avrebbero trasformato i processi in strumenti di lotta politica.
Che questa narrazione di palazzo sia unanimemente condivisa da tutti i vertici dei partiti della maggioranza è attestato da innumerevoli interventi pubblici.
Per limitarmi ad alcuni dei casi più recenti, il senatore Gasparri, capogruppo di Forza Italia in questi giorni ha dichiarato che questa è “una riforma epocale che cancella le stagioni oscure dell’uso politico della giustizia”.
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni il 18 luglio 2025 ha dichiarato che “il governo è impegnato a riformare la giustizia per mettere fine alle storture a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni”.
Il Vice Presidente della Camera Giorgio Mulè, dopo il voto positivo alla riforma in quel ramo del Parlamento, ha sottolineato che tale traguardo costituiva il coronamento del sogno di Silvio Berlusconi il quale – è bene ricordare – nel 2003 a sostegno della necessità della riforma sostenne il seguente formidabile motivo che, bisogna ammettere, è giuridicamente imparabile: “I giudici sono matti, sono mentalmente disturbati, hanno turbe psichiche e sono antropologicamente diversi dalla razza umana”.“I giudici sono matti; bisogna proprio essere matti per fare il giudice”.
Perché non dite ai cittadini la verità e cioè che bisogna fare questa riforma perché i giudici sono matti o peggio perché sono criminali che hanno condannato fior di galantuomini solo per motivi politici?
Cosa vi trattiene dal chiamare a raccolta il popolo nel prossimo referendum confermativo intorno a questa vostra solare e scandalosa verità, e a trincerarvi invece dietro motivazioni formali, dietro algidi tecnicismi incomprensibili al cittadino medio che non scaldano gli animi?
Sapete e sappiamo bene il perché. Perché anche i più ingenui tra i cittadini, a quel punto capirebbero che questa riforma è una mela avvelenata, che si tratta di una riforma di casta che non li riguarda, che si tratta di un volano per ripristinare la vecchia giustizia classista forte con i deboli e debole con i forti del periodo precostituzionale.
Perché una campagna elettorale condotta con simili argomenti sarebbe un clamoroso autogol che vi farebbe perdere il referendum confermativo.
Dunque siete costretti all’impostura, a mentire, a tenere a freno la lingua nei convegni e nei dibattiti televisivi, a mettere a tacere l’ingenuo senatore Zanettin che vorrebbe gridare ai quattro venti le vere ragioni della riforma, e a lasciare la parola all’astuto sottosegretario Sisto, già avvocato di Berlusconi padre spirituale della riforma, incaricato di convincere il signor Bianchi e il Signor Rossi, che questa riforma non ha ragioni politiche, ma è finalizzata solo garantire che chi lo giudica non sia contaminato da chi lo accusa.
Siete costretti a mentire arrivando al punto di mescolare senza alcun pudore il diavolo e l’acqua santa.
Non potendo esibire pubblicamente e decentemente come icone e spiriti guida di questa riforma Gelli, Berlusconi, Dell’Utri, Previti, e altri personaggi simili, vi fate scudo dell’icona di Giovanni Falcone, il magistrato che proprio dai mondi di cui tali personaggi sono l’emblema – lo piduismo, la borghesia mafiosa, poteri economici conniventi con le mafie – fu osteggiato, ridotto all’impotenza e poi lasciato nelle mani dei macellai che lo massacrarono il 23 maggio 1992.
Il Gruppo Cinque Stelle dichiara dunque il proprio voto contrario in nome di tutti i cittadini consapevoli che la difesa dell’ indipedenza della magistratura è l’ultimo baluardo che ci resta per non consegnare il paese ad una politica corrotta, sottomessa alle lobbies e connivente con le mafie."
Buona luce a tutti!
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Scarpinato Roberto
venerdì 18 luglio 2025
Fotografie, come lampi narrativi
Accade a tutti gli appassionati di fotografia di volere talvolta costruire un’immagine con l’intenzione di riuscire a suggellare in un solo scatto quella che potrebbe essere la sintesi di un evento.
Il tutto può includere elementi della scena, selezionati in modo da storicizzare anche l’atmosfera, ma non è semplice riuscire a semplificare senza cadere in soluzioni banali, scontate e troppo ovvie.
