"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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Fotogazzeggiando: Immagini e Racconti

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sabato 14 giugno 2025

"Il Palpito della terra" di Laila Bohnenbergher all'ARVIS di Palermo



Un’operazione complessa, con un progetto ricco di tecnica creativa e che segue un filo logico … sconfinato.
Sono tanti i messaggi inseriti nell’ambito della mostra, con delle allusioni esplicite, coerenti alla sinossi, e tante simbologie rivolte all’osservatore che potrà leggerle liberamente anche nelle provocazioni concettuali.
Iniziamo con riportare la sinossi dell’autrice:
“IL CORPO IN MOVIMENTO ENTRA IN SINTONIA CON IL MOVIMENTO DELLA TERRA.
Immergersi nella materia, ritornare all’essenza, alla pianta: questo è il desiderio dei corpi femminili che fotografo. L’ambiente si imprime su di loro, la pelle è mimetica con gli elementi che la circondano, la Natura diventa un mantello.
A volte i corpi si sentono al sicuro. Si fondono teneramente con l’arredamento. La forza della Natura e la forza femminile sono in armonia. Entrambi in ascolto, il ciclo femminile si lega al ciclo lunare. La pace regna, la fusione è omogenea.
Ma con una tecnica di sovrapposizione mostro anche che questa Natura si ribella. Diventa incontrollabile, invade gli esseri umani, li imprigiona.
Corpi avvolti, la Natura diventa tela o rete. Congela coloro che l’hanno ferita nel tempo.”
Con le opere esposte Laila Bohnenbergher affronta gli aspetti esistenziali destinati a non trovare mai risposte, se non quelle assolute: ovvero che qualunque forma di vita rimane collegata alla relatività del suo “spazio/tempo”.
Da visitatore della mostra, tenendo anche in giusto conto la sinossi dell’artista, sono portato a osservare che la mostra inizia con un vetro spezzato, con inglobata un’immagine nitida di un autoritratto che esce da una penombra. La prima domanda potrebbe già essere: Il “Narciso” cui si allude e che ne viene fuori parla della stessa autrice o è un netto richiamo al visitatore che si accinge a visionare le opere esposte?
Le concettualizzazioni espresse in sinossi sono abbastanza evidenti nelle fotografie, stampate rigidamente in bianco e nero, che rappresentano attimi di frame congelati in dissolvenze incrociate che, nel fondere figure plasticamente compatibili, mettono a frutto le maturate esperienze cinematografiche dell’autrice. Lei sa certamente distinguere l'immagine in entrata rispetto a quella in uscita, ma è normale che le due direzioni potrebbero non coincidere con chi si pone a osservare le opere.
Appare anche una scelta la sottolineatura della Natura collegata principalmente al mondo femminile, che in qualche modo ricorda velatamente la "Pachamama". Figura semplice e radicata nella filosofia delle tribù andine. Simbolo vivente di una cultura che ha venerato la Terra come fonte di vita e protettrice di tutti gli esseri viventi.
Le diverse forme e formule adottate sviluppano tante grammatiche differenti e, in questo, le immagini perfettamente definite, non miscelate qui in sovraesposizioni, sono proposte attraverso l’uso di gelatine sapientemente apposte su basi d’origine rocciosa (calcarea, sedimentaria, etc…) per sviluppare un discorso altro.
Alcune di esse proposte come installazioni, con l’utilizzo di calze da donna, a mio parere, potrebbero costituire il ricorso a stratagemmi idonei a individuare esposizioni d’immagini consolidate; che potrebbero alludere a una galleria di ritratti, volta alla esaltazione della figura femminile e della sua bellezza estetica.
Immagini preservate, quindi, in una simbolica pinacoteca particolare, che si viene a intramezzare fra le fotografie dell’ideale fusione esistenziale tra due mondi intesi come paralleli (vegetale e umano).
Le altre formule artistiche adottate, forse lasciano presupporre la stabilità delle immagini nel ricordo di noi umani, mentre altre ancora avrebbero lo scopo di far contemplare, con l’invito a riflettere: le isolate rocce non protette da calze, che si intervallano anch’esse nella esposizione delle opere e fotografie di visi non meglio definite poste forse come intercalari di una punteggiatura interiore.
In conclusione, non credo che la sinossi scritta da Laila possa ritenersi esaustiva rispetto all’argomento, anzi vuole essere un punto di partenza.
Le singole opere e l’allestimento ben ideato, inducono a molteplici considerazioni, variabili per le esperienze di ognuno.
Sono, infatti, innumerevoli gli spunti e le domande che suscita l'attenta visione della mostra.


Buona luce a tutti!

© Essec

giovedì 12 giugno 2025

Elliott Erwitt anche quando ha fotografato a colori, si è sempre orientato con uno sguardo fotografico in bianco e nero.



Una mostra “splendida” come usa ormai dire anche il mio amico che si è appropriato del temine che uso spesso per esprimere un giudizio d’eccellenza.
Pur conoscendole e già assimilate, anche per averle osservate da tempo, l’impatto con le foto in mostra al Palazzo Reale di Palermo del mitico ERWITT, suscitano quasi la pelle d’oca.
Un allestimento lineare sviluppato secondo percorsi logici e omogenei, associati a un'illuminazione delle opere eccelsa, precipita lo spettatore in un contesto che suscita l'idea di bellezza.
La pulizia delle immagini ne trae un indubbio vantaggio, facendo uscire dalle tante finestre personaggi, storie, come fossero ancora vive e propense ad un potenziale dialogo.
Una considerazione mi è apparsa evidente in sede di postproduzione delle fotografie scattate durante la visita e cioè che Elliott Erwitt anche quando ha fotografato a colori, si è sempre orientato con uno sguardo fotografico in bianco e nero.



Il colore nelle sue foto, comunque, qualora sia stato volutamente scelto, non distrae, anzi costituisce un valore aggiunto finalizzato ad arricchire i dettagli dell’immagine, in relazione al racconto.
Come detto, nella sua semplice razionalità, la mostra ha puntato sulla cura delle disposizioni, amalgamando le immagini con l’ambiente, anche con aggiunta di trovate originali che non disturbano, anzi impreziosiscono, l’insieme.
Delle 150 fotografie in mostra 77 fanno parte di uno slide show proiettato in una saletta adiacente alla sala ove sono esposte le fotografie stampate.
La visione integrale di tutte quante le opere, che riesce a raccontare a pieno l’indubbio talento e la straripante fantasia del personaggio Erwitt, costituisce un quadro d’insieme che consente di capire anche al neofita più distratto, cosa può essere la fotografia nei suoi molteplici aspetti culturali: artistici, documentali, creativi e chi più ne ha più ne metta. Insomma 8,50 euro per l'ingresso alla visita spesi bene!
Una mostra programmata purtroppo in un periodo prettamente estivo, affollata da molti turisti in transito, ma che dovrebbe principalmente coinvolgere i giovani e le classi scolastiche di ogni genere e grado. La chiusura dell’evento è prevista per il 30 novembre prossimo, sono previsti sconti speciali per le scuole. Volendo, quindi, gli insegnanti potrebbero organizzare le imperdibili visite in tempo.

Buona luce a tutti!

© Essec

venerdì 6 giugno 2025

Pont-Raits: Fotografie di Davide Currao



Si può produrre e fare fotografia in tanti modi, la regola costante impone in ogni caso che, qualunque sia l’immagine che si intende proporre la stessa non deve mai essere scontata, schiacciata da regole compositive fisse e che il risultato raggiunto riesca a trasmettere all’osservatore una emozione.
In questo senso le fotografie di Davide Currao in mostra a Palazzo Ziino, sono una dimostrazione pratica di ciò che può bene intendersi dell’abc artistico esprimibile attraverso la combinazione di una macchina fotografica, la fantasia compositiva del fotografo, l’ottimizzazione della scrittura delle luci e, non ultimo, la complicità creativa del soggetto che si pone come modella/o.
Le molteplici immagini di Currao esposte, che rappresentano una selezione fatta per genere e di differenti idee/campagne, offrono una notevole gamma di soluzioni praticabili attraverso un dosato e sapiente uso dello strumentario fotografico.
La pulizia delle opere, oltre a creare un alone di bellezza che attrae quasi in maniera ipnotica, indirizza e accompagna l’osservatore che, girando per la mostra, sembra quasi essere chiamato da ogni personaggio/scena/trovata acutamente congelata in ogni foto.
Paradossalmente si crea la sensazione di subire il richiamo dello stesso autore, che attraverso le sue fotografie, sussurra storie, senza mai alzare il tono di voce e che ciascuno potrà leggere/immaginare al momento; inventandosi il tutto attingendo nel baule delle sue esperienze.
L’idea originaria di scrivere dei pensieri, da mettere volanti e sospese nelle sale, anche per carenza di adesioni, ha trovato valida sostituzione in una serie di post it che i visitatori stanno cominciando a scrivere e ad affiggere sui muri.
Probabilmente il risultato riuscirà a meglio integrare scrittura visiva e pensieri, sempre secondo l’idea in origine prefissata; sicuramente un modo diverso di raccogliere segnali, magari in maniera differente rispetto al classico registro posto all’entrata.
La visita della mostra impone diversi giri del percorso, magari con ritorni utili a verificare quelle che erano state le prime impressioni.
Dire le foto esposte sono molto belle e organizzate in maniera intrigante appare del tutto superfluo.
Neppure l’allestimento, che è un esplicito e partecipato omaggio oltre che riconoscimento postumo all’autore, curato da Luca Lo Iacono e Ezio Ferreri, necessita di ulteriori considerazioni; anzi potrebbero risultare ridondanti rispetto alla sobria efficacia del progetto.
Una cosa è certa ovvero che, a prescindere dalle anticipazioni che erano state date attraverso il sito web che raccoglie tutte le immagini esposte in mostra, vederle di persona è tutt’altra cosa.
L’esposizione verrà mantenuta fino al 26 giugno e chi si occupa di comunicazione artistica, a prescindere della passione per la fotografia, non può esimersi dal vederla.

