"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

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giovedì 17 febbraio 2011

Sembra che i politici stiano letteralmente impazzendo perché non sono in grado di attribuirci un'appartenenza.

Sembra che i politici stiano letteralmente impazzendo perché non sono in grado di attribuirci un'appartenenza. Non si capacitano: ritengono che in Italia, come succede a loro, e come succede evidentemente a tanti altri (perché altrimenti si capaciterebbero), non esista nessuno che non abbia un'appartenenza. Che possano esistere magistrati indipendenti, neanche a pensarci! Ma, allora, non riescono proprio ad affibbiarci ad alcuno, e questo li disorienta. Non avendo individuato un'appartenenza, non capiscono "per conto di chi abbiamo operato", e non riescono pertanto a capire a chi devono rivolgersi per lamentarsi del nostro lavoro, ovvero per "trattare".
All'epoca, infatti, era convinzione diffusa negli ambienti politici che, in certi campi, per esempio in quelli che coinvolgevano l'alta finanza e l'economia, i magistrati agissero in qualche misura a comando, o perlomeno inconsapevolmente strumentalizzati da questa o quella fetta del potere, per condizionare e ricattare altre fette. Sapevano dell'esistenza di scavezzacolli che non rispondevano a nessuno, ma questi per norma, secondo la loro concezione, dovevano essere controllati dai capi e non essere incaricati di indagini che li avrebbero potuti portare a infilare il naso nel potere.
La nostra indipendenza li disorienta e in qualche modo li blocca.
Noi continuiamo a lavorare. Dopo aver garantito la conservazione e la genuinità delle carte, procediamo all'analisi. E il contenuto ci sembra ancora più serio e più grave di quanto supposto. Per esempio, la busta intestata "On. Claudio Martelli", che sarebbe stato nominato poco dopo vicesegretario del partito socialista, partito che sostiene il governo, contiene l'indicazione di un conto corrente presso una banca svizzera, il conto Protezione, e lo collega appunto a Martelli (a quel tempo aprire senza autorizzazione un conto corrente all'estero era punito dalla legge penale); in un'altra busta sigillata c'è la chiara indicazione di versamenti consistenti per sette milioni di dollari, sostanzialmente a titolo di illecito finanziamento, a favore dell'onorevole Bettino Craxi, numero uno del partito socialista, proprio sul conto Protezione; un'altra contiene documenti di chiarissima provenienza dei servizi segreti, tutti riferentisi alla persona di Licio Gelli; un'altra ancora riguarda un procedimento penale pendente proprio a Milano nei confronti di Roberto Calvi, con una serie di appunti, che fanno pensare all'interesse da parte di magistrati perché il risultato delle investigazioni gli sia favorevole, mentre altri, tra cui lo stesso procuratore, si sarebbero adoperati per fargli restituire il passaporto; in un'altra ancora c'è un quadernetto, nel quale sono minuziosamente annotati gli importi e la destinazione di contributi in denaro. Per dare l'idea alcuni di questi sono registrati come destinati a Magistratura indipendente, cioè, occultamente e illecitamente, a una corrente della magistratura, a magistrati.
Vi sono poi i nomi, come iscritti o in via di iscrizione, di tre ministri della repubblica (il socialista Enrico Manca, che otterrà però dal giudice civile di Roma un accertamento di estraneità dalla loggia, nonché i democristiani Adolfo Sarti e Franco Foschi), più di quaranta parlamentari, il vertice dei servizi di sicurezza (tra loro il capo del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, meglio noto come SISMI, generale Giuseppe Santovito, il capo del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica, meglio noto come SISDE, generale Giulio Grassini, il direttore del Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza, l'organo di coordinamento dei servizi, meglio noto come CESIS, Walter Pelosi), il comandante della Guardia di finanza, parte dei vertici dei carabinieri, segretari particolari del presidente della re-pubblica e del presidente del consiglio, eccetera (tra cui i magistrati, primo tra tutti l'ex procuratore generale Carmelo Spagnuolo che pure aveva sottoscritto un affidavit a favore di Sindona), eccetera (banchieri di banche pubbliche e private, imprenditori, editori), eccetera. C'è l'impressionante contenuto delle buste. Ci chiediamo se l'affare riguardi solo la magistratura o anche gli altri poteri dello Stato. E crediamo che non si tratti di fatti che interessano solo la giustizia.
Tra coloro che rappresentano le istituzioni pensiamo per primo al capo dello stato, Sandro Pertini: riassume nella sua persona l'immagine di tutti i poteri istituzionali, ed è la persona di cui ci fidiamo di più. Cerchiamo un contatto (non è una cosa semplice per due giudici istruttori parlare col presidente della repubblica); mentre stiamo preparando il viaggio una nostra collega ci informa, parlando per telefono in codice (temiamo che i nostri telefoni siano controllati), o meglio parlando d'altro e alludendo indirettamente ("Scusa se ti telefono solo ora, ma tornando da Roma in aereo ho avuto un paio d'ore di ritardo" "Come mai?" "Mah, stava partendo per il Sudamerica il presidente, c'erano misure di sicurezza, il mio aereo è partito tardi"..."Ah sì, non sapevo di questo viaggio, ma starà fuori molto?" "Sembra una decina di giorni") al fatto che il presidente non ci sarà per qualche tempo. Non possiamo aspettare, e cer-chiamo di farci ricevere dal presidente del consiglio dei ministri, Arnaldo Forlani.