Nel trittico qui proposto, l’intenzione originaria era abbastanza semplice, ovvero era quella d’immortalare la coppia nell’ambiente che aveva appena accolto la presentazione del libro “Rosalia, oltre la Fede”.
Può, però, anche succedere che, indipendentemente da tutto e dalle stesse intenzioni, qualche volta sono i protagonisti rappresentati in scena a far nascere tanti dettagli di un vero racconto.
Nel caso in questione, dopo il primo click che intendeva generare un’istantanea, nello stesso palcoscenico della rappresentazione, qualcuno venne a declamare ..... bacio, bacio.
Dopo un primo imbarazzo fu lei a venire a rompere gli indugi e a prendere decisamente l’iniziativa, forse per soddisfare il desiderio inconscio di storicizzare a proprio modo quel particolare momento.
Il secondo e il terzo scatto rendevano chiari i sentimenti, grazie alla complicità attenta, ma del tutto inconsapevole, di chi stava fotografando.
Per chi conosce i soggetti in posa e, in particolare, il momento unico che entrambi stavano vivendo nella loro avventura di coppia, il trittico riuscirà’ a dire molto più della semplice dinamica del bacio che era stato rappresentato.
Per chiudere, si potrà sicuramente, quindi, affermare che immagini possono essere anche architettate a monte e che, nell’esempio in questione, sono state in parte indotte, ma il risultato fotografato nel trittico proposto racconta dell’imprevedibile, ovvero del protagonismo spesso messo in campo dai soggetti che, nel caso, hanno consentito di catturare attimi, preziosità di rari miracoli esistenziali, semplicemente espressi con spontaneità e leggerezza.
Anche questo fa parte dell’arte fotografica, che tende a catturare si la luce nelle sue molteplicità ma che riesce a cogliere e congelare anche emozioni ... fuggenti.
Buona luce a tutti!
© Essec
domenica 6 luglio 2025
“Rosalia Oltre la Fede”
Venerdì scorso, a Palazzo Bonocore, ho avuto l’opportunità di partecipare al vernissage della mostra fotografica annessa alla presentazione del libro, efficacemente coordinata da Amelia Crisantino e che ha visto anche la partecipazione del sempre effervescente e acuto Salvo Piparo.
La mostra sarà visitabile fino al 21 luglio con ingresso libero. Ogni giudizio e qualunque considerazione sul libro fotografico “Rosalia Oltre la Fede” (Edizioni: Torri del Vento) di Giacomo Barone e Gianluca Marrone sarebbe del tutto superfluo, per il semplice fatto che occorre essenzialmente sfogliarlo da sé – possibilmente magari più di una volta – per riuscire a farsi una propria idea precisa.
Intanto la mancata indicazione dell’autore di ogni singola opera dimostra l’affiatamento non comune che lega i due fotografi i quali, trascurando l’attribuzione delle rispettive immagini hanno puntato essenzialmente a cercare d’inserire le giuste tessere in un mosaico volto a una narrazione unicivoca, senza frapporre inutili distrazioni.
Questo libro su Santa Rosalia è composito, ricco di dettagli e per questo, a mio parere, forse è rivolto principalmente al palermitano d.o.c..
Rappresenta, infatti, un caleidoscopio che si sofferma a raccontare le tante sfaccettature semantiche incluse nell’annuale evento: sia nelle ricercate estetiche che nelle considerazioni più intime sottese. Mostrate in un tutt’uno nell’attimo sintetizzato da un click.
Gratitudine è un termine a Palermo poco conosciuto, perché i palermitani in media sono “faccioli” e usano vendersi a chi offre di più.
Nel caso, per la storia dell’assunzione di Santa Rosalia a patrona, bastò il supposto miracolo che pose termine alla peste; per rinnegare in un sol colpo sia le patrone preesistenti poste ai Quattro Canti (Agata, Cristina, Ninfa e Orsola) che lo stesso Benedetto il Moro, solo recentemente riscattato da Igor Scalisi Palminteri con un maestoso murales dipinto che domina la piazza centrale dell’Albergheria.
Le attese ogni anno sono tante e per ogni amministrazione il Festino rappresenta un impegno non indifferente. Quindi, il "Viva Palermo e Santa Rosalia", oltre a costituire quasi un grido liberatorio diventa anche un auspicio scaramantico, tipicamente laico, affinché per la sindacatura di turno poi tutto possa andare per il meglio.
