"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."
Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).
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martedì 11 novembre 2025
3^ Photo Happening
Fare fotografia tende a soddisfare tanti intenti. Rispondere al desiderio di documentare, di raccontare, osservare e indurre a riflessioni.
È anche una continua ricerca della bellezza, ovvero la necessità di scrivere pagine di un diario in una forma letteraria fulminante.
Chi si approccia a fotografare tende, in qualche modo, anche inconsciamente, a percorrere i sentieri dell’arte, classica, moderna, definita, indefinita.
Quando è creativa, non rispetta delle regole fisse e, come risaputo, oltre a proporre visioni di verità parziali, con l’IA di oggi nemmeno quelle, perché l'Intelligenza Artificiale inventa, assembla cose non desunte unitamente in un momento. Sappiamo pure bene che l’originalità nel mondo creativo costituisce una rarità e avventurarsi in questo universo presuppone la presenza di un talento.
Tutti auspichiamo di trovare un nostro particolare percorso e l’emulazione costituisce un indispensabile studio del preesistente per allargare i confini della conoscenza.
Dalla scoperta della fotografia le immagini prodotte sono tantissime, come pure i fotografi che hanno creato quantità d’immagini tendenti all'infinito.
Le contaminazioni che caratterizzano il mondo dell’arte inoltre, alimentano pure le fantasie di chi si approccia, dando libero sfogo anche al proprio talento.
Lo studio attraverso libri e ogni altra forma è sempre utile per l’apprendimento, non può però mai trascurarsi quello che è il confronto diretto con altri appassionati.
Maestri o apprendisti discepoli non ha poi molta importanza, atteso che, come è noto a tutti rimane, da qualsiasi confronto, un valore aggiunto, con un arricchimento per tutte le parti che restano coinvolte.
La formula moderna del “portolio” fotografico, ancorché continua a rimanere per molti aspetti indefinita, costituisce un esempio emblematico per chi si propone da attore (talvolta esponendosi) spinto anche dalla voglia di verificare proprie visioni (indifferente a possibili stroncature) e col desiderio sempre vivo di trovare accolto il proprio modo di sperimentare, per continuare a evolversi nel crescere. Photo Happening, organizzato dall’Arvis di Palermo, è arrivato alla sua terza edizione, sempre supportata dalla Fiaf nazionale, e intende rispondere a molte delle anzidette aspettative.
L’edizione 2025 ha peraltro ulteriormente ampliato il suo raggio d’azione, con l’attuazione di differenziate letture: on line e di presenza.
Alle letture si sono affiancate degli stage mirati, volti a sviluppare temi specifici lasciando assolutamente liberi i partecipanti nel dare sfogo a intime fantasia e talento.
Per quanto ovvio, anche per dare un senso tangibile, alla fine sono stati attribuiti dei riconoscimenti con delle graduatorie, per dare un senso didattico ai numerosi soggetti che hanno aderito come proponenti. Una manifestazione come questa, rimane sempre utile a tutti, anche agli stessi osservatori.
Di seguito si danno delle informazioni riguardo al numero dei partecipanti e sui risultati assegnati al termine della “competizione”. “Le giurie erano composte: - da Stefania Lasagni, Brigida Lunetta, Eletta Massimino e Massimo Mazzoli per i progetti e le attività in presenza;
- da Michele Di Donato, Marco Fantechi e Vincenzo Gerbasi per le letture di portfolio online.
Nelle letture online sono stati presentati 12 portfoli e la relativa giuria ha decretato il primo premio per il portfolio "Thalassa e Pedra" di Elena Iacono e Valentino Petrosino (portfolio a 4 mani) rispettivamente di Casamicciola Terme (NA) e Baronissi (SA). Una menzione è stata assegnata per il portfolio “E quindi uscimmo a rivedere le stelle" di Emanuele Ferrari di San Nicolò a Trebbia (PC). La giuria ha esaminato 14 portfolio e assegnato il primo posto a parimerito ai portfoli "Memoria sulla pelle" di Sabina Carnemolla e "'Ntinna ammari" di Gianluca Marrone con la seguente comune motivazione: due narrazioni che si dipanano in modo coerente, riuscendo a coniugare la tematica scelta con lo sguardo peculiare dell'autore.
