"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

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venerdì 26 giugno 2009

Le dieci nuove domande al Cavaliere

Le mancate risposte di Silvio Berlusconi: dalle veline a Noemi Letizia, fino alle accuse di Patrizia D'Addario di GIUSEPPE D'AVANZO



La sera del 26 aprile Silvio Berlusconi festeggiava Noemi a Casoria. È giunto il tempo, due mesi dopo, di tirare le somme. Bisogna annotare con cura le bugie ascoltate; interrogarsi sulle ragioni dei troppi silenzi; afferrare il filo rosso che da una storia (le «veline») ci ha condotto in un’altra (Noemi) e in un’altra ancora (le prostitute a Palazzo Grazioli) fino alla soglia di una quarta (le feste del presidente).



Giorno dopo giorno, si è definita sempre meglio la «licenziosità» del capo del governo, «la scelta sciagurata degli amici di bisboccia, la sciatteria in certe relazioni e soprattutto la caratterizzazione ostentatoria di tutti i suoi comportamenti privati» (Giuliano Ferrara, Panorama, 26 giugno). Quel filo si riannoda intorno a un «grandioso sé», lascia nudo un potere e un abuso di potere che si immagina senza contrappesi e irresponsabile.

Da due mesi, Berlusconi parla senza dire. Ci scherza su alquanto imbarazzato e come ossessivo, ma tace l’essenziale. Il tempo non è passato invano, però. Le dieci domande che Repubblica ha ritenuto di rivolgergli il 14 maggio hanno trovato più di una risposta, nonostante il loquace mutismo del presidente del consiglio. A volte, anche i silenzi sanno parlare. C’è oggi materia viva per eliminare qualche interrogativo e proporne altri, nuovi e dunque necessari e urgenti.

«Chi è incaricato di una funzione pubblica deve chiarire», dice Silvio Berlusconi (Porta a Porta, 5 maggio). All’alba di questa storia, il premier sembra sapere che il significato etico e politico di accountability presuppone trasparenza; impegno a dichiararsi; rendiconto di quel che si è fatto e si fa; assunzione di responsabilità; censurabilità delle condotte riprovevoli – anche private – perché è chiaro a tutti che non ci può essere una radicale contrapposizione «tra il modo in cui un uomo di potere tratta coloro che gli sono vicini (la sua morale) e il modo in cui governa i cittadini e risponde a loro (la sua politica)»(Carlo Galli, Repubblica, 22 giugno).

Berlusconi, in apparenza, è animato da buone intenzioni, dunque. Deve, presto e in fretta, liberarsi di tre grattacapi che gli vengono dalla famiglia (con le accuse di Veronica Lario), dalla sua area politica (con i rilievi critici di farefuturo). Gli rimproverano di voler candidare alle elezioni per il parlamento di Strasburgo “veline”, giovani o giovanissime donne che egli ha già promosso nello spettacolo e gli tengono compagnia con assiduità nel tempo libero, a Villa Certosa, a Palazzo Grazioli. Gli si contesta la frequentazione di minorenni e un’ossessione per il sesso che pregiudica il suo equilibrio (Veronica Lario, Repubblica, 3 maggio). Gli si chiede dei rapporti con la minorenne di Napoli di cui ha voluto festeggiare il 18° anno (Repubblica, 28 aprile).

Berlusconi è tentato dal rovesciare il tavolo, come gli è abituale. Parla di “complotto”. Di fronte all’evidenza che il fuoco è “amico”, lascia perdere e appronta una difesa che vuole essere conclusiva. Concede due interviste ufficiali (Corriere, Stampa, 4 maggio, 4 maggio). Chiacchiera ufficiosamente e in libertà (ancora Corriere e Stampa, nei giorni successivi al 4 maggio). Si confessa alla tv pubblica francese durante il tg delle 20 (France 2, 6 maggio). Rifiuta – è vero – un’intervista a Repubblica (13 maggio), ma promette di «spiegare tutto» (Cnn International, 25 maggio).



