"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."
Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).
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mercoledì 23 luglio 2025
Roberto Scarpinato, dichiarazione di voto sul Ddl ‘Separazione delle carriere’.
Intervento dell'Onorevole Roberto Scarpinato al Senato della Repubblica (<-- Video)
"Non impiegheremo i pochi minuti a nostra disposizione per lumeggiare ancora una volta l’inconsistenza delle motivazioni ufficiali poste a fondamento di questa riforma costituzionale. Andiamo alla sostanza politica.
Siamo consapevoli che si tratta di un regolamento di conti della casta dei potenti contro la magistratura, che per essere attuato richiede necessariamente uno stravolgimento dell’assetto dell’ordinamento della magistratura previsto dalla Costituzione ed un cambio di paradigma culturale.
La Costituzione ha infatti profondamente trasformato il Dna culturale della magistratura ed il suo rapporto con il potere.
Per tutto il lungo periodo storico dell’Italia monarchica e fascista, la magistratura era stata pienamente omologata al potere politico, e, tranne rare eccezioni, aveva praticato una giustizia di classe considerando il mondo del potere al di sopra della legge e non giustiziabile.
Per questo motivo in 88 anni di storia nazionale, dalla fondazione dello Stato unitario sino all’avvento della Repubblica, non si è registrato alcun conflitto tra mondo politico e ordine giudiziario.
La Costituzione ha introdotto una cesura storica rispetto a questo passato.
Garantendo l’indipendenza dei giudici e dei pubblici ministeri ha emancipato la magistratura dalla cappa dei condizionamenti diretti e indiretti del mondo del potere, trasformandola da corpo di funzionari che operava come articolazione della classe dirigente, in un potere autonomo, in una variabile indipendente dagli equilibri politici contingenti e, quindi, fuori controllo.
La progressiva perdita di controllo della magistratura, è divenuto nel tempo un fattore destabilizzante per il sistema di potere italiano che dietro la facciata dello Stato legale, ha in larga misura fondato e continua a fondare i suoi equilibri e la concreta gestione del potere su occulte pratiche illegali: dalla normalizzazione delle tangenti e della corruzione, alla normalizzazione del voto di scambio e del conflitto di interessi, alle varie forme di piduizzazione del potere, alla commistione tra politica e affari, alla sudditanza delle decisioni pubbliche agli interessi di lobbies e di gruppi di interessi, agli accordi sottobanco e ai matrimoni di interessi con le mafie in cambio di voti e di lucrosi affari.
L’incompatibilità tra la costituzione materiale del paese contrassegnata dall’illegalismo di larghe componenti delle classi dirigenti e la Costituzione formale che impone il controllo di legalità sull’esercizio del potere, ha causato nel tempo una crisi di sistema di lungo periodo con ricorrenti fasi di fibrillazione.
Tutta la storia italiana del dopoguerra dagli anni Settanta in poi, è stata segnata da una profonda crisi di insofferenza e di rigetto di larghe componenti del sistema di potere nazionale nei confronti di una magistratura che essendo divenuta a causa della Costituzione fuori controllo, ha sistematicamente messo in crisi la sopravvivenza e la perpetuazione di metodi illegali di gestione del potere.
Dai giovani pretori che negli anni Settanta scoperchiarono lo scandalo del petrolio – tangenti miliardarie di grandi petrolieri ai partiti in cambio di leggi di favore che facevano lievitare oltre misura i prezzi della benzina ai danni dei cittadini – alle indagini della Procura di Milano che portarono alla luce il verminaio della P2, esempio paradigmatico di Stato occulto e parallelo antidemocratico ed eversivo, alle indagini del pool antimafia di Palermo che con l’arresto di Vito Ciancimino e dei potentissimi cugini Nino e Ignazio Salvo, misero in fibrillazione la borghesia mafiosa, uno degli architravi del sistema di potere nazionale, ai processi della stagione di Tangentopoli e di Mafiopoli degli anni Novanta che rivelarono alla nazione il vero ritratto di Dorian Gray di larghe componenti della classe dirigente, si arriva rapidamente alle cronache giudiziarie dell’attualità.
Una attualità contrassegnata da una successione senza fine di casi giudiziari di corruzione, di commistione tra affari e politica, di collusioni con la mafia che da Milano a Palermo sembrano il replay di storie del passato, di una eterna Tangentopoli e Mafiopoli, di una coazione a ripetere di una classe dirigente irredimibile in sue larghe componenti.
Questo telegrafico excursus della storia nazionale è una premessa necessaria per comprendere le reali ragioni di questa riforma.
Una coalizione di governo costituita da forze politiche storicamente collegate ai mondi del piduismo, della destra eversiva e antidemocratica, della borghesia mafiosa e del berlusconismo, ha deciso di approfittare dei contingenti rapporti di forza attuali per chiudere finalmente la partita, mettendo le mani sulla Costituzione individuata come la causa della perdita di controllo della magistratura, con una riforma blindata e inemendabile da approvare in tempi record.
Una riforma che costituisce il primo tempo di un disegno complessivo da completare solo in seconda battuta dopo avere superato lo scoglio del referendum confermativo, mediante l’emanazione di leggi ordinarie finalizzate a sottoporre l’esercizio dell’azione penale al controllo del potere politico. Come, ad esempio, il disegno di legge numero 1440 del 2009 già predisposto dal governo Berlusconi che prevedeva il trasferimento dei poteri di direzione delle indagini dai Pubblici ministeri alle forze di Polizia, dipendenti dal governo, mediante la semplice modifica degli articoli 326, 330 e 335 del c.p.p.
Una riforma costituzionale che per i modi in cui è stata congegnata e gestita in sede parlamentare costituisce un esempio da manuale della scienza e dell’arte dell’impostura politica. Una impostura diretta a spacciare come interesse generale del paese, gli interessi di casta rappresentati da questa maggioranza.
Una impostura finalizzata a spacciare come riforma neutra rispetto all’assetto dei poteri, una riforma destinata invece a incidere profondamente sugli equilibri tra i poteri dello Stato.
Come viene realizzata questa impostura?
Celando dietro le motivazioni formali e di facciata della riforma esposte nella relazione di accompagnamento del disegno di legge, le vere ragioni politiche inconfessabili apertamente.
Reali ragioni che, tuttavia, come voci dal sen fuggite, sono state esternate apertamente a più riprese da autorevoli esponenti della maggioranza anche nelle sedi istituzionali.
Cosi nella relazione al disegno di legge di iniziativa del senatore Zanettin che proponeva l’elezione per sorteggio dei componenti togati del CSM. Soluzione poi recepita dal Governo in questo disegno di legge, si legge che la riforma è finalizzata a rimuovere l’interferenza delle correnti della magistratura nella nomina dei dirigenti degli uffici giudiziari, perché tale interferenza sarebbe stata la causa di una gravissima patologia del sistema descritta nei seguenti testuali termini: “L’uso a orologeria della giustizia, il distorto pilotaggio delle indagini verso vicende selezionate nei confronti di esponenti politici poco graditi, [..] in grado di condizionare direttamente o indirettamente l’azione di settori essenziali della magistratura secondo quello che, senza timore di smentite, può definirsi un surrettizio e inammissibile esercizio politico della funzione giurisdizionale”.
Traducendo, secondo questa maggioranza bisogna modificare il sistema elettorale del Csm e separare le carriere perché sarebbe dimostrato – “senza timore di smentite” – che le condanne subite da tanti autorevolissimi esponenti politici – Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, Antonio D’Ali, Nicola Cosentino, Amedeo Matacena, Cesare Previti, Giancarlo Galan, Roberto Formigoni, Denis Verdini – e qui mi fermo altrimenti facciamo notte, non sarebbero state determinate dall’accertamento dei reati da essi commessi, ma sarebbero state il frutto di una congiura diabolica delle correnti della magistratura che, dietro le quinte, avrebbero prima pilotato le indagini e poi le condanne, coinvolgendo per ciascuno di questi processi centinaia di magistrati che si sono occupati di questi casi nei vari gradi di giudizio: pubblici ministeri, giudici della udienza preliminare, giudici dei Tribunali, giudici delle Corti di Appello e persino giudici della Corte di Cassazione.
Magistrati tutti obbedienti come soldatini a direttive provenienti dagli organi di vertice delle diverse correnti che, in tal modo, avrebbero trasformato i processi in strumenti di lotta politica.
Che questa narrazione di palazzo sia unanimemente condivisa da tutti i vertici dei partiti della maggioranza è attestato da innumerevoli interventi pubblici.
Per limitarmi ad alcuni dei casi più recenti, il senatore Gasparri, capogruppo di Forza Italia in questi giorni ha dichiarato che questa è “una riforma epocale che cancella le stagioni oscure dell’uso politico della giustizia”.
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni il 18 luglio 2025 ha dichiarato che “il governo è impegnato a riformare la giustizia per mettere fine alle storture a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni”.
Il Vice Presidente della Camera Giorgio Mulè, dopo il voto positivo alla riforma in quel ramo del Parlamento, ha sottolineato che tale traguardo costituiva il coronamento del sogno di Silvio Berlusconi il quale – è bene ricordare – nel 2003 a sostegno della necessità della riforma sostenne il seguente formidabile motivo che, bisogna ammettere, è giuridicamente imparabile: “I giudici sono matti, sono mentalmente disturbati, hanno turbe psichiche e sono antropologicamente diversi dalla razza umana”.“I giudici sono matti; bisogna proprio essere matti per fare il giudice”.
