"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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Fotogazzeggiando: Immagini e Racconti

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venerdì 2 ottobre 2020

Luciano & Sergio …… e il loro volo spiccato da una finestra della IBM


Con Sergio più volte ci siamo intrattenuti nel parlare di Luciano De Crescenzo. 

Io perché curioso di conoscere nuovi aneddoti e risvolti professionali di un personaggio che ho sempre ammirato, lui per le scene convissute come "quasi collega" alla IBM di Napoli. 

Si erano conosciuti, avendogli lavorato spesso a fianco per un certo periodo della sua vita, in quanto collaboratore esterno operante presso il Centro Servizi della IBM. 

Grazie a questo Sergio conserva ora tanti ricordi che fanno immaginare come fosse stato originalissimo anche l'approccio “professionale” del De Crescenzo impegnato nel marketing dell’azienda americana più tecnologicamente avanzata.

Come l’amico Luciano, per certi aspetti e ad un certo momento, anche Sergio scelse percorsi diversi, avventurandosi su nuove strade per sperimentare nuovi sentieri alternativi; cimentandosi in ultimo, con successo, in lavori più consoni a quelli che da sempre erano stati i suoi reali desiderata, fondando una propria società d'informatica. 

“Caro Sergio, qui c’è scritto tutto quello che è capitato a me e tutto quello che è capitato a te. Buon Natale. Luciano” è la dedica - apposta il 23 dicembre del lontano 1981 - sul volume che raccoglie il romanzo “Zio Cardellino”. Un delicato racconto, per molti aspetti surreale e apparentemente leggero, ma che invece illustra in maniera efficace l’incontenibile desiderio di volare che c’è in molti di noi, per osservare il mondo anche dall’alto e da tante altre angolazioni. 

La vita di Luciano De Crescenzo la conosciamo in molti per i suoi tanti scritti. Al di là della supponenza critica del “Ghota culturale” contemporaneo, oltre a una profonda e non comune efficacia divulgativa, le sue opere – letterarie, cinematografiche, teatrali, televisive, etc. – riescono a fornire un quadro della enorme e variegata fantasia creativa di un soggetto motivato, che certamente non poteva rimanere incastrato nei percorsi standardizzati e stereotipati che caratterizzano l’impiegato, dirigente, manager comune, qualunque sia il reddito economico che ne può derivare. 

Chissà, forse con la dedica regalata a Sergio, De Crescenzo avrà magari anche voluto dare un po' di conforto e coraggio a se stesso; rispecchiandosi nell’amico che aveva, anche lui, scelto di percorrere - rischiando quindi - una strada autonoma e più consona a quello che taluni vogliono fortemente, che sognano veramente per "diventare da grandi”, con annessi i pericoli e i rischi di possibili flop. In questi casi, del resto, ci può stare tutto, ogni accadimento è possibile, fortuna compresa.

Il romanzo in argomento l’ho ricercato lungamente quando era difficile trovarlo e lo conservo anch’io oggi fra le cose più preziose, ma per i contenuti dello scritto. La sua lettura infonde una certa leggerezza e aiuta certamente ciascuno di noi a riflettere, sul proprio percorso di vita, in entrambi i sensi: avanti e indietro. 

Annoverarlo fra le cose lette per i giovani può costituire un aiuto nel cercare di non sbagliare nelle scelte importanti che si presentano e che arriveranno. 

Per chi è invece più anziano contribuisce nel tentativo di fare un sereno bilancio del vissuto e riflettere sulle molte opportunità che la vita aveva offerto e che, per pigrizia o quieto vivere o per altro, non abbiamo avuto il coraggio di scegliere, seguendo fino in fondo quanto l'istinto ci suggeriva. 

Ma non si dice nulla di nuovo nell'affermare che le buone letture consentono, nel loro complesso contenuto culturale, di avere un aiuto per un'analisi e un riesame del proprio vissuto o per soffermarsi nel saper meglio valutare eventuali opportunità nuove, imprevedibili, che invece possono ancora e sempre capitare.  

Concludo con un sincero ringraziamento a Sergio per il regalo che a sua volta mi ha fatto, girandomi la foto della copertina di “Zio Cardellino” e della preziosa dedica scritta per lui dal compianto Luciano. 

Buona luce a tutti!

 

 © Essec 

 

 

lunedì 14 settembre 2020

"Alla fine va a culo …… non so se rendo l’idea”


La fotografia è una forma rappresentativa che sostanzialmente riproduce la realtà, anche se in molteplici forme espressive.