Buona luce a tutti!

© Essec

sabato 31 maggio 2025

Cura e allestimento di una mostra: "Antologica fotografica di Nino Giaramidaro" fino al 7 giugno alla Galleria FIAF dell'ARVIS di Palermo



Come ho avuto modo di scrivere altre volte, in ogni esposizione artistica almeno il 50% dipende dalla cura nell’allestimento. Questo è anche uno dei motivi che mi inducono, nel visitare un evento, a soffermarmi sull'attenzione che è stata prestata per valorizzare quanto viene esposto.
Con Salvo avevamo da subito impegnato la Galleria Fiaf dell’Arvis per allestire una mostra antologica fotografica di Nino Giaramidaro a un anno dalla sua scomparsa.
Così ci siamo dati da fare per la riuscita dell’operazione prenotando per tempo la Galleria Fiaf di Palermo.
Tranne noi due e l’associazione, per competenza, nessuno era a conoscenza del proposito e solo un paio di mesi prima abbiamo informato la moglie Enza sull’appuntamento fissato per il primo venerdì utile dopo la ricorrenza, che è corrisposto al 30 maggio.
Acquisita una selezione delle immagini da utilizzare, con Gregorio si è concordato un allestimento che riuscisse a raccontare, in sintesi, il Nino Giaramidaro fotografo, incentrato, principalmente sul suo reportage più importante, che lo ha consacrato anche come giornalista, riguardante il terremoto del Bèlice.
Riuscire a inserire negli spazi disponibili le tante fotografie scelte non è stata certo una passeggiata, ma un progetto di allestimento largamente pensato prima, senza interferenze e in piena autonomia, ci ha facilitato i compiti.
L’esperienza accumulata fra noi e la disponibilità nel prendere decisioni e, nel caso, variare velocemente talune disposizioni hanno reso così possibile addivenire sempre a rapide soluzioni.
Con Salvo e Gregorio del resto si è consolidata un’intesa super collaudata, anche nel mandarci allegramente a quel paese con un sorriso, se del caso, ma sempre con affetto e senza che sia scalfita la stima reciproca.
A tutti e tre piace pure impegnarsi in imprese culturali che riteniamo valide, anche se talvolta queste appaiono di non facile soluzione.
Sono gli aspetti che più ci divertono durante un allestimento e nei quali riponiano la presunzione di lasciare in qualche modo il segno.
Quello che nel tempo abbiamo fino ad ora realizzato è sempre stato improntato a ricercare sempre una fuga dal banale. Trovando soluzioni sempre innovative nel proporre allestimenti nuovi e soluzioni oltre che originali anche, a nostro modo di vedere, moderne.
Nella cura di quest’ultima mostra, stante la mole d’immagini rispetto alle pareti disponibili nelle due stanze e a cui necessariamente si doveva dare spazio, trattandosi di un’antologica, si è cercato di confezionare l’abito scuro che risultasse più adatto per riuscire ad alleggerire le abbondanti forme.
Chi avrà modo di vedere la mostra antologica di Nino Giaramidaro, che sarà inaugurata oggi e permarrà alla Galleria Fiaf dell’Arvis di Palermo fino al prossimo 7 giugno, avrà modo di valutare di persona e a proprio gusto quelle che sono state le scelte e i risultati.

Buona luce a tutti!

© Essec

P.S. Su You Tube lo slide show delle foto del terremoto del Bèlice esposte nella mostra allestita alla Libreria del Mare di Palermo.

giovedì 15 maggio 2025

Davide Currao & Antonio Gregorio Maria "Fester" Nuccio ..... e di certe coincidenze che spesso accadono



Stamani m’arriva un msg da Irene, redattrice Fiaf e fotografa, incontrata nel mondo virtuale dei social.
Il messaggio è un invito a partecipare a una originale iniziativa di un certo Luca, come me palermitano, che ha avuto l’idea di ricordare in modo originale un talentuoso fotografo prematuramente scomparso. L’idea è quella di raccogliere una serie di pensieri e considerazioni sul personaggio (per chi l’avesse conosciuto) o più in generale suscitate dalla visione delle fotografie.
Poiché l’invito è molto attuale ed è finalizzato a raccogliere il maggior numero di adesioni, riporto di seguito il testo integrale del messaggio ricevuto.

“Ciao, mi chiamo Luca e se stai leggendo questo messaggio è perché quasi sicuramente abbiamo delle amicizie in comune.
Ti spiego rapidamente: sto organizzando la prima mostra personale per un amico che non c'è più.
Davide è scomparso poco meno di un anno fa all'età di 45 anni e sulla terra è stato un bravissimo ritrattista fotografo. La mostra non avrà nessun testo critico, perché preferisco affidare la sua curatela alla 'stanza delle farfalle', uno spazio all'interno della mostra, da riempire interamente, pareti e soffitto, con commenti, valutazioni critiche, suggestioni e pensieri di chi, come te, avrebbe potuto incontrare Davide in vita e con lui avrebbe potuto interagire sia artisticamente che professionalmente.
La 'stanza delle farfalle', (la chiamo così semplicemente per renderti l'idea, infatti mi piacerebbe che i biglietti venissero piegati in due ed attaccati sulla piega come farfalle messaggere arrivate da lontano) in realtà sarà uno spazio di conforto senza un nome preciso, uno spazio carico di parole scritte da chi per mestiere e sensibilità ha gli strumenti per leggere la fotografia e riconoscerne il valore.
Uno spazio di leggerezza ed energia positiva per la famiglia e per gli amici di Davide.
Fargli percepire quanto le immagini che Davide ha lasciato siano apprezzate da chi non lo ha conosciuto in vita ma che ha avuto modo di incontrarlo solo attraverso il suo lavoro, può avere un valore lenitivo, persino curativo, ad ogni modo la migliore 'cura' che la mostra possa avere.
Se ti è possibile, dammi una mano a realizzare questa presentazione critica a più voci.
Se sei un fotografo o una fotografa, Davide è stato un tuo collega, guarda il suo lavoro e per favore inviami un commento.
Fai lo stesso se, al maschile o al femminile, sei un artista, un critico, un attore, uno scrittore, un regista o un musicista.
Che tu sia più o meno famosa o famoso, avresti potuto incrociare Davide su un set fotografico e con buona probabilità sarebbe potuto essere l'autore di uno dei tuoi ritratti più riusciti di sempre. Come fare?
Semplicissimo, dai un'occhiata all'anteprima della mostra 'Pont-raits' su https://pont-raits.jimdosite.com/ scrivi su un biglietto, possibilmente a stampatello, qualsiasi idea, emozione, pensiero critico o valutazione che le immagini di Davide ti suggeriscono.
Possibilmente scrivi anche chi sei, scatta una foto al biglietto ed inviala via whatsapp al numero
+39 347 9414047 o via email a mail@lucaloiacono.com
Se non hai tempo per scrivere a mano il tuo biglietto, manda semplicemente il tuo pensiero, lo trascriverò io per te.
Ci vorranno tantissimi biglietti per potere realizzare questo spazio.
Se puoi quindi, condividi questo messaggio con i tuoi amici, i tuoi colleghi, con chiunque possa offrire il proprio prezioso contributo alla realizzazione del progetto. Grazie mille!
Se poi lo vorrai, la mostra si inaugurerà a Palermo il prossimo 5 giugno alle 16.30 a Palazzo Ziino in via Dante 53.
Insieme a tantissime altre persone, sarò lì ad aspettarti. Luca Lo Iacono”

Il msg che ho ricevuto lo trovo paradossalmente abbastanza usuale, per il semplice fatto che mi ripropone ancora una volta la stranezza di certe coincidenze (Un certo "dadismo esistenziale", rubando una delle tante considerazioni focalizzate dall'amico PiP).
La visione delle foto di Davide Currao si collega alle fotografie dei quadri di Antonio Gregorio Maria “Fester” Nuccio, esposte presso la Galleria “Intern65” di Palermo, che costituiscono la mostra “Paradisi Proibiti”, curata da Laura Francesca Di Trapani e che invito a visitare. Fotografie che avevo scattato il giorno prima.
Le fotografie di Davide e i quadri iper allegorici di Antonio, a parer mio, scorrono lungo un filo parallelo fatto di giosità, satira e ironia sottile.
Le immagini si accomunano in un che di “burlesque”, che vuole raccontare storie e personaggi attraverso una lente che confonde e mescola giocoso e grottesco.
Un modo per ridimensionare personaggi e accadimenti che costituiscono l’aneddotica di ciascuno. Lo slide show della mostra "Paradisi Perduti" di Antonio "Fester" Nuccio è possibile vederla su You Tube. You Tube

L’invito di Luca potrebbe essere accolto da tanti appassionati d’arte, a prescindere dal genere, quindi, fate voi.