Perché non dite ai cittadini la verità e cioè che bisogna fare questa riforma perché i giudici sono matti o peggio perché sono criminali che hanno condannato fior di galantuomini solo per motivi politici?
Cosa vi trattiene dal chiamare a raccolta il popolo nel prossimo referendum confermativo intorno a questa vostra solare e scandalosa verità, e a trincerarvi invece dietro motivazioni formali, dietro algidi tecnicismi incomprensibili al cittadino medio che non scaldano gli animi?
Sapete e sappiamo bene il perché. Perché anche i più ingenui tra i cittadini, a quel punto capirebbero che questa riforma è una mela avvelenata, che si tratta di una riforma di casta che non li riguarda, che si tratta di un volano per ripristinare la vecchia giustizia classista forte con i deboli e debole con i forti del periodo precostituzionale.
Perché una campagna elettorale condotta con simili argomenti sarebbe un clamoroso autogol che vi farebbe perdere il referendum confermativo.
Dunque siete costretti all’impostura, a mentire, a tenere a freno la lingua nei convegni e nei dibattiti televisivi, a mettere a tacere l’ingenuo senatore Zanettin che vorrebbe gridare ai quattro venti le vere ragioni della riforma, e a lasciare la parola all’astuto sottosegretario Sisto, già avvocato di Berlusconi padre spirituale della riforma, incaricato di convincere il signor Bianchi e il Signor Rossi, che questa riforma non ha ragioni politiche, ma è finalizzata solo garantire che chi lo giudica non sia contaminato da chi lo accusa.
Siete costretti a mentire arrivando al punto di mescolare senza alcun pudore il diavolo e l’acqua santa.
Non potendo esibire pubblicamente e decentemente come icone e spiriti guida di questa riforma Gelli, Berlusconi, Dell’Utri, Previti, e altri personaggi simili, vi fate scudo dell’icona di Giovanni Falcone, il magistrato che proprio dai mondi di cui tali personaggi sono l’emblema – lo piduismo, la borghesia mafiosa, poteri economici conniventi con le mafie – fu osteggiato, ridotto all’impotenza e poi lasciato nelle mani dei macellai che lo massacrarono il 23 maggio 1992.
Il Gruppo Cinque Stelle dichiara dunque il proprio voto contrario in nome di tutti i cittadini consapevoli che la difesa dell’ indipedenza della magistratura è l’ultimo baluardo che ci resta per non consegnare il paese ad una politica corrotta, sottomessa alle lobbies e connivente con le mafie."
Buona luce a tutti!
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Scarpinato Roberto
venerdì 18 luglio 2025
Fotografie, come lampi narrativi
Accade a tutti gli appassionati di fotografia di volere talvolta costruire un’immagine con l’intenzione di riuscire a suggellare in un solo scatto quella che potrebbe essere la sintesi di un evento.
Il tutto può includere elementi della scena, selezionati in modo da storicizzare anche l’atmosfera, ma non è semplice riuscire a semplificare senza cadere in soluzioni banali, scontate e troppo ovvie.
Nel trittico qui proposto, l’intenzione originaria era abbastanza semplice, ovvero era quella d’immortalare la coppia nell’ambiente che aveva appena accolto la presentazione del libro “Rosalia, oltre la Fede”.
Può, però, anche succedere che, indipendentemente da tutto e dalle stesse intenzioni, qualche volta sono i protagonisti rappresentati in scena a far nascere tanti dettagli di un vero racconto.
Nel caso in questione, dopo il primo click che intendeva generare un’istantanea, nello stesso palcoscenico della rappresentazione, qualcuno venne a declamare ..... bacio, bacio.
Dopo un primo imbarazzo fu lei a venire a rompere gli indugi e a prendere decisamente l’iniziativa, forse per soddisfare il desiderio inconscio di storicizzare a proprio modo quel particolare momento.
Il secondo e il terzo scatto rendevano chiari i sentimenti, grazie alla complicità attenta, ma del tutto inconsapevole, di chi stava fotografando.
Per chi conosce i soggetti in posa e, in particolare, il momento unico che entrambi stavano vivendo nella loro avventura di coppia, il trittico riuscirà’ a dire molto più della semplice dinamica del bacio che era stato rappresentato.
Per chiudere, si potrà sicuramente, quindi, affermare che immagini possono essere anche architettate a monte e che, nell’esempio in questione, sono state in parte indotte, ma il risultato fotografato nel trittico proposto racconta dell’imprevedibile, ovvero del protagonismo spesso messo in campo dai soggetti che, nel caso, hanno consentito di catturare attimi, preziosità di rari miracoli esistenziali, semplicemente espressi con spontaneità e leggerezza.
Anche questo fa parte dell’arte fotografica, che tende a catturare si la luce nelle sue molteplicità ma che riesce a cogliere e congelare anche emozioni ... fuggenti.
Buona luce a tutti!
© Essec
domenica 6 luglio 2025
“Rosalia Oltre la Fede”
Venerdì scorso, a Palazzo Bonocore, ho avuto l’opportunità di partecipare al vernissage della mostra fotografica annessa alla presentazione del libro, efficacemente coordinata da Amelia Crisantino e che ha visto anche la partecipazione del sempre effervescente e acuto Salvo Piparo.
La mostra sarà visitabile fino al 21 luglio con ingresso libero. Ogni giudizio e qualunque considerazione sul libro fotografico “Rosalia Oltre la Fede” (Edizioni: Torri del Vento) di Giacomo Barone e Gianluca Marrone sarebbe del tutto superfluo, per il semplice fatto che occorre essenzialmente sfogliarlo da sé – possibilmente magari più di una volta – per riuscire a farsi una propria idea precisa.
Intanto la mancata indicazione dell’autore di ogni singola opera dimostra l’affiatamento non comune che lega i due fotografi i quali, trascurando l’attribuzione delle rispettive immagini hanno puntato essenzialmente a cercare d’inserire le giuste tessere in un mosaico volto a una narrazione unicivoca, senza frapporre inutili distrazioni.
Questo libro su Santa Rosalia è composito, ricco di dettagli e per questo, a mio parere, forse è rivolto principalmente al palermitano d.o.c..
Rappresenta, infatti, un caleidoscopio che si sofferma a raccontare le tante sfaccettature semantiche incluse nell’annuale evento: sia nelle ricercate estetiche che nelle considerazioni più intime sottese. Mostrate in un tutt’uno nell’attimo sintetizzato da un click.
Gratitudine è un termine a Palermo poco conosciuto, perché i palermitani in media sono “faccioli” e usano vendersi a chi offre di più.
Nel caso, per la storia dell’assunzione di Santa Rosalia a patrona, bastò il supposto miracolo che pose termine alla peste; per rinnegare in un sol colpo sia le patrone preesistenti poste ai Quattro Canti (Agata, Cristina, Ninfa e Orsola) che lo stesso Benedetto il Moro, solo recentemente riscattato da Igor Scalisi Palminteri con un maestoso murales dipinto che domina la piazza centrale dell’Albergheria.
Le attese ogni anno sono tante e per ogni amministrazione il Festino rappresenta un impegno non indifferente. Quindi, il "Viva Palermo e Santa Rosalia", oltre a costituire quasi un grido liberatorio diventa anche un auspicio scaramantico, tipicamente laico, affinché per la sindacatura di turno poi tutto possa andare per il meglio.
Tornando al libro, azzeccate si rivelano la prefazione di Amelia Crisantino - che racconta la storia della santa - contrapposta allo scritto su Nofrio tarantanchiolo di Salvo Piparo posto alla fine e dal quale piace citare una frase: “Arriva la festa di Rosalia, santa vergine amurusa e come ogni anno a lei, in punta di piedi, Nofrio chiede la grazia, lì dove cofanate di babbaluci, fave e coniglio, coppe di lupini e bancali di angurie rosse tagliate a metà, gli fanno da contraltare.”
Un testo che anch’esso costituisce innegabilmente una fotografia, questa volta a colori, rappresentativa del "tipico" palermitano immerso nella unicità della sua profonda “palermitudine”.
Il video della presentazione del libro a Palazzo Bonocore, avvenuta il 4 uglio, é pubblicato su You Tube.
Buona luce a tutti!
© Essec
lunedì 30 giugno 2025
Forme d'arte composite: Incrocio ideale fra un'intallazione artistica e un portfolio fotografico
Una delle esigenze dell’uomo è sempre stata quella di dare un significato alla propria esistenza, non intendendo tanto porsi come obiettivo comprendere il significato della vita in genere, ma proprio legata all’io che è connaturato all’ego incomprimibile che risiede in ciascuno.
Un impegno non indifferente per chi si illude, anche ricorrendo a utopiche religioni - e ne ha fatto oggetto di ricerca o studio filosofico interiore - magari soffermandosi sull’individuazione di un’anima, indispensabile per una qualsivoglia tesi.
In questo, oltre al mistico, il raziocinio della ricerca scientifica ci porta a immaginare per scoprire l’impensabile e anche l’arte, attraverso visioni e illusioni percorre una sua strada d’indagine.
