La Quarta Dimensione Scritti

"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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Fotogazzeggiando: Immagini e Racconti

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lunedì 12 maggio 2025

"Viale del tramonto" ... Quello che mi rimane dopo aver visitato un progetto fotografico di Marco Bennici



Nella vita non esiste una formula magica … tutto è costituito da un insieme di variabili ed è frutto d'imprevedibili combinazioni d’elementi. In fondo in fondo, in conclusione, forse è semplicemente la sintesi di un gran casino.
Il recente suicidio del latitante omicida che ha deciso di buttarsi giù dalle terrazze del Duomo di Milano è certo l'ultimo gesto disperato di chi si ritrova psicologicamente chiuso in un vicolo cieco e non vede altre soluzioni. Un’azione che merita, in ogni caso, solo compassione senza aggiungere ulteriori commenti. 
Pazzie e raziocinio rappresentano sempre le punte d'iceberg d'emozioni sommerse.
Si dice che ogni individuo è un universo e pure che ogni esistenza si muove secondo logiche complesse, indipendenti, che non necessariamente seguono percorsi sempre normali.
Del resto la stessa nascita è casuale: deriva da quell’unico spermatozoo che è riuscito a fecondare la cellula uovo, nell’ambito di un accadimento sicuramente contestualizzabile e che incide nel modellare destini. In alcuni casi l'accoppiamento è frutto di un amore certo, ma non sempre è così (PMA compresa).
Habitat del mondo differenti accolgono e condizionano fin da subito i destini dei singoli nati ma, come risaputo, non ci sono regole standardizzate o formule universali per il raggiungimento di un futuro felice e che dia certezze.
Si può nascere sani o con handicap purtroppo, in famiglie povere o ricche. Si può crescere in famiglie patriarcali, matriarcali, in contesti sociali democratici o in regimi soggetti a dittature.
Puoi frequentare scuole e acculturarti secondo ideologie illuminate, ciniche o nichiliste.
Puoi maturare un carattere socievole da filantropo o asociale da misantropo, seguendo le tracce genetiche del DNA naturale che ci caratterizza.
Puoi comunque conseguire traguardi di emancipazione o restare impantanati nell’ambito di vissuti aridi, dove l’unico obiettivo è costituito dall’istinto di conservazione e della sopravvivenza.
Ogni individuo potrebbe raccontare di sé e pure di storie d’altri, tutte caratterizzate da sommatorie di eventi che hanno pure coinvolto miriadi di personaggi.
Combinazioni e tempi diversi, indipendenti, di esperienze e incontri, dove caso, destino e determinazione prescindono quasi sempre dagli stessi protagonisti.
C’è chi la chiama fortuna, ma forse è il fatalismo l’elemento principe che governa ogni storia, le tante avventure, le singole esistenze.
In tutto questo le religioni restano fantastiche invenzioni umane, atte a illudere con le loro eterne utopie.
Di contro il fanatismo costituisce uno dei pericoli maggiori, imputabili all’indole e al convincimento pseudo intelligente implicito alla natura dell’essere uomo.
Letteratura, musica e ogni genere di creatività artistica sono i nostri salvagente, che ci consentono di veicolare sentimenti e di continuare a sviluppare idee.
Sono gli oppiacei positivi che ci aiutano nel corso dell’esistenza e ci permettono di sviluppare conoscenze, spingendoci anche a vivere avventure diverse.
Tanti sono quindi i percorsi che conducono all’unica meta comune e certa della morte.
Chi avrà tenacia, pazienza e la fortuna della salute potrà godere del regalo d’essere sopravvissuto con ogni giorno; indipendentemente dal solco che, per necessità o scelta, si è trovato a seguire.
Forse i messaggi più importanti lasciati dal saggio Bergoglio sono stati la domanda e la risposta che ha posto a sé stesso riguardo al genere: “ma chi sono io per poter giudicare”. Domanda e risposta laiche, che hanno lasciato ognuno libero di pensarla come vuole; avendo quale unico vincolo imprescindibile il rispetto degli altri.
Non so quanto possa risultare consono questo ampio panegirico che, in qualche modo, vorrebbe costituire preambolo per le osservazioni al collage fotografico posto a monte di questo articolo, testimonianza di aspetti di un'esistenza.
L’insieme degli scatti realizzati da Marco Bennici, fotografo, costituiscono un’emblematica sintesi della storia di un modo di vivere e forse un aspetto del concetto stesso d’esistenza.
Nello specifico Bennici, illustrando raccolta fotografica intitolata "Dal Tempo", a citare una poesia del cantautore Pino Mango (cantante/poeta calabrese), mi spiega che ritraggono un’attrice americana ultra ottantenne, che ha acconsentito ad essere fotografata senza veli, per testimoniare col suo corpo quello che in cuor suo vuol continuare ad essere. Forse credersi detentrice e far credere agli altri di poter inseguire e riuscire a raggiungere l'eterna giovinezza. A prescindere dall'estetica di rughe, flaccidità e vasta decadenza evidente.
Nel prestarsi ad essere fotografata avrebbe solo chiesto a Bennici di farla bella!
Fin da subito la visione delle immagini, forti e incisive, srealizzate e apientemente composte da Marco Bennici in un unico puzzle, mi ha portato a ricordare la conclusione del film di Billy Wilder degli anni cinquanta, “Viale del tramonto”, dove Gloria Swanson, una grande attrice e celebre star del muto, nella scena finale recitava una sorta di parodia cupa di sé stessa, forte di una grande espressività e una bravura quasi “magnetica”.
Un film che, rivisto oggi, suscita ancora nell’osservatore la pelle d’oca. Appunto, la stessa sensazione che ho avuto anch’io, fin da subito, nell’ammirare quella raccolta d'immagini rigorosamente stampate in bianco e nero.
Il titolo dell’insieme fotografico avrebbe potuto essere, quindi, anche qui lo stesso del film di Wilder. Al fotografo Bennici vanno i miei complimenti per aver realizzato efficacemente una non facile impresa.