Buona luce a tutti!

© Essec

lunedì 12 maggio 2025

"Viale del tramonto" ... Quello che mi rimane dopo aver visitato un progetto fotografico di Marco Bennici



Nella vita non esiste una formula magica … tutto è costituito da un insieme di variabili ed è frutto d'imprevedibili combinazioni d’elementi. In fondo in fondo, in conclusione, forse è semplicemente la sintesi di un gran casino.
Il recente suicidio del latitante omicida che ha deciso di buttarsi giù dalle terrazze del Duomo di Milano è certo l'ultimo gesto disperato di chi si ritrova psicologicamente chiuso in un vicolo cieco e non vede altre soluzioni. Un’azione che merita, in ogni caso, solo compassione senza aggiungere ulteriori commenti. 
Pazzie e raziocinio rappresentano sempre le punte d'iceberg d'emozioni sommerse.
Si dice che ogni individuo è un universo e pure che ogni esistenza si muove secondo logiche complesse, indipendenti, che non necessariamente seguono percorsi sempre normali.
Del resto la stessa nascita è casuale: deriva da quell’unico spermatozoo che è riuscito a fecondare la cellula uovo, nell’ambito di un accadimento sicuramente contestualizzabile e che incide nel modellare destini. In alcuni casi l'accoppiamento è frutto di un amore certo, ma non sempre è così (PMA compresa).
Habitat del mondo differenti accolgono e condizionano fin da subito i destini dei singoli nati ma, come risaputo, non ci sono regole standardizzate o formule universali per il raggiungimento di un futuro felice e che dia certezze.
Si può nascere sani o con handicap purtroppo, in famiglie povere o ricche. Si può crescere in culture patriarcali, matriarcali, in contesti sociali democratici o in regimi soggetti a dittature.
Puoi frequentare scuole e acculturarti secondo ideologie illuminate, ciniche o nichiliste.
Puoi maturare un carattere socievole da filantropo o asociale da misantropo, seguendo le tracce genetiche del DNA naturale che ci caratterizza.
Puoi comunque conseguire traguardi di emancipazione o restare impantanati nell’ambito di vissuti aridi, dove l’unico obiettivo è costituito dall’istinto di conservazione e della sopravvivenza.
Ogni individuo potrebbe raccontare di sé e pure di storie d’altri, tutte caratterizzate da sommatorie di eventi che hanno pure coinvolto miriadi di personaggi.
Combinazioni e tempi diversi, indipendenti, di esperienze e incontri, dove caso, destino e determinazione prescindono quasi sempre dagli stessi protagonisti.
C’è chi la chiama fortuna, ma forse è il fatalismo l’elemento principe che governa ogni storia, le tante avventure, le singole esistenze.
In tutto questo le religioni restano fantastiche invenzioni umane, atte a illudere con le loro eterne utopie.
Di contro il fanatismo costituisce uno dei pericoli maggiori, imputabili all’indole e al convincimento pseudo intelligente implicito alla natura dell’essere uomo.
Letteratura, musica e ogni genere di creatività artistica sono i nostri salvagente, che ci consentono di veicolare sentimenti e di continuare a sviluppare idee.
Sono gli oppiacei positivi che ci aiutano nel corso dell’esistenza e ci permettono di sviluppare conoscenze, spingendoci anche a vivere avventure diverse.
Tanti sono quindi i percorsi che conducono all’unica meta comune e certa della morte.
Chi avrà tenacia, pazienza e la fortuna della salute potrà godere del regalo d’essere sopravvissuto con ogni giorno; indipendentemente dal solco che, per necessità o scelta, si è trovato a seguire.
Forse i messaggi più importanti lasciati dal saggio Bergoglio sono stati la domanda e la risposta che ha posto a sé stesso riguardo al genere: “ma chi sono io per poter giudicare”. Domanda e risposta laiche, che hanno lasciato ognuno libero di pensarla come vuole; avendo quale unico vincolo imprescindibile il rispetto degli altri.
Non so quanto possa risultare consono questo ampio panegirico che, in qualche modo, vorrebbe costituire preambolo per le osservazioni al collage fotografico posto a monte di questo articolo, testimonianza di aspetti di un'esistenza.
L’insieme degli scatti realizzati da Marco Bennici, fotografo, costituiscono un’emblematica sintesi della storia di un modo di vivere e forse un aspetto del concetto stesso d’esistenza.
Nello specifico Bennici, illustrando la raccolta fotografica intitolata "Dal Tempo", a citare una poesia del cantautore Pino Mango (cantante/poeta calabrese), mi spiega che ritraggono un’attrice americana ultra ottantenne, che ha acconsentito ad essere fotografata senza veli, per testimoniare col suo corpo quello che in cuor suo vuol continuare ad essere. Forse credersi detentrice e far credere agli altri di poter inseguire e riuscire a raggiungere l'eterna giovinezza. A prescindere dall'estetica di rughe, flaccidità e vasta decadenza evidente.
Nel prestarsi ad essere fotografata avrebbe solo chiesto a Bennici di farla bella!
Fin da subito la visione delle immagini, forti e incisive, realizzate e apientemente composte da Marco Bennici in un unico puzzle, porta a ricordare la conclusione del film di Billy Wilder degli anni cinquanta, “Viale del tramonto”, dove Gloria Swanson, una grande attrice e celebre star del muto, nella scena finale recitava una sorta di parodia cupa di sé stessa, forte di una grande espressività e una bravura quasi “magnetica”.
Un film che, rivisto oggi, suscita ancora nell’osservatore la pelle d’oca. Appunto, la stessa sensazione che ho avuto anch’io, fin da subito, nell’ammirare quella raccolta d'immagini rigorosamente stampate in bianco e nero.
Il titolo dell’insieme fotografico avrebbe potuto essere, quindi, anche qui lo stesso dato al film di Wilder.
Al fotografo Bennici vanno i miei complimenti per aver realizzato con efficia una non facile impresa.

Buona luce a tutti!

© Essec

giovedì 8 maggio 2025

"Io Sbirro a Palermo" di Maurizio Ortolan



Come mi capita sempre più di frequente, questo è l’ennesimo libro che ho incontrato per caso e che consiglio vivamente a tutti di leggere. In special modo ai siciliani.
Tra quanto ho avuto opportunità di consultare in materia, “Io sbirro a Palermo”, scritto da Maurizio Ortolan” (Editore Melampo, 2018), l’ho trovato non solo interessante, molto utile ma, oserei dire anche, un libro esemplare.
Con una scrittura efficace, sobria e scorrevole l’ex Vice ispettore, senza mai perdersi in panegirici, viene a raccontare un ampio tratto del suo vissuto, dedicato a importanti compiti istituzionali favoleggiati da tanti. Relazionando con coinvolgente realismo su momenti che lo hanno visto protagonista diretto nei ranghi dell’attività di polizia investigativa impegnata nella lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso.
Quanto raccontato da Ortolan, se fosse stato redatto da uno scrittore di professione, potrebbe quasi venire a costituire una stesura di vicende romanzate.
Le sue sono invece le narrazioni di esperienze vissute in prima persona nello svolgendo dei vari incarichi lavorativi, infine culminati nella partecipazione alla cattura del latitante capomafia corleonese Bernardo Provenzano.
La naturalezza descrittiva delle vicende e dei personaggi non si accompagna a nessuna particolare enfasi. Neanche nel descrivere i personaggi che ha incontrato e con i quali ha collaborato; comprese le mitizzate figure di Falcone e Borsellino, descritte mettendone a fuoco i caratteri, nell’ambito dell’umanità che ha personalmente colto.
Per quanto mi riguarda, molte pagine mi hanno rivelato, peraltro, i risvolti dell’attività dei comparti speciali che, per un breve periodo, sono stati vicini anche a miei incarichi di collaborazione con l’A.G..
Nel leggere i suoi racconti, rivedo quell’entusiasmo e quella partecipazione attiva dei soggetti che ho pure io conosciuto nel mio piccolo, che si sono sempre palesati per impegno non comune nello svolgimento delle loro indagini coordinate dai magistrati di riferimento.
Le circa duecento pagine scorrono in una lettura leggera e avvincente che, però, inducono a riflettere, perché includono anche questioni che riguardano aspetti della vita comune di ogni individuo.
Fra le tante considerazioni dell’autore mi hanno pure colpito due periodi che non possono non essere condivise pienamente.
Il primo evidenzia che “fare carriera partendo dal basso comporta più tempo, ma impari a fare di tutto, a capire meglio le difficoltà di un lavoro e i problemi di chi lo deve svolgere, sei in grado di spiegare come si fa e come vuoi che venga fatto, e poi la strada maestra per imparare a comandare è iniziare obbedendo”.
Il secondo, che mette in evidenza l’umiltà che accompagna spesso personalità robuste che danno sicurezza e certezze a noi cittadini comuni: “Vengo definito un analista, mentre sono un semplice poliziotto, un generico, ma di quelli che preferiscono la ragionevolezza e i fatti alle ipotesi illustrate con compiacimento, ma senza uno straccio di pezza d’appoggio”.