Fabio e Fulvio, sul tema, si sono praticamente impegnati a sviluppare le loro intuizioni utilizzando materiali essenziali in uno spazio suggestivo, intriso di misticismo; installando le loro opere nella cripta della chiesa di via Alloro. Installazioni artistiche simboliche e minimaliste, per sviluppare i concetti di vita e morte.
Invitato a visitare l’operazione mi sono prestato al gioco e di leggerla a modo mio, utilizzando la macchina fotografica per fissare dettagli, senza a priori conoscere nulla sull’intero progetto.
Riporto, ora, il testo composito del critico Massimiliano Reggiani scritto unitamente ai due autori, che hanno convenuto di miscelare impressioni con quello che era l’incipit dichiarato e sotteso alle installazioni complessivamente intese secondo un unico svolgimento.
“Un’installazione site-specific degli artisti palermitani Fabio Ventimiglia e Fulvio Governale, realizzata nella cripta sepolcrale di Santa Maria dell’Itria dei Cocchieri, la piccola chiesa nel capoluogo siciliano che dal tardo cinquecento ad oggi esprime e rappresenta l’attività della Venerabile Confraternita dedita alla cura delle anime, alla moralità dei confrati e ai bisogni di chi abita nello storico quartiere della Kalsa.
‘Ipogeo’ – con il patrocinio di Settimana delle Culture – è un’opera di luce e di materia, di memoria e di suggestione.
Così la presentano i due artisti, entrambi laureati all’Accademia della Città: ‘Ipogeo’ è il lavoro del passaggio, perché la morte è solo un’altra vita. Nel profondo di un luogo sacro e attraverso l’utilizzo di elementi caratterizzanti, l’installazione rappresenta il luogo del travaglio interiore e il lavoro continuo della cura delle anime. La conservazione non ripara la memoria ma è il processo costruttivo di quest’unicum che esprime e concreta l’anima nel mondo.
Il protagonista del film ‘Stalker’ di Andrej Tarkovskij, nel monologo ‘la freschezza dell’esistenza’, afferma che in fondo la passione è attrito tra l’animo e il mondo esterno. Perché non pensare, quindi, alla passione come a ciò che più di ogni altra cosa si avvicina a quest’intima profondità che chiamiamo anima?
Il sale tiene lontano tutto ciò che può alterare; se persino il ferro cede alla sua natura determinata e forte, l’anima ormai è decapitata e pulita come il sale.
Non entrerete in un cantiere silenzioso, già c’è un’anima che ruota e sfila, è sempre la stessa (è sempre lì), ma non trasmette più insieme la trama con l’ordito, sfilare è laborioso come fare un tessuto. Non entrerete in un cantiere silenzioso, se a far rumore è lo strepito di una vita che annaffia le gemme in aprile e le ritira in ottobre”.
A seguito della significativa premessa, intendendola quasi una sinossi, propongo quattordici delle fotografie realizzate in loco che potrebbero rappresentare un portfolio, Composto da immagini accennanti ai passaggi intermedi, alle tappe intercorrenti tra l’inizio e la fina, tra la vita e la morte.
In questa rappresentazione fotografica, delle “grate o feritoie”, che separano i due piani d’ubicazione dei diversi elementi, a mio parere si uniscono anch'esse all’unicum del progetto.
Potrebbero pure intendersi come dei filtri attinenti alle fasi terrene e l’anima (fig. 12) per collegare l’ascetismo cattolico rappresentato dal cristo in croce e in sospensione, dogmatizzato nell’affresco sommitale che lo sovrasta (fig. 13 e 14).
Non so quanto di religioso possa aver ispirato l’idea ai due artisti d'arte moderna, ma non conta. Per rendere comprensibile quanto detto a parole le foto sono state inserite seguendo la logica immaginata.
Buona luce a tutti!
© Essec
Un impegno non indifferente per chi si illude, anche ricorrendo a utopiche religioni - e ne ha fatto oggetto di ricerca o studio filosofico interiore - magari soffermandosi sull’individuazione di un’anima, indispensabile per una qualsivoglia tesi.
In questo, oltre al mistico, il raziocinio della ricerca scientifica ci porta a immaginare per scoprire l’impensabile e anche l’arte, attraverso visioni e illusioni percorre una sua strada d’indagine.
Fabio e Fulvio, sul tema, si sono praticamente impegnati a sviluppare le loro intuizioni utilizzando materiali essenziali in uno spazio suggestivo, intriso di misticismo; installando le loro opere nella cripta della chiesa di via Alloro. Installazioni artistiche simboliche e minimaliste, per sviluppare i concetti di vita e morte.
Invitato a visitare l’operazione mi sono prestato al gioco e di leggerla a modo mio, utilizzando la macchina fotografica per fissare dettagli, senza a priori conoscere nulla sull’intero progetto.
Riporto, ora, il testo composito del critico Massimiliano Reggiani scritto unitamente ai due autori, che hanno convenuto di miscelare impressioni con quello che era l’incipit dichiarato e sotteso alle installazioni complessivamente intese secondo un unico svolgimento.
“Un’installazione site-specific degli artisti palermitani Fabio Ventimiglia e Fulvio Governale, realizzata nella cripta sepolcrale di Santa Maria dell’Itria dei Cocchieri, la piccola chiesa nel capoluogo siciliano che dal tardo cinquecento ad oggi esprime e rappresenta l’attività della Venerabile Confraternita dedita alla cura delle anime, alla moralità dei confrati e ai bisogni di chi abita nello storico quartiere della Kalsa.
‘Ipogeo’ – con il patrocinio di Settimana delle Culture – è un’opera di luce e di materia, di memoria e di suggestione.
Così la presentano i due artisti, entrambi laureati all’Accademia della Città: ‘Ipogeo’ è il lavoro del passaggio, perché la morte è solo un’altra vita. Nel profondo di un luogo sacro e attraverso l’utilizzo di elementi caratterizzanti, l’installazione rappresenta il luogo del travaglio interiore e il lavoro continuo della cura delle anime. La conservazione non ripara la memoria ma è il processo costruttivo di quest’unicum che esprime e concreta l’anima nel mondo.
Il protagonista del film ‘Stalker’ di Andrej Tarkovskij, nel monologo ‘la freschezza dell’esistenza’, afferma che in fondo la passione è attrito tra l’animo e il mondo esterno. Perché non pensare, quindi, alla passione come a ciò che più di ogni altra cosa si avvicina a quest’intima profondità che chiamiamo anima?
Il sale tiene lontano tutto ciò che può alterare; se persino il ferro cede alla sua natura determinata e forte, l’anima ormai è decapitata e pulita come il sale.
Non entrerete in un cantiere silenzioso, già c’è un’anima che ruota e sfila, è sempre la stessa (è sempre lì), ma non trasmette più insieme la trama con l’ordito, sfilare è laborioso come fare un tessuto. Non entrerete in un cantiere silenzioso, se a far rumore è lo strepito di una vita che annaffia le gemme in aprile e le ritira in ottobre”.
A seguito della significativa premessa, intendendola quasi una sinossi, propongo quattordici delle fotografie realizzate in loco che potrebbero rappresentare un portfolio, Composto da immagini accennanti ai passaggi intermedi, alle tappe intercorrenti tra l’inizio e la fina, tra la vita e la morte.
In questa rappresentazione fotografica, delle “grate o feritoie”, che separano i due piani d’ubicazione dei diversi elementi, a mio parere si uniscono anch'esse all’unicum del progetto.
Potrebbero pure intendersi come dei filtri attinenti alle fasi terrene e l’anima (fig. 12) per collegare l’ascetismo cattolico rappresentato dal cristo in croce e in sospensione, dogmatizzato nell’affresco sommitale che lo sovrasta (fig. 13 e 14).
Non so quanto di religioso possa aver ispirato l’idea ai due artisti d'arte moderna, ma non conta. Per rendere comprensibile quanto detto a parole le foto sono state inserite seguendo la logica immaginata.
Buona luce a tutti!
© Essec
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domenica 22 giugno 2025
Palermo Pride 2025
Tra tantissimi scatti, alcune foto della manifestazione palermitana su: https://salvatoreclemente.blogspot.com/2025/06/palermo-pride-2025.html
Buona luce a tutti!
© Essec
sabato 14 giugno 2025
"Il Palpito della terra" di Laila Bohnenbergher all'ARVIS di Palermo
Un’operazione complessa, con un progetto ricco di tecnica creativa e che segue un filo logico … sconfinato.
Sono tanti i messaggi inseriti nell’ambito della mostra, con delle allusioni esplicite, coerenti alla sinossi, e tante simbologie rivolte all’osservatore che potrà leggerle liberamente anche nelle provocazioni concettuali.
Iniziamo con riportare la sinossi dell’autrice:
“IL CORPO IN MOVIMENTO ENTRA IN SINTONIA CON IL MOVIMENTO DELLA TERRA.
Immergersi nella materia, ritornare all’essenza, alla pianta: questo è il desiderio dei corpi femminili che fotografo. L’ambiente si imprime su di loro, la pelle è mimetica con gli elementi che la circondano, la Natura diventa un mantello.
A volte i corpi si sentono al sicuro. Si fondono teneramente con l’arredamento. La forza della Natura e la forza femminile sono in armonia. Entrambi in ascolto, il ciclo femminile si lega al ciclo lunare. La pace regna, la fusione è omogenea.