Buona luce a tutti!

© Essec

giovedì 8 maggio 2025

"Io Sbirro a Palermo" di Maurizio Ortolan



Come mi capita sempre più di frequente, questo è l’ennesimo libro che ho incontrato per caso e che consiglio vivamente a tutti di leggere. In special modo ai siciliani.
Tra quanto ho avuto opportunità di consultare in materia, “Io sbirro a Palermo”, scritto da Maurizio Ortolan” (Editore Melampo, 2018), l’ho trovato non solo interessante, molto utile ma, oserei dire anche, un libro esemplare.
Con una scrittura efficace, sobria e scorrevole l’ex Vice ispettore, senza mai perdersi in panegirici, viene a raccontare un ampio tratto del suo vissuto, dedicato a importanti compiti istituzionali favoleggiati da tanti. Relazionando con coinvolgente realismo su momenti che lo hanno visto protagonista diretto nei ranghi dell’attività di polizia investigativa impegnata nella lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso.
Quanto raccontato da Ortolan, se fosse stato redatto da uno scrittore di professione, potrebbe quasi venire a costituire una stesura di vicende romanzate.
Le sue sono invece le narrazioni di esperienze vissute in prima persona nello svolgendo dei vari incarichi lavorativi, infine culminati nella partecipazione alla cattura del latitante capomafia corleonese Bernardo Provenzano.
La naturalezza descrittiva delle vicende e dei personaggi non si accompagna a nessuna particolare enfasi. Neanche nel descrivere i personaggi che ha incontrato e con i quali ha collaborato; comprese le mitizzate figure di Falcone e Borsellino, descritte mettendone a fuoco i caratteri, nell’ambito dell’umanità che ha personalmente colto.
Per quanto mi riguarda, molte pagine mi hanno rivelato, peraltro, i risvolti dell’attività dei comparti speciali che, per un breve periodo, sono stati vicini anche a miei incarichi di collaborazione con l’A.G..
Nel leggere i suoi racconti, rivedo quell’entusiasmo e quella partecipazione attiva dei soggetti che ho pure io conosciuto nel mio piccolo, che si sono sempre palesati per impegno non comune nello svolgimento delle loro indagini coordinate dai magistrati di riferimento.
Le circa duecento pagine scorrono in una lettura leggera e avvincente che, però, inducono a riflettere, perché includono anche questioni che riguardano aspetti della vita comune di ogni individuo.
Fra le tante considerazioni dell’autore mi hanno pure colpito due periodi che non possono non essere condivise pienamente.
Il primo evidenzia che “fare carriera partendo dal basso comporta più tempo, ma impari a fare di tutto, a capire meglio le difficoltà di un lavoro e i problemi di chi lo deve svolgere, sei in grado di spiegare come si fa e come vuoi che venga fatto, e poi la strada maestra per imparare a comandare è iniziare obbedendo”.
Il secondo, che mette in evidenza l’umiltà che accompagna spesso personalità robuste che danno sicurezza e certezze a noi cittadini comuni: “Vengo definito un analista, mentre sono un semplice poliziotto, un generico, ma di quelli che preferiscono la ragionevolezza e i fatti alle ipotesi illustrate con compiacimento, ma senza uno straccio di pezza d’appoggio”.

