"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."
Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).
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lunedì 4 marzo 2024
"Perfect Days"
Una mia recensione sul film "Perfect Days" (regia di Wim Menders) apparsa sul bimensile "Dialoghi Mediterranei" (Periodico bimestrale dell'Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo) di marzo, curato da Antonino Cusumano. Pubblicazione inserita fra altre recensioni "commissionate" a altri sei soggetti (Federico Costanza, Anna Fici, Aldo Gerbino, Chiara Lanini, Flavia Schiavo e Giuseppe Sorce) che hanno così letto e rappresentato la trama e i messaggi contenuti nella regia di Wenders; ognuno seguendo percorsi personali secondo differenti chiavi di lettura.
Un plauso va a Antonino Cusumano, per l'operazione messa a punto, che è risultata utilissima nell'evidenziare il concetto de "il mondo è bello perchè è vario".
L'incarico conferito a sette soggetti diversi di sviluppare le impressioni suscitate dalla visione del film di Wim Wenders (senza che alcuno di loro conoscesse la contemporaneità delle scritture collaterali distintamente "appaltate"), viene a fornire tanti spunti (se coincidenti o diversi, poco importa) che portano a considerare il valore dei chiari e scuri che ciascuna mente riesce a cogliere e mettere a fuoco, attraverso bagaglio culturale, spirito d'osservazione, sensibilità, e quant'altro di cui dispone.
"Il volto di Kôji Yakusho, protagonista lungamente inquadrato durante la sequenza finale, appare pensieroso, sorridente, intristito, quasi piangente. Le moltitudini espressive contrastanti costituiscono la sintesi di tutto quello che nel film Wim Wenders ha saputo abilmente condensare, sommando con maestria le tante sfaccettature emozionali di una società complessa contemporanea che trova sempre maggiori difficoltà nel riuscire a gestire e, ancor più, esternare sensazioni e sentimenti.
Tante simbologie arricchiscono il film di valori, mettendo a fuoco quelle che forse rappresentano le questioni ritenute maggiormente importanti. Nella narrazione, il protagonista, pur proveniente da un’agiata famiglia, per sostenersi svolge un lavoro molto umile che però non intacca per nulla i suoi molteplici interessi. Nelle sue giornate apparentemente sempre eguali la cultura e i rapporti umani rimangono fondamentali e al centro della sua esistenza. Il protagonista del film non sente alcun bisogno di porsi a protagonista della sua stessa vita.
Nella prima parte del film si vede un uomo taciturno, silenzioso per il semplice fatto che non ha nulla da dire alla gente che incrocia; non necessita di dialogare con soggetti a lui profondamente lontani. Ma, pur nell’evidente silenzio sonoro, riesce a comunicare con talune sensibilità che incontra e così, attraverso un suo sesto senso, riesce a dialogare (con la ragazza che gli restituisce la musicassetta furtivamente sottratta e poi lo bacia, collegandosi a lui attraverso la musica), o con altri anche nascosti nell’ombra (gioco dello zero con una figura sconosciuta, che rimane tale e asseconda e dalla quale riceve un grazie scritto nel foglio del gioco completato).
La sua umanità viene percepita da anime a lui simili, indipendentemente dall’età e dalla condizione sociale. Il bambino smarrito nella toilette, riavutosi dallo spavento e libero da preconcetti, nell’andare via con la madre lo saluta, nonostante lui fosse un semplice pulitore di cessi. Non cessa di manifestare l’amore per la vita con la cura dei germogli d’alberi che casualmente trova e che aiuta a crescere e protegge affinché possano diventare un giorno robusti e imponenti.
La nipote adolescente scappata di casa che lo viene a cercare è, per lui, una di queste piccole piante che necessitano attenzione, empatia, comprensione. Così l’accoglie e l’asseconda, per poi restituirla con tatto alla cura della sorella che non vedeva da tempo. Alla giovane nipote che cercava risposte certe, il protagonista risponde e ribadisce che «un’altra volta è un’altra volta, mentre adesso è adesso». Come a dire che la successione delle giornate, delle ore, dei minuti sedimentano le tante combinazioni di situazioni possibili, mutevoli e comunque legate al tempo, mentre il momento vissuto dell’adesso costituisce l’unità dell’istante da cui muove il divenire.
In questo si collega anche la metafora del gioco di cercar di calpestare le ombre e anche il bisogno confessato da quel marito malato di cancro di comunicare la sua ormai prossima fine all’ex moglie e il conseguente desiderio di affidarne la protezione a qualcuno che individua nel suo immaginario come possibile erede (chiedendosi se due ombre sovrapposte possano diventare più nere).
La solitudine vissuta dal protagonista è una deliberata scelta che gli consente di sentirsi totalmente libero. Ma – a guardar bene – la sua è una concezione di vita niente affatto superficiale, attenta a scrutinare e a cogliere i dettagli di tutto quanto succede intorno a lui. I suoi occhi osservano e restano attratti dai mille particolari offerti dalle esperienze casuali: dal semplice raggio di luce che attraversa le fronde degli alberi e che cerca di catturare con scatti di fotografie analogiche, al barbone che vive in un suo mondo e segue un suo originale modo d’esistere; dalla ragazza sola che consuma il suo pasto durante la sua pausa di lavoro, alle molteplici altre solitudini invisibili che lo circondano.
Così, durante la melanconica canzone della ristoratrice intonata, che narra delle tappe della vita, riesce a dare forma a quel desiderio recondito di voler fermare per sempre l’attimo fuggente del suo treno in corsa. I filmati in bianco e nero dei sogni notturni registrano ombre criptate che, in qualche modo, corrispondono alle foto che ogni giorno ritualmente scatta con la sua Olimpus a uovo – la reflex del suo tempo – e dai cui rullini settimanalmente sviluppati trae una selezione, così da raccogliere immagini che possano somigliare ai fotogrammi notturni elaborati dalla sua mente.
Le fotografie sono custodite in scatole e ordinate con cura per annate. Un po’ come a voler collezionare sintesi di giornate radiografate, per essere catalogate fra quelle passabili come perfette o, quantomeno, più prossime ai suoi racconti onirici che, nelle sequenze proposte, registrano continue sovrapposizioni di ombre, sempre nuove. Quelle fotografie/giornate catalogabili come riuscite corrispondono al titolo del film “Perfect days”. Uno splendido breviario di immagini e di sentimenti. Un sillabo di umanità.
Alcuni registi hanno la capacità di saper trasmettere messaggi indirizzati più che a un pubblico osservatore alle loro anime. Dopo aver visto, nel lontano 1991, il film “Rapsodia d’agosto” di Akira Kurosawa, interpretato da un magistrale Richard Gere, mi pare di ritrovare nel cinema di Wenders e nella storia di Kôji Yakusho gli stessi valori universali, le intense sensazioni, le poesie fatte d’immagini, le musiche senza stagioni. Sono i bagliori puri che inebriano la mente, genialità di artista che parla con la gente. Sono gli eterni codici privi di ogni barriera che, con battute semplici, illuminano la scena. E dentro di te destano sentimenti cheti: mille violenze inutili, molte miserie umane, gli inverni malinconici, le primavere strane. E in qualunque campo spuntano sempre dei fiori: la forza della vita c’è sempre in tutti i cuori. Le pagini sublimi di questo bel racconto trapassano steccati, colorano lo sfondo di un universo umano tanto diverso e vero che vede come in una epifania molti ideali brillare nel suo cielo.
In conclusione, l’ambientazione in Giappone appare come una deliberata volontà di Wim Wenders di sviluppare un racconto quasi in bianco e nero e in un ambiente asettico, costituito da una metropoli affollata da abitanti quasi invisibili o nascosti. Evita anche possibili distrazioni di colori, che sarebbero potuti risultare inutili rispetto alle tante concettualizzazioni espresse.
Concetti e simbologie che, nel film, dopo un lento inizio, prendono l’abbrivio e si susseguono quasi accavallandosi nella parte finale. Sviluppandosi con una velocità sempre più crescente che trascina lo spettatore in un vortice che lascia senza fiato."
Buona luce a tutti!
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giovedì 29 febbraio 2024
“Povere Creature”- Leone d’Oro come miglior film all’80^ Mostra del cinema di Venezia
L’originalità delle scene e ogni aspetto fiabesco senza tempo alleggeriscono e tendono a distrarre dai tantissimi temi messi in campo da Yorgos Lanthimos attraverso una sapiente, lucida e geniale regia.
Il film ricostruisce in video i complessi caleidoscopi possibili rappresentabili in ogni modello di convivenza sociale e condizionati dalla natura umana. Ne esalta le eclatanti ipocrisie e l’incidenza dei condizionamenti ideologici presenti in ogni formula aggregativa evidenziandone i paradossi, presentati in chiave a tratti burlesca e tragicomica.
Intanto mette in risalto il concetto di generosità di un Frankenstein buono e dall’infanzia infelice, per un padre che definire severo sarebbe poco; sottolineando come la bellezza dell’animo non ha nulla a che vedere con gli aspetti estetici insiti in ognuno. Godwin Baxer peraltro viene posto su un livello superiore a quello di solo scienziato. Filantropo è impegnato a divulgare con l'esercizio universitario le sue teorie improntate a una ricerca che non si pone limiti, disallineata da ogni dogma e vincolo etico-religioso.