Tornando al libro, azzeccate si rivelano la prefazione di Amelia Crisantino - che racconta la storia della santa - contrapposta allo scritto su Nofrio tarantanchiolo di Salvo Piparo posto alla fine e dal quale piace citare una frase: “Arriva la festa di Rosalia, santa vergine amurusa e come ogni anno a lei, in punta di piedi, Nofrio chiede la grazia, lì dove cofanate di babbaluci, fave e coniglio, coppe di lupini e bancali di angurie rosse tagliate a metà, gli fanno da contraltare.”
Un testo che anch’esso costituisce innegabilmente una fotografia, questa volta a colori, rappresentativa del "tipico" palermitano immerso nella unicità della sua profonda “palermitudine”.
Il video della presentazione del libro a Palazzo Bonocore, avvenuta il 4 uglio, é pubblicato su You Tube.
Buona luce a tutti!
© Essec
lunedì 30 giugno 2025
Forme d'arte composite: Incrocio ideale fra un'intallazione artistica e un portfolio fotografico
Una delle esigenze dell’uomo è sempre stata quella di dare un significato alla propria esistenza, non intendendo tanto porsi come obiettivo comprendere il significato della vita in genere, ma proprio legata all’io che è connaturato all’ego incomprimibile che risiede in ciascuno.
Un impegno non indifferente per chi si illude, anche ricorrendo a utopiche religioni - e ne ha fatto oggetto di ricerca o studio filosofico interiore - magari soffermandosi sull’individuazione di un’anima, indispensabile per una qualsivoglia tesi.
In questo, oltre al mistico, il raziocinio della ricerca scientifica ci porta a immaginare per scoprire l’impensabile e anche l’arte, attraverso visioni e illusioni percorre una sua strada d’indagine.
Fabio e Fulvio, sul tema, si sono praticamente impegnati a sviluppare le loro intuizioni utilizzando materiali essenziali in uno spazio suggestivo, intriso di misticismo; installando le loro opere nella cripta della chiesa di via Alloro. Installazioni artistiche simboliche e minimaliste, per sviluppare i concetti di vita e morte.
Invitato a visitare l’operazione mi sono prestato al gioco e di leggerla a modo mio, utilizzando la macchina fotografica per fissare dettagli, senza a priori conoscere nulla sull’intero progetto.
Riporto, ora, il testo composito del critico Massimiliano Reggiani scritto unitamente ai due autori, che hanno convenuto di miscelare impressioni con quello che era l’incipit dichiarato e sotteso alle installazioni complessivamente intese secondo un unico svolgimento.
“Un’installazione site-specific degli artisti palermitani Fabio Ventimiglia e Fulvio Governale, realizzata nella cripta sepolcrale di Santa Maria dell’Itria dei Cocchieri, la piccola chiesa nel capoluogo siciliano che dal tardo cinquecento ad oggi esprime e rappresenta l’attività della Venerabile Confraternita dedita alla cura delle anime, alla moralità dei confrati e ai bisogni di chi abita nello storico quartiere della Kalsa.
‘Ipogeo’ – con il patrocinio di Settimana delle Culture – è un’opera di luce e di materia, di memoria e di suggestione.
Così la presentano i due artisti, entrambi laureati all’Accademia della Città: ‘Ipogeo’ è il lavoro del passaggio, perché la morte è solo un’altra vita. Nel profondo di un luogo sacro e attraverso l’utilizzo di elementi caratterizzanti, l’installazione rappresenta il luogo del travaglio interiore e il lavoro continuo della cura delle anime. La conservazione non ripara la memoria ma è il processo costruttivo di quest’unicum che esprime e concreta l’anima nel mondo.
Il protagonista del film ‘Stalker’ di Andrej Tarkovskij, nel monologo ‘la freschezza dell’esistenza’, afferma che in fondo la passione è attrito tra l’animo e il mondo esterno. Perché non pensare, quindi, alla passione come a ciò che più di ogni altra cosa si avvicina a quest’intima profondità che chiamiamo anima?
Il sale tiene lontano tutto ciò che può alterare; se persino il ferro cede alla sua natura determinata e forte, l’anima ormai è decapitata e pulita come il sale.