Cerchiamo, perché da una parte non esiste alcun rapporto tra noi e l'esecutivo, e dall'altra è necessario adottare cautele perché l'incontro rimanga riservato, per evitare clamori e strumentalizzazioni. Ovviamente predisponiamo la lettera ufficiale, ma per organizzare i dettagli (giorno, ora, luogo) ci affidiamo a un collega, Umberto Loi. Umberto, infatti, è consulente presso una Commissione parlamentare d'inchiesta (che, guarda caso, ha il compito di approfondire gli eventuali legami tra la politica e la vicenda economica e finanziaria di Michele Sindona), e quindi frequenta Roma e i parlamentari membri della commissione, e ha la possibilità di contattare in modo riservato il presidente del consiglio, attraverso qualcuno di costoro. L'incontro viene fissato per il 25 marzo, a Palazzo Madama, sede del senato della repubblica.
L'intenzione non è certo quella di comunicare all'onorevole Forlani notizie coperte dal segreto istruttorio, ma allertare l'esecutivo sull'esistenza di un'organizzazione segreta in grado, pare, di interferire sulle decisioni e sulla gestione delle pubbliche istituzioni, consegnargli una copia della lista e di alcune carte trovate, che ne dimostrino, almeno prima facie, l'attendibilità.
La mattina del 25 Giuliano e io partiamo da Milano su un'auto civile della Guardia di finanza prima dell'alba, per non dare nell'occhio. Giungiamo a Roma, contattiamo Umberto che dopo pranzo ci accompagna al senato, dove siamo introdotti in una delle tante anticamere e letteralmente dimenticati. Passano le ore, solo a sera riusciamo a metterci in comunicazione con la segreteria del presidente. "C'è stato un equivoco," ci informa una segretaria, "il presidente vi aspettava a Palazzo Chigi, alla sede del governo, potete raggiungerlo lì." Probabilmente una frottola, non si possono dimenticare delle persone per ore. Comunque noi siamo convinti che sia una frottola, e pensiamo che l'onorevole Forlani ci abbia fatto attendere per potersi consultare sul-l'atteggiamento da tenere nei nostri confronti.
Arriviamo a Palazzo Chigi, ci accompagnano in anticamera e qui chi ci riceve? Il prefetto Mario Semprini, segretario particolare dell'onorevole Forlani, che dall'elenco della P2 risulta titolare della tessera d'iscrizione numero 1637. Non siamo nemmeno tanto stupefatti, sapevamo che il segretario particolare di Forlani risultava nella lista della P2. Pensavamo però che avesse il buon gusto di non venire ad aprirci la porta.
Semprini ci fa accomodare in anticamera, e sparisce. A noi viene da ridere a ripensare alla scena bizzarra e irreale, tutta apparenze, appena vissuta. Sappiamo che il suo nome compare nella lista, ma facciamo finta di niente: oltretutto siamo convinti che lui sappia che noi sappiamo, e ciononostante faccia finta di niente. Probabilmente non gli siamo simpatici, perché la nostra scoperta lo mette nei guai, e tuttavia ci riceve con il più affabile dei sorrisi. Allo stesso tempo, venendoci ad aprire, ci fa toccare con mano la sua vicinanza al presidente del consiglio, e cioè il suo potere.
Torna dopo interminabili minuti, e ci introduce nello studio dell'onorevole Forlani.
Il minuetto continua. Il presidente ci fa sedere e si informa del motivo della nostra visita. Come se non lo sapesse! Fino a quel giorno siamo riusciti a non far trapelare nulla all'esterno, la stampa ancora non ha pubblicato alcunché sul contenuto della scoperta, ma come può il presidente del consiglio dei ministri non esserne stato informato, visto che sono stati trovati i nomi di tre ministri del suo governo, dei capi dei servizi, di una dovizia di parlamentari, molti dei quali del suo partito, del suo segretario particolare?
Forlani ci chiede il motivo della visita e quando gli diciamo che si tratta della P2, di un'organizzazione segreta che potrebbe mettere in pericolo le istituzioni, cade dalle nuvole. O meglio, cerca di dirci qualcosa, ma per un paio di minuti buoni non riesce ad articolare parola. Dalla sua bocca escono suoni gutturali, e abbiamo l'impressione, non confermata, che provi a svilire l'argomento, senza tuttavia riuscire a dominare il linguaggio.
Dopo un po' si riprende, e finalmente parla.
"Ma sono sicuri, lorsignori, dell'importanza della vicenda?" e noi a spiegargli cosa riteniamo di dover pensare sulla base di quel che si è scoperto.
"Ma sono sicuri che non si tratti di documenti falsi, creati apposta per generare confusione?" e noi a riferire dell'assoluta imprevedibilità della perquisizione.