Berlusconi è categorico, quasi minuzioso nella ricostruzione delle sue mosse. «Non avevamo messo in lista nessuna velina» (Corriere, 4 maggio). «Io frequenterei delle diciassettenni? E’ una cosa che non posso sopportare. Io sono amico del padre [di Noemi], punto e basta. Lo giuro!» (Stampa, 4 maggio). «Sono andato a Napoli per discutere di candidature con il padre di Noemi» (Porta a Porta, 5 maggio), con cui «ho un’antica amicizia di natura politica», peraltro «Noemi, la figlia dei miei amici, l’ho vista tre, quattro volte, sempre accompagnata dai genitori» (France 2, 6 maggio).



Le affermazioni del capo del governo non reggono alla verifica dei fatti.



Repubblica scopre (21 maggio) che il 19 novembre 2008, a Villa Madama, la minorenne Noemi siede al tavolo presidenziale, in occasione della cena offerta dal governo alle griffe del made in Italy, raccolte nella Fondazione Altagamma. La ragazza è sola, non accompagnata da alcun familiare, accanto al presidente del consiglio e a Leonardo Ferragamo, Santo Versace, Paolo Zegna, Laudomia Pucci. Sola e minorenne – e non accompagnata dai suoi genitori ma da un’amica minorenne (Roberta O.) – Noemi è anche a Villa Certosa, a ridosso del Capodanno, tra il 26/27 dicembre 2008 e il 4/5 gennaio 2009. Lo rivela a Repubblica (24 maggio) Gino Flaminio, un operaio di 22 anni legato sentimentalmente a Noemi dal 28 agosto 2007 al 10 gennaio 2009.



Gino, in contrasto con le dichiarazioni del Cavaliere, svela anche quando Berlusconi si mette in contatto con la minorenne Noemi. Che sia la prima volta glielo racconta lei stessa. Accade nell’autunno del 2008 (ultimi giorni di ottobre, primi di novembre). Soltanto otto mesi fa. Berlusconi telefona direttamente alla ragazza alle prese con i compiti di scuola. Nessuna segreteria. Nessun centralino. Nessun legame con la famiglia della ragazza. Berlusconi (che ha davanti una collezione di foto di Noemi) le dice parole di ammirazione per la sua «purezza», per il suo «volto angelico». Dopo quel primo contatto, ne seguono altri (Gino ascolta la voce del premier in tre o quattro telefonate) fino all’invito a trascorrere dieci giorni – senza i genitori – a Punta Lada.



Le rivelazioni raccolte da Repubblica costringono il premier a correggere precipitosamente il tiro. Non può negare la presenza di Noemi a Villa Madama. Ammette che la minorenne, anzi le due minorenni hanno festeggiato il Capodanno con lui, non accompagnate dai familiari. Non può confessare però che – uomo di 73 anni, con impegnative responsabilità pubbliche – trascorre il pomeriggio a telefonare a minorenni che conosce soltanto attraverso book fotografici fornitigli dagli uomini di Mediaset (nel caso di Noemi è Emilio Fede, dice Flaminio). Appresta allora una nuova favoletta per spiegare come, quando e perché ha conosciuto il padre di Noemi, Elio Letizia, e cancellare l’imbarazzante ma decisivo ricordo di Gino.



E’ la quarta versione che, nel corso del tempo, ci viene proposta. Ricordiamo le precedenti.

  • 1. «Era l’autista di Bettino Craxi» (Ansa, 29 aprile, l’agenzia di stampa rimuoverà poi la pagina dall’archivio in rete);
  • 2. «Elio è un mio amico da tanti anni, con lui ho discusso delle candidature europee« (Porta a Porta, 5 maggio);
  • 3. «Conosco i genitori, punto e basta» (France 2, 6 maggio).

Anche la quarta ricostruzione di quell’amicizia viene cucinata in malo modo.