Non entrerete in un cantiere silenzioso, già c’è un’anima che ruota e sfila, è sempre la stessa (è sempre lì), ma non trasmette più insieme la trama con l’ordito, sfilare è laborioso come fare un tessuto. Non entrerete in un cantiere silenzioso, se a far rumore è lo strepito di una vita che annaffia le gemme in aprile e le ritira in ottobre”.
A seguito della significativa premessa, intendendola quasi una sinossi, propongo quattordici delle fotografie realizzate in loco che potrebbero rappresentare un portfolio, Composto da immagini accennanti ai passaggi intermedi, alle tappe intercorrenti tra l’inizio e la fina, tra la vita e la morte.
In questa rappresentazione fotografica, delle “grate o feritoie”, che separano i due piani d’ubicazione dei diversi elementi, a mio parere si uniscono anch'esse all’unicum del progetto.
Potrebbero pure intendersi come dei filtri attinenti alle fasi terrene e l’anima (fig. 12) per collegare l’ascetismo cattolico rappresentato dal cristo in croce e in sospensione, dogmatizzato nell’affresco sommitale che lo sovrasta (fig. 13 e 14).
Non so quanto di religioso possa aver ispirato l’idea ai due artisti d'arte moderna, ma non conta. Per rendere comprensibile quanto detto a parole le foto sono state inserite seguendo la logica immaginata.
Buona luce a tutti!
© Essec
Un impegno non indifferente per chi si illude, anche ricorrendo a utopiche religioni - e ne ha fatto oggetto di ricerca o studio filosofico interiore - magari soffermandosi sull’individuazione di un’anima, indispensabile per una qualsivoglia tesi.
In questo, oltre al mistico, il raziocinio della ricerca scientifica ci porta a immaginare per scoprire l’impensabile e anche l’arte, attraverso visioni e illusioni percorre una sua strada d’indagine.
Fabio e Fulvio, sul tema, si sono praticamente impegnati a sviluppare le loro intuizioni utilizzando materiali essenziali in uno spazio suggestivo, intriso di misticismo; installando le loro opere nella cripta della chiesa di via Alloro. Installazioni artistiche simboliche e minimaliste, per sviluppare i concetti di vita e morte.
Invitato a visitare l’operazione mi sono prestato al gioco e di leggerla a modo mio, utilizzando la macchina fotografica per fissare dettagli, senza a priori conoscere nulla sull’intero progetto.
Riporto, ora, il testo composito del critico Massimiliano Reggiani scritto unitamente ai due autori, che hanno convenuto di miscelare impressioni con quello che era l’incipit dichiarato e sotteso alle installazioni complessivamente intese secondo un unico svolgimento.
“Un’installazione site-specific degli artisti palermitani Fabio Ventimiglia e Fulvio Governale, realizzata nella cripta sepolcrale di Santa Maria dell’Itria dei Cocchieri, la piccola chiesa nel capoluogo siciliano che dal tardo cinquecento ad oggi esprime e rappresenta l’attività della Venerabile Confraternita dedita alla cura delle anime, alla moralità dei confrati e ai bisogni di chi abita nello storico quartiere della Kalsa.
‘Ipogeo’ – con il patrocinio di Settimana delle Culture – è un’opera di luce e di materia, di memoria e di suggestione.
Così la presentano i due artisti, entrambi laureati all’Accademia della Città: ‘Ipogeo’ è il lavoro del passaggio, perché la morte è solo un’altra vita. Nel profondo di un luogo sacro e attraverso l’utilizzo di elementi caratterizzanti, l’installazione rappresenta il luogo del travaglio interiore e il lavoro continuo della cura delle anime. La conservazione non ripara la memoria ma è il processo costruttivo di quest’unicum che esprime e concreta l’anima nel mondo.
Il protagonista del film ‘Stalker’ di Andrej Tarkovskij, nel monologo ‘la freschezza dell’esistenza’, afferma che in fondo la passione è attrito tra l’animo e il mondo esterno. Perché non pensare, quindi, alla passione come a ciò che più di ogni altra cosa si avvicina a quest’intima profondità che chiamiamo anima?
Il sale tiene lontano tutto ciò che può alterare; se persino il ferro cede alla sua natura determinata e forte, l’anima ormai è decapitata e pulita come il sale.
Non entrerete in un cantiere silenzioso, già c’è un’anima che ruota e sfila, è sempre la stessa (è sempre lì), ma non trasmette più insieme la trama con l’ordito, sfilare è laborioso come fare un tessuto. Non entrerete in un cantiere silenzioso, se a far rumore è lo strepito di una vita che annaffia le gemme in aprile e le ritira in ottobre”.