Può tranquillamente fissare i tratti che testimoniano il soggetto in un ritratto, catturare un panorama che ci suggestiona, congelare in un’immagine una scena di vita, creare - anche con l’ausilio della fantasia - immagini irreali che suscitano emozioni.

La sintassi che c’è in ciascuno di noi costruisce e crea ciò che si vuole, ma è altrettanto vero che chi andrà a leggere avrà una sua metodologia, una sua grammatica, una sua proprietà di linguaggio che non sempre coincide.

Insomma, per grandi linee, tutto è riproducibile e ciascuno sarà libero di gradire e interpretare quanto viene proposto.

Fra le branche fotografiche le letture di portfolio hanno un loro specifico spazio che accomuna tanti nella sua pratica complessa.

Tanti sono coloro si accostano oggi a questa disciplina che, a un primo approccio, appare complicata per le tante variabili e i tasselli che compongono ogni insieme.

Se si ha modo d'introdursi al tema, si coglieranno infinite “tonalità di pensiero” che raramente fanno coincidere aspettative degli autori con i giudizi di differenti lettori chiamati di volta in volta a intervenire.

Esperienze insegnano che anche il portfolio fotografico si muove nell'ambito di paletti minimali, sta al fotografo seguirne in qualche modo il percorso e lo stesso si richiede a chi è chiamato a leggere. Ciascuna delle parti mette in campo il proprio modo di vedere le cose e non solo fotograficamente.

Pertanto, aperture mentali, fantasia e cultura la fanno sempre da padrone, specie quando le tessere del puzzle costituiscono spunti per i più ampi racconti che i lettori vedono, talvolta travalicando i confini in origine immaginati dagli stessi autori.

In questi casi, in particolare - ma si potrebbe anche dire in generale sempre - è interessante ciò che accade durante una lettura di portfolio.

L’autore si pone a fianco o, per meglio dire, dietro il critico che va a leggere la sua composizione, per cercare di seguire la sua logica visuale. Per provare entusiasmo nelle sfaccettature e nelle angolazioni prospettiche che l’esperto va a focalizzare mettendo in campo esperienza, intuito, conoscenze, cultura, sollecitato in ciò dalle immagini proposte.

Capita molto spesso di sentir dire che il portfolio funziona. Raramente sarà anche detto che l’argomento trattato è banale e men che meno che le immagini proposte sono di qualità scadente. Ma, fra le righe, l’autore avrà quasi sempre modo di capire se il suo lavoro ha bucato o se è rimasto nel panorama dell’ordinarietà più generale.

Il tutto, in ogni caso, non comporta problemi. Costituisce un’ennesima occasione per sperimentare e accumulare esperienze. Fare un checkup dei propri prodotti fotografici, osservare con molta attenzione i lavori proposti dagli altri.

In un appuntamento svoltosi in questi giorni, ho avuto modo di vedere due belle letture di uno stesso lavoro realizzato da un fotografo senese e dal titolo “Il mattino ha l’oro in bocca”. Il portfolio, costituito da immagini in bianco e nero, risultava, anche a mio parere, molto ben fatto e la storia reale che l’accompagnava era anch’essa di spessore.

Nella proclamazione dei risultati finali m’aspettavo che l’autore risultasse fra i vincitori ma l’esito della giuria non ha premiato il portfolio proposto. Capita. E’ forse l’eccezione che conferma la regola? Chissa?

“Solo opinione personale, è tutto opinabile, questione di gusti”, aveva detto uno dei due giurati durante la sua lettura del portfolio in questione. Rivolgendosi all’autore ebbe pure a fare una considerazione ampiamente condivisibile: “ricordati che per avere qualche soddisfazione per questo progetto devi provare a proporlo a molti” …. “quando hai un bel progetto, comunque come questo ben fatto, ben realizzato, alla fine va a culo …… non so se rendo l’idea”, suscitando l’ilarità dell’autore e certamente di tutti coloro che erano presenti nella stanza di lettura.

Attesa la qualità di un prodotto, la riproposizione a più critici, lettori, editori o osservatori in genere sottopone la possibilità di accettazione anche a un criterio probabilistico, a un fattore statistico, in quanto sono sempre diversi i giurati in ogni contesto, differenti il numero dei partecipanti e variegata la qualità delle proposte degli autori. Occorre essere, quindi, ostinati, specie se si sono raccolti intanto tanti consensi.

 

Buona luce a tutti.