Ma con una tecnica di sovrapposizione mostro anche che questa Natura si ribella. Diventa incontrollabile, invade gli esseri umani, li imprigiona.
Corpi avvolti, la Natura diventa tela o rete. Congela coloro che l’hanno ferita nel tempo.”
Con le opere esposte Laila Bohnenbergher affronta gli aspetti esistenziali destinati a non trovare mai risposte, se non quelle assolute: ovvero che qualunque forma di vita rimane collegata alla relatività del suo “spazio/tempo”.
Da visitatore della mostra, tenendo anche in giusto conto la sinossi dell’artista, sono portato a osservare che la mostra inizia con un vetro spezzato, con inglobata un’immagine nitida di un autoritratto che esce da una penombra. La prima domanda potrebbe già essere: Il “Narciso” cui si allude e che ne viene fuori parla della stessa autrice o è un netto richiamo al visitatore che si accinge a visionare le opere esposte?
Le concettualizzazioni espresse in sinossi sono abbastanza evidenti nelle fotografie, stampate rigidamente in bianco e nero, che rappresentano attimi di frame congelati in dissolvenze incrociate che, nel fondere figure plasticamente compatibili, mettono a frutto le maturate esperienze cinematografiche dell’autrice. Lei sa certamente distinguere l'immagine in entrata rispetto a quella in uscita, ma è normale che le due direzioni potrebbero non coincidere con chi si pone a osservare le opere.
Appare anche una scelta la sottolineatura della Natura collegata principalmente al mondo femminile, che in qualche modo ricorda velatamente la "Pachamama". Figura semplice e radicata nella filosofia delle tribù andine. Simbolo vivente di una cultura che ha venerato la Terra come fonte di vita e protettrice di tutti gli esseri viventi.
Le diverse forme e formule adottate sviluppano tante grammatiche differenti e, in questo, le immagini perfettamente definite, non miscelate qui in sovraesposizioni, sono proposte attraverso l’uso di gelatine sapientemente apposte su basi d’origine rocciosa (calcarea, sedimentaria, etc…) per sviluppare un discorso altro.
Alcune di esse proposte come installazioni, con l’utilizzo di calze da donna, a mio parere, potrebbero costituire il ricorso a stratagemmi idonei a individuare esposizioni d’immagini consolidate; che potrebbero alludere a una galleria di ritratti, volta alla esaltazione della figura femminile e della sua bellezza estetica.
Immagini preservate, quindi, in una simbolica pinacoteca particolare, che si viene a intramezzare fra le fotografie dell’ideale fusione esistenziale tra due mondi intesi come paralleli (vegetale e umano).
Le altre formule artistiche adottate, forse lasciano presupporre la stabilità delle immagini nel ricordo di noi umani, mentre altre ancora avrebbero lo scopo di far contemplare, con l’invito a riflettere: le isolate rocce non protette da calze, che si intervallano anch’esse nella esposizione delle opere e fotografie di visi non meglio definite poste forse come intercalari di una punteggiatura interiore.
In conclusione, non credo che la sinossi scritta da Laila possa ritenersi esaustiva rispetto all’argomento, anzi vuole essere un punto di partenza.
Le singole opere e l’allestimento ben ideato, inducono a molteplici considerazioni, variabili per le esperienze di ognuno.
Sono, infatti, innumerevoli gli spunti e le domande che suscita l'attenta visione della mostra.
Buona luce a tutti!
© Essec
giovedì 12 giugno 2025
Elliott Erwitt anche quando ha fotografato a colori, si è sempre orientato con uno sguardo fotografico in bianco e nero.
Una mostra “splendida” come usa ormai dire anche il mio amico che si è appropriato del temine che uso spesso per esprimere un giudizio d’eccellenza.
Pur conoscendole e già assimilate, anche per averle osservate da tempo, l’impatto con le foto in mostra al Palazzo Reale di Palermo del mitico ERWITT, suscitano quasi la pelle d’oca.
Un allestimento lineare sviluppato secondo percorsi logici e omogenei, associati a un'illuminazione delle opere eccelsa, precipita lo spettatore in un contesto che suscita l'idea di bellezza.
La pulizia delle immagini ne trae un indubbio vantaggio, facendo uscire dalle tante finestre personaggi, storie, come fossero ancora vive e propense ad un potenziale dialogo.
Una considerazione mi è apparsa evidente in sede di postproduzione delle fotografie scattate durante la visita e cioè che Elliott Erwitt anche quando ha fotografato a colori, si è sempre orientato con uno sguardo fotografico in bianco e nero.
Il colore nelle sue foto, comunque, qualora sia stato volutamente scelto, non distrae, anzi costituisce un valore aggiunto finalizzato ad arricchire i dettagli dell’immagine, in relazione al racconto.
Come detto, nella sua semplice razionalità, la mostra ha puntato sulla cura delle disposizioni, amalgamando le immagini con l’ambiente, anche con aggiunta di trovate originali che non disturbano, anzi impreziosiscono, l’insieme.
Delle 150 fotografie in mostra 77 fanno parte di uno slide show proiettato in una saletta adiacente alla sala ove sono esposte le fotografie stampate.
La visione integrale di tutte quante le opere, che riesce a raccontare a pieno l’indubbio talento e la straripante fantasia del personaggio Erwitt, costituisce un quadro d’insieme che consente di capire anche al neofita più distratto, cosa può essere la fotografia nei suoi molteplici aspetti culturali: artistici, documentali, creativi e chi più ne ha più ne metta. Insomma 8,50 euro per l'ingresso alla visita spesi bene!
Una mostra programmata purtroppo in un periodo prettamente estivo, affollata da molti turisti in transito, ma che dovrebbe principalmente coinvolgere i giovani e le classi scolastiche di ogni genere e grado. La chiusura dell’evento è prevista per il 30 novembre prossimo, sono previsti sconti speciali per le scuole. Volendo, quindi, gli insegnanti potrebbero organizzare le imperdibili visite in tempo.
Buona luce a tutti!
© Essec
venerdì 6 giugno 2025
Pont-Raits: Fotografie di Davide Currao
Si può produrre e fare fotografia in tanti modi, la regola costante impone in ogni caso che, qualunque sia l’immagine che si intende proporre la stessa non deve mai essere scontata, schiacciata da regole compositive fisse e che il risultato raggiunto riesca a trasmettere all’osservatore una emozione.
In questo senso le fotografie di Davide Currao in mostra a Palazzo Ziino, sono una dimostrazione pratica di ciò che può bene intendersi dell’abc artistico esprimibile attraverso la combinazione di una macchina fotografica, la fantasia compositiva del fotografo, l’ottimizzazione della scrittura delle luci e, non ultimo, la complicità creativa del soggetto che si pone come modella/o.
Le molteplici immagini di Currao esposte, che rappresentano una selezione fatta per genere e di differenti idee/campagne, offrono una notevole gamma di soluzioni praticabili attraverso un dosato e sapiente uso dello strumentario fotografico.
La pulizia delle opere, oltre a creare un alone di bellezza che attrae quasi in maniera ipnotica, indirizza e accompagna l’osservatore che, girando per la mostra, sembra quasi essere chiamato da ogni personaggio/scena/trovata acutamente congelata in ogni foto.
Paradossalmente si crea la sensazione di subire il richiamo dello stesso autore, che attraverso le sue fotografie, sussurra storie, senza mai alzare il tono di voce e che ciascuno potrà leggere/immaginare al momento; inventandosi il tutto attingendo nel baule delle sue esperienze.
L’idea originaria di scrivere dei pensieri, da mettere volanti e sospese nelle sale, anche per carenza di adesioni, ha trovato valida sostituzione in una serie di post it che i visitatori stanno cominciando a scrivere e ad affiggere sui muri.
Probabilmente il risultato riuscirà a meglio integrare scrittura visiva e pensieri, sempre secondo l’idea in origine prefissata; sicuramente un modo diverso di raccogliere segnali, magari in maniera differente rispetto al classico registro posto all’entrata.
La visita della mostra impone diversi giri del percorso, magari con ritorni utili a verificare quelle che erano state le prime impressioni.
Dire le foto esposte sono molto belle e organizzate in maniera intrigante appare del tutto superfluo.
Neppure l’allestimento, che è un esplicito e partecipato omaggio oltre che riconoscimento postumo all’autore, curato da Luca Lo Iacono e Ezio Ferreri, necessita di ulteriori considerazioni; anzi potrebbero risultare ridondanti rispetto alla sobria efficacia del progetto.
Una cosa è certa ovvero che, a prescindere dalle anticipazioni che erano state date attraverso il sito web che raccoglie tutte le immagini esposte in mostra, vederle di persona è tutt’altra cosa.
L’esposizione verrà mantenuta fino al 26 giugno e chi si occupa di comunicazione artistica, a prescindere della passione per la fotografia, non può esimersi dal vederla.
Buona luce a tutti!
© Essec
sabato 31 maggio 2025
Cura e allestimento di una mostra: "Antologica fotografica di Nino Giaramidaro" fino al 7 giugno alla Galleria FIAF dell'ARVIS di Palermo
Come ho avuto modo di scrivere altre volte, in ogni esposizione artistica almeno il 50% dipende dalla cura nell’allestimento. Questo è anche uno dei motivi che mi inducono, nel visitare un evento, a soffermarmi sull'attenzione che è stata prestata per valorizzare quanto viene esposto.