"Ma non si tratta di fotocopie, fotomontaggi, insomma, siamo sicuri che si tratti di documenti originali?"
"Signor presidente, riteniamo che il materiale sia affidabile. Se desidera può cercare di verificare lei stesso. Abbiamo portato la fotocopia della lista degli iscritti, e di qualche altra carta. Tra queste c'è la domanda di iscrizione del suo ministro di grazia e giustizia. Avrà, credo, a portata di mano qualche atto sottoscritto dal ministro, che come guardasigilli controfirma ogni atto del governo."
"Eh sì, qualche cosa firmata da Sarti dovrei averla qui. Ma fatemi vedere, fatemi vedere questa domanda di iscrizione."
Gliela mostriamo, è un foglio a quattro facciate, tipo foglio protocollo. Lui la prende, la gira, la rigira, guarda la firma, la riguarda.
"No, non mi pare che sia la sua. Non credo, non mi sembra, la sua è diversa. C'è qualche somiglianza ma la sua è diversa." E dopo un momento di riflessione: "Comunque, da qualche parte devo avere una firma autografa di Sarti. Fatemi cercare..." e si avvia verso un armadio, lo apre, rovista, torna a sedersi alla scrivania con alcune carte in mano. "Ecco qua, questa è una firma di Sarti. Possiamo confrontarle. Sì, si assomigliano, ma... Eh, si assomigliano, si assomigliano proprio... Sembrano fatte dalla stessa mano. Ma quella che mi avete portato è una fotocopia!"
"Sì, presidente, questa è una fotocopia, ma abbiamo sequestrato l'originale che conserviamo in ufficio."
Si convince, o comprende che non è più possibile insinuare dubbi sull'autenticità delle carte, e ci prende sul serio.
"Lasciatemi le carte che mi avete portato, le studio, le vedo. Devo vedere cosa fare, devo trovare una soluzione."
"Non vorremmo essere impertinenti, presidente. Le carte... il suo segretario, il prefetto Semprini risulta nella lista..."
"Ho capito, me le porterò a casa, e le studierò là. Qualunque cosa intendiate co-municarmi chiamatemi direttamente."
Convenevoli. Torniamo a Milano, con la stessa auto della Guardia di finanza. Non ricordo nemmeno se sulla via del ritorno abbiamo commentato l'incontro. Eravamo molto stanchi e ci eravamo liberati di un peso, di avere solo noi la responsabilità della conoscenza della P2. Probabilmente abbiamo dormito per tutto il viaggio.
Riprendiamo l'esame delle carte, e cominciamo ad acquisire elementi comprovanti la loro attendibilità tramite l'attività istruttoria, che impostiamo su due direttrici: sentiamo come testimoni alcuni iscritti; cerchiamo riscontri al pagamento delle quote di adesione alla loggia.
Quanto alle dichiarazioni, le resistenze sono poche e cedevoli, insomma tutti coloro che sentiamo riconoscono la partecipazione alla P2, a eccezione di uno, che tuttavia ammette conoscenze, rapporti, interessi del tutto in linea con la veridicità dell'iscrizione.
Quanto ai contributi, troviamo alcuni blocchi di matrici di ricevute, con l'indicazione del nome e dell'importo. Pensiamo che alcuni pagamenti siano avvenuti in assegni. Decidiamo allora di andare a cercare dove siano stati versati gli assegni, e avendo identificato due banche di cui Gelli si serviva, decidiamo di perquisirle.
Le due banche si trovano ad Arezzo e a Castiglion Fibocchi. Di nuovo all'alba partiamo da Milano, questa volta con varie auto della Guardia di finanza, e all'apertura delle banche siamo sul posto. Giuliano va a perquisire l'istituto di Arezzo, io quello di Castiglion Fibocchi. Ci sono resistenze, nel senso che non salta fuori subito quel che cerchiamo, nonostante che, di solito, la presenza fisica di un giudice induca i funzionari a risposte rapide e pertinenti, e alla rapida messa a disposizione della documentazione. Morale, sono necessarie delle ricerche perché, proprio nella banca che stavo perquisendo, salti fuori finalmente un libretto al portatore, il libretto "Primavera", sul quale venivano versate le quote. Altre difficoltà, ma finalmente i dipendenti della banca ammettono che gli assegni versati sul libretto sono stati tutti microfilma-ti. Ancora problemi, e si individuano alcuni microfilm. Alla fine ottengo l'impegno della banca a trasmetterci la copia di tutti gli assegni. Tarderanno ad arrivare, ma ci daranno la dimostrazione che molte quote di adesione all'organizzazione sono state pagate con uno strumento che lascia tracce indelebili e incontrovertibili. La verifica dà risultati certi.
Nel frattempo riteniamo di far nuovamente visita al presidente del consiglio, per sottoporre alla sua attenzione altra documentazione trovata a Castiglion Fibocchi che, all'esito dell'esame, ci pare di particolare rilievo ai fini della valutazione della perico-losità della loggia, e torniamo a Roma il 30 marzo.