Il cervello del bambino destinato a morire è la chiave centrale su cui ruota l’intero film. Il buffo procedere a scatti nell’andatura della protagonista appare quasi un voler far visivamente risaltare la meccanica inerente alla catalogazione di ogni sua specifica esperienza evolutiva (assemblaggio dei vari step, intesi questi come passi elementari di un programma).
Il suicidio della protagonista in cinta, solo nel finale mette in evidenza di come questo avesse costituito l’estremo gesto di ribellione verso uno sposo maschilista e possessivo, propenso e, con ogni probabilità, inesorabilmente proiettato verso un femminicidio. Il generale viene mostrato pure caricaturalmente sempre armato di pistola, per assicurarsi il rispetto, con tante paranoie riguardo ai domestici e legate a una malvagità sua intrinseca, ampiamente e crudelmente praticata – come dallo stesso affermato - e spesso per rivalsa pure in campo di battaglia. Volendo, venendo a simboleggiare con tale personaggio, politicamente, il consenso che usano imporre i despoti nelle dittature.
Lo sviluppo cerebrale eccezionale di Bella dipende dal progetto illuminato di Godwin Baxer che va ad operare affinché lei possa pienamente disporre del “libero arbitrio”. Il cervello del nascituro, inserito in un corpo adulto e maturo", riesce a progredire con una velocità cognitiva sorprendente che evidenzia una sete infantile verso una continua crescita culturale che via via mette a nudo una serie di questioni etiche ed esistenziali.
Le contraddizioni sociali esplodono in paradossi che mescolano le differenze di stato e per le disponibilità economiche che determinano e condizionano il vissuto di ogni essere umano. Esemplificativo, al riguardo, appare la disinvoltura con la quale Ducan, avvocato senza scrupoli, rapisce Bella allo scopo di perseverare nella ricerca volta al godimento personale. Ricercando anche nella lussuria oltre che nel gioco d’azzardo la felicità assoluta, rimane lui stesso vittima perché catturato dalla emancipazione che sempre più va a maturarsi nella bellissima amante. La giovane donna già deceduta e riportata a una seconda vita dallo scienziato, scappa per rispondere all’irrefrenabile desiderio di dare delle risposte alle sue continue domande. Con l’avallo del suo “dad virtuale” si avvia quindi a vivere esperienze con il losco avvocato - e sempre nuove avventure - in diversi continenti: mantenendosi però nello status prodigo di privilegi sociali più che borghesi che, alla lunga, la portano infine a scoprire l’ingiustizia.
Emblematici risultano a questo punto anche i paradossi dei personaggi che ruotano all’interno del bordello che, oltre a varie tipologie di clienti manifestanti le diversità intrinseche alla specifiche nature di appartenenza, mettono in campo i temi della vecchiaia (tenutaria che non vuole arrendersi a rinunce) e connessi alle fedi politiche ingabbianti. Tocchi d’ipocrisia eccelsa – al limite del sublime - si manifestano anche nella scena dell’introduzione barocca al sesso, messa a punto da parte di quel padre che si accompagna ai figli - ovviamente di sesso maschile - nel suo incontro, affinché possano apprendere e annotare ogni dettaglio sui vari aspetti.
Analoghi temi sono pure percorsi attraverso i simbolici passeggeri di crociera, esplicitati in una vecchia signora ormai disinibita che ha maturato esperienze e disillusioni (e che portano Bella alla scoperta della lettura). Significativo risulta pure l’andare a gettare nell’oceano i libri che fruttano conoscenze, perché ritenuti non utili a femmine, in quanto ritenute inferiori e destinate a compagnia, al piacere e alla continuazione della specie. Ovvero la figura dell’intellettuale cinico (provocatoriamente proposto attraverso un uomo di colore) che la induce a scoprire l’ampio scenario d’idee proposte dalla filosofia. Così come i due marinai (ritrovatisi casualmente nei ruoli del Gatto e la Volpe della favola di Collodi) che raggirano l’ingenua Bella la quale, confidando in una scontata lealtà, affida loro un tesoro trafugato a Ducan; al nobile scopo e con l'intento di poter così dare sollievo alle moltitudini di diseredati isolati che l’amico cinico le ha prima fatto scoprire: Emarginati e senza speranza allocati in bassifondi (emblematica la scala crollata che teoricamente avrebbe potuto mantenerne un collegamento). Oppure il comportamento pragmatico del capitano della nave che, venuto a conoscenza della sopravvenuta insolvenza di quello ritenuto prima un facoltoso avvocato, rimuove ogni possibile credito e lo sbarca (con la stessa Bella) nel più prossimo porto.
Nel vissuto di Bella tutto quanto scorre con una velocità sorprendente, in forza del suo cervello vergine trapiantatole dal bambino sopravvissuto al dramma, che assorbe avidamente come una spugna e che è stato programmato per riuscire a discernere, catalogare ed assemblare principalmente valori positivi.
I tanti bizzarri animali che affollano la casa londinese di Godwin costituiscono delle fantastiche parodie, che poi si sublimano al massimo in occasione del trapianto di cervello praticato (dalla neo-scienziata Bella, unitamente a Max ormai destinato a starle accanto) al suo marito generale, per renderlo animale mansueto.
Altre questioni, anche solo accennate o sotto traccia, si profilano nel film. Una fra tutte è: quanto può risultare etico salvare per trapiantare un cervello sacrificando uno sviluppo naturale di un nascituro?
Si delineano qui anche le tante questioni e problematiche attinenti all’aborto o, riducendo il raggio d’argomento, alle contrattazioni di organi clandestine di frequente spacciate come donazioni; per lo più rese da disperati diseredati, rassegnati abitanti dei tanti bassifondi del mondo, relegati ai margini e disposti a tutto pur di sopravvivere.
In merito al rapporto uomo donna, i quattro personaggi maschili delineano diverse tipologie di rapporto: affettivo quello di Godwin è delicato e rispettoso, quello di Alex generoso e di larghe vedute (specie riguardo alla gestione del corpo); invece possessivo e diversamente violento è quello degli altri due (dell’avvocato votato a perpetuare senza scrupoli qualunque pratica egoistica che gli procuri il piacere; dell’ex marito padre e amante, esclusivo e padrone, fino al punto da segregare e mantenere nel terrore quella sua ex sposa che evidentemente trattava come proprietà in quanto donna).
Massimo esempio di vendetta crudelissima è infine rappresentata nella scena che conclude il film, nella quale, pur rifacendosi al dramma di Edipo Re di Sofocle (perché, ricordiamolo, nel film è del neonato il cervello alloggiato nella testa di Bella Baxer), il regista supera l’atto cruento dell’arrecare morte, con un generale reso animale belante e condannato a brucare per il resto della sua vita.
Tante le metafore e le allusioni che si intrecciano nella trama e che ciascuno spettatore potrà leggere e eventualmente attenzionare secondo le proprie diottrie o le lucidità connesse alle quote di onestà intellettuale personali.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
P.S. - Un cartello avvisa che il film e' vietato ai minori dei 14 anni. Per i contenuti (fatta forse esclusione delle palesi scene erotiche, accessibili comunque agli adolescenti tramite web) potrebbe essere un film adatto a portare chiarimenti sulle differenze di genere e per una qualificata educazione sessuale.
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domenica 25 febbraio 2024
Fortuna che seguaci di Massimo Catalano ci aiutano con sagaci intuizioni
Un breve articolo apparso oggi nei media recita: “L’EUROPA senza guida. Ma per fortuna ogni tanto Mario Draghi esce dall’eremo a cui l’hanno condannato i maledetti populisti, si affaccia fuori e ci indica la via. Ieri per esempio Repubblica ha avuto notizia del Verbo e si è subito sparata un titolone: 'Draghi: ‘L’Ue ha bisogno di enormi investimenti, è urgente capire come finanziarli’. Parole illuminanti, concetti forse ostici e non alla portata di tutti, vista la loro complessità, ma che certamente rivelano la stoffa dell’uomo. A nessuno era mai venuto in mente che in Europa ci fosse bisogno di investimenti. Ma nemmeno i pochissimi pionieri che si erano spinti a ipotizzare uno scenario simile avevano poi azzardato quella seconda fondamentale, riflessione: bisogna anche capire come finanziarli, gli investimenti, non è che basta chiedere soldi. Sono tesi forti, ci rendiamo conto, pugni nello stomaco del lettore. Ma gli oracoli sono così.”