A seguito della significativa premessa, intendendola quasi una sinossi, propongo quattordici delle fotografie realizzate in loco che potrebbero rappresentare un portfolio, Composto da immagini accennanti ai passaggi intermedi, alle tappe intercorrenti tra l’inizio e la fina, tra la vita e la morte.
In questa rappresentazione fotografica, delle “grate o feritoie”, che separano i due piani d’ubicazione dei diversi elementi, a mio parere si uniscono anch'esse all’unicum del progetto.
Potrebbero pure intendersi come dei filtri attinenti alle fasi terrene e l’anima (fig. 12) per collegare l’ascetismo cattolico rappresentato dal cristo in croce e in sospensione, dogmatizzato nell’affresco sommitale che lo sovrasta (fig. 13 e 14).
Non so quanto di religioso possa aver ispirato l’idea ai due artisti d'arte moderna, ma non conta. Per rendere comprensibile quanto detto a parole le foto sono state inserite seguendo la logica immaginata.
Buona luce a tutti!
© Essec
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domenica 22 giugno 2025
Palermo Pride 2025
Tra tantissimi scatti, alcune foto della manifestazione palermitana su: https://salvatoreclemente.blogspot.com/2025/06/palermo-pride-2025.html
Buona luce a tutti!
© Essec
sabato 14 giugno 2025
"Il Palpito della terra" di Laila Bohnenbergher all'ARVIS di Palermo
Un’operazione complessa, con un progetto ricco di tecnica creativa e che segue un filo logico … sconfinato.
Sono tanti i messaggi inseriti nell’ambito della mostra, con delle allusioni esplicite, coerenti alla sinossi, e tante simbologie rivolte all’osservatore che potrà leggerle liberamente anche nelle provocazioni concettuali.
Iniziamo con riportare la sinossi dell’autrice:
“IL CORPO IN MOVIMENTO ENTRA IN SINTONIA CON IL MOVIMENTO DELLA TERRA.
Immergersi nella materia, ritornare all’essenza, alla pianta: questo è il desiderio dei corpi femminili che fotografo. L’ambiente si imprime su di loro, la pelle è mimetica con gli elementi che la circondano, la Natura diventa un mantello.
A volte i corpi si sentono al sicuro. Si fondono teneramente con l’arredamento. La forza della Natura e la forza femminile sono in armonia. Entrambi in ascolto, il ciclo femminile si lega al ciclo lunare. La pace regna, la fusione è omogenea.
Ma con una tecnica di sovrapposizione mostro anche che questa Natura si ribella. Diventa incontrollabile, invade gli esseri umani, li imprigiona.
Corpi avvolti, la Natura diventa tela o rete. Congela coloro che l’hanno ferita nel tempo.”
Con le opere esposte Laila Bohnenbergher affronta gli aspetti esistenziali destinati a non trovare mai risposte, se non quelle assolute: ovvero che qualunque forma di vita rimane collegata alla relatività del suo “spazio/tempo”.
Da visitatore della mostra, tenendo anche in giusto conto la sinossi dell’artista, sono portato a osservare che la mostra inizia con un vetro spezzato, con inglobata un’immagine nitida di un autoritratto che esce da una penombra. La prima domanda potrebbe già essere: Il “Narciso” cui si allude e che ne viene fuori parla della stessa autrice o è un netto richiamo al visitatore che si accinge a visionare le opere esposte?
Le concettualizzazioni espresse in sinossi sono abbastanza evidenti nelle fotografie, stampate rigidamente in bianco e nero, che rappresentano attimi di frame congelati in dissolvenze incrociate che, nel fondere figure plasticamente compatibili, mettono a frutto le maturate esperienze cinematografiche dell’autrice. Lei sa certamente distinguere l'immagine in entrata rispetto a quella in uscita, ma è normale che le due direzioni potrebbero non coincidere con chi si pone a osservare le opere.
Appare anche una scelta la sottolineatura della Natura collegata principalmente al mondo femminile, che in qualche modo ricorda velatamente la "Pachamama". Figura semplice e radicata nella filosofia delle tribù andine. Simbolo vivente di una cultura che ha venerato la Terra come fonte di vita e protettrice di tutti gli esseri viventi.