Berlusconi scarica su Elio Letizia l’onere del racconto. Elio Letizia liquida per intero lo sfondo politico dell’amicizia. Non azzarda a dire che è stato un militante socialista né conferma di aver discusso con il presidente del consiglio chi dovesse essere eletto a Strasburgo. Dice Letizia che la «vera conoscenza [con Silvio] ci fu nel 2001». Elio sa – racconta – che a Berlusconi piacciono «libri e cartoline antiche» e nelle sale dell’hotel Vesuvio di Napoli (maggio 2001) gli propone di regalargliene qualche esemplare. Nasce così un legame che diventa un’affettuosa amicizia quando Anna e Elio Letizia sono colpiti dalla sventura di perdere il figlio Yuri in un incidente stradale. Berlusconi si fa vivo con una «lettera accorata e toccante». Letizia decide di presentare la sua famiglia al presidente del consiglio nel «dicembre del 2001»: «A metà dicembre io e mia moglie andammo a Roma per acquisti e, passando per il centro storico, pensai che fosse la volta buona per presentare a Berlusconi mia moglie e mia figlia» (il Mattino, 25 maggio). Dunque: il capo del governo «per la prima volta vide Anna e Noemi» nel dicembre del 2001 non in pubblico ma nella residenza privata del premier, a palazzo Grazioli, o a Palazzo Chigi. Noemi ha soltanto dieci anni.



Il ricordo di Elio Letizia non coincide con quello di Silvio Berlusconi. Nello stesso giorno, la memoria del capo del governo disegna un’altra scena decisamente differente da quella che ha in mente Elio Letizia. Quando Berlusconi ha incontrato per la prima volta Noemi? «La prima volta che ho visto questa ragazza è stato a una sfilata», risponde il premier (Corriere, 25 maggio). Quindi, in un luogo pubblico e non nei suoi appartamenti pubblici o privati. Non nel 2001, come dice Elio, ma più avanti nel tempo perché Noemi avrebbe avuto l’età adatta per «sfilare» (quattordici, quindici, sedici anni, 2005, 2006, 2007).



Le «bugie bianche» di Berlusconi (il Foglio, 25 maggio) non possono nascondere qualche sconcertante punto fermo. È vero, il capo del governo «frequenta minorenni», come ha detto Veronica Lario e dimostrato Repubblica. Il presidente del consiglio non riesce con qualche attendibilità a dire come ha conosciuto i Letizia cosicché le parole di Gino Flaminio acquistano più credibilità e maggiore verosimiglianza.



Il quadro compromesso e degradato dell’accountability del capo del governo è confermato addirittura dal racconto di Noemi, mai smentito (e oggi è troppo tardi per farlo).



«[Berlusconi, “papi”] mi ha allevata (…) Lo adoro. Gli faccio compagnia. Lui mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero e io lo raggiungo a Roma, a Milano. Resto ad ascoltarlo. Ed è questo che desidera da me. Poi, cantiamo assieme. (…) [Da grande vorrò fare] la showgirl. Mi interessa anche la politica. Sono pronta a cogliere qualunque opportunità. (…) Preferisco candidarmi alla Camera, al parlamento. Ci penserà papi Silvio» (Corriere del Mezzogiorno, 28 aprile).



Noemi conferma non solo l’abitudine di Berlusconi a frequentare minorenni, ma rafforza anche l’altra questione decisiva di questa storia: la pretesa di «far uso dei bei volti e dei bei corpi di persone che con la politica non hanno nulla a che fare». Manovra che denota «l’impoverimento della qualità democratica di un Paese» (FFWebMagazine, periodico della fondazione Farefuturo). Come – per fare solo tre nomi – Angela Sozio (Grande Fratello), Chiara Sgarbossa (miss Veneto), Cristina Ravot (cantante ammiratissima da Berlusconi che la voleva imporre al festival di Sanremo prima che al parlamento di Strasburgo), Noemi ritiene di poter ottenere da Berlusconi l’opportunità di fare spettacolo o, in alternativa, di essere eletta in parlamento. Televisione o seggio in parlamento, uguali sono. Le aspettative di Noemi, sollecitate dalle promesse di Berlusconi, sono in linea con le riflessioni critiche della signora Lario («Ciarpame senza pudore»). È documentata, allora, anche la seconda accusa che colpiva il capo del governo: per lui il corpo delle donne è «un gingillo» utile per «proiettare una (falsa) immagine di freschezza e rinnovamento» politico. S’invera lo «scarso rispetto per le istituzioni e per la sovranità popolare» del leader del Popolo della Libertà (Fondazione farefuturo).