Lo stesso quotidiano, il 3 maggio 2013, intitolava un articolo così: “Quelli della notte. Massimo Catalano è morto, le sue massime restano.” Poi proseguiva: “Serafico, sorridente, imperturbabile; un uomo di mondo dall’aria vagamente fané, o forse, a pensarci meglio, già implicitamente autoironico nell’immagine televisiva. Barba, riporto e foulard. Questo è Massimo Catalano, morto ieri nella sua casa di Amelia, in Umbria, all’età di 77 anni. Sarebbe meglio buscarsi l’influenza e guarire con un’aspirina che dover lottare invano per un anno contro un male incurabile, come avrebbe chiosato lui. Invece è andata al contrario, anche se il re dell’ovvio, dispensatore di immortali massime sui divani di Quelli della notte 'è destinato a rimanere nel nostro lessico, e dire catalanata ormai è diventato un modo di dire per tutti', come ha dichiarato il suo mentore Renzo Arbore.” Inoltre: “Catalano, seguace di Lapalisse, si limitava a interloquire nei grandi dilemmi della vita posti dal filosofo Riccardo Pazzaglia, piazzando l’affondo definitivo: 'È meglio lavorare poco e fare tante vacanze, piuttosto che lavorare molto e fare poche vacanze'. Dopo quell’exploit geniale, che genialmente Arbore non volle mai ripetere, cominciarono i mille e uno tentativi di imitazione di Quelli della notte, e i confronti imbarazzanti non si sono mai interrotti, anche ora che la politica si è impadronita del talk show, ora che le due entità sono inseparabili in natura”. L’articolo chiudeva con la triste considerazione socio-politica: “Ora che ogni sera, a sentire le pensose dichiarazioni di onorevoli e analisti, viene da rivalutare la saggezza di Massimo Catalano. Meglio dire ovvietà in serie prendendosi in giro, che spararle sempre più grosse prendendosi sul serio.”
La scuola di Catalano continua a accumulare proseliti, oltre che in politica, anche in economia.
Buona luce a tutti!
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venerdì 23 febbraio 2024
“Aforismi sulla saggezza della vita” di Arthur Schopenhauer
"Checchè ne sia, la giovinezza è il momento dell’agitazione, l’età matura quello del riposo: ciò basta per giudicare dei loro rispettivi piaceri. Il bambino tende avidamente le mani nello spazio dietro quegli oggetti, così screziati e così vari, che si vede davanti gli occhi; tutto questo lo eccita perocchè il suo sensorio è ancora tanto fresco e tanto nuovo. Lo stesso avviene, ma con maggior energia, per il giovane. Il mondo dai colori smaglianti, e dalle figure moltiformi lo eccita del pari, ed anzi egli ben presto nella sua immaginazione vi annette più valore che esso non abbia. Per questo la gioventù è piena di esigenze e di aspirazioni a cose vaghe, ciocchè le toglie quel riposo senza di cui non v’ha felicità. Coll’età tutto si calma, sia perché il sangue si è raffreddato e perché l’eccitabilità del sensorio è diminuita, sia perché l’esperienza, illuminandoci sul valore delle cose e sull’essenza dei piaceri, ci ha francati a poco a poco dalle illusioni, dalle chimere e dai pregiudizi che velavano o deformavano fino allora l’aspetto libero e netto delle cose, che ormai sono conosciute tutte più giustamente e più chiaramente; a quell’ora noi le prendiamo per quello che sono, ed acquistiamo in maggior o minor grado, la convinzione della nullità d’ogni cosa sulla terra. Da ciò quasi tutti i vecchi, anche coloro d’un’intelligenza assai volgare, ricevono una certa tinta di saggezza che li distingue dalle persone più giovani. Ma tutto questo produce principalmente la calma intellettuale che è l’elemento importante, direi anzi la condizione e l’essenza della felicità. Mentre l’uomo giovane crede di poter conquistare in questo mondo immense meraviglie se solamente sapesse ove trovarle, il vecchio è penetrato dalla massima dell’Ecclesiaste: «Tutto è vanità», e sa bene che le noci sono vuote quantunque dorate.”
Se si vuole, l'ampio testo, tratto da “Aforismi sulla saggezza della vita” di Arthur Schopenhauer, si può ben adattare al trittico fotografico che viene proposto, realizzato mettendo in sequenza il risultato di tre scatti effettuati a Piazza Garraffello.
Situata nel cuore del centro storico cittadino, la piazza in questione è parte integrante della più famosa “Vucciria”, in passato il più fiorente mercato di prodotti alimentari palermitano.
Da qualche tempo molti artisti, anche internazionali, hanno provato a riabilitare culturalmente il luogo ormai fortemente degradato, attraverso varie iniziative, creando delle installazioni e, in ultimo, anche opere di vari generi di street art.
Igor Scalisi Palminteri, uno degli artisti più impegnati nel settore, ha un bel giorno pensato bene di raffigurarvi la morte, con una icona che ben concettualizza lo stato comatoso del quartiere. Un’opera che, forse per paura, dopo breve tempo è stata sfregiata da ignoti nel viso, ma che ancora resiste. Forse a voler simboleggiare l’assolutezza indiscutibile della quotidiana presenza.
Passando per la piazza mi soffermo sempre davanti all’opera. Questa volta con la coda dell'occhio avevo individuato un ragazzino che a cavallo della sua bici si accingeva a passare …… ho subito abbassato i tempi nella macchinetta che avevo in mano, per tentare di riprendere nello scatto contemporaneamente il disegno nitido dell'icona e il movimento, quasi fuggente, del giovane al passaggio.
Dopo qualche minuto, sostando sempre sul posto ho inquadrato un soggetto adulto che pure pure lui si era soffermato a contemplare l’icona.
Unendo le due immagini con isolata la foto dell'opera di Scalisi, ovvero senza presenze umane, veniva fuori per immagini l'essenza della celeberrima frase di Lorenzo Il Magnifico - che sempre ritorna in mente - rafforzando visivamente il suo messaggio esistenziale. Nell'occasione modificato in: "Quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia. Chi vuol esser lieto sia del doman" ..... c'è la certezza.
Ecco, così s'era venuto a confezionare, come dice spesso il mio caro amico, un ennesimo pensiero del tipo “Baci Perugina”; da leggere magari assaporando contestualmente la dolcezza della cioccolata che è riservata ad ognuno durante la porzione di tempo assegnato.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
domenica 28 gennaio 2024
Associazioni, Fondazioni, Onlus e altro ancora
Ipocrisie diffuse e solidarietà sospette continuano a coesistere in certi ambienti, specie nel mondo occidentale.
Sembra, pure, che negli ultimi tempi truffe dilaghino nel web. Offerte incredibili e occasioni uniche vengono proposte e molti, attratti da affari imperdibili, effettuano bonifici o accrediti al buio, convinti di non perdersi l’affare o magari soddisfare dei reconditi desideri. La poca trasparenza non assicura certezze e molteplici venditori globalizzati appioppando truffe a malcapitati.
Ma dubbi non nascono solo nell'ambito del commercio. Perplessità suscitano anche tante richieste di solidarietà sociale, magari da manifestare con cinque numeri, da digirate tramite cellulare, per veicolare raccolte di fondi. In più, in tempi recenti, si invitano persone anziane - che vivono per lo più in solitudine - a lasciti testamentari “post mortem”, finalizzati a migliorare le condizioni di vita a tantissimi diseredati di cui sempre è affollato il mondo.
Queste organizzazioni quasi mai, però, propongono soluzioni per i "bisognosi della porta accanto"; a cominciare dagli homeless o tanti altri poveri derelitti, senza arte nè parte.
Dietro tante iniziativa sociali ci sono strutture spesso ben organizzate, ma anche associazioni e fondazioni non tanto note o dalle gestioni poco trasparenti.
Di regola, del resto, non sono quasi mai resi noti i flussi che vengono canalizzati con donazioni dai due euro in su.
In molti casi, potrebbe pure succedere - e sicuramente accade - che i costi operativi possano anche assorbire buona parte delle entrate economiche realizzate. Con oneri gestionali che, rispetto agli obiettivi (ad esempio i pochi centesimi per acquisti di penicillina o qualunque altro farmaco essenziale), potrebbero essere sproporzionati e oltre lecita misura.
Gli oneri, specie di organizzazioni di stampo occidentale, potrebbero pure rivelarsi esorbitanti e forse eccessivi, ancorché si ricorra a coinvolgere volontari free. Così come nello sviluppo di certe organizzazioni potrebbero nascondersi anche veri e propri bacini occupazionali, dai risvolti clientelari.
In ogni caso e sempre, in qualunque raccolta benefica dovrebbe trovarsi delle forme di garanzia e relazioni pubbliche che consentano l'estrema trasparenza gestionale, con la pubblicazione in rete dei bilanci annuali e alla specifica indicazione dei flussi (in entrata e in uscita) relative ai vari propositi. Indicando anche il numero degli addetti specie se costituiscono onere operativo, così come l'ammontare corrisposto per le spese logistiche (immobili, mezzi e quant'altro) necessarie agli scopi ed altro ancora.
Alcune pagine del libro inchiesta "Io ti fotto" (edito nel 2010), di Marco Morello e Carlo Tecce, esplicitano, con esempi concreti e inconfutabili, molte delle ambiguità etiche fin qui espresse. La didascalia che segue il titolo del volume recita infatti che "L'Italia è un Paese fondato sulla fregatura: ecco tutti i modi in cui gli italiani raggirano gli antri (e se stessi)". Per quanto ovvio, molte degli espedienti che in maniera variegata vengono messi in atto riguardano ambiti internazionali e non sono, quindi, esclusivi nella nostra nazione.