Il ghiaccio era stato rotto la volta precedente. Il presidente è più affabile, e ci comunica la sua intenzione di creare una commissione, di nominare un gruppo di esperti che esamini le carte e valuti natura e finalità della loggia. A noi sembra già tutto sufficientemente chiaro, e ci pare estremamente pericoloso lasciare che iscritti alla loggia gestiscano i servizi di sicurezza. Soprattutto in quel periodo, in cui l'Italia non è ancora riuscita a liberarsi del terrorismo. Non riteniamo, tuttavia scandaloso che il presidente voglia muoversi con cautela, avere insomma un parere autorevole prima di agire. Gli segnaliamo comunque la nostra impressione, e che occorre fare in fretta.
Sempre nello stesso periodo, un'altra situazione contribuisce a riempire di significati a dir poco inquietanti i rapporti intessuti nella loggia.
Già subito dopo la perquisizione, aveva telefonato a Guido Viola, il pubblico ministero che seguiva il procedimento, il generale dei carabinieri Giovan Battista Palumbo, che aveva comandato, come suo ultimo incarico, la divisione "Pastrengo", una delle tre che coprivano il territorio nazionale, quella del nord, con sede a Milano; insomma, uno dei tre ufficiali dei carabinieri che avevano raggiunto il vertice - più in alto di così si può diventare soltanto vicecomandante dell'Arma - della gerarchia. Palumbo aveva dapprima rivolto a Viola raccomandazioni generiche, come la preghiera di investigare con la massima segretezza, raccomandazioni che probabilmente servivano da tramite per farci arrivare avvertimenti sfumati. Successivamente, invece, era diventato più invadente, ed era giunto a chiedere informazioni specifiche sul contenuto della perquisizione, tipo che "dall'alto" si intendeva conoscere se tra le carte fos-se stato rinvenuto anche un "fascicolo sul ministro Sarti".
Viola, come noi, era conscio che qualsiasi incontro, contatto, rapporto, dovesse essere estremamente formale e documentato (per esempio, al presidente del consiglio, in entrambe le occasioni in cui lo abbiamo incontrato, abbiamo gentilmente chiesto, e ottenuto, che ci rilasciasse ricevuta autografa di quanto gli consegnavamo) e, invece di rispondergli, ci informa per iscritto delle avances di Palumbo; noi lo convochiamo formalmente e lo sentiamo come testimone, redigendo come sempre un verbale dettagliatissimo. Dimenticavo, il nome di Palumbo risultava nelle liste P2, tessera numero 1672.
Ancora adesso non mi è chiaro perché il generale dei carabinieri Giovan Battista Palumbo si sia fatto avanti, abbia chiesto un contatto. Le sue dichiarazioni costituiscono un elemento fondamentale per comprendere quanto Licio Gelli fosse capace di interferire nella gestione delle istituzioni.
Probabilmente pensa che il nostro incontro sia informale che non riteniamo di documentare le sue affermazioni. Forse vuole convincerci della innocuità, prima ancora che della lealtà, del "venerabile" (così veniva chiamato Gelli in linguaggio massonico), della inesistenza - o quantomeno degli aspetti innocui - dell'organizzazione che a lui fa capo. Vuole rassicurarci, farci credere che quel signore d'Arezzo ha buoni rapporti con molti esponenti delle istituzioni, ma si tratta di rapporti amicali, da "allegra combriccola" di persone che si incontrano per diletto, per affinità di vedute.
Forse, alla fine lo tradisce il suo senso di lealtà, recondito, nei confronti dell'Arma; più probabilmente non si rende conto, abituato com'è a far coincidere il suo modo di intendere l'istituzione con l'occulto, il segreto, il sotterraneo, dell'assurdità della sua doppia obbedienza.
Ho recentemente parlato del Gelli e della P2 con il Colonnello Musumeci... che so essere egli pure affiliato alla P2... Il Colonnello Musumeci fa parte del SISMI da circa un anno, un anno e mezzo. Dopo la perquisizione avvenuta a casa di Gelli Musumeci mi telefonò dicendomi di farmi vedere a Roma. Io andai a Roma da lui. Musumeci mi disse che era stata fatta questa perquisizione e si mostrò preoccupato che i nominativi degli aderenti alla P2 venissero divulgati alla stampa, dicendomi che una eventualità del genere avrebbe provocato il finimondo. Mi pregò quindi di mettermi in contatto con il dottor Viola...
Proseguendo nel corso della deposizione, ci racconta di come Gelli sia stato capace di convocare nel 1973, ad nutum, nella sua abitazione in Arezzo, contemporaneamente due dei comandanti delle tre divisioni dei carabineri, insieme, scopriremo poi, a uno dei vertici della magistratura inquirente, il procuratore generale dottor Carmelo Spagnuolo ("Ricordo che a questa riunione il procuratore generale Spagnuolo espose delle sue idee sulle eventuali soluzioni della situazione politica italiana...", riferisce Franco Picchiotti, l'altro generale dei carabinieri presente all'incontro, nella deposizione del 28 aprile 1981).
Per fare che? Per avvertirli delle sue preoccupazioni nel caso in cui, alle imminenti elezioni, non fosse risultato vincitore il blocco moderato. Per informarli di quale comportamento avrebbe gradito da parte dei carabinieri ove tale temuta ipotesi si fosse verificata.