Di fronte a due punti fermi (è vero, frequenta minorenni; è vero, candida nelle assemblee elettive i «bei corpi» che gli sono stati vicini), incalzato da domande a cui non può rispondere, Berlusconi si corregge di nuovo per tirarsi fuori da una catastrofe politica e comunicativa, domestica e internazionale. A Palazzo Chigi, dunque in un luogo che più ufficiale non si può, dice: «Non ho detto niente» (Ansa e Agi, 28 maggio). Pretende che gli si creda. Lo abbiamo sentito dire, spiegare, ricordare in pubblico, in voce e in video – e sempre mentire. Ora, con quattro parole («Non ho detto niente»), intende resettare la storia così come egli stesso ce l’ha raccontata. Esige che il potere delle sue parole sia, per noi, indiscusso. Comanda di dimenticare ciò che ricordiamo e ci impone di credere vero ciò che egli dice vero (e noi sappiamo bugiardo). «Non ho detto niente» dovrebbe ripulire dalla lavagna le sue menzogne. Gli interessa ora andare al sodo per salvare la faccia e – forse – un destino politico che vede compromesso (compromessa appare la sua ascesa al Quirinale). Vuole rispondere soltanto a una domanda: ha avuto «rapporti piccanti» con Noemi? Se la pone da solo. Risponde: «Assolutamente no, ho giurato sulla testa dei miei figli e sono consapevole che se fossi uno spergiuro mi dovrei dimettere, un minuto dopo averlo detto» (Radiocor, 28 maggio). Non chiarisce che cosa siano i «rapporti piccanti», per il lessico e la fantasia erotica di uomo come lui.

Sesso e politica. Politica e sesso. “Privato” che si fa “pubblico”. “Pubblico” che deve subire gli abusi di potere di un privato. Di questo impasto ci parlano le pratiche del Cavaliere che rinviano con immediatezza al suo dispositivo di governo, e quindi alla cosa pubblica e non soltanto ai comportamenti privati di un uomo. Lo “scandalo” dell’affare è in queste relazioni scorrette compensate da promesse di incarichi pubblici, è nelle accertate menzogne che screditano chi governa e il Paese che da lui è governato. Di questo dovrebbe rispondere il premier in pubblico se davvero avesse compreso che accountability è l’esatto contrario di arbitrio e menzogna.



Il capo del governo vive un clima psichico alterato. È la terza accusa della moglie: «[Silvio] non sta bene» (Repubblica, 3 maggio). La patologica sexual addiction di Berlusconi si sfoga in festicciole viziose. Anima “spettacolini” affollati da venti, trenta, quaranta ragazze: “farfalline” coccolate mentre il “sultano” indossa un accappatoio di un bianco accecante; “tartarughine” travestite da Babbo Natale; “bamboline” che mimano, in villa e tra i fiori, il matrimonio con «papi» (Repubblica, 12 giugno). Frequente la presenza di “squillo”, “escort”, “ragazze immagine” abituate a incontrare sceicchi sulle rive del Golfo Persico.



La scena, accennata esplicitamente da Veronica Lario, ancora sfumata nei contorni con Noemi, si definisce con nitore quando prende la parola Patrizia D’Addario, “escort di lusso”, un modo per dire prostituta di caro prezzo. Il palcoscenico, anche acusticamente esplorato, è illuminato a giorno, ora. Si possono vedere con chiarezza i gesti, sentire le parole, ascoltare le voci anche nelle stanze più intime e protette (il bagno, la camera da letto) del palazzo presidenziale. Il linguaggio si fa esplicito, crudo. Come, senza sottintesi, sono le condotte, le logiche, gli esiti.