Buona luce a tutti!

© Essec

lunedì 5 maggio 2025

Dovrai lottare!



Occorre saper attendere, perchè ci vuole sempre del tempo affinchè pervengano riscontri su quanto si viene a proporre con la scrittura o altro.
È necessario però avere l'accortezza di distinguere i giudizi, collegandoli ai soggetti che ritengono di esprimersi - a proprio modo - e, quindi, talvolta anche i silenzi possono avere un significato.
In questa chiave, pertanto, una recensione efficace spesso non necessita di tante parole … ne sono anche sufficienti poche ma appropriate, specie se s'integrano con una giusta enfasi.
Di seguito si propone il sintetico testo ricevuto ieri e trasmessomi per un confronto da Francesco Salvio a commento del libro “Banche d’Italia” …

“Come la pianta carnivora attira, attraverso profumi irresistibili le formiche, fino al bordo della sacca che poi diventa scivolosa e ti fa cadere al suo interno da dove non ne uscirai più…
Così l’aspettativa di carriere, il prestigio, potere e denaro, si propongono in queste strutture.
Poi arrivi ad un punto dove non riuscirai a tornare indietro e tu non sarai più quello che eri…
Dovrai lottare!”

A chi legge, collegando nel caso il messaggio a proprie esperienze lavorative, rimane demandata ogni considerazione.

Buona luce a tutti!

© Essec

venerdì 2 maggio 2025

Recensione inattesa .... ricevuta da Celestino Quinto per "Pesi e Contrappesi"



Nell’incontrare lungo l’esistenza variegati soggetti a noi simili l’umanità concede spesso delle sorprese.
Sono le opportunità che consentono di scoprire il “lato oscuro della luna” (se di altri o di sé stessi, poco importa) che quasi naturalmente siamo portati a non vedere; che ci nascondono aspetti sconosciuti, sgradevoli o piacevoli a secondo i casi o dei momenti.
Talvolta ciò succede anche nel leggere libri, specie se di contenuti letterari che rappresentano veri e propri messaggi in bottiglia, che alcune volte autori amano indirizzare al mondo che li circonda, con chiavi di lettura, spunti d’interesse, punti di vista, velleità o recondite aspirazioni.
L’amico Celestino oggi mi ha voluto rendere partecipe delle considerazioni che ha ricevuto da una sua conoscente che ha appena terminato di leggere il suo libro “Pesi e contrappesi”.

Il testo della missiva riporta: “ieri sfogliavo un libro fotografico multimediale fatto da un amico e, mentre leggevo la prefazione su una frase trovo il commento... questa non è mia è copiata... l'importante come diceva Picasso è copiare bene. Poi aggiungeva che è sempre stata sua abitudine appuntarsi le frasi che lo colpivano al fine di un successivo riutilizzo.
E così mi sono ritrovata nel tuo libro dove parli dell'eredità delle frasi fatte lasciare nel cassetto da chi se n'è andato... quando l'avevo letta non ci avevo dato molto peso, ma sentire ieri la stessa cosa detta dall’amico mi ha lasciata stupita di questa prassi; a questo punto, comune di una certa generazione. O forse sono io che l'ho associata ad una generazione e, come sempre, causa la mia ingenuità, non mi accorgo che anche chi è intorno a me ha fatto e fa spesso la stessa cosa.
Ne approfitto per dirti che il tuo libro nel suo complesso mi è piaciuto, forse più per il fatto che tra le righe, e non nemmeno tanto nascosto, ha fatto uscire un Celestino (o chi per lui) che non avrei immaginato... dedito al lavoro, giusto, perseverante, analitico e puntiglioso nonché indomito.
Traspare poco, invece, della sofferenza vissuta sin dall'origine degli eventi; mi riferisco a ciò che ti ha spinto alla decisione estrema e a tutto ciò che ne è conseguito.
Nelle conclusioni Ario lascia trasparire la delusione e la conseguente sua resa, ma non parla del suo stato d'animo... arriva? A me è arrivato o forse ho solo trasferito su di lui quello che stavo/sto vivendo in questo periodo... se lo avessi letto un mese fa non ti so dire cosa mi sarebbe arrivato.
Di fatto, tutta la sofferenza vissuta me l'hai poi riassunta in cinque parole al telefono.
Ciò premesso so che lo scopo per cui hai scritto il libro era quello di condividere l'ennesima storia della lotta tra Davide e Golia e allora ecco cosa penso...
Mi è piaciuta molto l'alternanza tra cronaca e dissertazioni; queste ultime, dalla narrazione molto scorrevole e di facile lettura, alleggeriscono le parti di cronaca che spesso risultano ostiche, specie per i non "addetti" al lavoro, che rischiano di perdersi ed a cui è richiesta quindi più fatica per comprendere.
Molto utile allo scopo la schematizzazione fatta da Omero dell'intera vicenda.... e, proprio mentre pensavo mi sto perdendo, è lui a farmi il riepilogo.
Un po' meno, a mio avviso, l'aiuto dato dal "riepilogo per riordinare le idee", che richiede una lettura molto attenta in quanto pieno di contenuti tecnici.
La Conclusione è più nelle mie corde, in quanto la cronaca lascia spazio, a mio avviso, al contenuto umanistico; inoltre trovo molte affinità con Ario, sarà per questo che mi è piaciuto.
P.S. ... In alcuni casi ho dovuto utilizzare il dizionario... in quanto hai usato termini che non avevo mai sentito e non solo nelle parti tecniche e li la mia ignoranza ha ringraziato.”

Sono molto contento di aver ricevuto da Celestino questa inattesa lettera pervenutagli dalla sua lettrice.
Il contenuto della recensione, a mio parere e forse anche per coloro che hanno letto “Pesi e contrappesi”, schematizza e sostanzialmente centra i punti sottostanti all’intero progetto che, peraltro, ho avuto modo di conoscere fin dagli inizi. Pensato per cercare di raccontare vicissitudini complesse e congestionate, sicuramente difficili da rappresentare, calmierate con accortezza per poterle rendere piane e comprensibili anche ad altri.
Con il costrutto strutturale scelto, ovvero quello di alternare il filone narrativo principale, quasi un memoriale, con delle piccole “dissertazioni”, per lo più costituite da aneddoti o ispirate a fatti realmente accaduti, sapevo che Celestino intendeva proprio creare delle opportune pause per inventare oasi d'ossigenazione (letteraria), rispetto alle più impegnative apnee; spesso comportanti usi di terminologie specialistiche, ricorrenti a tecnicismi espositivi poco comuni.

Buona luce a tutti!