Gelli ci rivolse subito la parola dicendo che la situazione politica era molto incerta, e di tenere sempre presente che la massoneria anche di altri stati è contro qualsiasi dittatura di destra o di sinistra e che noi della P2 dovevamo appoggiare in qualsiasi circostanza il governo di centro... Io sollevai delle obiezioni chiedendo al Gelli che cosa significasse appoggiare... un determinato governo. Gelli ci disse "con i mezzi che avete a disposizione". Io avrei in conseguenza dovuto, per esaudire le richieste di Gelli, ripetere il suo discorso ai comandanti di brigata e di legione, i quali a loro volta lo ripetessero ai gradi via via subalterni.
Spagnuolo, dalle carte, io conoscevamo già, per aver sottoscritto quell'affidavit, quella dichiarazione giurata da produrre davanti ai giudici americani per cercar d'impedire che Sindona potesse essere riportato, in manette, in Italia. Di affidavit analoghi ne erano stati firmati anche altri, sempre per evitare il rimpatrio di Sindona, molti dei quali, avremmo constatato dagli elenchi, da parte di fratelli della loggia P2.
Di Palumbo avremmo scoperto più cose successivamente, grazie all'attività istruttoria di un ostinato collega veneziano Felice Casson. Il 31 maggio 1972 la stazione dei carabinieri di Peteano di Sagrado, vicino a Gorizia, aveva ricevuto una telefonata anonima, nella quale si segnalava la presenza sospetta, in una strada di campagna, di una Fiat 500, con il parabrezza sforacchiato da proiettili. Dalla caserma si muovono più pattuglie che individuano l'auto. Si avvicinano in quattro, Antonio Ferraro, Donato Poveromo, Franco Dongiovanni e Angelo Tagliari, e si accingono a ispezionarla. Uno di loro apre il cofano, ne segue una terrificante deflagrazione. Se ne salva uno solo, per modo di dire, perché ne subirà le conseguenze per tutta la vita.
Di Palumbo scopriremo, grazie a Casson, che all'epoca, comandando la divisione Pastrengo, da cui dipendono i carabinieri della legione di Udine, è superiore del colonnello Dino Mingarelli, che comanda la legione, il quale sarà poi condannato per aver depistato le indagini sulla strage di Peteano. è proprio un'informativa di Palumbo - scoprirà anni più tardi Felice Casson - a indicare ai carabinieri di Udine una "pista rossa" che in seguito si dimostrerà falsa.
Gli autori della strage sono Vincenzo Vinciguerra e Carlo Cicuttini, neofascisti veneti. Il primo confesserà la sua partecipazione all'attentato nel 1984; il secondo è tuttora latitante. Anche, o soprattutto, grazie alla capacità degli uomini alle dipendenze di Palumbo di inventare false piste, false tracce, impossibili autori.
Anche di Pietro Musumeci scopriremo, per il lavoro di un altro collega, Libero Mancuso, comportamenti che all'epoca ci erano ignoti. Il 2 agosto 1980 scoppia una bomba alla stazione ferroviaria di Bologna, muoiono ottanta persone, uomini e donne che hanno scelto il treno per partire o tornare dalle vacanze, bambini, tanti bambini al loro seguito. L'ordigno è collocato nella sala d'aspetto della gente comune, la potenza dell'esplosione abbatte pareti e soffitto.
Musumeci fa parte dei servizi segreti, è capo dell'ufficio controllo e sicurezza del SISMI.
Iniziano subito i depistaggi. Il giudice istruttore che si occupa delle indagini viene condotto, come un cagnolino al guinzaglio, verso le più suggestive sedi di un complotto internazionale, il Libano, Beirut. Il tentativo di attribuire a stranieri l'eccidio in questo modo non funziona, e allora entra in scena Musumeci, aiutato da un altro ufficiale dei servizi, Giuseppe Belmonte. Nel gennaio 1981 collocano sul treno Taranto-Milano una valigia con armi, esplosivo T4 (di composizione analoga a quello utilizzato a Bologna}, biglietti aerei intestati a un cittadino francese e a un cittadino tedesco. E anonimamente avvertono perché la valigia sia ritrovata, perché, finalmente in modo attendibile, si segua una pista di criminalità internazionale. Anche questa volta va male e la trama è scoperta.
Queste e altre cose non conosciamo nella prima fase di indagini sulle carte tro-vate in Toscana. Cose riguardanti il passato, la storia, le azioni di uomini che sarebbero state scoperte dall'intelligenza, l'abilità, il coraggio e la tenacia di altri magistrati che hanno la stessa nostra voglia di scoperta, la stessa curiosità sulle cause dei fatti.
Invece, al contrario degli altri, sappiamo altre cose, riguardanti il presente.