Le diverse forme e formule adottate sviluppano tante grammatiche differenti e, in questo, le immagini perfettamente definite, non miscelate qui in sovraesposizioni, sono proposte attraverso l’uso di gelatine sapientemente apposte su basi d’origine rocciosa (calcarea, sedimentaria, etc…) per sviluppare un discorso altro.
Alcune di esse proposte come installazioni, con l’utilizzo di calze da donna, a mio parere, potrebbero costituire il ricorso a stratagemmi idonei a individuare esposizioni d’immagini consolidate; che potrebbero alludere a una galleria di ritratti, volta alla esaltazione della figura femminile e della sua bellezza estetica.
Immagini preservate, quindi, in una simbolica pinacoteca particolare, che si viene a intramezzare fra le fotografie dell’ideale fusione esistenziale tra due mondi intesi come paralleli (vegetale e umano).
Le altre formule artistiche adottate, forse lasciano presupporre la stabilità delle immagini nel ricordo di noi umani, mentre altre ancora avrebbero lo scopo di far contemplare, con l’invito a riflettere: le isolate rocce non protette da calze, che si intervallano anch’esse nella esposizione delle opere e fotografie di visi non meglio definite poste forse come intercalari di una punteggiatura interiore.
In conclusione, non credo che la sinossi scritta da Laila possa ritenersi esaustiva rispetto all’argomento, anzi vuole essere un punto di partenza.
Le singole opere e l’allestimento ben ideato, inducono a molteplici considerazioni, variabili per le esperienze di ognuno.
Sono, infatti, innumerevoli gli spunti e le domande che suscita l'attenta visione della mostra.
Buona luce a tutti!
© Essec
giovedì 12 giugno 2025
Elliott Erwitt anche quando ha fotografato a colori, si è sempre orientato con uno sguardo fotografico in bianco e nero.
Una mostra “splendida” come usa ormai dire anche il mio amico che si è appropriato del temine che uso spesso per esprimere un giudizio d’eccellenza.
Pur conoscendole e già assimilate, anche per averle osservate da tempo, l’impatto con le foto in mostra al Palazzo Reale di Palermo del mitico ERWITT, suscitano quasi la pelle d’oca.
Un allestimento lineare sviluppato secondo percorsi logici e omogenei, associati a un'illuminazione delle opere eccelsa, precipita lo spettatore in un contesto che suscita l'idea di bellezza.
La pulizia delle immagini ne trae un indubbio vantaggio, facendo uscire dalle tante finestre personaggi, storie, come fossero ancora vive e propense ad un potenziale dialogo.
Una considerazione mi è apparsa evidente in sede di postproduzione delle fotografie scattate durante la visita e cioè che Elliott Erwitt anche quando ha fotografato a colori, si è sempre orientato con uno sguardo fotografico in bianco e nero.
Il colore nelle sue foto, comunque, qualora sia stato volutamente scelto, non distrae, anzi costituisce un valore aggiunto finalizzato ad arricchire i dettagli dell’immagine, in relazione al racconto.
Come detto, nella sua semplice razionalità, la mostra ha puntato sulla cura delle disposizioni, amalgamando le immagini con l’ambiente, anche con aggiunta di trovate originali che non disturbano, anzi impreziosiscono, l’insieme.
Delle 150 fotografie in mostra 77 fanno parte di uno slide show proiettato in una saletta adiacente alla sala ove sono esposte le fotografie stampate.
La visione integrale di tutte quante le opere, che riesce a raccontare a pieno l’indubbio talento e la straripante fantasia del personaggio Erwitt, costituisce un quadro d’insieme che consente di capire anche al neofita più distratto, cosa può essere la fotografia nei suoi molteplici aspetti culturali: artistici, documentali, creativi e chi più ne ha più ne metta. Insomma 8,50 euro per l'ingresso alla visita spesi bene!
Una mostra programmata purtroppo in un periodo prettamente estivo, affollata da molti turisti in transito, ma che dovrebbe principalmente coinvolgere i giovani e le classi scolastiche di ogni genere e grado. La chiusura dell’evento è prevista per il 30 novembre prossimo, sono previsti sconti speciali per le scuole. Volendo, quindi, gli insegnanti potrebbero organizzare le imperdibili visite in tempo.
Buona luce a tutti!
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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)
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