Con Salvo avevamo da subito impegnato la Galleria Fiaf dell’Arvis per allestire una mostra antologica fotografica di Nino Giaramidaro a un anno dalla sua scomparsa.
Così ci siamo dati da fare per la riuscita dell’operazione prenotando per tempo la Galleria Fiaf di Palermo.
Tranne noi due e l’associazione, per competenza, nessuno era a conoscenza del proposito e solo un paio di mesi prima abbiamo informato la moglie Enza sull’appuntamento fissato per il primo venerdì utile dopo la ricorrenza, che è corrisposto al 30 maggio.
Acquisita una selezione delle immagini da utilizzare, con Gregorio si è concordato un allestimento che riuscisse a raccontare, in sintesi, il Nino Giaramidaro fotografo, incentrato, principalmente sul suo reportage più importante, che lo ha consacrato anche come giornalista, riguardante il terremoto del Bèlice.
Riuscire a inserire negli spazi disponibili le tante fotografie scelte non è stata certo una passeggiata, ma un progetto di allestimento largamente pensato prima, senza interferenze e in piena autonomia, ci ha facilitato i compiti.
L’esperienza accumulata fra noi e la disponibilità nel prendere decisioni e, nel caso, variare velocemente talune disposizioni hanno reso così possibile addivenire sempre a rapide soluzioni.
Con Salvo e Gregorio del resto si è consolidata un’intesa super collaudata, anche nel mandarci allegramente a quel paese con un sorriso, se del caso, ma sempre con affetto e senza che sia scalfita la stima reciproca.
A tutti e tre piace pure impegnarsi in imprese culturali che riteniamo valide, anche se talvolta queste appaiono di non facile soluzione.
Sono gli aspetti che più ci divertono durante un allestimento e nei quali riponiano la presunzione di lasciare in qualche modo il segno.
Quello che nel tempo abbiamo fino ad ora realizzato è sempre stato improntato a ricercare sempre una fuga dal banale. Trovando soluzioni sempre innovative nel proporre allestimenti nuovi e soluzioni oltre che originali anche, a nostro modo di vedere, moderne.
Nella cura di quest’ultima mostra, stante la mole d’immagini rispetto alle pareti disponibili nelle due stanze e a cui necessariamente si doveva dare spazio, trattandosi di un’antologica, si è cercato di confezionare l’abito scuro che risultasse più adatto per riuscire ad alleggerire le abbondanti forme.
Chi avrà modo di vedere la mostra antologica di Nino Giaramidaro, che sarà inaugurata oggi e permarrà alla Galleria Fiaf dell’Arvis di Palermo fino al prossimo 7 giugno, avrà modo di valutare di persona e a proprio gusto quelle che sono state le scelte e i risultati.
Buona luce a tutti!
© Essec
P.S. Su You Tube lo slide show delle foto del terremoto del Bèlice esposte nella mostra allestita alla Libreria del Mare di Palermo.
giovedì 15 maggio 2025
Davide Currao & Antonio Gregorio Maria "Fester" Nuccio ..... e di certe coincidenze che spesso accadono
Stamani m’arriva un msg da Irene, redattrice Fiaf e fotografa, incontrata nel mondo virtuale dei social.
Il messaggio è un invito a partecipare a una originale iniziativa di un certo Luca, come me palermitano, che ha avuto l’idea di ricordare in modo originale un talentuoso fotografo prematuramente scomparso. L’idea è quella di raccogliere una serie di pensieri e considerazioni sul personaggio (per chi l’avesse conosciuto) o più in generale suscitate dalla visione delle fotografie.
Poiché l’invito è molto attuale ed è finalizzato a raccogliere il maggior numero di adesioni, riporto di seguito il testo integrale del messaggio ricevuto.
“Ciao, mi chiamo Luca e se stai leggendo questo messaggio è perché quasi sicuramente abbiamo delle amicizie in comune.
Ti spiego rapidamente: sto organizzando la prima mostra personale per un amico che non c'è più.
Davide è scomparso poco meno di un anno fa all'età di 45 anni e sulla terra è stato un bravissimo ritrattista fotografo. La mostra non avrà nessun testo critico, perché preferisco affidare la sua curatela alla 'stanza delle farfalle', uno spazio all'interno della mostra, da riempire interamente, pareti e soffitto, con commenti, valutazioni critiche, suggestioni e pensieri di chi, come te, avrebbe potuto incontrare Davide in vita e con lui avrebbe potuto interagire sia artisticamente che professionalmente.
La 'stanza delle farfalle', (la chiamo così semplicemente per renderti l'idea, infatti mi piacerebbe che i biglietti venissero piegati in due ed attaccati sulla piega come farfalle messaggere arrivate da lontano) in realtà sarà uno spazio di conforto senza un nome preciso, uno spazio carico di parole scritte da chi per mestiere e sensibilità ha gli strumenti per leggere la fotografia e riconoscerne il valore.
Uno spazio di leggerezza ed energia positiva per la famiglia e per gli amici di Davide.
Fargli percepire quanto le immagini che Davide ha lasciato siano apprezzate da chi non lo ha conosciuto in vita ma che ha avuto modo di incontrarlo solo attraverso il suo lavoro, può avere un valore lenitivo, persino curativo, ad ogni modo la migliore 'cura' che la mostra possa avere.
Se ti è possibile, dammi una mano a realizzare questa presentazione critica a più voci.
Se sei un fotografo o una fotografa, Davide è stato un tuo collega, guarda il suo lavoro e per favore inviami un commento.
Fai lo stesso se, al maschile o al femminile, sei un artista, un critico, un attore, uno scrittore, un regista o un musicista.
Che tu sia più o meno famosa o famoso, avresti potuto incrociare Davide su un set fotografico e con buona probabilità sarebbe potuto essere l'autore di uno dei tuoi ritratti più riusciti di sempre. Come fare?
Semplicissimo, dai un'occhiata all'anteprima della mostra 'Pont-raits' su https://pont-raits.jimdosite.com/ scrivi su un biglietto, possibilmente a stampatello, qualsiasi idea, emozione, pensiero critico o valutazione che le immagini di Davide ti suggeriscono.
Possibilmente scrivi anche chi sei, scatta una foto al biglietto ed inviala via whatsapp al numero
+39 347 9414047 o via email a mail@lucaloiacono.com
Se non hai tempo per scrivere a mano il tuo biglietto, manda semplicemente il tuo pensiero, lo trascriverò io per te.
Ci vorranno tantissimi biglietti per potere realizzare questo spazio.
Se puoi quindi, condividi questo messaggio con i tuoi amici, i tuoi colleghi, con chiunque possa offrire il proprio prezioso contributo alla realizzazione del progetto. Grazie mille!
Se poi lo vorrai, la mostra si inaugurerà a Palermo il prossimo 5 giugno alle 16.30 a Palazzo Ziino in via Dante 53.
Insieme a tantissime altre persone, sarò lì ad aspettarti. Luca Lo Iacono”
Il msg che ho ricevuto lo trovo paradossalmente abbastanza usuale, per il semplice fatto che mi ripropone ancora una volta la stranezza di certe coincidenze (Un certo "dadismo esistenziale", rubando una delle tante considerazioni focalizzate dall'amico PiP).
La visione delle foto di Davide Currao si collega alle fotografie dei quadri di Antonio Gregorio Maria “Fester” Nuccio, esposte presso la Galleria “Intern65” di Palermo, che costituiscono la mostra “Paradisi Proibiti”, curata da Laura Francesca Di Trapani e che invito a visitare. Fotografie che avevo scattato il giorno prima.
Le fotografie di Davide e i quadri iper allegorici di Antonio, a parer mio, scorrono lungo un filo parallelo fatto di giosità, satira e ironia sottile.
Le immagini si accomunano in un che di “burlesque”, che vuole raccontare storie e personaggi attraverso una lente che confonde e mescola giocoso e grottesco.
Un modo per ridimensionare personaggi e accadimenti che costituiscono l’aneddotica di ciascuno. Lo slide show della mostra "Paradisi Perduti" di Antonio "Fester" Nuccio è possibile vederla su You Tube. You Tube
L’invito di Luca potrebbe essere accolto da tanti appassionati d’arte, a prescindere dal genere, quindi, fate voi.
Buona luce a tutti!
© Essec
lunedì 12 maggio 2025
"Viale del tramonto" ... Quello che mi rimane dopo aver visitato un progetto fotografico di Marco Bennici
Nella vita non esiste una formula magica … tutto è costituito da un insieme di variabili ed è frutto d'imprevedibili combinazioni d’elementi. In fondo in fondo, in conclusione, forse è semplicemente la sintesi di un gran casino.
Il recente suicidio del latitante omicida che ha deciso di buttarsi giù dalle terrazze del Duomo di Milano è certo l'ultimo gesto disperato di chi si ritrova psicologicamente chiuso in un vicolo cieco e non vede altre soluzioni. Un’azione che merita, in ogni caso, solo compassione senza aggiungere ulteriori commenti.
Pazzie e raziocinio rappresentano sempre le punte d'iceberg d'emozioni sommerse.
Si dice che ogni individuo è un universo e pure che ogni esistenza si muove secondo logiche complesse, indipendenti, che non necessariamente seguono percorsi sempre normali.