Per qualche settimana la gente non sa che abbiamo scoperto la P2. Riusciamo a non far trapelare la notizia dagli uffici giudiziari, non parlandone nemmeno con i colleghi più amici (a Piero Forno, ai cui fascicoli chiedemmo ospitalità per le fotocopie che dovevano garantire la conservazione degli atti, abbiamo fatto promettere che non ne avrebbe parlato nemmeno nel sonno, nel caso ne avesse l'abitudine); coloro che sanno perché fanno parte dell'organizzazione non divulgano la notizia: forse ancora non hanno deciso cosa fare, forse pensano di muoversi, come hanno sempre fatto, nella clandestinità, di screditarci, di stravolgere il significato della scoperta, di minare l'attendibilità delle carte; i cronisti giudiziari percepiscono che dalle indagini è emerso qualcosa, ma non sanno cosa. Insomma, per poche settimane, apparentemente è come se non fosse successo nulla.
Noi, Giuliano e io, siamo in una posizione singolare, strana, sotto alcuni punti di vista bizzarra. Possiamo osservare quel che succede attraverso la nostra chiave di lettura, abbiamo una possibilità di interpretazione che gli altri non hanno. E così, quando il nostro collega Antonio Buono, tessera P2 numero 1757, scrive su "Il Giornale" a proposito del "giudice che fa politica" (23 marzo 1981), ovvero ammonisce sul pe-ricolo di "aumentare i poteri di un giudice che decide da solo e per di più cumula le funzioni dell'inquirente a quelle del giudicante" o riferisce di "un sindacato irresponsabile e fazioso per ordine di partito" (30 marzo 1981), o ancora - essendoci capitato tra le mani un pezzo del giorno precedente alla perquisizione invita a "riflettere sul proposito, espresso da più parti e anche, qualche giorno fa, nella sua intervista televi-siva dal segretario socialista, di sottoporre le procure a un controllo da parte dell'ese-cutivo 'perché lo stato e il cittadino siano adeguatamente rappresentati nel processo"' (16 marzo 1981), noi leggiamo al di là delle parole, del contesto nel quale è inserito l'articolo, e vi riconosciamo il riflesso della sua piduistica appartenenza. Buono è un esponente di rilievo della corrente di Magistratura indipendente, quella alla quale, secondo le carte di Gelli, erano stati destinati contributi da parte del capo della P2.
Ancora di più avremmo capito noi e tanti altri quando, nel luglio di quell'anno, sarebbe stato sequestrato alla figlia di Gelli, Maria Grazia, il Piano di rinascita democratica, e cioè il programma politico della Loggia P2, tenuto fino ad allora rigorosa-mente occulto. Tra i punti qualificanti delle riforme auspicate dal piano spiccano infatti la sottomissione del pubblico ministero all'esecutivo e il forte ridimensionamento dei sindacati.
Cominciano anche le prime, sottili intimidazioni, gli avvertimenti, le allusioni, ancora talmente sommesse da essere percepibili soltanto da chi è abituato a riconoscere il linguaggio subdolo e indiretto della mafia e dell'occulto.
È ovvio però che quella situazione, quasi da limbo, così sospesa, indefinita, è destinata a non durare. Che ci sia stata la perquisizione è noto, e la stampa cerca affannosamente di conoscerne i risultati. Cominciano allora le prime ipotesi sul ritrovamento, presto si arriva a sapere della lista, e iniziano le prime congetture sui nomi degli iscritti, con tutte le inesattezze, le falsità e le strumentalizzazioni che noi avevamo paventato e che avevamo cercato di disinnescare in anticipo, attraverso quel comunicato stampa che il procuratore ci aveva negato.
Più passa il tempo, e più è necessario che l'elenco degli iscritti alla loggia sia reso pubblico. Riteniamo non sia compito nostro procedere alla pubblicazione. Ma a Roma non succede nulla, nonostante nel frattempo sia stata inviata altra documentazione da cui emerge la pericolosità della loggia (tra cui il verbale della deposizione del generale Palumbo, accompagnato da un'elaborata ordinanza con la quale veniva spiegato come il segreto istruttorio, in situazioni così destabilizzanti, non potesse valere nei confronti dei più alti poteri dello stato). E forse non sarebbe successo nulla se non vi fosse stata la Commissione parlamentare sul caso Sindona, istituita da poco. Anche la Commissione ci chiede le carte sulla P2, e noi le mandiamo.
Il governo tergiversa, e soltanto nella seconda metà di maggio decide di rispondere a interrogazioni e interpellanze avanzate più o meno da parte di tutti i gruppi politici. Ascoltiamo le risposte del presidente del consiglio, che è ancora Forlani, in ufficio, sintonizzandoci su Radio radicale, che trasmette le sedute del parlamento. L'argomento centrale è la pubblicazione delle liste. Forlani risponde alle richieste di rendere noti i nomi degli iscritti sostenendo che la cosa non lo riguarda. E il giorno dopo i giornali sono pieni di titoli che ribadiscono: "Forlani auspica che i magistrati rendano noti i nomi della 'P2"'; "Il presidente del consiglio ha detto che il governo non porrà il segreto di stato sugli elenchi massonici, ma anzi ha sollecitato i giudici a renderli noti"; "Forlani: spetta ai giudici togliere il segreto sulla P2".
"Gherardo, che facciamo, non possiamo certo rendere pubblici noi quei nomi."