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martedì 29 aprile 2025

“Punti di Vista” ... di SID

Come ho già avuto modo di ricordare, il mitico Antonio Billeci, durante un ricevimento di professori, nel descrivermi dal punto di vista scolastico ebbe a dire di me .... “in una classe di ciechi lui ci vede con un occhio solo”. Per me, anche per la stima nei confronti di quel mio “professore filosofo” (amante appunto di filosofia e che insegnava ragioneria), quello rimase e rimane ancora uno dei maggiori complimenti ricevuti nella mia vita.
In questi giorni mi sono accompagnato con l’amico SID nel popolare quartiere Capo di Palermo, poiché aveva programmato la realizzazione di un murales su una parete fatiscente che qualche giorno prima gli si rivelò vagando per i luoghi.
Gli artisti hanno il privilegio di osservare la realtà attraverso dei filtri per loro naturali che aggiungono e sottraggono alle loro personali visioni.
Mi ricordava momenti creativi che mi capitavano da ragazzo, nel realizzare disegni mai programmati prima, che discendevano da elaborazioni successive di linee e rette precedentemente accennate e tracciate senza alcun raziocinio.
Attraverso letture successive – che fotograficamente potremmo pure assimilare alla stregua della postproduzione – le tracce abbozzate costituivano di per sé degli elementi idonei ad ispirare figure, contesti, ambienti che a posteriori necessitavano solo di essere definiti.
Si trattava quasi di un gioco che, con elaborazioni spontanee, generavano forme frutto di diletto, anche per una creatività’ grafica che era in continuo divenire.
Tornando a SID e al suo progetto, dalla fotografia del muro aveva poi definito un bozzetto dell’opera che si era proposto di realizzare. L’arte, però, ha la peculiarità di rimanere mutevole, pure in fase realizzativa.
Soffermandosi ad osservare il muro SID, già tracciando le prime linee di contorno della figura, mi rendeva partecipe di una sorta di visione suggestiva che intanto ci accomunava.
Le macchie di colore, gli scrostamenti, le tante linee e le variegate tonalità delle tinte presenti e frutto d’intemperie tendevano a uscir fuori, a mettersi di per sé in evidenza, come fossero dei disegni sedimentati, preesistenti, dormienti.
Succedeva, in sostanza, che l’opera da realizzare era già presente sul muro e che a SID era quasi solo demandato il compito di farla uscire fuori dal letargo.
Si trattava insomma di un appuntamento inconscio, tra l’artista e la sua opera, che si era già palesata alcuni giorni prima, con la scoperta del muro.
Man mano che il pennello, la vernice nera e la scala di grigi tirava fuori l’immagine, si capiva perfettamente che la figura veniva quasi fuori da sola.
Capitava perfettamente la stessa cosa che accade in camera oscura. Quando, dopo aver impressionato la carta, viene ad emergere l’immagine nella bacinella di sviluppo. Compito del fotografo, che ha già catturato in pellicola la sua luce, nella successiva sua veste di stampatore (almeno nel ruolo classico di una volta) rimane quello di governare l’effetto reattivo del “Rodinal” e bloccarlo con il liquido di fissaggio nel momento opportuno.
Bastarono non più di un paio d’ore perché l’opera di SID fosse completata.
A commento del suo time-lapse pubblicato su FB l’autore ha scritto: “Quando un muro si esprime da solo, i colori e le imperfezioni diventano già arte. Il mio compito è cercare di coprire il meno possibile la parete e interagire con essa”.
La figura era venuta fuori senza resistenze e con il messaggio che si accostava molto alla massima a me cara e proferita dal professor Billeci.
Mi fu pertanto naturale suggerire a SID il titolo che poteva essere attribuibile al suo bellissimo murale: “Punti di vista” e che con mio piacere ha raccolto.
Un breve slide show pubblicato su You Tube, musicata con parte di un brano del 2006 dello stesso SID, evidenzia l'evoluzione creativa dell'opera.

Buona luce a tutti!

© Essec

mercoledì 16 aprile 2025

Il talento e il ballo



La prima volta che ho ascoltato Elisa è stata durante una trasmissione su RAI 3, in un programma in cui Caterina Caselli si proponeva come talent scout.
Elisa a quel tempo non era ancora maggiorenne, ma già mostrava pienamente il suo talento; cantava le sue canzoni in inglese e, pur non comprendendo le parole, le sue interpretazioni andavano oltre.
Fortunatamente nella musica sono in tanti i talenti creativi che riescono a introdurre in ambiti sospesi, attraverso melodie che costituiscono sintesi di sensazioni, sentimenti, che riescono, come detto ad andare oltre, a penetrare l’anima.
Da Battiato a Paoli, da De Gregori a De Andrè, da Dalla a Guccini, per non parlare del combinato Mogol/Battisti, sono già moltissimi gli esempi italiani di cantautori con caratteristiche simili ad Elisa e i citati sono alcune delle vette di iceberg comparabili al riguardo.
Così come nelle generazioni si sono succedute diversificate genialità palesatesi eccelse in vari campi, ogni forma artistica ha visto un turbinio di soggetti che hanno avuto occasione di manifestare il loro talento, lasciandone tracce.
Con i quattro termini “m’illumino d’immenso” Ungaretti ha lasciato un messaggio d’intensità che non presenta confini. John Lennon, dal canto suo, con la sua straordinaria melodia di “imagine” ha musicato una poesia utopica sull’obiettivo supremo dell’esistenza umana.
Se provassimo a pensare a quante generazioni si sono succedute nelle sequenze esistenziali, ovviamente relazionandole ai loro tempi, emergerebbe una folla di geni (manifesti, riconosciuti, compresi, incompresi) che hanno saputo illuminare l’avventura umana. Con tutti i possibili pregi e difetti derivati o ad essi collegati.
Anche in un campo artistico relativamente giovane, quale quello costituito dalla fotografia, sono moltissimi gli esempi di coloro che, ottimizzando l’utilizzo del mezzo disponibile per lo scopo, sono riusciti a illustrare e a raccontare fissando, su una pellicola sensibile prima o su pixel adesso, la luce.
Ciascuno di noi, assecondando i gusti, la sensibilità e il proprio bagaglio culturale, sarà facilmente in grado di crearsi una scala di valori, distinguendo tra i vari autori; ma è sufficiente accedere ad internet per constatare quante centinaia di migliaia di personaggi e relativi scatti vengono proposti. Questo interrogando con la sola parola fotografie o fotografi.
Si vedrà anche qui un crescendo temporale legato alla democratizzazione del fenomeno, prima prerogativa quasi esclusiva per pochi agiati, anche per la non indifferente incidenza dei costi da dover sostenere, e oggi accessibile a tutti tramite l’utilizzo di un semplice cellulare, alla portata di tutti.
Al riguardo sbaglia chi denuncia e lamenta un’eccessiva produzione o enfatizza utilizzi a mo’ di giocattolo (selfie) dello strumento. Le quantità pur producendo per lo più tanta spazzatura non impedisce, infatti, l’emergere di talenti.
È pur vero che anche l’indole mercantile presente in ogni essere umano contribuisce ad inquinare qualità. Per lo più attraverso l’attività di critici e galleristi che pilotano tendenze e mode per evidenti tornaconti economici o aspettative di glorie, ma questo rappresenta un altro capitolo e costituisce un’altra storia.
Dopo questa lunga premessa veniamo però al dunque di questo articolo, ovvero accingiamoci a concentrarci su un determinato scatto e a disquisire sui tanti aspetti della fotografia prodotta.
L’immagine che in questo caso si viene a proporre è una foto in bianco e nero che, nella sua semplicità compositiva, può ben rappresentare una sintesi estrema di simboli e concetti,
Il ballo che ne è ritratto rappresenta quello di una coppia, ma potrebbe pure riferirsi ad uno degli incontri che il lui o il lei (e comunque importa poco il genere) viene a intrattenere con i propri simili in ogni attimo dell’esistenza.
Le figure, volutamente mosse e forse un po’ sfocate, vogliono rappresentare il fluttuare o il turbinio (scelga autonomamente l’osservatore) del suo rapporto con gli altri.
Paradossalmente si potrebbe intendere anche come un ballare da soli, pur ritrovandosi con tanti soggetti immersi in una affollata sala.
In ogni caso chi ha la fortuna di nascere e vivere l’avventura della vita si troverà a dover ballare nei meandri più nascosti d’ambienti che andranno a costituire il proprio mondo. Dopo il primo vagito, si cerca di capire e di adattarsi a ogni possibile ballo.
Nell’immagine, il bianco e nero scelto dall’autore per il suo racconto introduce anche alla nebulosa atmosfera dell’onirico, mescolando il reale con fantasie e ricordi.
La musica, che non è ovviamente udibile, in verità c’è; sottintesa e ciascuno potrà sentire il suo brano.
Conseguenzialmente individuare il ritmo del ballo, convenzionale, codificato o legato a una estemporaneità coreografica del momento che rimane pure esso interpretabile, secondo l’umore e la predisposizione del momento.
La fotografia che è stata scelta come esempio potrà anche essere intesa e, quindi, essere letta in vari modi. Come un auspicio o come documento che racconti il momento di un vissuto. Altresì come un’attesa o un desiderio agognato insito al momento creativo dell’autore. In ultimo anche come un epitaffio rappresentativo di un’intera esistenza.
In qualsiasi di questi casi i colori non occorrono per enfatizzare l’idea, per il semplice fatto che ogni scelta resta personalizzata ed ognuno sarà in grado di selezionare i propri; non trascurando che anche il bianco e nero presentano delle gradazioni interne, fatte d’infiniti grigi che, comunque, rientrano anch’essi nella gamma intera dei miliardi di colori possibili.

Buona luce a tutti!