Del resto la stessa nascita è casuale: deriva da quell’unico spermatozoo che è riuscito a fecondare la cellula uovo, nell’ambito di un accadimento sicuramente contestualizzabile e che incide nel modellare destini. In alcuni casi l'accoppiamento è frutto di un amore certo, ma non sempre è così (PMA compresa).
Habitat del mondo differenti accolgono e condizionano fin da subito i destini dei singoli nati ma, come risaputo, non ci sono regole standardizzate o formule universali per il raggiungimento di un futuro felice e che dia certezze.
Si può nascere sani o con handicap purtroppo, in famiglie povere o ricche. Si può crescere in culture patriarcali, matriarcali, in contesti sociali democratici o in regimi soggetti a dittature.
Puoi frequentare scuole e acculturarti secondo ideologie illuminate, ciniche o nichiliste.
Puoi maturare un carattere socievole da filantropo o asociale da misantropo, seguendo le tracce genetiche del DNA naturale che ci caratterizza.
Puoi comunque conseguire traguardi di emancipazione o restare impantanati nell’ambito di vissuti aridi, dove l’unico obiettivo è costituito dall’istinto di conservazione e della sopravvivenza.
Ogni individuo potrebbe raccontare di sé e pure di storie d’altri, tutte caratterizzate da sommatorie di eventi che hanno pure coinvolto miriadi di personaggi.
Combinazioni e tempi diversi, indipendenti, di esperienze e incontri, dove caso, destino e determinazione prescindono quasi sempre dagli stessi protagonisti.
C’è chi la chiama fortuna, ma forse è il fatalismo l’elemento principe che governa ogni storia, le tante avventure, le singole esistenze.
In tutto questo le religioni restano fantastiche invenzioni umane, atte a illudere con le loro eterne utopie.
Di contro il fanatismo costituisce uno dei pericoli maggiori, imputabili all’indole e al convincimento pseudo intelligente implicito alla natura dell’essere uomo.
Letteratura, musica e ogni genere di creatività artistica sono i nostri salvagente, che ci consentono di veicolare sentimenti e di continuare a sviluppare idee.
Sono gli oppiacei positivi che ci aiutano nel corso dell’esistenza e ci permettono di sviluppare conoscenze, spingendoci anche a vivere avventure diverse.
Tanti sono quindi i percorsi che conducono all’unica meta comune e certa della morte.
Chi avrà tenacia, pazienza e la fortuna della salute potrà godere del regalo d’essere sopravvissuto con ogni giorno; indipendentemente dal solco che, per necessità o scelta, si è trovato a seguire.
Forse i messaggi più importanti lasciati dal saggio Bergoglio sono stati la domanda e la risposta che ha posto a sé stesso riguardo al genere: “ma chi sono io per poter giudicare”. Domanda e risposta laiche, che hanno lasciato ognuno libero di pensarla come vuole; avendo quale unico vincolo imprescindibile il rispetto degli altri.
Non so quanto possa risultare consono questo ampio panegirico che, in qualche modo, vorrebbe costituire preambolo per le osservazioni al collage fotografico posto a monte di questo articolo, testimonianza di aspetti di un'esistenza.
L’insieme degli scatti realizzati da Marco Bennici, fotografo, costituiscono un’emblematica sintesi della storia di un modo di vivere e forse un aspetto del concetto stesso d’esistenza.
Nello specifico Bennici, illustrando la raccolta fotografica intitolata "Dal Tempo", a citare una poesia del cantautore Pino Mango (cantante/poeta calabrese), mi spiega che ritraggono un’attrice americana ultra ottantenne, che ha acconsentito ad essere fotografata senza veli, per testimoniare col suo corpo quello che in cuor suo vuol continuare ad essere. Forse credersi detentrice e far credere agli altri di poter inseguire e riuscire a raggiungere l'eterna giovinezza. A prescindere dall'estetica di rughe, flaccidità e vasta decadenza evidente.
Nel prestarsi ad essere fotografata avrebbe solo chiesto a Bennici di farla bella!
Fin da subito la visione delle immagini, forti e incisive, realizzate e apientemente composte da Marco Bennici in un unico puzzle, porta a ricordare la conclusione del film di Billy Wilder degli anni cinquanta, “Viale del tramonto”, dove Gloria Swanson, una grande attrice e celebre star del muto, nella scena finale recitava una sorta di parodia cupa di sé stessa, forte di una grande espressività e una bravura quasi “magnetica”.
Un film che, rivisto oggi, suscita ancora nell’osservatore la pelle d’oca. Appunto, la stessa sensazione che ho avuto anch’io, fin da subito, nell’ammirare quella raccolta d'immagini rigorosamente stampate in bianco e nero.
Il titolo dell’insieme fotografico avrebbe potuto essere, quindi, anche qui lo stesso dato al film di Wilder.
Al fotografo Bennici vanno i miei complimenti per aver realizzato con efficia una non facile impresa.
Buona luce a tutti!
© Essec
giovedì 8 maggio 2025
"Io Sbirro a Palermo" di Maurizio Ortolan
Come mi capita sempre più di frequente, questo è l’ennesimo libro che ho incontrato per caso e che consiglio vivamente a tutti di leggere. In special modo ai siciliani.
Tra quanto ho avuto opportunità di consultare in materia, “Io sbirro a Palermo”, scritto da Maurizio Ortolan” (Editore Melampo, 2018), l’ho trovato non solo interessante, molto utile ma, oserei dire anche, un libro esemplare.
Con una scrittura efficace, sobria e scorrevole l’ex Vice ispettore, senza mai perdersi in panegirici, viene a raccontare un ampio tratto del suo vissuto, dedicato a importanti compiti istituzionali favoleggiati da tanti. Relazionando con coinvolgente realismo su momenti che lo hanno visto protagonista diretto nei ranghi dell’attività di polizia investigativa impegnata nella lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso.
Quanto raccontato da Ortolan, se fosse stato redatto da uno scrittore di professione, potrebbe quasi venire a costituire una stesura di vicende romanzate.
Le sue sono invece le narrazioni di esperienze vissute in prima persona nello svolgendo dei vari incarichi lavorativi, infine culminati nella partecipazione alla cattura del latitante capomafia corleonese Bernardo Provenzano.
La naturalezza descrittiva delle vicende e dei personaggi non si accompagna a nessuna particolare enfasi. Neanche nel descrivere i personaggi che ha incontrato e con i quali ha collaborato; comprese le mitizzate figure di Falcone e Borsellino, descritte mettendone a fuoco i caratteri, nell’ambito dell’umanità che ha personalmente colto.
Per quanto mi riguarda, molte pagine mi hanno rivelato, peraltro, i risvolti dell’attività dei comparti speciali che, per un breve periodo, sono stati vicini anche a miei incarichi di collaborazione con l’A.G..
Nel leggere i suoi racconti, rivedo quell’entusiasmo e quella partecipazione attiva dei soggetti che ho pure io conosciuto nel mio piccolo, che si sono sempre palesati per impegno non comune nello svolgimento delle loro indagini coordinate dai magistrati di riferimento.
Le circa duecento pagine scorrono in una lettura leggera e avvincente che, però, inducono a riflettere, perché includono anche questioni che riguardano aspetti della vita comune di ogni individuo.
Fra le tante considerazioni dell’autore mi hanno pure colpito due periodi che non possono non essere condivise pienamente.
Il primo evidenzia che “fare carriera partendo dal basso comporta più tempo, ma impari a fare di tutto, a capire meglio le difficoltà di un lavoro e i problemi di chi lo deve svolgere, sei in grado di spiegare come si fa e come vuoi che venga fatto, e poi la strada maestra per imparare a comandare è iniziare obbedendo”.
Il secondo, che mette in evidenza l’umiltà che accompagna spesso personalità robuste che danno sicurezza e certezze a noi cittadini comuni: “Vengo definito un analista, mentre sono un semplice poliziotto, un generico, ma di quelli che preferiscono la ragionevolezza e i fatti alle ipotesi illustrate con compiacimento, ma senza uno straccio di pezza d’appoggio”.
Buona luce a tutti!
© Essec
lunedì 5 maggio 2025
Dovrai lottare!
Occorre saper attendere, perchè ci vuole sempre del tempo affinchè pervengano riscontri su quanto si viene a proporre con la scrittura o altro.
È necessario però avere l'accortezza di distinguere i giudizi, collegandoli ai soggetti che ritengono di esprimersi - a proprio modo - e, quindi, talvolta anche i silenzi possono avere un significato.
In questa chiave, pertanto, una recensione efficace spesso non necessita di tante parole … ne sono anche sufficienti poche ma appropriate, specie se s'integrano con una giusta enfasi.
Di seguito si propone il sintetico testo ricevuto ieri e trasmessomi per un confronto da Francesco Salvio a commento del libro “Banche d’Italia” …
“Come la pianta carnivora attira, attraverso profumi irresistibili le formiche, fino al bordo della sacca che poi diventa scivolosa e ti fa cadere al suo interno da dove non ne uscirai più…
Così l’aspettativa di carriere, il prestigio, potere e denaro, si propongono in queste strutture.
Poi arrivi ad un punto dove non riuscirai a tornare indietro e tu non sarai più quello che eri…
Dovrai lottare!”
A chi legge, collegando nel caso il messaggio a proprie esperienze lavorative, rimane demandata ogni considerazione.
Buona luce a tutti!