"Beh, al limite, se ce lo chiedono... eh, no, certo che no, poi ci accuserebbero tutti di aver violato il segreto, di avere invaso campi non nostri."
"E allora, non possiamo nemmeno star qui a far la parte di quelli che non vogliono far sapere le cose all'opinione pubblica... E poi non è possibile che queste liste non vengano pubblicate..."
"Una cosa si potrebbe fare... Scriviamo una lettera a Forlani, e gli diciamo che non esistono controindicazioni sostanziali da parte nostra alla pubblicazione del materiale. Io credo che a quel punto sarà costretto a pubblicare."
"Sì, possiamo fare così, magari distinguendo tra quel che abbiamo trovato e i verbali testimoniali, che invece segreti devono restare..."
Mentre stiamo ancora ragionando, la mattina del 20 maggio, a Turone arriva una telefonata. è il ministro dell'interno, Rognoni, che conosce da tempo Giuliano per motivi di famiglia: "Allora, cosa fate, qui è una confusione incredibile"; "Beh, stavamo pensando di scrivere al presidente del consiglio che da parte nostra nulla osta alla pubblicazione degli elenchi..."; "Mi sembra una bella cosa. Scrivete subito che noi pubblichiamo".
Procedo a scrivere la lettera, la faccio leggere a Giuliano, la firmiamo entrambi e la firma il capo dell'ufficio, con la velocità del fulmine, e con la velocità del fulmine la spediamo. Avevo già imparato allora quanti ripensamenti esistono nella politi-ca. Due minuti dopo che la lettera è partita squilla di nuovo il telefono.
"Sai, Giuliano, a proposito di quel nulla osta, non so se è opportuno..." Giuliano può rispondere senza mentire che la lettera è già partita.
Ciononostante il governo non si decide. La situazione si sblocca soltanto perché la Commissione parlamentare sul caso Sindona annuncia, tramite il suo presidente, che provvederà lei stessa. A quel punto, dal telegiornale della notte si apprende che anche il governo ha deciso.
Le carte escono, e succede il putiferio che aveva facilmente pronosticato il generale Musumeci. Provoca indignazione la scoperta che i nomi di tutti i vertici dei servizi, di tre ministri, di molti parlamentari di partiti diversi, di giornalisti, generali, prefetti, magistrati risultino dalle carte.
Nel giro di poco tempo i "saggi" nominati da Forlani per verificare la natura della P2 concludono il loro lavoro, con un giudizio pesantissimo. La P2 è definita:
una formazione postasi fuori dell'ordinamento massonico... artificiosamente costituita e fatta funzionare da Gelli successivamente alla sospensione che colpì l'autentica loggia P2 nel 1976...Il vertice della cosiddetta loggia P2 gelliana ha vissuto e si è proposto di operare in Italia come un luogo di influenza e di potere occulto insinuandosi nei gangli dei poteri pubblici e della società civile, e di ordinare in un unico disegno... bisogni, aspirazioni, ambizioni e interessi individuali sì da convogliarli verso tutt'altri risultati che quelli della solidarietà umana intesa nel suo autentico significato... Un'associazione occulta può diventare... uno Stato nello Stato. E questo non può essere con-sentito nell'ordine democratico... una associazione occulta potrebbe... non soltanto contribuire a snaturare il sistema rappresentativo della Repubblica... potrebbe altresì far deviare quegli organi pubblici... che sono tenuti a far puntuale applicazione delle scelte... del potere politico e ad osservare l'imparzialità nell'esercizio delle rispettive attribuzio-ni... Né può essere taciuta le nefasta azione che i centri di influenza occulti potrebbero essere in grado di esercitare in tutta la società civile condizionando... le attività economiche, l'informazione, la vita dei partiti e dei sindacati...
Cade il governo e, per la prima volta nella storia della repubblica, se ne forma uno nuovo presieduto da un esponente laico, Giovanni Spadolini, rompendo così l'egemonia democristiana, che durava da quasi quarant'anni. A settembre è istituita con legge la "Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2", che concluderà i propri lavori circa tre anni dopo, esprimendo valutazioni inequivocabili sull'oggetto delle sue indagini.
Abbiamo riscontrato che la Loggia P2 entra come elemento di peso decisivo in vicende finanziarie, ... che hanno interessato il mondo economico italiano in modo determinante....Si è trattato in tali casi... di due situazioni finanziariamente rilevanti in un contesto internazionale, che hanno sollevato... serie di difficoltà di ordine politico non meno che economico, allo Stato italiano... la Loggia P2 si è posta come... centro di intersecazione di una serie di relazioni, di protezioni e di omertà che ne hanno consentito lo sviluppo secondo gli aspetti patologici che poi non è stato possibile contenere. In questo contesto finanziario la Loggia P2 ha altresì acquisito il controllo del maggior gruppo editoriale italiano mettendo in atto, nel settore di primaria importanza della stampa quotidiana, una operazione di concentrazione di testate non confrontabile ad altre analoghe situazioni... Queste operazioni infine... si sono accompagnate ad una ragionata e massiccia infiltrazione nei centri decisionali di maggior rilievo sia civili che militari e ad una costante pressione sulle forze politiche... la Loggia P2 è entrata in con-tatto con ambienti protagonisti di vicende che hanno segnato in modo tragico momenti determinanti della vita del Paese... La Loggia P2 consegna alla nostra meditazione una operazione politica ispirata ad una concezione preideologica del potere, ambìto nella sua più diretta e brutale effettività; un cinismo di progetti e di opere... un approccio strumentale con la massoneria, con gli ambienti militari, con gli ambienti eversivi, con gli uomini delle istituzioni, perché strumentale al massimo è la filosofia che si cela al fondo della concezione politica del controllo, che tutto usa ed a nessuno risponde se non a se stesso, contrapposto al governo che esercita il potere ma è al contempo al servizio di chi vi è sottoposto.