 

© Essec

 


venerdì 21 agosto 2020

“È meglio sposare una donna ricca, bella e intelligente che una donna brutta, povera e stupida”

 

“È meglio sposare una donna ricca, bella e intelligente che una donna brutta, povera e stupida”. Oppure: “Meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute piuttosto che vecchi, brutti, poveri e malati”. Erano queste alcune delle tante sentenze lapalissiane di Massimo Catalano, il filosofo dell'ovvio, che a metà degli anni Ottanta impressionava gli italiani con le sue banalità.

In qualche modo, con l’aggiunta di un tocco surreale, gli facevano da sponda, nel mitico gruppo di Arbore di “Quelli della notte”, i vari Pazzaglia, Laurito, Frassica e compagnia.

A pensarci bene, in qualche modo Catalano aveva anticipato i tempi di un costume che oggi va per la maggiore.

A sentire certi personaggi contemporanei - e in tutti i campi – si riscontra sempre più quella superficialità di analisi cui sfociano pensieri semplici, “alla Catalano” per intenderci, che allora erano di un sano cabaret che faceva sorridere e che è sempre piaciuto a quella fascia di popolo che tende a rimuovere con faciloneria tutti i problemi, specie se interessano solo gli altri.

Al mondo di esperti che si basa su cognizioni scientifiche si affiancano oggi opinionisti in grado di rispondere a qualunque domanda, a trovare risposte anche su questioni complesse e complicate, basandosi sostanzialmente su loro tesi "originali", molto spesso pure preconcette.

Ad esempio, mentre ieri la politica responsabile basava la sua azione di opposizione su articolati approfondimenti specifici e a tema che producevano financo “governi ombra”, oggi si fonda su slogan semplici che rispondono ai desiderata della massa, canalizzata a pensieri banali, con soluzioni che non prospettano alternative comprensibili e tantomeno fattibili. Basta parlare alla pancia ed il rutto è sicuro. Sigh!

Anche un recente discorso dell’ex Capo della BCE, già Governatore della Banca d’Italia, seguendo quella logica del banale ha ritrovato cassa di risonanza nella maggioranza dei media.

Ai tempi odierni sembriamo per lo più tutti concentrati a ricercare un nemico, per additarlo alla folla come responsabile dei nostri disagi. Per evidenziare quello che non va ma che è ovvio e che del resto vedono tutti, piuttosto che dare chiare prospettive per possibilità di nuovi sbocchi. Siamo tornati indietro di duemila e venti anni circa, quando alla folla veniva chiesto chi volesse che fosse liberato. Anche allora il ladrone ebbe la meglio.

In tutto questo i tanti social costituiscono una manna piovuta dal cielo. Dietro anonimati che alimentano impunità, i manganellatori di un tempo ora usano il nuovo mezzo di gogna e tutti prima o dopo lo utilizzano e magari talvolta ne fanno pure in qualche modo le spese.

I pifferai magici quindi abbondano, perché le masse deluse e scontente innalzano di continuo nuovi patiboli e cercano sempre nuove teste da mandare alla forca.

E la folla ne trova gaudio e si immortala in infiniti selfie, convinta che il tutto resti estraneo alla propria cerchia d’interessi.

Tornassero in vita “Catalano & Co.” sarebbero oggi il partito politico vincente. La pletora di seguaci quantomeno mostrerebbe sorrisi e non importa se da ebeti o meno, nei tantissimi selfie.

Buona luce a tutti!

 

 © Essec


mercoledì 19 agosto 2020

G. Vi racconto Gaber

 

In genere gli scritti che in qualche modo hanno a che fare con le biografie di autori, anche se dense di eventi e interessanti, alla lunga possono risultare un po’ noiosi.

Il libro dedicato alla storia del Signor G, realizzato per la Fondazione Gaber dopo oltre un decennio dalla scomparsa di Giorgio Gaber da Roberto Luporini, figlio del cugino di colui che ha accompagnato Gaber nella creazione del “teatro-Canzone”, costituisce invece un felice racconto ricco di aneddoti connessi al connubio dei due autori e non solo.

Nello storicizzare l’evoluzione creativa degli spettacoli portati in giro nei teatri nazionali, si evidenziano i dibattiti e i mutamenti socio-politici che hanno interessato un trentennio, sui quali, con una arguta ironia, talora anche romantica, surreale o cinica, Giorgio Gaber e Sandro Luporini hanno saputo imbastire e dipingere chiari e alquanto dettagliati paesaggi.