In argomento, altro aspetto non secondario, di natura politica però, potrebbe riguardere anche la coerenza d'iniziative statali di solidarietà rispetto alle spese per armamenti militari alle stesse correlate; specialmente nei casi di partecipazioni dirette e indirette in conflitti bellici "cooperativistici/internazionali" etichettati col marchio “scopi umanitari” per intendersi.
Come pure dovrebbe trovare adeguato spazio l'andare a indagare sull’industria bellica che, collegata alle “esportazioni di democrazia”, mira a spendere per riarmamenti e a mega ricostruzioni finanziate da ingenti fondi pubblici.
Sono tante le incoerenze "umanitarie" e le solidarietà dubbie che, nella realtà pratica, in molti casi muovono dei cinici interessi.
L’essere umano non sempre opera in maniera razionale o è coerente. Anche perché filosofie e religioni tendono a condizionarne le logiche secondo caratteristiche culturali, legate a tempi, luoghi e abitudini.
La globalizzazione e la comunicazione consentono oggi, almeno nelle società tecnologicamente più avanzate, d'avere cognizione dello status sociale in cui si vive. La maggior parte degli umani ha la possibilità di avere contezza delle difficoltà o dei privilegi di cui è in qualche modo partecipe. Convivenze pacifiche, conflittuali e stati di guerra, sono visibili, indipendentemente da quale possa essere l’ideologia di parte.
In merito a paradossi e incoerenze mi viene in mente un accadimento occorsomi durante una escursione in India, specificatamente nella regione del Rajastan, ove ero partecipe in un gruppo eterogeneo composto da circa trenta di elementi.
Tra i partecipanti figurava anche una single, di mezza età, che amava associare ai viaggi un suo esercizio di buona samaritana; trovando appagante distribuire a piccoli diseredati, vari regalini portati dall’Italia o recuperati tra i gadget resi disponibili nella toilette d’albergo.
Ogni mattina, quindi, portava con sé una serie d'oggetti, da penne biro a matite colorate o altri piccoli oggetti, da regalare a bambini che aveva occasione d’incontrare.
Le piaceva molto questo modo di fare tipico dei “ricconi americani” d’altri tempi e gongolava nell’essere assaltata da piccini festanti, che l’attorniavano festosi durante le estemporanee distribuzioni.
Un giorno ci accadde però un brutto incidente. Il nostro bus si ritrovò coinvolto in uno scontro grave. Ci trovammo ad investire due malcapitati indiani che procedevano lungo la stessa strada in motocicletta. L'impatto fu molto violento, tanto che i due malcapitati vennero sbalzati verso il guardrail con evidenti traumi e fratture.
Per quanto ovvio l’imprevisto ebbe a interrompere il tour turistico e, in breve, ci trovammo a dover anche imbarcare nel bus i due incidentati; per accompagnarli il più velocemente possibile al centro di soccorso più vicino.
Era il minimo che si era tenuti a fare per cercare di salvare i due feriti, uno dei quali era da subito andato in stato comatoso.
Mentre si stazionava sul posto, in attesa dell’arrivo della polizia locale, si decideva a maggioranza di prestare il nostro mezzo, per il trasbordo nel più vicino ospedale. L’unica che ebbe a manifestare parere contrario (e a lamentarsi ripetutamente delle mancate escursioni del giorno causa incidente) fu proprio la “samaritana”, palesando il comportamento che viene sempre fuori in ipocriti che poi si rivelano falsi generosi.
Più trascorrevano le ore e più questa continuava a “sbraitare”, chiedendo con insistenza di abbandonare al loro destino i poveri cristi. Cercava pure di convincere gli altri sulla necessità di portare avanti il programma di viaggio, per il quale si era pagato, e che rischiava di rimanere monco. Non era prevista quella perdita di tempo e men che meno ritardi causa incidenti. “Lasciamo che di tutto se ne occupino altri, non spetta a noi prestare soccorsi” era il suo reiterato refrain.
Quel suo comportamento inaccettabile fortunatamente non trovò ascolto e gli altri viaggiatori aderimmo tutti alla proposta di mutare programma a fin di bene. Demmo soccorso raggiungendo il centro medico più vicino, parecchio distante dal luogo dell'incidente.
Per la cronaca, entrambi gli autisti furono il giorno dopo sospesi, fortemente sospettati di guidare in stato di ebrezza. Nonostante il trasbordo in ospedale, purtroppo il più grave dei due malconci non riuscì a sopravvivere.
Un viaggio indiano che fu correlato a due tragedie: un decesso e una miseria umana manifesta.
Per quanto intuibile, per il resto del viaggio la "buona samaritana" restò taciturna. Le tolsi il saluto, ma non fui solo io.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
venerdì 26 gennaio 2024
Una serie infinita d'Urli di Munch
In quarta di copertina di “Fotogazzeggiando” riportavo quanto pure scritto in premessa, ovvero che “Capita talvolta di sentire il bisogno di scrivere. Ma non tanto per impegnarsi a svolgere un particolare compito ‘intellettualoide’, bensì per rispondere a un’esigenza propria di voler raccontare o semplicemente per rispondere così alla necessità di riordinare idee su certi argomenti …. nella fotografia, che è anch’esso un fenomeno sociale sempre più praticato, oggi di moda e su cui emergono nugoli di ‘esperti’, accade la stessa cosa.”
Quindi, la scrittura in genere, come noto, spesso costituisce una necessità. Quasi una forma terapeutica, un modo di comunicare che assicura equilibrio, seppur attraverso un dialogo sostanzialmente univoco.
Durante il parto letterario, infatti, non occorre che ci siano dei soggetti disposti a leggere ciò che si sta scrivendo, l’importante è coltivare l’illusione che esista il lettore idealizzato con cui ci s’intende rapportare. Chi scrive è certo un autore, ma al contempo, con il suo messaggio, immagina già il destinatario cui si rivolge. Ed è questo il motivo per cui si arzigogola nella ricerca di parole, immaginandosi contemporaneamente anche attento e severo lettore nei momenti stessi in cui va scrivendo.
La scrittura, quindi, determina in ogni autore un travaglio intellettuale assai complesso.
In un brillante articolo di questi giorni Elena Tempestini riprende un capitolo del saggio di Carlo M Cipolla che in maniera molto ironica argomenta su “Leggi della stupidità umana”, come strumento di sintesi utile a classificare ogni rappresentante della società e, a tale scopo, torna a proporre il seguente schema ideato dal Cipolla.
In relazione alle caratteristiche, quindi, ciascuno potrà trovare/immaginare a piacimento il quadrante corrispondente alle combinazioni (potenzialità/caratteristiche da associare ai fatti/risultati) più consone a ogni individuo, per stabilire in quale dei quattro profili potrebbe collocarsi.
Certamente più che basarsi su delle regole scientifiche, l’operazione sostanzialmente rappresenta un diverissement realistico, quasi ironico, per far divertire, ma fino a un certo punto in relazione ai giudizi finali cui fa propendere. Tale procedura potrebbe tranquillamente applicarsi anche a quel che succede nell'ambito della fotografia.
In ogni caso, lo schema ideato torna utile per cercare di razionalizzare scelte, a prescindere da influssi o condizionamenti esterni. Del resto, è anche una regola risaputa l’incidenza imponderabile del caso in ogni possibile accadimento.
Come osservato, lo stesso procedimento potrebbe essere applicato, oltre che nel campo lavorativo o nella politica o qualunque attività letteraria esercitata dall’individuo o altro ancora, anche nel campo fotografico e in tutti i suoi derivati. Tenendo conto che da sempre cultura e forme di comunicazione si evolvono in funzione delle opportunità delle tecnologie disponibili; così come civiltà spesso assai diverse, succedutesi nel tempo, hanno intanto avvicinato progressivamente - e via via - sempre più i confini, facilitando contaminazioni e scambi.
Ci sono modi differenti di approcciare la fotografia e, come in letteratura dove le parole sono strumenti funzionali per poter raccontare, descrivere, analizzare, formulare, teorizzare, anche le fotografie possono essere utilizzate con metodi applicativi diversi in relazione agli scopi.
Al riguardo, può ritenersi assodato il fatto che in ciascun individuo possa risiedere latente un “Urlo di Munch”, che in qualche modo vorrebbe mettere in campo proprie patologie recondite e, in questo, la fotografia può spesso costituire lo strumentario giusto. Ovvero, la tela e i colori necessari per esternare visioni intime, impressioni, tare, fantasmi, desideri, aspirazioni, attese; con la stessa efficacia ben rappresentata dal pittore norvegese.
Per un attimo, quindi, chiudendo magari gli occhi, potremmo facilmente immaginare come molte delle produzioni fotografiche proposte potrebbero rappresentare una serie infinita di urli di Munch. Il portfolio fotografico, in particolare, sublima spesso questa che potrebbe non rimanere solo una impressione.
Aprendo gli occhi si tratterebbe, quindi, di rimuovere l'eventuale nebbia, per osservare con attenzione e procedere all’analisi, per poi decriptare i messaggi che si celano dietro l’urlo di ciascuno.