All'inizio del 1982 viene promulgata un'altra legge che scioglie la P2 e ne dispone la confisca dei beni, introducendo nell'ordinamento dello stato un nuovo reato che punisce l'associazionismo segreto diretto a influire sulle istituzioni.
Subito dopo, il Consiglio superiore della magistratura applica una serie di san-zioni disciplinari, compresa per alcuni la rimozione dalla carriera, a molti dei magistrati risultati iscritti alla loggia ("...La loggia P2... costituiva una associazione segreta... inserita principalmente in istituzioni ed organismi pubblici o di pubblico interes-se, finalizzata ad interferire sull'espletamento delle loro funzioni", si legge tra l'altro nella motivazione del provvedimento), dando una forte indicazione di impegno per l'indipendenza degli appartenenti all'ordine giudiziario (indipendenza che non con-sente obbedienze multiple) e dimostrando una sensibilità verso la correttezza dei rapporti tra funzionario e istituzione che purtroppo non verrà emulata dagli organi di controllo aventi competenza sui dipendenti di altre amministrazioni dello stato.
Ma le difficoltà per le indagini non si fermano, anzi.
Quando ancora Forlani rifletteva se pubblicare la lista, si prova ad imbrogliar le carte, ad attaccare la credibilità del materiale sequestrato, attribuendo a circostanze reali motivi o conseguenze assolutamente falsi. Ponendo l'indagine di fronte a rischi immensi, proprio perché la circostanza è vera.
Si presenta così una mattina, a uno di noi, il presidente della provincia di Pisa, il cui nome figura nella lista, e di cui abbiamo rinvenuto la domanda di iscrizione, lamentando che la firma sulla domanda è falsa, e che lui non ha mai aderito alla loggia.
Se quanto afferma è vero, l'attendibilità delle carte è messa in discussione, e al-lora ci si butta a verificare. Per farla breve, messo a confronto con un altro piduista, alla fine il presidente ammette che la firma era stata sì vergata da un'altra persona, che però poteva ritenersi legittimata a farlo in quanto lui, non vedendo l'ora di diventare massone, l'aveva continuamente importunata perché l'iscrivesse a una loggia, sicché quella, non appena se ne era presentata l'occasione aveva provveduto a redigere, anche nella firma, la domanda di iscrizione alla P2. Il risultato è che l'attendibilità delle liste risulta rafforzata, ma contemporaneamente si è perso tempo prezioso nelle investigazioni sui fatti più gravi.
Si prova con gli attacchi diretti, e pesanti, alla credibilità delle nostre persone, dei magistrati che stanno conducendo l'inchiesta.
Nei primi giorni di luglio viene intercettata all'aeroporto internazionale di Roma Maria Grazia Gelli, figlia di Licio, che ha con sé una borsa con un bordo malamente ricucito, e quindi sospetta. La si esamina, e all'interno si trovano lettere, scritti, materiale diffamatorio nei nostri confronti. Turone e Viola sarebbero titolari di conti correnti in Svizzera, entrambi sarebbero già stati convinti a insabbiare le indagini in cambio di svariate centinaia di milioni, io pure sarei lì lì per accettare, e in ogni caso noi tutti staremmo vendendo a caro prezzo parte del materiale sequestrato, utilizzabile dagli acquirenti a scopo ricattatorio.
Forse la scoperta di quelle carte è intempestiva, o meglio troppo anticipata ri-spetto all'uso che se ne voleva fare, forse il tentativo di discredito è troppo rozzo, fatto sta che la manovra scoppia quasi subito, come una bolla di sapone, tra le mani di chi l'aveva architettata.
A noi però infastidisce. E ci distrae, come sempre succede per le accuse infamanti. È successo così tante volte di riceverne, a me, a Turone e a tanti altri, eppure ancora non ci abbiamo fatto il callo. E tutte le volte si viene assaliti dall'indignazione per l'onorabilità violata, e si pensa a doversi difendere da quel che non esiste. E tutte le volte necessariamente si perde tempo nelle investigazioni. Il che è comunque, già un risultato per chi vuole intralciarle.
Intanto, comincia a muoversi la macchina che alla fine sarà capace di strapparci l'indagine.

Gherardo Colombo (Il Vizio della memoria - 1996 - Feltrinelli)


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Monte Pellegrino visto da casa natia di Acqua dei Corsari

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