Patrizia è ingaggiata (2000 euro) da un amico del Cavaliere che ingrassa i suoi affari e la sua influenza pagando “squillo” da accompagnare alle feste del presidente a Roma, in Sardegna.

Patrizia varca, per la prima volta, la soglia di Palazzo Grazioli il 15 ottobre 2008.



Patrizia, «una volta entrata in una stanza affrescata all’interno della residenza del presidente del Consiglio, si trova davanti venti ragazze e il suo primo pensiero è: ‘Ma questo è un harem!’». (Sunday Times, 21 giugno).



Patrizia osserva, curiosa: «Mentre la gran parte di noi, come ci era stato detto, indossava abiti neri corti e trucco leggero, due ragazze che stavano sempre vicine, avevano pantaloni lunghi (...) Erano due escort lesbiche che lavorano sempre in coppia» (Repubblica, 25 giugno).

Patrizia, quella sera, non resta a Palazzo. Ci ritornerà, il 4 novembre. «Sono tornata dopo un paio di settimane, esattamente la sera dell’elezione di Barack Obama» (Corriere, 17 giugno).



Patrizia registra quel che sente. Fotografa – appena può – quel che vede. Lo fa sempre, con tutti, da sempre. Questa volta, la seconda volta da Berlusconi, Patrizia rimane a Palazzo per una notte di sesso con il capo del governo. Il Cavaliere – dopo cena, visione dei film che lo mostrano accanto ai potenti della Terra, le solite canzoni e la ola – chiede alla donna di aspettarlo nel «letto grande» (Repubblica, 20 giugno).



«Berlusconi mi ha telefonato la sera stessa, appena sono arrivata a Bari. E qualche giorno dopo Gianpaolo mi ha invitata a tornare. Ma io ho rifiutato (…) Gianpaolo ha voluto il mio curriculum perché mi disse che volevano candidarmi alle Europee (…) Quando sono cominciate le polemiche sulle veline, il segretario di Gianpaolo mi ha chiamata per dirmi che non era più possibile (…) [mi è stata allora] proposta la lista “La Puglia prima di tutto” [per il rinnovo del consiglio comunale]. Io ho accettato subito» (Corriere, 17 giugno).



I ricordi di Patrizia sono confermati dalle due «ragazze-immagine» (qualsiasi cosa significhi l’eufemismo) che sono con lei: Lucia Rossini (Repubblica, 21 giugno) e Barbara Montereale. Che dice: «Sapevano tutti a quella cena che lei [Patrizia] era una escort. Presumo anche il presidente». (Repubblica, 20 giugno). Le due ragazze ridono, scherzano, si fotografano allegre nella toilette del presidente del consiglio, come padrone del campo.



Le parole, le testimonianze incrociate, le immagini, i documenti fonici non possono più confondere quel che abbiamo sotto gli occhi. Quel che la signora Lario chiama “malattia”, l’effetto distruttivo di un narcisismo sgomento dinanzi alla vecchiaia, un’autostima che esige sempre, a ogni occasione l’ammirazione riservata alla giovinezza, alla celebrità, al fascino rendono vulnerabile e gravemente indifeso il capo del governo e l’autorevolezza del suo ufficio. C’è un fondo di onnipotenza nei suoi comportamenti, come se ogni azione gli fosse consentita. È circondato da prosseneti che lucrano vantaggi personali cercandogli in angoli d’Italia ragazze sempre nuove, sempre più giovani, sempre più rapaci e spregiudicate, spesso sostenute nella loro cinica ambizione dalle famiglie, da mammà e papà. Vogliono un successo dove che sia, in tivvù o nella politica. Il premier può concederglielo con una telefonata, se vuole. Gli danno pressione. Lo pretendono. E’ il quadro che ha già proposto Veronica Lario. «Ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. È stato tutto inutile» (Repubblica, 3 maggio).