Se si riflette bene, però, non sempre l’arte, in qualunque sua forma, si propone per ambire al successo; molte volte vuol solo costituire uno sfiatatoio esistenziale, utile a ridurre pressione o depressione, per rimuovere frustrazioni e alimentare agognate gioie (utile leggere al riguardo: "Come liberarsi del bisogno di approvazione"). Nel caso, ciascuno sarà opportunamente libero di scegliersi il percorso terapeutico che riterrà più idoneo, utile o migliore.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
Quindi, la scrittura in genere, come noto, spesso costituisce una necessità. Quasi una forma terapeutica, un modo di comunicare che assicura equilibrio, seppur attraverso un dialogo sostanzialmente univoco.
Durante il parto letterario, infatti, non occorre che ci siano dei soggetti disposti a leggere ciò che si sta scrivendo, l’importante è coltivare l’illusione che esista il lettore idealizzato con cui ci s’intende rapportare. Chi scrive è certo un autore, ma al contempo, con il suo messaggio, immagina già il destinatario cui si rivolge. Ed è questo il motivo per cui si arzigogola nella ricerca di parole, immaginandosi contemporaneamente anche attento e severo lettore nei momenti stessi in cui va scrivendo.
La scrittura, quindi, determina in ogni autore un travaglio intellettuale assai complesso.
In un brillante articolo di questi giorni Elena Tempestini riprende un capitolo del saggio di Carlo M Cipolla che in maniera molto ironica argomenta su “Leggi della stupidità umana”, come strumento di sintesi utile a classificare ogni rappresentante della società e, a tale scopo, torna a proporre il seguente schema ideato dal Cipolla.
In relazione alle caratteristiche, quindi, ciascuno potrà trovare/immaginare a piacimento il quadrante corrispondente alle combinazioni (potenzialità/caratteristiche da associare ai fatti/risultati) più consone a ogni individuo, per stabilire in quale dei quattro profili potrebbe collocarsi.
Certamente più che basarsi su delle regole scientifiche, l’operazione sostanzialmente rappresenta un diverissement realistico, quasi ironico, per far divertire, ma fino a un certo punto in relazione ai giudizi finali cui fa propendere. Tale procedura potrebbe tranquillamente applicarsi anche a quel che succede nell'ambito della fotografia.
In ogni caso, lo schema ideato torna utile per cercare di razionalizzare scelte, a prescindere da influssi o condizionamenti esterni. Del resto, è anche una regola risaputa l’incidenza imponderabile del caso in ogni possibile accadimento.
Come osservato, lo stesso procedimento potrebbe essere applicato, oltre che nel campo lavorativo o nella politica o qualunque attività letteraria esercitata dall’individuo o altro ancora, anche nel campo fotografico e in tutti i suoi derivati. Tenendo conto che da sempre cultura e forme di comunicazione si evolvono in funzione delle opportunità delle tecnologie disponibili; così come civiltà spesso assai diverse, succedutesi nel tempo, hanno intanto avvicinato progressivamente - e via via - sempre più i confini, facilitando contaminazioni e scambi.
Ci sono modi differenti di approcciare la fotografia e, come in letteratura dove le parole sono strumenti funzionali per poter raccontare, descrivere, analizzare, formulare, teorizzare, anche le fotografie possono essere utilizzate con metodi applicativi diversi in relazione agli scopi.
Al riguardo, può ritenersi assodato il fatto che in ciascun individuo possa risiedere latente un “Urlo di Munch”, che in qualche modo vorrebbe mettere in campo proprie patologie recondite e, in questo, la fotografia può spesso costituire lo strumentario giusto. Ovvero, la tela e i colori necessari per esternare visioni intime, impressioni, tare, fantasmi, desideri, aspirazioni, attese; con la stessa efficacia ben rappresentata dal pittore norvegese.
Per un attimo, quindi, chiudendo magari gli occhi, potremmo facilmente immaginare come molte delle produzioni fotografiche proposte potrebbero rappresentare una serie infinita di urli di Munch. Il portfolio fotografico, in particolare, sublima spesso questa che potrebbe non rimanere solo una impressione.
Aprendo gli occhi si tratterebbe, quindi, di rimuovere l'eventuale nebbia, per osservare con attenzione e procedere all’analisi, per poi decriptare i messaggi che si celano dietro l’urlo di ciascuno.
Se si riflette bene, però, non sempre l’arte, in qualunque sua forma, si propone per ambire al successo; molte volte vuol solo costituire uno sfiatatoio esistenziale, utile a ridurre pressione o depressione, per rimuovere frustrazioni e alimentare agognate gioie (utile leggere al riguardo: "Come liberarsi del bisogno di approvazione"). Nel caso, ciascuno sarà opportunamente libero di scegliersi il percorso terapeutico che riterrà più idoneo, utile o migliore.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
mercoledì 24 gennaio 2024
venerdì 19 gennaio 2024
“Incontro con fotografi illustri” di Ferdinando Scianna
In "Obiettivo ambiguo" erano già stati passati in rassegna alcuni dei fotografi ora riproposti in “Incontro con fotografi illustri”.
La nuova operazione potrebbe forse differenziarsi, quindi, oltre che per l'apporto d’immagini spesso inedite "made Scianna", anche per la brevità dei testi che si potrebbero quasi intendere come delle vere e proprie didascalie a supporto delle fotografie scelte.
In più, le considerazioni nei confronti dei fotografi passati in rassegna che vengono espresse in quest'ultinmo libro edito dalla UTET, appaiono quasi lapidarie.
Per le particolarità evidenziate l'impressione, quindi, potrebbe essere quella che l'intero progetto voglia venire a costituire un vero e proprio ulteriore tributo alla saggistica fotografica, suffragato dalla revisione realizzata da un Ferdinando Scianna d'età matura.
In questa chiave, “Incontri con i fotografi illustri” apparirebbe pertanto come un voler tornare riprendere a distanza di tempo uno stesso libro e accorgersi che, grazie ai mutamenti intervenuti, per conoscenze e altro, si vengano ora a focalizzare aspetti e sfumature non notate prima.
Circa l’accostamento delle immagini al testo, la metodologia appare quasi parallela.
Entrambe le due componenti fotografano e talvolta stigmatizzano, infatti, un'unica modalità, nel descrivere visivamente e testualmente: attraverso scatti immediati e scritti sintetici.
In ogni caso, nel saggio, che scorre velocemente, si riescono a cogliere aspetti che ancor oggi accadono e che riguardano le contaminazioni. Là dove, ad esempio e specie nei social oggi, basta esporre un qualcosa d'innovativo o di diverso per innescare tante emulazioni.
Anzi, si legge quasi il messaggio che auspica la possibilità di imitare - nel seguire un percorso tracciato - perchè costituisce spesso un processo indispensabile per chi voglia accingersi a proporre interpretazioni differenti, che magari valorizzino e approfondiscano tanti altri aspetti rispetto a qualunque nuova proposta.
Tutto quanto del resto è un fenomeno insito e caratteristico che investe l’intero mondo dell'arte e non solo; è un po’ il sale che da sempre pregna e porta a sviluppare nuove idee, prendendo spunto e partendo da qualcosa che è già stato realizzato dagli altri.
In questo suo ultimo libro, ad ogni sua foto scattata a fotografi, che ha personalmente conosciuto durante l’arco della sua lunga carriera, Ferdinando Scianna associa un testo che non è mai ridondante.
L'unica pagina, apparentemente disallineata e che risulta quasi incoerente, che non mostra cioè una fotografia da album dei ricordi in parallelo a un testo, riguarda Enzo Sellerio.
Appare quasi evidente come Ferdinando Scianna covasse da tempo il bisogno di tornare a parlare di lui e, indipendentemente dal non poter disporre di una sua foto, abbia voluto forzatamente inserirlo in questo "Pantheon" di fotografi illustri.
Il capitolo Sellerio è anche uno dei passi del volume dove il testo è più lungo rispetto a quanto scritto per gli altri fotografi. Forse lo fa per rispondere a una necessità intima e, approfittando del libro, venire a spendere parole positive a corollario dei ricordi; quasi a voler definitivamente rappacificarsi con quello che riconosce come il suo "padre" fotografo.
"Poi, al funerale, riuscii a ricordare mio padre debole e buono come l’avevo sempre conosciuto dopo la mia infanzia e mi convinsi che quello schiaffo che m’era stato inflitto da lui moribondo, non era stato da lui voluto. Divenni buono, buono e il ricordo di mio padre s’accompagnò a me, divenendo sempre più dolce. Fu come un sogno delizioso: eravamo oramai perfettamente d’accordo, io divenuto il più debole e lui il più forte."
Il periodo che è citato fra virgolette è uno stralcio tratto dal romanzo di Italo Svevo "La coscienza di Zeno".
Potrebbe pertanto risultare lecito essere portati a pensare che Ferdinando Scianna abbia intenso approfittare di questo suo ultimo saggio per manifestare in pubblico il suo intendimento conciliatorio, seppur tardivo, e di palesare la sua eterna riconoscenza verso quell’Enzo Sellerio, da lui elegantemente definito come un "Acculturato Flaneur", ma riconosciuto quale suo indiscusso maestro. A colui che indica - unitamente a Sciascia - come un prezioso pigmalione nell'averlo aiutato a realizzare quel desiderio giovanile di voler diventare fotografo.