Buona luce a tutti!

© Essec

lunedì 5 maggio 2025

Dovrai lottare!



Occorre saper attendere, perchè ci vuole sempre del tempo affinchè pervengano riscontri su quanto si viene a proporre con la scrittura o altro.
È necessario però avere l'accortezza di distinguere i giudizi, collegandoli ai soggetti che ritengono di esprimersi - a proprio modo - e, quindi, talvolta anche i silenzi possono avere un significato.
In questa chiave, pertanto, una recensione efficace spesso non necessita di tante parole … ne sono anche sufficienti poche ma appropriate, specie se s'integrano con una giusta enfasi.
Di seguito si propone il sintetico testo ricevuto ieri e trasmessomi per un confronto da Francesco Salvio a commento del libro “Banche d’Italia” …

“Come la pianta carnivora attira, attraverso profumi irresistibili le formiche, fino al bordo della sacca che poi diventa scivolosa e ti fa cadere al suo interno da dove non ne uscirai più…
Così l’aspettativa di carriere, il prestigio, potere e denaro, si propongono in queste strutture.
Poi arrivi ad un punto dove non riuscirai a tornare indietro e tu non sarai più quello che eri…
Dovrai lottare!”

A chi legge, collegando nel caso il messaggio a proprie esperienze lavorative, rimane demandata ogni considerazione.

Buona luce a tutti!

© Essec

venerdì 2 maggio 2025

Recensione inattesa .... ricevuta da Celestino Quinto per "Pesi e Contrappesi"



Nell’incontrare lungo l’esistenza variegati soggetti a noi simili l’umanità concede spesso delle sorprese.
Sono le opportunità che consentono di scoprire il “lato oscuro della luna” (se di altri o di sé stessi, poco importa) che quasi naturalmente siamo portati a non vedere; che ci nascondono aspetti sconosciuti, sgradevoli o piacevoli a secondo i casi o dei momenti.
Talvolta ciò succede anche nel leggere libri, specie se di contenuti letterari che rappresentano veri e propri messaggi in bottiglia, che alcune volte autori amano indirizzare al mondo che li circonda, con chiavi di lettura, spunti d’interesse, punti di vista, velleità o recondite aspirazioni.
L’amico Celestino oggi mi ha voluto rendere partecipe delle considerazioni che ha ricevuto da una sua conoscente che ha appena terminato di leggere il suo libro “Pesi e contrappesi”.