Due sensibilità attente, capaci di raccontare diversi aspetti della vita ognuno con il proprio linguaggio. Con contenuto concettuale o documentario, nei due preziosi esempi di buona fotografia. La giuria ha anche deciso di attribuire un premio "Giovani" Stella Gentile con il portfolio "La vita nonostante" e una menzione a Viviana Gandolfo con il portfolio "Mani".
Realizzati anche quattro set fotografici che hanno determinato i seguenti vincitori:
- “Dove la luce diventa Mosaico”, Rosalia Baiamonte,
- “I murales a Palermo”, Domenica Tricomi,
- “Paper & Light Lab”, Riccardo Perissinotto,
- “Ritratto d'artista in sala pose”, Fabio Caltanissetta,
- “Sotto la nuova Luce”, Carolina Guarneri.
Infine, sono stati sei i gruppi di foto singole. Qui il primo premio è andato a Oscar Nicosia e il secondo premio a Nino Stimolo.” In conclusione, anche questa edizione, curata e coordinata sapientemente dal delegato provinciale Giacomo Barone, è andata in porto con successo, coinvolgendo parecchi fotoamatori e con un nutrito afflusso di pubblico appassionato.
Buona luce a tutti!
© Essec
venerdì 7 novembre 2025
Portfolio "Aqua" di Giusy Tarantino
Portfolio d’immagini creato da Giusy che, nel completare la sua operazione, viene a chiedere dei consigli per definire la sinossi d’accompagno.
a) Ecco quella di Gregorio Bertolini, che si rifà a una sua poesia intitolata “RITORNO” ... "Oh natura eccomi nel fluido respiro della tua essenza, sono tornata per godere del tuo".
b) Poi la mia di sinossi:
"Premesso che la psicologia è una materia complessa di cui tutti discutiamo (1), ma che non dipana i dubbi e che, anzi, torna a porci domande e risposte incerte, è indubbio che l’acqua è uno degli elementi essenziali della vita.
Accade pure che il nostro inconscio conserva tante esperienze che rimangono intrinseche all’individuo e che lo accompagneranno, quasi sempre a sua insaputa, nell’avventura terrena.
Il concepimento si sviluppa in una massa amniotica che ospita il feto per un lungo periodo e non si può assolutamente escludere che, specialmente nel nascituro più definito, possa costituire una “comfort zone” (2), sviluppando da subito esperienze che rimarranno intrinseche nell’individuo.
Le fotografie proposte sono il risultato di scatti realizzati in maniera inconscia, apparentemente seguendo una ricerca estetica, a ruota libera, ma che richiamano inequivocabilmente all’importanza data all’acqua nel nostro modo di essere (animale, cerebrale e tutto quanto includibile).
Il fatto che poi siano state realizzate da una donna, l’insieme composto richiama a Oriana Fallaci e alla stessa Dacia Maraini, riguardo al desiderio mai assopito di vivere l’esperienza di madre.
In questa chiave le pantofole possono rappresentare il simbolo della inconfessata e continua attesa che accompagnerà sempre chi madre non è stata e non sarà mai (includendo in queste le adottive). Pantofole che potrebbero anche ripetersi a chiusura del portfolio."
(1)” La differenza sostanziale tra Psicologo, Psicoterapeuta e Psichiatra risiede nel modo di vedere la persona e nell'approccio utilizzato: mentre i primi due guardano la persona nel suo insieme, evitando di concentrarsi solo sul disturbo, lo Psichiatra utilizza un metodo che può essere definito di diagnosi/cura” (fonte web).