Per concludere, al di là di ogni qualsivoglia giudizio scritto dai critici, ritengo che il volume “Incontro con fotografi illustri” costituisca un'operazione assai meritoria. Quasi una allegra passerella di personaggi che fornisce anche occasione all’autore per riformulare e, in qualche caso, rivedere considerazioni e giudizi su fotografi che erano stati già oggetto in suoi precedenti scritti.
In ogni caso rappresenta una felice occasione per sfogliare un album fotografico intriso di ricordi e, al contempo, allineare e raccogliere dei testi - densi ma significativi - che raccontano di tanti testimoni che hanno saputo ben rappresentare visivamente aspetti d'epoche differenti.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
martedì 16 gennaio 2024
"Amici dinosauri"
Le amicizie, quando durano nel tempo, nonostante vengano poi imboccate strade diverse, sono preziosità da tutelare e da mantenere fra le cose più rare che capita di poter possedere.
Gli elefanti, si sa, hanno buona memoria. Sono molto curiosi ed abili ad imparare. Sono empatici e, nel caso, interagendo sanno instaurare rapporti profondi.
Amici ormai collaudati, definiti goliardicamente da qualche relativo congiunto come “dinosauri” (simili agli elefanti, quindi), nei loro periodici ritrovi (perche' s'incontrano almeno una volta all’anno), sciorinano racconti forse anche per verificare la tenuta della reciproca lucidità e revisionare le schede di memoria.
Gli esemplari in questione, che appartengono a diverse etnie italiche, si danno appuntamento, di regola, nel luogo mediano della penisola corrispondente alla Città Eterna.
I soggetti sono pure dei creativi - oltre che eterni nostalgici - che, anche se ormai fuori dal mondo lavorativo vero e proprio, oltre a rievocare ricordi continuano a mantenere la loro sostanziale indole propositiva.
Nei convivi di pranzo o cena, secondo le circostanze, si sviluppano infatti discorsi nei quali s'intrecciano aneddoti e tanti personaggi, per verificare fattibilità di nuove idee, abbozzate e programmabili, mantenendo sempre i connotati caratterizzanti dei personaggi del famoso film “Attimo fuggente”, con tanto di "Professor Keating" e correlati discepoli.
Carbonara, gricia o cacio e pepe e un buon vinello costituiscono la base di ogni convegno, da cui partono e si sviluppano consuntivi di rispettivi autonomi o reciprochi percorsi, di attese, aspettative e si avviano bozze d'intendimenti comuni perseguibili.
La miscellanea composita del gruppo, mescolando prerogative assai diverse, riesce a mantenere vivo l’entusiasmo tipico di chi ha visioni ottimistiche, pur continuando a mantenere l’innato spirito critico, libero, indipendente e dagli intenti sempre costruttivi; scambiandosi, nel caso, l’importante nobile ruolo di fare critica.
In un recente incontro, era stato messo in campo un proposito letterario, dall’intento pedagogico tipico di chi vuole regalare conoscenze e professionalità consolidate nelle variegate esperienze e ruoli ricoperti.
La bozza del progetto editoriale, prossimo alla stampa, più che attribuibile a dinosauri o elefanti direi che propone contenuti che si addicono al fine odorato e al meritorio lavorio delle piccole formiche; infaticabili lavoratrici che si rivelano spesso, specie per i pachidermi, assai fastidiose.
Dopo aver pubblicato, un amico del gruppo, mi fa anche notare come: "A proposito di dinosauri 🦖 e formiche 🐜, i primi si sono estinti, le seconde continuano nel loro piccolo a incazzarsi? 😜 🤣 Un aspetto non secondario, meritevole per argomentare.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
domenica 14 gennaio 2024
Dagherrotipo, una bella invenzione utile per narrare tante storie.
Ritrovarsi in un contesto democratico, per chi ha l’opportunità di viverci è come respirare l’aria. Un qualcosa cioè di automatico che si basa su condizioni fisiche e composizioni chimiche che, in quanto esseri viventi, consentono l’esistenza e che consideriamo scontate.
Coltivare l’hobby per la fotografia in democrazia aiuta ad osservare e a rendere maggiormente partecipi su quanto accade intorno.
Chi è nato e si muove in un dato contesto tende ad assimilare da subito però - e in modo naturale - luoghi e costumi del proprio habitat.
Il quotidiano rende quasi indifferenti a quello che ci circonda e passivi rispetto a quanto ordinariamente avviene nell’ampio e mutevole scenario in cui stazioniamo.
E allora, per poter vedere con occhio fotografico, occorre ritrovarsi in contesti differenti rispetto a quelli che a cui siamo assuefatti e cercare di attenzionare meglio quel che accade intorno.
Come nell’immagine proposta, dove un gruppo familiare protegge visivamente il volto della bimba che si sta trastullando nell’interagire con un colombo in cerca di cibo, che le staziona davanti nella speranza di ricevere una briciola, come usano fare tanti turisti.
Ovvero, può capitare di leggere davanti all’albero natalizio dell’Amministrazione comunale in piazza Campidoglio: “La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.” Una frase sempre attuale di Piero Calamandrei, padre costituente dell’Italia Repubblicana, che tramite quell’installazione si ravviva.
Girando per i Fori Imperiali, nel continuo tentativo ricercare scorci e inquadrature un po’ diverse, può anche capitare di rimanere attratti da qualcosa a prima vista apparentemente strana.
Di notare, ad esempio, un set dai connotati familiari, dove personaggi sono intenti a girare un filmato, forse promozionale o per fissare un particolare ricordo sul loro soggiorno romano. Non si capisce bene, ma certamente sono intenti a realizzare un qualcosa d’insolito.
Chi cura le riprese ha tratti occidentali, la ragazza che si esibisce - con lui e da sola - ha tratti asiatici (forse è giapponese), il bambino in carrozzina è di sicuro suo figlio.
Forse si tratta di acrobati o di altra tipologia di atleti che si esibiscono nei circhi che, approfittando dell’atmosfera e della luce particolare del tramonto, stanno utilizzando quel palcoscenico unico costituito dai Fori, cercando di creare qualcosa di originale attinente alla loro passione; chi lo sa?
In qualità di fotoamatore, quanto accade non può certamente sfuggire e allora, ci si apposta lontani per non interferire su quanto sta accadendo e si incominciano a fare serie indefinite di scatti, nella speranza di riuscire a catturare quelle immagini che riescano a raccontare in sintesi la storia a cui si sta assistendo.
Pur essendo arrivati ad esibizione già iniziata, non si può non rimanere incollati fino a che tutto finisca.
Così facendo si riescono a catturare anche le gambette protese del piccolo, che quasi imita e stimola la madre nel suo tentativo di porsi in equilibrio verticale e documentare il gratificante bacio materno finale.
Per concludere, si può quindi riconoscere che fotografare ha tanti risvolti che aiutano a leggere e a saper raccontare. Offrendo opportunità diverse, consente a chi osserva di sviluppare l’occhio della mente all’attenzione, all’attesa e allena nel cercare di cogliere le tante occasioni imponderabili che immancabilmente e continuamente si presentano come ….. attimi fuggenti, da riprendere per poi essere narrati.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
Il quotidiano rende quasi indifferenti a quello che ci circonda e passivi rispetto a quanto ordinariamente avviene nell’ampio e mutevole scenario in cui stazioniamo.
E allora, per poter vedere con occhio fotografico, occorre ritrovarsi in contesti differenti rispetto a quelli che a cui siamo assuefatti e cercare di attenzionare meglio quel che accade intorno.
Come nell’immagine proposta, dove un gruppo familiare protegge visivamente il volto della bimba che si sta trastullando nell’interagire con un colombo in cerca di cibo, che le staziona davanti nella speranza di ricevere una briciola, come usano fare tanti turisti.
Ovvero, può capitare di leggere davanti all’albero natalizio dell’Amministrazione comunale in piazza Campidoglio: “La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.” Una frase sempre attuale di Piero Calamandrei, padre costituente dell’Italia Repubblicana, che tramite quell’installazione si ravviva.
Girando per i Fori Imperiali, nel continuo tentativo ricercare scorci e inquadrature un po’ diverse, può anche capitare di rimanere attratti da qualcosa a prima vista apparentemente strana.
Di notare, ad esempio, un set dai connotati familiari, dove personaggi sono intenti a girare un filmato, forse promozionale o per fissare un particolare ricordo sul loro soggiorno romano. Non si capisce bene, ma certamente sono intenti a realizzare un qualcosa d’insolito.
Chi cura le riprese ha tratti occidentali, la ragazza che si esibisce - con lui e da sola - ha tratti asiatici (forse è giapponese), il bambino in carrozzina è di sicuro suo figlio.
Forse si tratta di acrobati o di altra tipologia di atleti che si esibiscono nei circhi che, approfittando dell’atmosfera e della luce particolare del tramonto, stanno utilizzando quel palcoscenico unico costituito dai Fori, cercando di creare qualcosa di originale attinente alla loro passione; chi lo sa?