Sollecitato dalla moglie Dalia (figlia unica della coppia Gaber-Colli) Roberto Luporini (a sua volta figlio del cugino Sandro Luporini) ha saputo abilmente raccogliere anche confidenze, riuscendo a regalare al lettore un ruolo di spettatore attento, facendo sì che – alla fine - anche il suo ampio saggio costituisse una ulteriore partitura di uno spettacolo nuovo, questa volta però fatto con una narrazione fuori scena.

Ne deriva quindi che la documentazione sulla genesi del teatro-canzone e la sua evoluzione risultano così, oltre che complete, mescolate dall’umanità che intanto accompagna i due coautori che, con il trascorrere degli anni, si ritrovano sempre più complici e consolidati amici nella vita.

In alcuni capitoli, anche per meglio rendere comprensibile il contesto storico in cui si collocano alcuni scritti e canzoni, Roberto riassume pure in estrema sintesi i principali eventi che hanno interessato le contemporaneità del tempo, soffermandosi parallelamente sulle maturazioni/accadimenti che hanno interessato - unitamente e separatamente - Gaber e Luporini.

Alla fine ne risulta un bel racconto, scritto dal di dentro, che tramanda l’avventura a generazioni diverse; da chi ha vissuto in prima persona la complessa pulsione e passione creativa a chi ne ha avuto notizia solo dal racconto, facendone magari solo oggi la scoperta e anche oggetto di approfondimento.

Un libro che per i suoi contenuti induce ciascun lettore, infine, a riflettere anche su se stesso, sulle sue esperienze vissute, sul mondo che è stato e che è oggi, sui tanti valori e ideali, sui tanti incontri avuti, sul futuro rimasto da percorrere e su tutto quello che ancora ci resta.

Buona luce a tutti!

  © Essec

 

 

 

sabato 1 agosto 2020

Usi, abusi e liturgie. A chi tocca oggi il patibolo?



La foto del grande murales su Indro Montanelli apparso in questi giorni a Palermo – accompagnato da un suo testo – induce a fare qualche considerazione.
Intanto, per contemporaneità di datazione, la raffigurazione del Montanelli statuario mostra le tracce di vernice rossa che è stata riversata sulla figura bronzea ubicata a Milano, nello stesso luogo dove il giornalista venne gambizzato dalle Brigate Rosse, evidentemente per la sua attività di cronista.
Il testo di Indro Montanelli riportato nel murale recita: “La ragazza si chiamava Destà, aveva 12 anni: Particolare che mi tirò addosso i furori di alcuni imbecilli ignari che nei paesi tropicali a 12 anni una donna è donna e passati i 20 è una vecchia. Faticai molto a superare il suo odore dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che oltre a opporre ai miei desideri una barriera insormontabile (ci volle per demolirla, un brutale intervento della madre) la rendeva del tutto insensibile.” Sulle informazioni di Destà (Segheneiti, Eritrea, 1923 - ?) viene specificato “vittima del colonialismo e del patriarcato. Comprata da Indro Montanelli al prezzo di 350 lire, durante l’aggressione fascista dell’Etiopia nel 1935”.
Sulla vicenda molti osservatori si sono autorevolmente pronunciati evidenziando la necessità di contestualizzare le epoche storiche per evitare che il "politicamente corretto" sfoci in attività puramente vandaliche e distruttive; nel caso di Montanelli qualcuno ha fatto notare che l'illustre giornalista nel rendere nota la sua storia non ha mostrato a distanza di tanti anni nessun segno di pentimento, ma ciò non giustifica in nessun modo un'azione di natura vandalica nei confronti della statua. 
La critica è doverosa e giustificata, la violenza anche nei confronti delle cose assolutamente no!
Tornando al titolo dell’articolo, nulla cambia nel tempo.
Assicurando continuità alle ritualità pagane, ogni giorno qualcuno indicherà la vittima sacrificale che più aggrada, magari seguendo la moda del momento, e tutti gli astanti si affolleranno per bere un po’ del sangue purificatore che assolverà da ogni peccato. E pure qualche credente terminerà il suo rito declamando la tipica clausola liturgica definitiva: “et in saecula e saeculorum. Amen!”

Buona luce a tutti!