La difesa di Berlusconi, di fronte a questa rappresentazione di se stesso e della fenomenologia del suo potere, è violenta fino alla spietatezza contro i testimoni della sua vita; è prepotente contro l’informazione che non sceglie la taciturnità imposta al servizio pubblico radiotelevisivo e accettata - con l’eccezione del Tg3 - di buon grado. E tuttavia, quando affronta le circostanze che sono emerse, quella manovra è maldestra.



Niccolò Ghedini, avvocato del Cavaliere, nell’ansia di sfuggire al reato ora che una prostituta parla di tariffe, trattative e pagamenti, ammicca complice agli italiani che si sentono “puttanieri” irredimibili, anche se spesso soltanto fantasiosi, nella convinzione che quel peccato possa essere presto perdonato urbi et orbi. Il lemma che adopera (gli appare il più onesto e concreto) peggiora il clima e deteriora ancor più l’immagine del premier. «Ancorché fossero vere le indicazioni di questa ragazza [Patrizia], e vere non sono, il premier sarebbe, secondo la ricostruzione, l’utilizzatore finale e quindi mai penalmente punibile». (Affari italiani, 17 giugno).



Come se l’affare fosse legale e non politico. L’errore dell’avvocato convince Berlusconi a muovere in prima persona. Lo fa secondo le sue prassi consolidate. Dai fogli patinati di un settimanale di famiglia, nega quel che è accaduto. «Non c’è nulla nella mia vita privata di cui io mi debba scusare (…) Non ho [di Patrizia] alcun ricordo. Ne ignoravo il nome e non ne avevo in mente il viso. Non mi ero reso conto [che fosse una prostituta]» (Chi, 24 giugno). Tace che ancora il 27 gennaio, il suo amico di Bari chiama Patrizia per dirle (la telefonata è registrata): «[Il presidente] ti vuole vedere la prossima settimana a Roma» (Corriere, 21 giugno). Vedere lei, proprio lei: Patrizia, con quella faccia che ora non ricorda, con quel nome che ha dimenticato, forse ripensando soltanto al suo corpo.



Questa volta - direttamente e non attraverso i suoi giornali e attaché (lo ha fatto per Gino Flaminio) - scatena l’ordinaria menzogna distruttiva contro Patrizia D’Addario: «[Le è stato] dato un mandato molto preciso e benissimo retribuito» (Chi, 24 giugno). Dovrebbe offrire un riscontro anche labile della sua accusa anche perché ha avuto il tempo e ha le risorse per raccoglierlo. Non lo fa. Dovrebbe comprendere che la denunzia, anche se inventata, conferma la sua vulnerabilità. La mostra, la dimostra. Se c’è un ricattatore dietro le parole di Patrizia D’Addario, la responsabilità è soltanto di chi dissennatamente le ha aperto le porte di casa. Dice: «Può capitare di sbagliare ospiti» (Ansa, 25 giugno), ma il punto è proprio questo: quanti sono gli “ospiti sbagliati” che si sono seduti alla sua tavola? E che intenzioni hanno?



Il fatto è che il Cavaliere si tiene lontano da fatti che, per la loro solidità, possono fulminarlo. Preferisce scavare nella differenza tra sé e gli altri, tutti gli altri che soltanto ricordano quel che ha detto e giurato o le menzogne che ha sottoscritto con la sua faccia, i suoi discorsi. Non pare curarsene. Dice: «Io sono fatto così. E gli italiani così mi vogliono. Ho il 61 per cento. Io sono buono, generoso, leale, (attenzione) sincero, mantengo le promesse, sono un mattatore, un intrattenitore» (Ansa, 25 giugno).