© Essec

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P.S. Come mi capita spesso l'amico P. soffermandosi sulla fotografia suggerisce .... "Il bianco e nero esalta il contrasto tra l’anonimato della città e il calore dell’abbraccio: è un tango di strada rubato al cemento e alla frenesia urbana?" .... Una considerazione aggiuntiva anche questa appropriata!

mercoledì 9 aprile 2025

Marzia Rizzo, in arte Zazie



L’instancabile Arturo Safina questa volta ha organizzato un incontro streaming che ha consentito, ai soci di Colori di Sicilia e a me come ospite, di conoscere il pensiero e le variegate produzioni di Marzia Rizzo, in arte Zazie.
Durante l’interessantissima serata, che ha pure visto interventi, considerazioni e quesiti appropriati dei partecipanti, abbiamo avuto modo di conoscere l’ampio raggio produttivo della fotografa milanese, facendo emergere innumerevoli spunti, utili a comprendere quanti possibili motivazioni possono indurre all'approccio dei tanti appassionati nelle sfaccettate forme di fotografia.
Più volte la Rizzo ha sottolineato come per lei la fotografia rappresenti un mezzo, un’occasione, quasi un pretesto per allargare le sue conoscenze e procurare occasioni di confronto. Poiché gli incontri, specie quelli rivolti alla ritrattistica o alla street, presuppongono approcci finalizzati ad apprendere, nell'ascoltare storie, nell'essere disposti ad acquisire visioni altrui, alla ricerca di possibili empatie.
Conoscevo Marzia per le sue innumerevoli iniziative intraprese in tempo di Covid, dove veniva a proporsi come conduttrice di incontri con fotografi - o addetti ai lavori del settore – più o meno conosciuti.
In una veste, quindi, d'intrattenitrice per lo più impegnata a valorizzare e a far conoscere lo spirito degli artisti e personaggi coinvolti.
Un’attività, quindi generosa, cioè non volta a mettere sé stessa in un piedistallo, per mostrare attività e produzioni personali, bensì rivolta a far conoscere e valorizzare quelli che fungevano da ospiti.
In breve tempo, i suoi incontri riscossero successo, talvolta pure fidelizzando, e costituirono una serie d’interessanti appuntamenti che periodicamente permisero a tanti di poter evadere dalla potenziale paranoia causata dalla pandemia.
Tornando alla serata d’ieri, Zazie questa volta è stata chiamata a porre al centro dell'attenzione la sua figura, i suoi progetti, le sue fotografie, la sua filosofia artistica, i fondamentali che da sempre l’hanno spinta a questa attività, non escluso il suo impegno didattico.
Con grande mia sorpresa, sono venute fuori tante Marzie, differenziate dalle diverse epoche temporali, dalle occasioni, dagli stimoli, dalle esperienze. Tutto quanto - e sempre - con un comune denominatore: in ogni rapporto, ovvero il desiderio perenne di sperimentare, senza paura di rimettersi ogni volta in gioco.
Ne è scaturito che la sua attività di fotografa è sempre stata e continua a essere varia, mutevole; calamitata da voglia e curiosità di conoscere il nuovo; senza mai adagiarsi a quelle potenziali formule di successo che spesso ingessano tanti artisti (con l'illusione d'essere arrivati) e che tendono a mutare irrimediabilmente la passione in mestiere, fatto di semplici routine artigianali spacciate come "pseudo novità creative".
Quanto postato su Instagram, oltre che nel suo sito web, costituiscono validi esempi di tutto quanto Zazie ha voluto trasmettere durante la serata.
In alcuni momenti adattata agli sviluppi che si venivano a prospettare in base a quanto detto, da lei o dagli spettatori presenti all’incontro. Tutto quanto raccordato dalla sapiente cucitura dell’amico Arturo.
In conclusione posso affermare che l’incontro è stato un’occasione utile per tutti i presenti.
Le articolate discussioni e i tanti lavori definiti o work in progress, nel loro insieme infatti, hanno consentito di andare a focalizzare l’aspetto artistico-sociale che - anche a nostra insaputa – avvolge il mondo della fotografia.
Roba non di poco conto direi.

Buona luce a tutti!

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lunedì 7 aprile 2025

L’orologio alla parete segna le 10,10 ma non si capisce se sono a.m. o p.m.



Sono stato più volte invitato a soffermarmi su una fotografia e disquisire su di essa, utilizzando l’approccio con il quale normalmente mi accosto alle cose e che più mi risulta spontaneo.
Nel libero vagare, con la leggera filosofia del cazzeggio, mi piace affrontare e analizzare quasi esclusivamente ciò che m‘intriga, m’impressiona.
Messaggi che appaiono evidenti, impliciti ed espliciti, quindi più o meno nascosti, che ciascuno osservatore vuole vedere, anche attraverso personali filtri creati da esperienze, o solo frutto di fantasie, o dei retaggi di tabù o persistenti tare e insopprimibili fissazioni.
Da tenere conto, in questa operazione, che non tutti sono però disponibili a esporsi pubblicamente, forse anche per dei limiti nel cercare di manifestare pienamente il proprio pensiero o per la difficoltà di venire a parlare di cose e aspetti di cui si continua ad avere paura.
In relazione alla premessa appena fatta, mi avventuro a cercare di sviluppare delle mie impressioni su questa pittura realizzata da SID, un artista a tutto tondo che esprime con invidiabile padronanza la sua arte concettuale, perfettamente consona al complesso e variegato contesto sociale in cui ci troviamo tutti quanti a vivere.
Il quadro in questione, realizzato nel 2014, infatti, è una fotografia emblematica dei nostri giorni.
Se l’opera sia stata realizzata con oli, tempere o altro materiale e su una tela o una carta, piuttosto che post prodotta visivamente attraverso una reflex, un cellulare, per realizzare una fotografia e “scrivere con la luce” non mi è dato a parere e, comunque, avrebbe poca importanza.
All’espressione artistica, a mio parere, non possono mai essere posti paletti.
Tutte le formule idonee ed ogni mezzo prescelto dall’artista o occasionalmente utilizzati per poter narrare rimane legittimo e assolutamente valido. Talvolta anche nel voler dire di se stessi, dando la falsa impressione di parlare d'altri.
In ogni caso, per mettere d’accordo chi teorizza limiti e barriere, facciamo conto che in questo caso si stia parlando di una fotografia, realizzata dallo stesso autore o da qualcuno che non conosciamo.
Al riguardo è anche bene tenere conto, nei tempi attuali che vedono crescere l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, che se fotografia è linguaggio malleabile e che reflex (o cellulari) sono lo strumento per scrivere con la luce. Occorre entrare in qualche modo anche nell’ordine d’idee nuove e assecondare la logica di poter realizzare e proporre fotografie attraverso l’utilizzo della IA; disponibili a mescolare i termini nei processi produttivi d’immagini; financo aprendo anche alla potenziali creatività concettuali di disabili anche non vedenti.
Tornando al quadro, sono moltissimi i simboli in esso rappresentati, evidenti o meno a secondo di quanto viene da ciascun osservatore attenzionato.
Sono, infatti, innumerevoli i dettagli collegati all’atmosfera che aleggia nella stanza rappresentata, dove sono disseminati tanti oggetti simboli o che inducono ad allegorie.
Il sipario del palcoscenico raffigurato nell’interno di un teatro è ancora chiuso, ma le luci accese, poggiato a terra, potrebbe lasciare presagire l’inizio imminente dell'evento e il soggetto in primo piano o quello accanto a lui (forse l’animo nascosto o solo la sua controfigura) potrebbe essere il protagonista della rappresentazione scenica.
Bottiglie piene, non ancora aperte e altre più numerose poste accanto e messe alla rinfusa vogliono dare anch’esse il messaggio di aver fatto da tramite per superare ipotetiche paure.
L’orologio alla parete segna le 10,10 ma non si capisce se sono a.m. o p.m., pertanto non si riesce a comprendere se la rappresentazione deve iniziare o se il sipario si è appena chiuso. Prima ipotesi e seconda ipotesi restano entrambe associate all’attonito personaggio posto in chiara evidenza in primo piano.
Un impatto immediato rimandava da subito all’urlo di Munch che fa da sfondo e che si bilancia col somigliante omino sofferente che fa da protagonista (presente/assente) e che rende drammatica l’intera scena.
Una macchina fotografica posta a margine, ma al centro, dell’intera scena non è un dettaglio da poco, almeno per l'autore del quadro, e tende forse a fornire forse la chiave di lettura dell’insieme del dipinto.
Probabilmente il tutto è il risultato di un selfie (dall'inglese self-portrait photograph) ovvero "autoritratto fotografico", che racchiude i tanti elementi vissuti dal protagonista.
SID potrà pertanto certamente essere l’unico depositario delle sue vere intenzioni creative, ma ciò non toglie che l’osservatore potrà certamente fantasticare e andare anche oltre; forse pure intuire e leggere anche il subconscio (suo o dell’artista), usando il passepartout che consente di leggere l'arte.

Buona luce a tutti!