Il testo della missiva riporta: “ieri sfogliavo un libro fotografico multimediale fatto da un amico e, mentre leggevo la prefazione su una frase trovo il commento... questa non è mia è copiata... l'importante come diceva Picasso è copiare bene. Poi aggiungeva che è sempre stata sua abitudine appuntarsi le frasi che lo colpivano al fine di un successivo riutilizzo.
E così mi sono ritrovata nel tuo libro dove parli dell'eredità delle frasi fatte lasciare nel cassetto da chi se n'è andato... quando l'avevo letta non ci avevo dato molto peso, ma sentire ieri la stessa cosa detta dall’amico mi ha lasciata stupita di questa prassi; a questo punto, comune di una certa generazione. O forse sono io che l'ho associata ad una generazione e, come sempre, causa la mia ingenuità, non mi accorgo che anche chi è intorno a me ha fatto e fa spesso la stessa cosa.
Ne approfitto per dirti che il tuo libro nel suo complesso mi è piaciuto, forse più per il fatto che tra le righe, e non nemmeno tanto nascosto, ha fatto uscire un Celestino (o chi per lui) che non avrei immaginato... dedito al lavoro, giusto, perseverante, analitico e puntiglioso nonché indomito.
Traspare poco, invece, della sofferenza vissuta sin dall'origine degli eventi; mi riferisco a ciò che ti ha spinto alla decisione estrema e a tutto ciò che ne è conseguito.
Nelle conclusioni Ario lascia trasparire la delusione e la conseguente sua resa, ma non parla del suo stato d'animo... arriva? A me è arrivato o forse ho solo trasferito su di lui quello che stavo/sto vivendo in questo periodo... se lo avessi letto un mese fa non ti so dire cosa mi sarebbe arrivato.
Di fatto, tutta la sofferenza vissuta me l'hai poi riassunta in cinque parole al telefono.
Ciò premesso so che lo scopo per cui hai scritto il libro era quello di condividere l'ennesima storia della lotta tra Davide e Golia e allora ecco cosa penso...
Mi è piaciuta molto l'alternanza tra cronaca e dissertazioni; queste ultime, dalla narrazione molto scorrevole e di facile lettura, alleggeriscono le parti di cronaca che spesso risultano ostiche, specie per i non "addetti" al lavoro, che rischiano di perdersi ed a cui è richiesta quindi più fatica per comprendere.
Molto utile allo scopo la schematizzazione fatta da Omero dell'intera vicenda.... e, proprio mentre pensavo mi sto perdendo, è lui a farmi il riepilogo.
Un po' meno, a mio avviso, l'aiuto dato dal "riepilogo per riordinare le idee", che richiede una lettura molto attenta in quanto pieno di contenuti tecnici.
La Conclusione è più nelle mie corde, in quanto la cronaca lascia spazio, a mio avviso, al contenuto umanistico; inoltre trovo molte affinità con Ario, sarà per questo che mi è piaciuto.
P.S. ... In alcuni casi ho dovuto utilizzare il dizionario... in quanto hai usato termini che non avevo mai sentito e non solo nelle parti tecniche e li la mia ignoranza ha ringraziato.”

Sono molto contento di aver ricevuto da Celestino questa inattesa lettera pervenutagli dalla sua lettrice.
Il contenuto della recensione, a mio parere e forse anche per coloro che hanno letto “Pesi e contrappesi”, schematizza e sostanzialmente centra i punti sottostanti all’intero progetto che, peraltro, ho avuto modo di conoscere fin dagli inizi. Pensato per cercare di raccontare vicissitudini complesse e congestionate, sicuramente difficili da rappresentare, calmierate con accortezza per poterle rendere piane e comprensibili anche ad altri.
Con il costrutto strutturale scelto, ovvero quello di alternare il filone narrativo principale, quasi un memoriale, con delle piccole “dissertazioni”, per lo più costituite da aneddoti o ispirate a fatti realmente accaduti, sapevo che Celestino intendeva proprio creare delle opportune pause per inventare oasi d'ossigenazione (letteraria), rispetto alle più impegnative apnee; spesso comportanti usi di terminologie specialistiche, ricorrenti a tecnicismi espositivi poco comuni.

Buona luce a tutti!