Soltanto un malvagio può non amarlo. In fondo, la politica è questo per il capo del governo: la legittimità del suo potere lo autorizza - crede - a creare un’ostilità interna, un conflitto permanente tra chi è con lui e chi, perché lontano da lui o critico, deve essere considerato “estraneo”, “nemico”, ”eversore”. È «odio e invidia» (Ansa, 24 giugno) chiedergli conto delle sue condotte pubbliche, del suo stato di salute, di una vita spericolata, delle contraddizioni radicali del suo agire: ha prostitute nel suo letto, ma legifera per punire chi frequenta le prostitute; invoca per sé la privacy ma vuole scrivere le norme della nostra privacy, dalla procreazione al “fine vita”.



È un «progetto eversivo» contro il suo governo e contro il Paese chiedergli di essere trasparente. «Le calunnie contro di me, le veline, le minorenni, Mills (è un testimone che ha corrotto salvandosi da una condanna), i voli di Stato (che utilizza per trasferire amiche, musici, ballerine) , hanno costituito una campagna di scandalo molto negativa all'estero per il nostro paese e credo sia un comportamento colpevole da chi l'ha pensato e organizzato, [credo che sia] un progetto eversivo perché la finalità è quella di costringere a far decadere un presidente del consiglio eletto dagli italiani (...). Se questa non è eversione, ditemi voi cos’è». (Adnkronos, 13 giugno).



La sola soluzione che intravede alla crisi che lo affligge è la riduzione al silenzio o la rovina economica della stampa che non racconta come vere le sue fiabe. «Bisognerebbe non avere dei media che tutti i giorni cantano la canzone del catastrofismo e credo che anche voi [imprenditori] dovreste operare di più in questa direzione. Per esempio: non date pubblicità a chi si comporta così» (Asca, 13 giugno).



Il rosario di incoerenze, menzogne, abusi di potere di Silvio Berlusconi sollecita a rinnovargli alcune domande che possono essere conclusive:

· 1. Quando, signor presidente, ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia? Quante volte ha avuto modo d’incontrarla e dove? Ha frequentato e frequenta altre minorenni?

· 2. Qual è la ragione che l’ha costretta a non dire la verità per due mesi fornendo quattro versioni diverse per la conoscenza di Noemi prima di fare due tardive ammissioni?

· 3. Non trova grave, per la democrazia italiana e per la sua leadership, che lei abbia ricompensato con candidature e promesse di responsabilità politiche le ragazze che la chiamano «papi»?

· 4. Lei si è intrattenuto con una prostituta la notte del 4 novembre 2008 e sono decine le “squillo” che, secondo le indagini della magistratura, sono state condotte nelle sue residenze. Sapeva che fossero prostitute? Se non lo sapeva, è in grado di assicurare che quegli incontri non l’abbiano resa vulnerabile, cioè ricattabile – come le registrazioni di Patrizia D’Addario e le foto di Barbara Montereale dimostrano?

· 5. È capitato che “voli di Stato”, senza la sua presenza a bordo, abbiano condotto nelle sue residenze le ospiti delle sue festicciole?

· 6. Può dirsi certo che le sue frequentazioni non abbiamo compromesso gli affari di Stato? Può rassicurare il Paese e i nostri alleati che nessuna donna, sua ospite, abbia oggi in mano armi di ricatto che ridimensionano la sua autonomia politica, interna e internazionale?

· 7. Le sue condotte sono in contraddizione con le sue politiche: lei oggi potrebbe ancora partecipare al Family Day o firmare una legge che punisce il cliente di una prostituta?

· 8. Lei ritiene di potersi ancora candidare alla presidenza della Repubblica? E, se lo esclude, ritiene che una persona che l’opinione comune considera inadatta al Quirinale, possa adempiere alla funzione di presidente del consiglio?

· 9. Lei ha parlato di un «progetto eversivo» che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?

· 10. Alla luce di quanto è emerso in questi due mesi, quali sono, signor presidente, le sue condizioni di salute?


Giuseppe D’Avanzo La Repubblica del 26 giugno 2009


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