© Essec

venerdì 4 aprile 2025

“Venghino, signori venghino” (Tempo di seconda mano)



Se l'algoritmo ti scopre come fotoamatore non potrai certo sfuggire a tante emai allettanti. Non credo, infatti, di essere l’unico a ricevere ogni giorno e da ogni dove una miriade di messaggi per andare a partecipare ai più vari concorsi fotografici.
Montepremi in denaro, attestati per le tante articolate tematiche ……. Con un approccio sottinteso del tipo “venghino, signori venghino” ….. medaglie abbondanti e premi e cotillon per tutti.
L’obolo previsto non è mai tanto esoso, atteso che con pochi euro si potranno ricevere diplomi e riconoscimenti utili ad appagare spesso attese e alleviare frustrazioni competitive patite.
Ormai, muovendoci in un sistema volto principalmente a lucrare anche nel dispesare benessere, torna anche conveniente venire a gratificare e concedere prestigi a tutti, quindi: encomi democratici, stellette, like e opportunità per successi virtuali.
Tutto sommato accade quanto in parallelo da tempo succede nel conseguimento di titoli accademici, dove scuole private, attraverso rette accessibili, consentono a chi lo vuole facili conseguimenti di diplomi e lauree.
Scappati di casa potranno così esibire agognati attestati di lauree brevi o specialistiche o diplomi, per un mercato del lavoro politicizzato dove più che il merito prevale il titolo acquisito (o acquistato, fate voi) nei tanti proliferanti centri nazionali ed esteri.
Riguardo all’abbondanza di titoli di studio possono essere d’esempio già gli Stati Uniti d’America, dove le differenze di classe sono spesso indipendenti e non proprio conseguenti al livello sociale di nascita o dai possibili acculturamenti conseguiti.
Rimangono per questo di tutta evidenza le condizioni celle quali ci si trova a vivere: Limousine, tran tran anonimi, homeless, drogati, cocainomani o poveri cristi a seconda del censo d'appartenenza.
Tutto è alla luce del sole, con lussi sfrenati e miserie evidenti che convivono in parallelo in una società sempre più abituata all’indifferenza; con una partecipazione sempre più minoritaria a democrazie arcaiche e leader che si inabissano e ritornano assecondando i cicli umorali della gente.
“Tempo di seconda mano” con sottotitolo “La vita in Russia dopo il crollo del comunismo”, scritto da Svetlana Aleksievic nel 2013 e premio Nobel per la letteratura nel 2015, rappresenta uno spaccato realistico di un’altra umanità. Dove la confusione succedutasi al crollo dell’Unione Sovietica sta evidenziando tutti i caratteri che affollano la specie umana.
Incredibili esistenze, crisi di valori, aspetti nichilistici, barbarie naturali, cattiverie diffuse, generosità senza limiti, abbondano nelle oltre settecento pagine dove la Aleksievic si limita a riportare ciò che la gente spontaneamente vuole che lei scriva.
Nessun giudizio o aggettivazione accompagna le storie, riportare quasi in modo asettico come se fosse la scrivana di lettere per conto di soggetti confusi ma quasi mai analfabeti. Anche nella realtà narrata appare, ad un certo punto dell'evoluzione sociale, l'inconsistenza e la valenza pratica dei titoli di studio conseguiti in quel sistema pseudo comunista, che pure assicurava cultura a tutti per l'ideale socialista, a prescindere dall'appartenere a un ceto.
La trasversalità dei racconti interessa i vari angoli della convivenza umana, evidenzia un filo rosso che sottende ad ogni organizzazione sociale. Pseudo democrazie e totalitarismi si confondono nei rispettivi contesti amministrati secondo progetti politici o pseudo anarchici dell’uomo.
Negli USA, in Europa, nello smembrato impero ex comunista e in ogni angolo del mondo si sviluppano esistenze che annoverano stessi sentimenti; fatti d'innamoramenti, convivenze, vite parallele, tradimenti saltuari, compromessi, più o meno civili abbandoni definitivi, riconciliazioni frutto di ripensamenti o convenienze. Il tutto in modo più o meno esplicito, secondo le convenzionali vigenti nei reciproci assetti sociali e le relative regole di convivenza.
Forse è questa la chiave di lettura che permette di capire l’attribuzione del premio Nobel fatta a questa opera letteraria. Intensa, coinvolgente, significativa, a tratti monumentale e quasi enciclopedica delle possibili espressioni della natura umana.
Un’opera che potremmo definire "sempreverde" per l'attualità estrema che manifesta; un lavoro che rimane assai difficile da raccontare a parole per le molteplici sfaccettature di realtà poliedriche.
Un Caleidoscopio che miscela esistenze apparentemente semplici e dove convivono il male e il bene, l’assolutismo e i valori ideali, la generosità e l’egoismo estremo, l’assenza di colori tenui e il prevalere dei contrasti accesi. Bianchi e neri che, dominando tendono a occultare la valenza delle tonalità di grigio.
Il libro è anche una raccolta delle tante realtà post comuniste che si sono messe in luce nei vari specifici contesti tempèorali, condizionati anche da ataviche e confuse lotte etniche, sempre sottotraccia, di dominio e indipendenze, traspaiono dai tanti soggetti intervistati e chiamati a raccontare le loro storie.
La maggior parte delle storie derivano da delle registrazioni curate direttamente dall’autrice, realizzate con il consenso degli interessati, ma nelle pagine si alternano anche molteplici frasi, quasi frutto di estemporanee e veloci stenografie, poste volutamente in modo frammentario, come a voler maggiormente sottolineare concetti, le storie collegate ai contesti.
In conclusione, dopo aver letto quest’opera, dura e composita, rimane più che valida considerazione che Erasmo Da Rotterdam esprimeva sull’umanità, riportata in copertina del libro “Banche d’Italia & …. Quando la burocrazia è ottusa, stravolge e condiziona”, che recita: “E in definitiva la vita degli uomini nient’altro è che un gioco della pazzia”.

Buona luce a tutti!

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mercoledì 26 marzo 2025

La quiescenza, come capita a molti, non rappresenta un punto di arrivo



Guai a fermarsi. Chi si è trovato in prima linea, specialmente se impegnato in ruoli primari di una istituzione, ritiene vitale continuare a interessarsi di tematiche complesse di cui è stato padrone, essendone riuscito a comprenderne le molteplici variabili.
Cessata in ultimo l’attività ispettiva e di coordinamento, Pasquale Tribuzio ha scelto di continuare a percorrere il solco, collaborando a scrivere sul tema per il sito web specializzato “Economia & Finanza Verde” e con la creazione parallela di un suo spazio autonomo “Risparmiatore Consapevole”.
Nel suo attivo risultano anche diverse recenti pubblicazioni ispirate al credito e alla finanza in genere, confezionati con formule utili ad alleggerire pure gli argomenti.
La padronanza in materia economica e la conoscenza delle relative normative, consolidata in anni di servizio, associate alla sua capacità di sintesi e a una naturale chiarezza espositiva, gli hanno sempre reso facile illustrare le sfaccettature tipiche di argomenti complessi, riuscendo a renderli semplici e comprensibili anche ai non addetti ai lavori.
Del resto la quiescenza, come capita a molti oltre a lui, non rappresenta un punto di arrivo ma, anzi, la stagione agognata che consente di riordinare le cose a proprio piacimento - pure prestandosi sempre al servizio degli altri - e magari sviluppare in autonomia le proprie idee, libere, senza barriere o condizionamenti di lacci e lacciuoli istituzionali.
Chi vuole addentrarsi nell’educazione finanziaria, così tanto di moda in questi tempi, per capire i i fondamentali dei fenomeni economici di oggi potrà trovare utile leggere i suoi scritti e magari frequentare i siti web citati prima o leggere i libri scritti a sua sola firma o associati al suo amico Daniele Corsini.

Buona luce a tutti!

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martedì 25 marzo 2025

Instagram: “virgilio_boydog” (nickname)