 © Essec

P.S. Su input dell'amico P. e allo scopo di rendere più efficace il senso dello scritto, ho accolto il suggerimento di sintetizzare i concetti per non perdersi in dissertazioni articolate (e ci sarebbe molto da dire) che potrebbero esser presi a pretesto per polemiche infinite.

venerdì 31 luglio 2020

"Quando Palermo sognò di essere Woodstock"



Coinvolto dall'amico Nino Giaramidaro, mi ritrovo casualmente in un contesto che in qualche modo dovrebbe pure interessarmi. La presentazione in pubblico di un libro che rievoca la cronaca di un evento pop accaduto a Palermo negli anni settanta è un’occasione per ricordare una manifestazione che ha visto la città, quasi casualmente, essere per alcuni giorni la capitale della musica mondiale.
Nel 1970 si radunarono, infatti, a Palermo tanti musicisti e cantanti fra i più noti del tempo.
Nella mia memoria riaffiorano labili ricordi, non certo legati alla partecipazione come spettatore, ma al clamore che ebbe la manifestazione nella cronaca locale e dai fiumi di parole che fluirono nella carta stampata del periodo; con ricchi articoli del L’Ora e del Giornale di Sicilia, in particolare.
La partecipazione dei tanti protagonisti che, a vario titolo, furono direttamente coinvolti nell’avvincente performace musicale, oggi faceva da ampio corollario alla presentazione del saggio editoriale di Sergio Buonadonna.
Quest’ultimo, dal suo trespolo, dopo una sintetica introduzione, ebbe a lasciare ampio spazio a quei palermitani teenagers di allora che avevano ancora oggi delle cose da raccontare.
L’età media del pubblico in platea, salvo qualche eccezione, era in sintonia con quanto si andava a narrare. Triste? Non saprei.
Personaggi della Palermo di quel tempo, ora rileggevano delle pagine del libro di Buonadonna riesumando dalla loro memoria ricordi variegati, di ospitalità e di soggiorni atipici di quegli artisti inconsueti, magari rievocando aneddoti che forse anche loro avevano intanto smarrito.
I personaggi della Palermo bene, come è ampiamente risaputo, hanno sempre qualcosa da raccontare.
I salotti buoni di ogni città vivono spesso, infatti, frequentazioni esclusive di personaggi in voga e si ritrovano spesso anche a fare da mecenati a iniziative culturali alle quali, come sempre e in ogni epoca,  rimane tristemente sorda la politica.
Qualcuno ebbe anche delle belle parole per ricordare cantanti locali quasi esordienti che ebbero poi modo di affermarsi nel panorama canoro nazionale e non solo.
Dai contributi apportati dai convenuti venne anche fuori come l’input di origine nella nascita dei gruppi jazz a Palermo sia da ricollegare proprio alla manifestazione Palermo Pop 70, in particolare quella dell’ormai storico “The Brass Group”.
I fatti, che rievocavano accadimenti di cinquanta anni prima, per qualche attimo fecero riaffiorare fiumi di ricordi e soprattutto costatare, guardandosi intorno, lo stato della attualità decadente e non solo fisica, legata al tempo incollato in ciascuno dei presenti.
Come consolazione – e non cosa da poco - rimaneva il fatto di ritrovarsi ancora fra gli spettatori in platea o sul palco e di poter ancora presenziare, per ascoltare la lettura narrante di quelle tante storie.

Buona luce a tutti!