© Essec

martedì 29 aprile 2025

“Punti di Vista” ... di SID

Come ho già avuto modo di ricordare, il mitico Antonio Billeci, durante un ricevimento di professori, nel descrivermi dal punto di vista scolastico ebbe a dire di me .... “in una classe di ciechi lui ci vede con un occhio solo”. Per me, anche per la stima nei confronti di quel mio “professore filosofo” (amante appunto di filosofia e che insegnava ragioneria), quello rimase e rimane ancora uno dei maggiori complimenti ricevuti nella mia vita.
In questi giorni mi sono accompagnato con l’amico SID nel popolare quartiere Capo di Palermo, poiché aveva programmato la realizzazione di un murales su una parete fatiscente che qualche giorno prima gli si rivelò vagando per i luoghi.
Gli artisti hanno il privilegio di osservare la realtà attraverso dei filtri per loro naturali che aggiungono e sottraggono alle loro personali visioni.
Mi ricordava momenti creativi che mi capitavano da ragazzo, nel realizzare disegni mai programmati prima, che discendevano da elaborazioni successive di linee e rette precedentemente accennate e tracciate senza alcun raziocinio.
Attraverso letture successive – che fotograficamente potremmo pure assimilare alla stregua della postproduzione – le tracce abbozzate costituivano di per sé degli elementi idonei ad ispirare figure, contesti, ambienti che a posteriori necessitavano solo di essere definiti.
Si trattava quasi di un gioco che, con elaborazioni spontanee, generavano forme frutto di diletto, anche per una creatività’ grafica che era in continuo divenire.
Tornando a SID e al suo progetto, dalla fotografia del muro aveva poi definito un bozzetto dell’opera che si era proposto di realizzare. L’arte, però, ha la peculiarità di rimanere mutevole, pure in fase realizzativa.
Soffermandosi ad osservare il muro SID, già tracciando le prime linee di contorno della figura, mi rendeva partecipe di una sorta di visione suggestiva che intanto ci accomunava.
Le macchie di colore, gli scrostamenti, le tante linee e le variegate tonalità delle tinte presenti e frutto d’intemperie tendevano a uscir fuori, a mettersi di per sé in evidenza, come fossero dei disegni sedimentati, preesistenti, dormienti.
Succedeva, in sostanza, che l’opera da realizzare era già presente sul muro e che a SID era quasi solo demandato il compito di farla uscire fuori dal letargo.
Si trattava insomma di un appuntamento inconscio, tra l’artista e la sua opera, che si era già palesata alcuni giorni prima, con la scoperta del muro.
Man mano che il pennello, la vernice nera e la scala di grigi tirava fuori l’immagine, si capiva perfettamente che la figura veniva quasi fuori da sola.
Capitava perfettamente la stessa cosa che accade in camera oscura. Quando, dopo aver impressionato la carta, viene ad emergere l’immagine nella bacinella di sviluppo. Compito del fotografo, che ha già catturato in pellicola la sua luce, nella successiva sua veste di stampatore (almeno nel ruolo classico di una volta) rimane quello di governare l’effetto reattivo del “Rodinal” e bloccarlo con il liquido di fissaggio nel momento opportuno.
Bastarono non più di un paio d’ore perché l’opera di SID fosse completata.
A commento del suo time-lapse pubblicato su FB l’autore ha scritto: “Quando un muro si esprime da solo, i colori e le imperfezioni diventano già arte. Il mio compito è cercare di coprire il meno possibile la parete e interagire con essa”.
La figura era venuta fuori senza resistenze e con il messaggio che si accostava molto alla massima a me cara e proferita dal professor Billeci.
Mi fu pertanto naturale suggerire a SID il titolo che poteva essere attribuibile al suo bellissimo murale: “Punti di vista” e che con mio piacere ha raccolto.
Un breve slide show pubblicato su You Tube, musicata con parte di un brano del 2006 dello stesso SID, evidenzia l'evoluzione creativa dell'opera.

Buona luce a tutti!