L’altro giorno ascoltavo in TV la Mannoia dire che per poter scrivere dei buoni testi di canzoni occorre leggere molto. È un principio che vale per ogni forma d’arte in genere; che sia musica, letteratura o altro poco importa perché più che i suoni o le parole, che rappresentano solo tasselli, quello che si ricicla nella composizione sono le melodie e i concetti che gli autori hanno assimilato nel loro tempo.
Si parla spesso e molto male dei social, ma è innegabile che rappresentano anche un’opportunità che avvicina i tanti modi di pensare, talvolta diversi, magari molto lontani dal comune sentire o inconciliabili; che offrono però anche occasioni per vedere punti di vista “altri” e che comunque inducono ad ascoltare, se recepire o magari riflettere.
In questo l’onestà intellettuale è elemento indispensabile, il valore aggiunto necessario che porta ad analizzare - ed elaborare - le opinioni altrui con la propria testa; partendo dall’immedesimarsi nell’altro per cercare di trovare delle logiche o dettami differenti.
In questo la fotografia costituisce un prezioso documento moderno di sintesi comunicativa, che consente di descrivere e raccontare ciò che uno vede attraverso immagini che vengono proposte a chi, poi leggendole, potrà dedurre conclusioni autonome.
Per questo, anche se il messaggio di chi produce fotografie è unico, le letture spesso risultano diverse, senza mai assumere il valore di verità assolute.
Come noto la fotografia realizzata da ciascuno inquadra e include elementi scelti, dettati magari dal caso, ma che la mente coglie e assembla nello scatto. È in parte anche un qualcosa d’istintivo che induce il fotografo a quello scatto, talvolta col proposito di catturare un’armonia compositiva, ovvero a cogliere l’attimo, congelando così un gesto, nell’immagine di una sensazione manifesta. Con componenti forse progettati ma anche occasionali, apparsi per caso e utili alla narrazione.
In questo i social offrono valide opportunità di confronto, favorendo incontri e vicinanze che stimolano le menti.
Su Instagram da qualche tempo seguo “virgilio_boydog”, un fotografo che definirei “randagio” e che a me sembra rappresentare un visionario dell’epoca 2.0.
Con le immagini che posta lui riesce a proporre squarci della normalità che gli sta intorno. Contesti, aspetti urbani, spesso corroborati da tracce artistiche di writer e graffitari che scrivono sui muri o disegnano cose.
Per questo non trovo le sue immagini, che siano esse isolate o proposte in modo sequenziale, mai banali, anzi che siano rappresentative di elementi di un unico racconto realista.
Per lo più sono fotogrammi di periferia, non solo intesa come estremità di logistiche urbane, ma di periferiche esistenze, incluse anche all’interno dello stesso centro di Roma; dove tanti cittadini si muovono in comprensori, coabitano e convivono come fossero delle isole sconnesse.
Non occorre descrivere in dettaglio i contenuti pubblicati nella sua pagina, basta solo andare a visitare per farsi un’idea.
I post continui sembrano la comunicazione di un unico racconto, che si esprime in tante formule e per lui la fotografia, associata a brani musicali del suo tempo, è il mezzo che rende anche trasversali i suoi messaggi.

Buona luce a tutti!

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mercoledì 19 marzo 2025

"Non datemi dell’antisemita" di Francesco Cito

Il detto dice "provare per credere" e nelle realtà difficili, come i contesti che costituiscono palcoscenici di guerre, sono i fotografi che hanno visto con i propri occhi le violenze quelli che si schierano per attenzionare le verità per chi non ha possibilità di parola.
Francesco Cito torna a spendersi per sensibilizzare le coscienze, con l'intento di informare e indurre a riflettere.
Di seguito riporto il testo che ha pubblicato per sottolineare incredibili nefandezze che continuano a manifestarsi nell'indifferenza di pseudo democrazie latenti e in piena crisi.

Buona luce a tutti!

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Non datemi dell’antisemita, anche perché è una terminologia troppo abusata e che nulla significa, in quanto semita è l’appartenenza di gente che discendono dallo stesso ceppo linguistico. Sono semiti gli Ebrei tanto quanto lo sono gli Arabi, tanto quanto lo sono gli Abissini, e lo sono stati gli Aramei, gli Assiri, i Cananeo-Fenici. È una storia che non voglio ripercorrere, non è il mio compito, e se di qualcosa devo essere accusato, allora si, mi ritengo anti sionista che è altra cosa. Il sionismo è un’ideologia prettamente ebraica, per gli Ebrei, il monte Sion è considerato la dimora terrestre di Dio, il monte da dove proviene la benedizione e il castigo divino, e non importa se Sion fosse già abitata da altro popolo. Oggi dopo l’ennesima strage a Gaza, inferta a una popolazione già allo stremo, sono più di 400 le vittime, di cui 130 sono bambini, non mi si venga a raccontare che sia stata un’azione per liberare gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. I governanti israeliani, sono ad un livello di crudeltà di gran lunga superiore a ciò che fu il nazismo, e ancor di più lo sono i così acclamati paesi occidentali che tanto professano la democrazia, essendo complici di questa mattanza che ha un solo obiettivo, estirpare il popolo palestinese dalla Palestina. Oggi che assistiamo al tragicomico teatrino di Donald Tramp in combutta con il carnefice Vladimir Putin, quest’ultimo cosi definito dai benpensanti governanti di quest’Europa alla deriva, elogiano un ipotetico piano di pace per l’Ucraina di cui non si conoscono i termini, ma silenti, e non muovono un dito contro la politica del sanguinario Netanyahu, che mai sarà processato come i suoi predecessori sugli scranni di quella che fu Norimberga. Netanyahu si è arrogato il diritto di commettere un altro eccidio dopo aver ricevuto il null’osta da Donald Trump, il palazzinaro che su suggerimento di suo genero Jared Kushner, vorrebbe fare di Gaza un resort con grandi alberghi per ricchi vacanzieri. Questo tragico personaggio è il nuovo Yahweh, il Dio degli Ebrei, il quale consentì a che Giosuè, il discepolo di Mosè commettesse uno dei grandi eccidi della storia ebraica. La distruzione di Jerico. – Dal libro di Giosuè 6,20-27 – “…. quando il popolo (ebraico) udì il suono delle trombe lanciò un gran grido, e le mura crollarono. Il popolo salì nella città, ciascuno diritto davanti a sé, e s'impadronirono della città. 21 - Votarono allo sterminio tutto ciò che era nella città, passando a fil di spada uomini, donne, bambini, vecchi, buoi, pecore e asini. 24 - Poi i figli d'Israele diedero fuoco alla città e a tutto quello che conteneva; presero soltanto l'argento, l'oro e gli oggetti di bronzo e di ferro, che misero nel tesoro della casa del Signore”.
F.to Francesco Cito (Fotografo)
https://www.facebook.com/francesco.cito.12

lunedì 10 marzo 2025

Giovanni Vettore fotoamatore e il suo “grammelot” composito


Il mondo della fotografia artistica d’oggi prevede quasi sempre programmazioni finalizzate all’attuazione di progetti specifici, magari con il desiderio di riuscire a concettualizzare, attraverso immagini, idee visionarie.
Un significativo percorso evolutivo rispetto a quelli che sono stati i pionieri e i molti maestri di un tempo, che si muovevano e agivano in relazione a opportunità e condizioni contingenti e che in ogni caso hanno fatto storia.
Comunque capita ancora di ritrovare assonanze con produzioni artistiche d’altri che continuano a perseguire il percorso di quel solco antico. Come pure accade di provare poco interesse e, anzi, un certo fastidio verso coloro che, nella convinzione di aver inventato un proprio stile, cominciano a ripetersi, autocelebrandosi nel proporre sempre stesse cose.
Tanti esempi si possono citare sia fra autori noti che fra appassionati di settore.
Patologici risultano, infine, quelli che a qualunque costo vogliono avere riconoscimenti e affermarsi ma, insufficienti o privi di idoneo talento, continuano sostanzialmente a scopiazzare, senza possedere le abilità per differenziarsi nei loro tentativi di copiatura.
Con Giovanni Vettore, che nei social si dichiara di Padova e che afferma di vivere a Bolzano, penso di avere tanti punti in comune. Oltre alla passione per la fotografia, la variegata attenzione alle moltitudini di avvenimenti che quotidianamente ci circondano e coinvolgono.
Le reciproche produzioni non sono per nulla monotematiche ma sempre rivolte alla raccolta dei tanti spunti percepiti; talvolta fotografati in modo asettico, altre a scopo documentaristico, con dettagli, ovvero altre ancora filtrate attraverso una vena ironica ricca di fantasia.
Azzarderei a dire che, con una visione complessiva, le immagini porterebbero a pensare a un “grammelot” fotografico, alla Dario Fo per intenderci; ma non confusionario e incomprensibile bensì spaziante, senza limiti, a volte leggero, a volte attento e profondo, altre volte anche dedito al “puro cazzeggio”, inteso come un ingenuo divertissement giocoso, frivolo, comunque però sempre volto a suscitare emozioni.
Ciascuno di noi è interprete e, a propria volta, viene interpretato, si espone; ma credo che anche a Giovanni, cittadino del mondo, questa questione interessi poco ... ad esempio, in genere, chi tiene una pagina su Instagram accompagna il portale con una frase di sintesi che, qualche modo, si collega alla personalità: nel suo caso non è scritto nulla, anche perché a parlare sono le immediatezze delle foto.
Tagli particolari, geometrie, giochi di luce e ombre, composizioni originali costituiscono la cifra del suo stile, nella continua ricerca sperimentale che, semplicemente interpreta, fotografa, propone e pubblica.
Il suo eventuale banale lo leggerei come punteggiature e pause, o come un’arma puntata a confondere: di distrazione di massa. E devo riconoscere che, a mio parere, anche lui ci riesce assai bene.
Per chi è rimasto incuriosito, può visionare altre sue fotografie: https://www.instagram.com/gianpi57bz/.
Ovvero: https://www.facebook.com/giovanni.vettore.92/photos_by

Buona luce a tutti!

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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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Monte Pellegrino visto da casa natia di Acqua dei Corsari

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