In qualità di fotoamatore, quanto accade non può certamente sfuggire e allora, ci si apposta lontani per non interferire su quanto sta accadendo e si incominciano a fare serie indefinite di scatti, nella speranza di riuscire a catturare quelle immagini che riescano a raccontare in sintesi la storia a cui si sta assistendo.
Pur essendo arrivati ad esibizione già iniziata, non si può non rimanere incollati fino a che tutto finisca.
Così facendo si riescono a catturare anche le gambette protese del piccolo, che quasi imita e stimola la madre nel suo tentativo di porsi in equilibrio verticale e documentare il gratificante bacio materno finale.
Per concludere, si può quindi riconoscere che fotografare ha tanti risvolti che aiutano a leggere e a saper raccontare. Offrendo opportunità diverse, consente a chi osserva di sviluppare l’occhio della mente all’attenzione, all’attesa e allena nel cercare di cogliere le tante occasioni imponderabili che immancabilmente e continuamente si presentano come ….. attimi fuggenti, da riprendere per poi essere narrati.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
lunedì 8 gennaio 2024
Mediterraneo
Mazara del Vallo è un luogo siciliano difficile da raccontare perché, per come è organizzata, costituisce una sintesi dell’ideale sociale mediterraneo integrato.
Nel suo museo custodisce la splendida statua greca del Satiro Danzante, pescata fortuitamente nei fondali del Canale di Sicilia dal peschereccio “Capitan Ciccio”. Su http://legislature.camera.it/serv_cittadini/553/554/9101/5165/5166/documentofoto.asp si racconta in sintesi la storia del ritrovamento.
Per avere un’idea puntuale della cittadina occorre visitarla magari in periodi in cui il turismo è minore. Girare per la casba e per il centro storico consente di respirare l’aria molto particolare che la identifica.
Sono molte le chiese e i luoghi di rilevanza storica e architettonica e, per poterle visitare, è consigliabile organizzarsi con gli enti preposti per essere certi di potervi accedere e magari accompagnandosi con guide locali.
Sul lungomare e nella piazza principale, qualche cartello esposto mantiene sempre vivo l’appello per il ritrovamento di Denise Pipitone.
L’antropologia è al centro dell’idea che l’amministrazione pubblica ha inteso sviluppare da sempre, favorendo la mescolanza etnica di questo luogo che si pone nel cuore del Mediterraneo. Ad essa si è venuta, in tempi più recenti, ad assommare un’idea artistica che, principalmente attraverso opere in ceramica, tende ad integrare le differenze che identificano le diverse culture e religioni che coesistono simbioticamente da tempo.
Mazara del Vallo è stata una delle prime cittadine a sperimentare l’integrazione di popoli differenti. La pesca ha creato i presupposti affinché l’imprenditoria ittica potesse attingere a manovalanze straniere (principalmente tunisine) che ben presto si sono stabilizzate nel territorio.
La Casba mazarese ha costituito fin da subito un esperimento ben riuscito d’immigrazione integrata.
Camminare oggi per le vie, apparentemente disabitate di rioni d’impronta nordafricana, risulta suggestivo, specie nelle ore in cui i muezzin richiamano con voce melodica i fedeli alla preghiera. Cosa che accade di regola cinque volte al giorno.
Anche se una mappa permette di individuare un percorso, la visita del luogo può essere effettuata seguendo un itinerario libero e autonomo.
Ogni angolo e vicolo, anche per le molteplici installazioni artistiche, assicurano visuali uniche e, scorci esposti a luci particolari del giorno, rivelano scenari simili a analoghe altre casbe mediterranee.
Le opere, variegate per tematiche miscelano le diversità culturali presenti nel luogo e comprendono anche scritte che vanno a comporre anch’esse dei quadri. Il tutto organizzato seguendo logiche geometriche ed equilibri di volumi che fanno apparire il contesto come fosse una vera e propria galleria d’arte a cielo aperto.
Muoversi nei vicoli crea anche delle opportunità’ per incontri con soggetti che, una volta stimolati o coinvolti, si rivelano dei personaggi. Capita, come è capitato quindi, d’incontrare un insegnante di tedesco in pensione, trasferitosi in Lituania e che si trova oggi a svernare nella più calda terra d’origine che, nel breve incontro, ci illustra i tanti vantaggi del vivere a Vilnius; e il tempo si rivela sufficiente per creare collegamenti in funzione di potenziali interscambi futuri.
All’occorrenza la gente è disponibile a fornire indicazioni. All’interno della casba casualmente si può anche incontrare G, un locale che ha tanta voglia di comunicare, disponibile a fornire delucidazioni sulla peculiarità dei luoghi e sulla storia di personaggi che sono oggi rappresentate sulle saracinesche come opere di street art. Ascolterai un po’ delle sue singolari vicissitudini e scoprirai pure che sta lavorando per la pubblicazione di un suo libro.
Pur poco interessato dalla street art pittorica, quella invasiva costituita dai murales, il fenomeno è comunque presente, anche circoscritto alle saracinesche utilizzate per raccontare storie mazaresi o di suoi abitanti come nel caso, ad esempio, del noto pittore mazarese Salvino Catania.
Alcuni vicoletti riportano in ogni caso tracce di qualche writer teen-ager, che ha congelato per lo più sul muro considerazioni su momenti sentimentali che sta vivendo.
La presenza di un controllo pubblico e il fatto che, in un contesto provinciale come quello mazarese, ci si conosca tutti, fanno sì che la cittadina risulti pulita e che ogni turista possa muoversi con assoluta sicurezza nell’ambito dell’ampio territorio.
Validi ristoranti sono pronti a proporre tanti menù a base di pesce e il cous cous in ogni locale la fa da padrone.
Se si è fortunati, al mercato ittico o lungo il porto canale, si può assistere al rito della vendita all’asta del pescato. Uno spettacolo che si tramanda, mantenendo inalterate le tradizioni popolari locali e che consente, a chi ama la fotografia, di catturare qualche fortunato scatto.
Per chi fosse rimasto incuriosito - e, o non è stato mai a Mazara del Vallo, o l'ha vista di fretta - non resta che programmarne la visita.
Buona luce a tutti!
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sabato 6 gennaio 2024
Gino Scarano, Diavù e il Quadraro
Per chi ama girare con una reflex, specie bighellonando per strade cittadine, capita di transitare per luoghi talvolta collegati a personaggi, riconosciuti tali sia per meriti diretti che per interposta persona.
Accade, quindi, che nel fotografare ambienti ci si possa ritrovare a documentare in modo fortuito e inconsciamente dettagli che, solo attraverso una successiva attenta visione, magari durante un esame di post produzione, possono rivelare aspetti non colti a prima vista e che incuriosiscono.
Nella narrazione che segue, un dettaglio ingrandito, posto accanto alla saracinesca pitturata, ha permesso d’identificare il luogo dove c’era un barbershop, palesemente chiuso da tempo. L’annotazione recita: “Il Cavalier Gino Scarano – Barbiere artista del Quadraro – che nella sua carriera ha servito Totò e tanti personaggi dello spettacolo ha lasciato per sempre noi e il Quadraro. Il funerale venerdì 25 marzo via Tuscolana 613”. Resiste ancora l’annuncio: “Il giorno 22 marzo 2022 è venuto a mancare all’affetto dei suoi LUIGI SCARANO. Ne danno triste annuncio le figlie, il genero ed i parenti tutti ….”
Una ricerca nel web consente di risalire al personaggio evidenziato dal particolare che, in qualche modo per il suo mestiere, era diventato famoso come il barbiere degli artisti. Deceduto alla veneranda età di ottantaquattro anni aveva fatto anche da collante a un insieme di attori che, per varie ragioni, avevano gravitato nella zona.
Leggendo tanti scritti, veniva pure fuori che il Quadraro era un luogo di Roma un tempo riconosciuto come punto di riferimento per molti artisti, specie negli anni filmografici italiani post-realisti di fine millennio.
Quello che era stato il negozio di Gino Scarano si trova oggi inglobato all’interno dell’attuale percorso turistico di Street Art, legato al progetto denominato “M.U.RO”. Ciò giustifica le tracce ancora visibili sulla saracinesca e sulla parete adiacente, con grafiche anch'esse collegate all’intero progetto artistico.
Procedendo nell’approfondimento, accedendo al blog, affioravano tante altre interessanti notizie. Succedeva come nel classico caso delle ciliegie che, una volta raccolte, quando ci si accinge a prenderne una vengono fuori a grappolo.
Il sito web del M.U.RO (Museo di Urban Art di Roma) permette, infatti, di introdursi in uno spazio culturale che consente di scoprire un felice connubio artistico già sperimentato di storia e arte.
Il progetto, che strenuamente resiste con le prerogative del degrado fisico insito alla street art, è stato ideato e realizzato gradualmente da David (Diavù) Vecchiato.
Un giro nel quartiere consente ancora di passare in rassegna opere di vari artisti di Street Art e dei video realizzati, permettono anche di percepire il racconto storico sottostante ai murales.
Per la Gallery dei murales basta digitare: http://muromuseum.blogspot.com/p/g-l-l-e-r-y.html, per seguire i video occorrerà digitare: http://muromuseum.blogspot.com/p/v-i-d-e-o.html.