© Essec
venerdì 2 maggio 2025
Recensione inattesa .... ricevuta da Celestino Quinto per "Pesi e Contrappesi"
Nell’incontrare lungo l’esistenza variegati soggetti a noi simili l’umanità concede spesso delle sorprese.
Sono le opportunità che consentono di scoprire il “lato oscuro della luna” (se di altri o di sé stessi, poco importa) che quasi naturalmente siamo portati a non vedere; che ci nascondono aspetti sconosciuti, sgradevoli o piacevoli a secondo i casi o dei momenti.
Talvolta ciò succede anche nel leggere libri, specie se di contenuti letterari che rappresentano veri e propri messaggi in bottiglia, che alcune volte autori amano indirizzare al mondo che li circonda, con chiavi di lettura, spunti d’interesse, punti di vista, velleità o recondite aspirazioni.
L’amico Celestino oggi mi ha voluto rendere partecipe delle considerazioni che ha ricevuto da una sua conoscente che ha appena terminato di leggere il suo libro “Pesi e contrappesi”.
Il testo della missiva riporta: “ieri sfogliavo un libro fotografico multimediale fatto da un amico e, mentre leggevo la prefazione su una frase trovo il commento... questa non è mia è copiata... l'importante come diceva Picasso è copiare bene. Poi aggiungeva che è sempre stata sua abitudine appuntarsi le frasi che lo colpivano al fine di un successivo riutilizzo.
E così mi sono ritrovata nel tuo libro dove parli dell'eredità delle frasi fatte lasciare nel cassetto da chi se n'è andato... quando l'avevo letta non ci avevo dato molto peso, ma sentire ieri la stessa cosa detta dall’amico mi ha lasciata stupita di questa prassi; a questo punto, comune di una certa generazione. O forse sono io che l'ho associata ad una generazione e, come sempre, causa la mia ingenuità, non mi accorgo che anche chi è intorno a me ha fatto e fa spesso la stessa cosa.
Ne approfitto per dirti che il tuo libro nel suo complesso mi è piaciuto, forse più per il fatto che tra le righe, e non nemmeno tanto nascosto, ha fatto uscire un Celestino (o chi per lui) che non avrei immaginato... dedito al lavoro, giusto, perseverante, analitico e puntiglioso nonché indomito.
Traspare poco, invece, della sofferenza vissuta sin dall'origine degli eventi; mi riferisco a ciò che ti ha spinto alla decisione estrema e a tutto ciò che ne è conseguito.
Nelle conclusioni Ario lascia trasparire la delusione e la conseguente sua resa, ma non parla del suo stato d'animo... arriva? A me è arrivato o forse ho solo trasferito su di lui quello che stavo/sto vivendo in questo periodo... se lo avessi letto un mese fa non ti so dire cosa mi sarebbe arrivato.
Di fatto, tutta la sofferenza vissuta me l'hai poi riassunta in cinque parole al telefono.
Ciò premesso so che lo scopo per cui hai scritto il libro era quello di condividere l'ennesima storia della lotta tra Davide e Golia e allora ecco cosa penso...
Mi è piaciuta molto l'alternanza tra cronaca e dissertazioni; queste ultime, dalla narrazione molto scorrevole e di facile lettura, alleggeriscono le parti di cronaca che spesso risultano ostiche, specie per i non "addetti" al lavoro, che rischiano di perdersi ed a cui è richiesta quindi più fatica per comprendere.
Molto utile allo scopo la schematizzazione fatta da Omero dell'intera vicenda.... e, proprio mentre pensavo mi sto perdendo, è lui a farmi il riepilogo.
Un po' meno, a mio avviso, l'aiuto dato dal "riepilogo per riordinare le idee", che richiede una lettura molto attenta in quanto pieno di contenuti tecnici.
La Conclusione è più nelle mie corde, in quanto la cronaca lascia spazio, a mio avviso, al contenuto umanistico; inoltre trovo molte affinità con Ario, sarà per questo che mi è piaciuto.
P.S. ... In alcuni casi ho dovuto utilizzare il dizionario... in quanto hai usato termini che non avevo mai sentito e non solo nelle parti tecniche e li la mia ignoranza ha ringraziato.”
Sono molto contento di aver ricevuto da Celestino questa inattesa lettera pervenutagli dalla sua lettrice.
Il contenuto della recensione, a mio parere e forse anche per coloro che hanno letto “Pesi e contrappesi”, schematizza e sostanzialmente centra i punti sottostanti all’intero progetto che, peraltro, ho avuto modo di conoscere fin dagli inizi. Pensato per cercare di raccontare vicissitudini complesse e congestionate, sicuramente difficili da rappresentare, calmierate con accortezza per poterle rendere piane e comprensibili anche ad altri.
Con il costrutto strutturale scelto, ovvero quello di alternare il filone narrativo principale, quasi un memoriale, con delle piccole “dissertazioni”, per lo più costituite da aneddoti o ispirate a fatti realmente accaduti, sapevo che Celestino intendeva proprio creare delle opportune pause per inventare oasi d'ossigenazione (letteraria), rispetto alle più impegnative apnee; spesso comportanti usi di terminologie specialistiche, ricorrenti a tecnicismi espositivi poco comuni.
Buona luce a tutti!
© Essec
martedì 29 aprile 2025
“Punti di Vista” ... di SID
Come ho già avuto modo di ricordare, il mitico Antonio Billeci, durante un ricevimento di professori, nel descrivermi dal punto di vista scolastico ebbe a dire di me .... “in una classe di ciechi lui ci vede con un occhio solo”. Per me, anche per la stima nei confronti di quel mio “professore filosofo” (amante appunto di filosofia e che insegnava ragioneria), quello rimase e rimane ancora uno dei maggiori complimenti ricevuti nella mia vita.
In questi giorni mi sono accompagnato con l’amico SID nel popolare quartiere Capo di Palermo, poiché aveva programmato la realizzazione di un murales su una parete fatiscente che qualche giorno prima gli si rivelò vagando per i luoghi.
Gli artisti hanno il privilegio di osservare la realtà attraverso dei filtri per loro naturali che aggiungono e sottraggono alle loro personali visioni.
Mi ricordava momenti creativi che mi capitavano da ragazzo, nel realizzare disegni mai programmati prima, che discendevano da elaborazioni successive di linee e rette precedentemente accennate e tracciate senza alcun raziocinio.
Attraverso letture successive – che fotograficamente potremmo pure assimilare alla stregua della postproduzione – le tracce abbozzate costituivano di per sé degli elementi idonei ad ispirare figure, contesti, ambienti che a posteriori necessitavano solo di essere definiti.
Si trattava quasi di un gioco che, con elaborazioni spontanee, generavano forme frutto di diletto, anche per una creatività’ grafica che era in continuo divenire.
Tornando a SID e al suo progetto, dalla fotografia del muro aveva poi definito un bozzetto dell’opera che si era proposto di realizzare. L’arte, però, ha la peculiarità di rimanere mutevole, pure in fase realizzativa.
Soffermandosi ad osservare il muro SID, già tracciando le prime linee di contorno della figura, mi rendeva partecipe di una sorta di visione suggestiva che intanto ci accomunava.
Le macchie di colore, gli scrostamenti, le tante linee e le variegate tonalità delle tinte presenti e frutto d’intemperie tendevano a uscir fuori, a mettersi di per sé in evidenza, come fossero dei disegni sedimentati, preesistenti, dormienti.
Succedeva, in sostanza, che l’opera da realizzare era già presente sul muro e che a SID era quasi solo demandato il compito di farla uscire fuori dal letargo.
Si trattava insomma di un appuntamento inconscio, tra l’artista e la sua opera, che si era già palesata alcuni giorni prima, con la scoperta del muro.
Man mano che il pennello, la vernice nera e la scala di grigi tirava fuori l’immagine, si capiva perfettamente che la figura veniva quasi fuori da sola.
Capitava perfettamente la stessa cosa che accade in camera oscura. Quando, dopo aver impressionato la carta, viene ad emergere l’immagine nella bacinella di sviluppo. Compito del fotografo, che ha già catturato in pellicola la sua luce, nella successiva sua veste di stampatore (almeno nel ruolo classico di una volta) rimane quello di governare l’effetto reattivo del “Rodinal” e bloccarlo con il liquido di fissaggio nel momento opportuno.
Bastarono non più di un paio d’ore perché l’opera di SID fosse completata.
A commento del suo time-lapse pubblicato su FB l’autore ha scritto: “Quando un muro si esprime da solo, i colori e le imperfezioni diventano già arte. Il mio compito è cercare di coprire il meno possibile la parete e interagire con essa”.
La figura era venuta fuori senza resistenze e con il messaggio che si accostava molto alla massima a me cara e proferita dal professor Billeci.
Mi fu pertanto naturale suggerire a SID il titolo che poteva essere attribuibile al suo bellissimo murale: “Punti di vista” e che con mio piacere ha raccolto.
Un breve slide show pubblicato su You Tube, musicata con parte di un brano del 2006 dello stesso SID, evidenzia l'evoluzione creativa dell'opera.
Buona luce a tutti!
© Essec
In questi giorni mi sono accompagnato con l’amico SID nel popolare quartiere Capo di Palermo, poiché aveva programmato la realizzazione di un murales su una parete fatiscente che qualche giorno prima gli si rivelò vagando per i luoghi.