 © Essec




sabato 11 luglio 2020

“Tagli” è il titolo della nuova mostra fotografica di Carmelo Bongiorno




Ancora una volta la sollecitazione ricevuta da Pippo a partecipare all’inaugurazione di una mostra al Centro Internazionale di Fotografia, curato da Letizia Battaglia, si è rivelata felice e mi ha pure fornito l’opportunità di fare la conoscenza diretta con l’autore.
L’evento costituiva la prima iniziativa espositiva messa in opera dal Centro dopo il blocco delle attività culturali causato dal Covid.
Le oltre duecento persone intervenute al vernissage testimoniavano, oltre all’interesse per la mostra, già ampiamente pubblicizzata, la voglia dei tanti a voler intervenire.
Tra i molti partecipanti, oltre a Mario Zito, assessore alla cultura del Comune di Palermo fresco di nomina, c’era anche Melo Minnella e tanti fotografi e fotoamatori appassionati.
L’evento presentato dal catanese Carmelo Bongiorno, intitolato “Tagli”, articolava una serie di opere nell’ambito dei due ambienti espositivi principali del Centro ubicato nel complesso dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo.
Le immagini andavano a costituire principalmente un insieme di dittici in bianco e nero, pienamente conformi con la più ampia concettualizzazione del titolo che l'autore aveva assegnato al progetto.
I diversi racconti proposti, in qualche caso chiaramente allusivi o in altri solo lievemente accennati, concedevano sempre e comunque ad ogni osservatore ampi margini per poter contemplare le storie, personalizzandole - o nel caso completandole - secondo il proprio vissuto e le esperienze maturate.
Per la lettura complessiva delle fotografie, il libro realizzato dalla casa editrice “Postcart”, contestualmente in vendita, ha aiutato molto a meglio focalizzare in un unicum le tante concettualizzazioni - evidenti o metafisiche - che, apparentemente confuse in diversi tasselli assemblati rappresentativi di storie personali, costituivano inequivocabilmente delle pagine di un diario che l'autore aveva avuto necessità di scrivere attraverso immagini.
In qualche modo, per gli appassionati di letture di portfolio, la mostra costituiva anche un insieme di lavori tipici appartenenti al genere.
Bongiorno, con i suoi dittici, ha voluto molto probabilmente mostrare molto del suo vero modo di essere e raccontare particolari sue esperienze sedimentate nel tempo, presentando a tal fine esempi sia di tagli per lui definitivi che di altri che, forse, gli apparirebbero ancora sanabili. Per questi particolari aspetti, la visione di ciascun dittico o di parte di essi accosterebbe l’intera operazione a un prodotto prossimo alla “fotografia partecipativa”.
L’autore invia, infatti, messaggi a tanti destinatari, in qualche caso non più raggiungibili o ad altri che potrebbero ancora ricucire i tagli denunciati.
Del resto in tutte le immagini, le separazioni o divaricazioni, si appalesano con ogni evidenza, ma mostrando anche consistenze, materie, volumi, ombre, luci che alimentano anche l'esistenza di margini per una possibile ricomposizione, in taluni casi, ancora perseguibile.
Fratture forse recuperabili, sono mostrate molto chiaramente in una foto radiografica che documenta una ricostruzione di un tallone attraverso una protesi metallica e che, consciamente nel dittico, l'autore associa alla striscia di negativi che rappresentano immagini di un gruppo di famiglia.
In altri dittici c’è l’evidente voglia impossibile di voler fermare il tempo o quella di tornare indietro, in qualche caso fino voler ripercorrere la stagione più verde dell’essere bambini.
Tante pagine di desideri, memorie e esperienze si confondono, lasciando però tangibili le molteplici storie e i tanti desideri, raggiungibili forse o ormai destinati all’utopia.
Le foto in verticale colorate allocate poi in certi punti, appaiono come delle vere e proprie sottolineature, volutamente apposte dall’autore per evidenziare il pessimismo latente che è presente in tanti tagli.
Chi si trova a contemplare i puzzle esposti non può di certo rimanere indifferente, perché le separazioni proposte, magari, anche se in forma diversa, costituiscono una raccolta analoga che ciascuno osservatore conserva nel proprio intimo. Con ferite spesso completamente rimarginate ma ancora estremamente sensibili e non soltanto al tatto.
In conclusione si potrebbe dire che il risultato del progetto appare coerente con le soluzioni prefissate e, direi pure, che il messaggio – al di là delle apparenze - non risulta pessimista o tantomeno negativo, poiché tende a mostrare essenzialmente in maniera oggettiva lo stato delle umani cose.
Non ci sarebbe, a mio modo di vedere, altro da aggiungere. Credo che dissertare ancora potrebbe risultare, in questo caso, solo ridondante.
Non sfugge comunque la linea che distingue le due immagini e che in ogni dittico costituisce la sintesi della profonda sofferenza rappresentata in ogni pagina. Il suo colore rosso, del resto, non porrebbe dubbi sul vero significato attribuito sistematicamente dal fotografo a ciascuna separazione.
La mostra, perfettamente curata in ogni suo dettaglio dall'Arvis di Palermo e principalmente nelle persone di Pippo Consoli e Giovanni Nastasi, appare gradevolissima nell'estetica espositiva che pure intriga e induce a soffermarsi lungamente sulle opere.
Il Centro Internazionale di Fotografia dei Cantieri Culturali alla Zisa, in questo, si e dimostrata poi la location più appropriata e l'autorevole presenza e intervento all'inaugurazione anche di Letizia Battaglia ha rappresentato in tutto ciò la classica ciliegina che viene apposta su una torta ben confezionata e riuscita.
Buona luce a tutti!

© Essec

P.S. Per visionare alcune delle opere esposte accedere al link: https://vimeo.com/437539642 - Il video del vernissage e lo slide show della mostra è accessibile attraverso:  https://youtu.be/_jmJbKJarCs




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Monte Pellegrino visto dalla borgata di Acqua dei Corsari

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