© Essec

mercoledì 16 aprile 2025

Il talento e il ballo



La prima volta che ho ascoltato Elisa è stata durante una trasmissione su RAI 3, in un programma in cui Caterina Caselli si proponeva come talent scout.
Elisa a quel tempo non era ancora maggiorenne, ma già mostrava pienamente il suo talento; cantava le sue canzoni in inglese e, pur non comprendendo le parole, le sue interpretazioni andavano oltre.
Fortunatamente nella musica sono in tanti i talenti creativi che riescono a introdurre in ambiti sospesi, attraverso melodie che costituiscono sintesi di sensazioni, sentimenti, che riescono, come detto ad andare oltre, a penetrare l’anima.
Da Battiato a Paoli, da De Gregori a De Andrè, da Dalla a Guccini, per non parlare del combinato Mogol/Battisti, sono già moltissimi gli esempi italiani di cantautori con caratteristiche simili ad Elisa e i citati sono alcune delle vette di iceberg comparabili al riguardo.
Così come nelle generazioni si sono succedute diversificate genialità palesatesi eccelse in vari campi, ogni forma artistica ha visto un turbinio di soggetti che hanno avuto occasione di manifestare il loro talento, lasciandone tracce.
Con i quattro termini “m’illumino d’immenso” Ungaretti ha lasciato un messaggio d’intensità che non presenta confini. John Lennon, dal canto suo, con la sua straordinaria melodia di “imagine” ha musicato una poesia utopica sull’obiettivo supremo dell’esistenza umana.
Se provassimo a pensare a quante generazioni si sono succedute nelle sequenze esistenziali, ovviamente relazionandole ai loro tempi, emergerebbe una folla di geni (manifesti, riconosciuti, compresi, incompresi) che hanno saputo illuminare l’avventura umana. Con tutti i possibili pregi e difetti derivati o ad essi collegati.
Anche in un campo artistico relativamente giovane, quale quello costituito dalla fotografia, sono moltissimi gli esempi di coloro che, ottimizzando l’utilizzo del mezzo disponibile per lo scopo, sono riusciti a illustrare e a raccontare fissando, su una pellicola sensibile prima o su pixel adesso, la luce.
Ciascuno di noi, assecondando i gusti, la sensibilità e il proprio bagaglio culturale, sarà facilmente in grado di crearsi una scala di valori, distinguendo tra i vari autori; ma è sufficiente accedere ad internet per constatare quante centinaia di migliaia di personaggi e relativi scatti vengono proposti. Questo interrogando con la sola parola fotografie o fotografi.
Si vedrà anche qui un crescendo temporale legato alla democratizzazione del fenomeno, prima prerogativa quasi esclusiva per pochi agiati, anche per la non indifferente incidenza dei costi da dover sostenere, e oggi accessibile a tutti tramite l’utilizzo di un semplice cellulare, alla portata di tutti.
Al riguardo sbaglia chi denuncia e lamenta un’eccessiva produzione o enfatizza utilizzi a mo’ di giocattolo (selfie) dello strumento. Le quantità pur producendo per lo più tanta spazzatura non impedisce, infatti, l’emergere di talenti.
È pur vero che anche l’indole mercantile presente in ogni essere umano contribuisce ad inquinare qualità. Per lo più attraverso l’attività di critici e galleristi che pilotano tendenze e mode per evidenti tornaconti economici o aspettative di glorie, ma questo rappresenta un altro capitolo e costituisce un’altra storia.
Dopo questa lunga premessa veniamo però al dunque di questo articolo, ovvero accingiamoci a concentrarci su un determinato scatto e a disquisire sui tanti aspetti della fotografia prodotta.
L’immagine che in questo caso si viene a proporre è una foto in bianco e nero che, nella sua semplicità compositiva, può ben rappresentare una sintesi estrema di simboli e concetti,
Il ballo che ne è ritratto rappresenta quello di una coppia, ma potrebbe pure riferirsi ad uno degli incontri che il lui o il lei (e comunque importa poco il genere) viene a intrattenere con i propri simili in ogni attimo dell’esistenza.
Le figure, volutamente mosse e forse un po’ sfocate, vogliono rappresentare il fluttuare o il turbinio (scelga autonomamente l’osservatore) del suo rapporto con gli altri.
Paradossalmente si potrebbe intendere anche come un ballare da soli, pur ritrovandosi con tanti soggetti immersi in una affollata sala.
In ogni caso chi ha la fortuna di nascere e vivere l’avventura della vita si troverà a dover ballare nei meandri più nascosti d’ambienti che andranno a costituire il proprio mondo. Dopo il primo vagito, si cerca di capire e di adattarsi a ogni possibile ballo.
Nell’immagine, il bianco e nero scelto dall’autore per il suo racconto introduce anche alla nebulosa atmosfera dell’onirico, mescolando il reale con fantasie e ricordi.
La musica, che non è ovviamente udibile, in verità c’è; sottintesa e ciascuno potrà sentire il suo brano.
Conseguenzialmente individuare il ritmo del ballo, convenzionale, codificato o legato a una estemporaneità coreografica del momento che rimane pure esso interpretabile, secondo l’umore e la predisposizione del momento.
La fotografia che è stata scelta come esempio potrà anche essere intesa e, quindi, essere letta in vari modi. Come un auspicio o come documento che racconti il momento di un vissuto. Altresì come un’attesa o un desiderio agognato insito al momento creativo dell’autore. In ultimo anche come un epitaffio rappresentativo di un’intera esistenza.
In qualsiasi di questi casi i colori non occorrono per enfatizzare l’idea, per il semplice fatto che ogni scelta resta personalizzata ed ognuno sarà in grado di selezionare i propri; non trascurando che anche il bianco e nero presentano delle gradazioni interne, fatte d’infiniti grigi che, comunque, rientrano anch’essi nella gamma intera dei miliardi di colori possibili.