Gli artisti hanno il privilegio di osservare la realtà attraverso dei filtri per loro naturali che aggiungono e sottraggono alle loro personali visioni.
Mi ricordava momenti creativi che mi capitavano da ragazzo, nel realizzare disegni mai programmati prima, che discendevano da elaborazioni successive di linee e rette precedentemente accennate e tracciate senza alcun raziocinio.
Attraverso letture successive – che fotograficamente potremmo pure assimilare alla stregua della postproduzione – le tracce abbozzate costituivano di per sé degli elementi idonei ad ispirare figure, contesti, ambienti che a posteriori necessitavano solo di essere definiti.
Si trattava quasi di un gioco che, con elaborazioni spontanee, generavano forme frutto di diletto, anche per una creatività’ grafica che era in continuo divenire.
Tornando a SID e al suo progetto, dalla fotografia del muro aveva poi definito un bozzetto dell’opera che si era proposto di realizzare. L’arte, però, ha la peculiarità di rimanere mutevole, pure in fase realizzativa.
Soffermandosi ad osservare il muro SID, già tracciando le prime linee di contorno della figura, mi rendeva partecipe di una sorta di visione suggestiva che intanto ci accomunava.
Le macchie di colore, gli scrostamenti, le tante linee e le variegate tonalità delle tinte presenti e frutto d’intemperie tendevano a uscir fuori, a mettersi di per sé in evidenza, come fossero dei disegni sedimentati, preesistenti, dormienti.
Succedeva, in sostanza, che l’opera da realizzare era già presente sul muro e che a SID era quasi solo demandato il compito di farla uscire fuori dal letargo.
Si trattava insomma di un appuntamento inconscio, tra l’artista e la sua opera, che si era già palesata alcuni giorni prima, con la scoperta del muro.
Man mano che il pennello, la vernice nera e la scala di grigi tirava fuori l’immagine, si capiva perfettamente che la figura veniva quasi fuori da sola.
Capitava perfettamente la stessa cosa che accade in camera oscura. Quando, dopo aver impressionato la carta, viene ad emergere l’immagine nella bacinella di sviluppo. Compito del fotografo, che ha già catturato in pellicola la sua luce, nella successiva sua veste di stampatore (almeno nel ruolo classico di una volta) rimane quello di governare l’effetto reattivo del “Rodinal” e bloccarlo con il liquido di fissaggio nel momento opportuno.
Bastarono non più di un paio d’ore perché l’opera di SID fosse completata.
A commento del suo time-lapse pubblicato su FB l’autore ha scritto: “Quando un muro si esprime da solo, i colori e le imperfezioni diventano già arte. Il mio compito è cercare di coprire il meno possibile la parete e interagire con essa”.
La figura era venuta fuori senza resistenze e con il messaggio che si accostava molto alla massima a me cara e proferita dal professor Billeci.
Mi fu pertanto naturale suggerire a SID il titolo che poteva essere attribuibile al suo bellissimo murale: “Punti di vista” e che con mio piacere ha raccolto.
Un breve slide show pubblicato su You Tube, musicata con parte di un brano del 2006 dello stesso SID, evidenzia l'evoluzione creativa dell'opera.
Buona luce a tutti!
© Essec
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mercoledì 16 aprile 2025
Il talento e il ballo
La prima volta che ho ascoltato Elisa è stata durante una trasmissione su RAI 3, in un programma in cui Caterina Caselli si proponeva come talent scout.
Elisa a quel tempo non era ancora maggiorenne, ma già mostrava pienamente il suo talento; cantava le sue canzoni in inglese e, pur non comprendendo le parole, le sue interpretazioni andavano oltre.
Fortunatamente nella musica sono in tanti i talenti creativi che riescono a introdurre in ambiti sospesi, attraverso melodie che costituiscono sintesi di sensazioni, sentimenti, che riescono, come detto ad andare oltre, a penetrare l’anima.
Da Battiato a Paoli, da De Gregori a De Andrè, da Dalla a Guccini, per non parlare del combinato Mogol/Battisti, sono già moltissimi gli esempi italiani di cantautori con caratteristiche simili ad Elisa e i citati sono alcune delle vette di iceberg comparabili al riguardo.
Così come nelle generazioni si sono succedute diversificate genialità palesatesi eccelse in vari campi, ogni forma artistica ha visto un turbinio di soggetti che hanno avuto occasione di manifestare il loro talento, lasciandone tracce.
Con i quattro termini “m’illumino d’immenso” Ungaretti ha lasciato un messaggio d’intensità che non presenta confini. John Lennon, dal canto suo, con la sua straordinaria melodia di “imagine” ha musicato una poesia utopica sull’obiettivo supremo dell’esistenza umana.
Se provassimo a pensare a quante generazioni si sono succedute nelle sequenze esistenziali, ovviamente relazionandole ai loro tempi, emergerebbe una folla di geni (manifesti, riconosciuti, compresi, incompresi) che hanno saputo illuminare l’avventura umana. Con tutti i possibili pregi e difetti derivati o ad essi collegati.
Anche in un campo artistico relativamente giovane, quale quello costituito dalla fotografia, sono moltissimi gli esempi di coloro che, ottimizzando l’utilizzo del mezzo disponibile per lo scopo, sono riusciti a illustrare e a raccontare fissando, su una pellicola sensibile prima o su pixel adesso, la luce.
Ciascuno di noi, assecondando i gusti, la sensibilità e il proprio bagaglio culturale, sarà facilmente in grado di crearsi una scala di valori, distinguendo tra i vari autori; ma è sufficiente accedere ad internet per constatare quante centinaia di migliaia di personaggi e relativi scatti vengono proposti. Questo interrogando con la sola parola fotografie o fotografi.
Si vedrà anche qui un crescendo temporale legato alla democratizzazione del fenomeno, prima prerogativa quasi esclusiva per pochi agiati, anche per la non indifferente incidenza dei costi da dover sostenere, e oggi accessibile a tutti tramite l’utilizzo di un semplice cellulare, alla portata di tutti.
Al riguardo sbaglia chi denuncia e lamenta un’eccessiva produzione o enfatizza utilizzi a mo’ di giocattolo (selfie) dello strumento. Le quantità pur producendo per lo più tanta spazzatura non impedisce, infatti, l’emergere di talenti.
È pur vero che anche l’indole mercantile presente in ogni essere umano contribuisce ad inquinare qualità. Per lo più attraverso l’attività di critici e galleristi che pilotano tendenze e mode per evidenti tornaconti economici o aspettative di glorie, ma questo rappresenta un altro capitolo e costituisce un’altra storia.
Dopo questa lunga premessa veniamo però al dunque di questo articolo, ovvero accingiamoci a concentrarci su un determinato scatto e a disquisire sui tanti aspetti della fotografia prodotta.
L’immagine che in questo caso si viene a proporre è una foto in bianco e nero che, nella sua semplicità compositiva, può ben rappresentare una sintesi estrema di simboli e concetti,
Il ballo che ne è ritratto rappresenta quello di una coppia, ma potrebbe pure riferirsi ad uno degli incontri che il lui o il lei (e comunque importa poco il genere) viene a intrattenere con i propri simili in ogni attimo dell’esistenza.
Le figure, volutamente mosse e forse un po’ sfocate, vogliono rappresentare il fluttuare o il turbinio (scelga autonomamente l’osservatore) del suo rapporto con gli altri.
Paradossalmente si potrebbe intendere anche come un ballare da soli, pur ritrovandosi con tanti soggetti immersi in una affollata sala.
In ogni caso chi ha la fortuna di nascere e vivere l’avventura della vita si troverà a dover ballare nei meandri più nascosti d’ambienti che andranno a costituire il proprio mondo. Dopo il primo vagito, si cerca di capire e di adattarsi a ogni possibile ballo.
Nell’immagine, il bianco e nero scelto dall’autore per il suo racconto introduce anche alla nebulosa atmosfera dell’onirico, mescolando il reale con fantasie e ricordi.
La musica, che non è ovviamente udibile, in verità c’è; sottintesa e ciascuno potrà sentire il suo brano.
Conseguenzialmente individuare il ritmo del ballo, convenzionale, codificato o legato a una estemporaneità coreografica del momento che rimane pure esso interpretabile, secondo l’umore e la predisposizione del momento.
La fotografia che è stata scelta come esempio potrà anche essere intesa e, quindi, essere letta in vari modi. Come un auspicio o come documento che racconti il momento di un vissuto. Altresì come un’attesa o un desiderio agognato insito al momento creativo dell’autore. In ultimo anche come un epitaffio rappresentativo di un’intera esistenza.
In qualsiasi di questi casi i colori non occorrono per enfatizzare l’idea, per il semplice fatto che ogni scelta resta personalizzata ed ognuno sarà in grado di selezionare i propri; non trascurando che anche il bianco e nero presentano delle gradazioni interne, fatte d’infiniti grigi che, comunque, rientrano anch’essi nella gamma intera dei miliardi di colori possibili.
Buona luce a tutti!
© Essec
--
P.S. Come mi capita spesso l'amico P. soffermandosi sulla fotografia suggerisce .... "Il bianco e nero esalta il contrasto tra l’anonimato della città e il calore dell’abbraccio: è un tango di strada rubato al cemento e alla frenesia urbana?" .... Una considerazione aggiuntiva anche questa appropriata!
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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)
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