Soffermandosi nel blog si potrà, quindi, scoprire anche l’incipit, ovvero l’idea che ha innescato il percorso culturale di base e permetterà di capire il significato e le simbologie dei contenuti sottostanti ai lavori realizzati dagli artisti italiani ed esteri coinvolti, di seguito elencati.
Quanto fin qui argomentato costituisce un’occasione per una immersione piena e totale nel mondo della così detta “Arte di Strada” che, non solo si associa alla denuncia, ma spesso s'impegna a raccontare e - con l’estetica grafica - vuole costituire un pretesto visuale per invitare a riflettere, approfondire e andare oltre l’apparenza.
Riprendere, per grandi linee, anche questo approccio - allo scopo di rimodernare una metodologia didattica che da tempo necessita di revisioni - potrebbe anche rivelarsi interessante.
Magari istituendo nuove formule d'insegnamento atte a favorire, nella formazione scolastica di tutti i livelli, una percezione visiva che induca a una efficace rapida concettualizzazione della storia e degli strumenti culturali in genere; innovazioni indispensabili in un mondo sempre più proiettato sulle dinamiche 2.0

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martedì 2 gennaio 2024
"Io, noi e Gaber", docufilm di Riccardo Milani
In un panorama piatto affiora un lampo di luce; Rai 3 ha programmato per l’inizio d’anno il film documento di Riccardo Milani "Io, noi e Gaber" dedicato a Giorgio Gaber.
Un eccellente lavoro che rievoca, in sintesi e con toni delicati, l'avventura artistica di un cantante impegnato anche nel sociale.
Il regista nel racconto alterna, intrecciando vari momenti, anche personaggi che hanno lambito - direttamente o indirettamente - il percorso artistico di Gaber.
Oltre allo svolgimento cronologico, infatti, varie concettualizzazioni risultano espresse dai tanti soggetti coinvolti; specialmente nel soffermarsi sui contenuti etici e politici progressivamente introdotti e sviluppati dall’artista lungo il tempo.
Il docufilm è altresì fedele nell’illustrare il percorso professionale di Giorgio Gaber, prospettando efficacemente le transizioni culturali intervenute.
Esce fuori pertanto - e in modo netto - l’evoluzione del processo che, dall’entusiasmo nel mettere a fuoco i valori, alla fine si avvia verso una lenta ma cocente delusione per le utopie progressiste mancate. Come rileva il politico Pierluigi Bersani, il processo artistico vede via via trasformare la brillante ironia in un amaro sarcasmo.
Tutto l’insieme costituisce anche il tentativo di mettere la generazione sessantottina davanti a uno specchio e vedere assistere allo scioglimento - quasi per inerzia - dei tanti ideali.
In poco più di due ore il personaggio Gaber viene analizzato in tutti i momenti artistici. Dall’istrionico cantante rock che s’impone temporalmente in parallelo con Celentano e Mina si passa a quello che si trasforma in narratore della Milano provinciale del Cerutti Gino.
Dai suoi interventi originali in vari spazi televisivi, si percepiscono i segnali che portano Gaber al naturale abbandono dell’etere per dedicarsi interamente alla denuncia originata dall’apparizione del Signor G.
Il filo conduttore dell’intero racconto è tenuto in punta di piedi e in modo soft dalla figlia Dalia.
Il documentario scorre focalizzando l’attenzione anche sull’Italia correlata ai diversi periodi del racconto. Non solo datando le tappe dell’artista, ma fotografando anche gli italiani.
Il documentario realizzato da Riccardo Milani segue un’iniziativa editoriale attuata dalla Fondazione GABER per celebrare l’artista a dieci anni dalla sua scomparsa.
Un volume, anch'esso interessante, (G. Vi racconto Gaber) che era improntato principalmente sulla collaborazione artistica con Sandro Luporini, co-inventore del “Teatro-Canzone”.
Su Rai Play è possibile rivedere il bel documentario che certamente merita di essere visionato con attenzione.
Buona luce a tutti!
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lunedì 1 gennaio 2024
Due parole su quello che è stato, per quanto rimane attuale
Per chi ne utilizza gadget e opportunità Google invita periodicamente a rivisitare i dati giacenti nello spazio gratuito di memoria concessa. Di regola propone di acquistare nuovi giga ogni qual volta si supera l’utilizzo dell’ottanta per centro dei 15 di base.
Capita, quindi, che nel cestinare file obsoleti per recuperare spazi, di ritrovare uno scritto, non tanto vecchio, ma che tale lo fa sembrare la mente che tende a sostituire velocemente ricordi e sensazioni.
Il testo riporta come data il 25 aprile 2022, ed era stato scritto come una articolata didascalia a un mini portfolio fotografico messo in piedi nell’aprile di due anni prima.
Titolo: "Pandemia Covid".
Svolgimento: "Che considerazioni si possono fare dopo aver vissuto un’esperienza del genere? Per chi ha avuto la fortuna di vivere come noi in tempo di pace, quanto accaduto avrà certamente procurato in alcuni dei traumi, più o meno manifesti che, nella maggior parte dei casi, hanno indotto a riconsiderare taluni punti di riferimento del quotidiano.
Le oppressioni frutto d’inusuali costrizioni anomale e l’isolamento obbligato hanno comportato disorientamenti in alcuni ma, paradossalmente, obbligato positivamente tutti quanti a fermarsi per porsi qualche dubbio e riflettere.
Proibizioni, carenze, presenze, coercizioni e quant’altro hanno cambiato radicalmente e fulmineamente ogni cosa, esponendo fragilità e inquietudini a condizioni di rischio.
Flash accecanti hanno congelato le scene, come fossero autovelox scattati all’improvviso.
Lo stato di prigionia imprevista ha dato però spazio a riqualifiche, con un maggiore valore all’utilizzo ottimale del tempo. Inducendo a riconsiderare eventuali sprechi, leggerezze e trascuratezze; a ridiscutere i valori, a riclassificare priorità e importanze.
Quanti ricordi dormienti c’erano in ognuno di noi che stazionano latenti e che ogni tanto imprevedibilmente riaffiorano."
Anche se la continuità del tempo rinnova momenti che inesorabilmente si stratificano, bastano pochi input, spesso di pensieri lontani, per far riaffiorare polveri dimenticate che credevamo sepolte.
E accade così che spezzoni del film già vissuto si ripresentino con le scene del tempo e i relativi personaggi, facendo rivivere pienamente le stesse sensazioni del passato.
In pochi attimi si ripresentano reali vaghi fantasmi d’emozioni, che ritornano intense e ripropongono stati d’animo; con scene di vita che credevamo definitivamente rimossi. E accade che i ricordi riappaiano improvvisamente vividi e attuali; con tutti quanti i colori, gli odori, i sapori e ogni altra componente.
Rivivendoli, ponendoci come osservatori, quasi da estranei, rivediamo fotografie del passato miscelate tra sogni, realtà, allegrie, fatiche, fortune, incoscienze, che hanno costellato il nostro tempo. Gli armadi, bauli, ripostigli d’ognuno di noi celano tanto vissuto; con trascorsi che hanno palesato tante gioie, patimenti, desideri, aspettative.
Ma l’animale umano si assuefà a tutto e, come per incanto, opportunità di cambiamento vengono oscurate da forze esistenziali che tendono a rimuovere le negatività accadute. La mente umana tende a rimuovore tristezze per mantenere solo, magari enfatizzandoli, positività e ricordi belli.
Nell'elaborazione del lutto le sue cinque fasi percorrono un cammino ben preciso.
L’argomento complesso e contorto non può trovare regole …… allora meglio fermarsi alle fotografie che inconsciamente riescono sempre a parlare di noi e che, con una sintassi sanno descrivere ogni nostro disagio o passione in maniera trasparente ….. a condizione di non temporeggiare troppo nel premere il grilletto della reflex mentale chiamata a scattare.
Emblematici a questo punto possono risultare gli inviti riportati sui manifesti attaccati davanti a una scuola romana: "fa ciò che vuoi". Perchè, in fondo, per la banderuola del caso, non saremo mai solo noi quelli che avremo veramente operato le scelte. Per concludere, a chi subisce un'attrazione dalla street art e ha l'abitudine di sbirciare su quanto viene scritto sui muri da giovani e artisti, puo' capitare di scoprire cose interessanti.
Ad esempio, nella zona del Quadraro, a Roma, precisamente al numero 123 di via dei Quintili, davanti a un laboratorio, stanno da tempo scritte considerazioni - sbiadite e riprese - che trovano collegamenti coi contenuti degli argomenti prima sviluppati.
Si legge: "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo. Chi raggiunge la bellezza a occhi e chiusi, facile che cià i piedi stanchi. Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo, non abbiamo nessun controllo. Esseri umani vegetali, o polvere comune, tutti danziamo a ritmo di una musica misteriosa suonata in lontananza da un flauto invisibile ...... il caos è il vivaio del cosmo" (forse l'autrice della frase è Roberta Sanges, che si indica a sx della parete, o è il graffitaro che ha composto autonomamente un pensiero. Chissà).
Buona luce a tutti!
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