Buona luce a tutti!

© Essec

--

P.S. Come mi capita spesso l'amico P. soffermandosi sulla fotografia suggerisce .... "Il bianco e nero esalta il contrasto tra l’anonimato della città e il calore dell’abbraccio: è un tango di strada rubato al cemento e alla frenesia urbana?" .... Una considerazione aggiuntiva anche questa appropriata!

mercoledì 9 aprile 2025

Marzia Rizzo, in arte Zazie



L’instancabile Arturo Safina questa volta ha organizzato un incontro streaming che ha consentito, ai soci di Colori di Sicilia e a me come ospite, di conoscere il pensiero e le variegate produzioni di Marzia Rizzo, in arte Zazie.
Durante l’interessantissima serata, che ha pure visto interventi, considerazioni e quesiti appropriati dei partecipanti, abbiamo avuto modo di conoscere l’ampio raggio produttivo della fotografa milanese, facendo emergere innumerevoli spunti, utili a comprendere quanti possibili motivazioni possono indurre all'approccio dei tanti appassionati nelle sfaccettate forme di fotografia.
Più volte la Rizzo ha sottolineato come per lei la fotografia rappresenti un mezzo, un’occasione, quasi un pretesto per allargare le sue conoscenze e procurare occasioni di confronto. Poiché gli incontri, specie quelli rivolti alla ritrattistica o alla street, presuppongono approcci finalizzati ad apprendere, nell'ascoltare storie, nell'essere disposti ad acquisire visioni altrui, alla ricerca di possibili empatie.
Conoscevo Marzia per le sue innumerevoli iniziative intraprese in tempo di Covid, dove veniva a proporsi come conduttrice di incontri con fotografi - o addetti ai lavori del settore – più o meno conosciuti.
In una veste, quindi, d'intrattenitrice per lo più impegnata a valorizzare e a far conoscere lo spirito degli artisti e personaggi coinvolti.
Un’attività, quindi generosa, cioè non volta a mettere sé stessa in un piedistallo, per mostrare attività e produzioni personali, bensì rivolta a far conoscere e valorizzare quelli che fungevano da ospiti.
In breve tempo, i suoi incontri riscossero successo, talvolta pure fidelizzando, e costituirono una serie d’interessanti appuntamenti che periodicamente permisero a tanti di poter evadere dalla potenziale paranoia causata dalla pandemia.
Tornando alla serata d’ieri, Zazie questa volta è stata chiamata a porre al centro dell'attenzione la sua figura, i suoi progetti, le sue fotografie, la sua filosofia artistica, i fondamentali che da sempre l’hanno spinta a questa attività, non escluso il suo impegno didattico.
Con grande mia sorpresa, sono venute fuori tante Marzie, differenziate dalle diverse epoche temporali, dalle occasioni, dagli stimoli, dalle esperienze. Tutto quanto - e sempre - con un comune denominatore: in ogni rapporto, ovvero il desiderio perenne di sperimentare, senza paura di rimettersi ogni volta in gioco.
Ne è scaturito che la sua attività di fotografa è sempre stata e continua a essere varia, mutevole; calamitata da voglia e curiosità di conoscere il nuovo; senza mai adagiarsi a quelle potenziali formule di successo che spesso ingessano tanti artisti (con l'illusione d'essere arrivati) e che tendono a mutare irrimediabilmente la passione in mestiere, fatto di semplici routine artigianali spacciate come "pseudo novità creative".
Quanto postato su Instagram, oltre che nel suo sito web, costituiscono validi esempi di tutto quanto Zazie ha voluto trasmettere durante la serata.
In alcuni momenti adattata agli sviluppi che si venivano a prospettare in base a quanto detto, da lei o dagli spettatori presenti all’incontro. Tutto quanto raccordato dalla sapiente cucitura dell’amico Arturo.
In conclusione posso affermare che l’incontro è stato un’occasione utile per tutti i presenti.
Le articolate discussioni e i tanti lavori definiti o work in progress, nel loro insieme infatti, hanno consentito di andare a focalizzare l’aspetto artistico-sociale che - anche a nostra insaputa – avvolge il mondo della fotografia.
Roba non di poco conto direi.

Buona luce a tutti!

© Essec

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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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Monte Pellegrino visto da casa natia di Acqua dei Corsari

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