(2) Utile, al riguardo, quanto evidenziabile in rete, dove si legge che “La comfort zone è lo stato mentale della persona che agisce in assenza di ansietà, con un livello di prestazioni costante e senza percepire rischio. Quando ci capita di andare oltre la zona di comfort, ci sentiamo vulnerabili e soggetti ad un alto grado di rischio, perché nella comfort zone siamo a nostro agio”.
c) Inoltre interviene Cristian con la sua lettura: “L’acqua come metafora di uno stato d’animo interiore calmo e disposto alla ricerca dell’anima gemella nell’incedere della vita che scorre, l’avvicinarsi lentamente all’altro, anche le forme sul fondo della piscina denotano un qualche fattore di forma e compatibilità dalle sfumature erotiche, l’entrata in scena di lei, la comparsa di lui e poi la sua uscita lasciano pensare ad un semplice flirt. Da qui il titolo: Flirt.” E poi aggiunge: “Se le persone vedono cose diverse significa che l’opera è diventata arte.”
d) Quindi, a chiudere, la sinossi ufficiale di Giusy per il portfolio ridotto a sei fotografie e reintitolato “Aqua”, presentato nel partecipare al concorso:
“Oh natura, eccomi nel fluido respiro della tua essenza, sono tornata per godere del tuo. Immersa in acqua, godere di essa con momenti lenti e leggeri, svuotando la mente e rilassandomi. A volte dimentichiamo d’importanza di ritrovare se stessi e godere della meraviglia della natura come l’acqua, fonte di vita e rigenerazione.”
Buona luce a tutti!
© Essec
mercoledì 5 novembre 2025
"Reportage emozionale" di Cristina Corsi e Antonio Lorenzini
Cristina Corsi e Antonio Lorenzini, rispettivamente di Montevarchi e Siena, riescono a fare una fotografia, a quattro mani dicono loro, ma in verità con una sola mente.
Per chiarire, la loro mente costituisce l’assemblaggio naturale di due cervelli che ormai vedono con un ampio occhio panoramico, del tipo di quelle telecamere che riescono a racchiudere un raggio di 360 gradi, che possono vedere però anche gli angoli bui e gli interni nascosti.
Basta ascoltare i racconti dei loro portfolio, quando oltrepassano le sinossi sintetiche scritte per i lettori, per scoprire le complessità nei loro lavori.
Empatia, studio, sensibilità, partecipazione, sono elementi sempre presenti che costituiscono delle costanti, che accompagnano il loro modo di fotografare.
Il loro fare fotografia, seppur nato seguendo dei canoni classici, ben presto per entrambi si è trasformato in un metodo originale di scrittura visiva.
Dietro ogni immagine c’è la cattura dell’attimo fuggente del personaggio che loro vengono a raccontare; attuando un approccio delicato, sempre lieve, leggero, mai invadente, che rende immediatamente partecipe l’osservatore che si approccia a leggerne la narrazione.
Maggiormente efficace risulta la loro metodologia se applicata al mondo delle malattie invalidanti, rare, che loro prediligono trattare. Vissute come impegno sociale e desiderio costante di ricerche intimistiche.
Con Antonio ci siamo conosciuti attraverso la rete, seguendo una lettura di un suo portfolio in un concorso organizzato dalla Fiaf. Chi ne avrà voglia potrà anche leggere dei miei post che hanno riguardato alcuni lavori, realizzati da solo o con Cristina.
Lo scorso lunedì, Cristina e Antonio, ospiti del gruppo “We Love PH” di Lucca, hanno proposto "Reportage emozionale", illustrando quattro loro portfolio fotografici, accompagnandoli con i relativi racconti di backstage e rispondendo agli interventi del pubblico coinvolto.
Ho avuto modo di recuperare la visione attraverso la registrazione privata fatta dagli organizzatori dell’incontro e, senza alcuna retorica, devo dire che ne valeva la pena.
Per chiudere segnalo che Cristina e Antonio si rendono disponibili a ripetere l’iniziativa anche in altri ambienti. Basterà contattarli per concordare i termini per l’eventuale incontro.
Buona luce a tutti!
© Essec
lunedì 3 novembre 2025
Album di viaggio numero Uno - Fotografie della Cina 1991
1991 – “Cina classica”
"Durante l’attività lavorativa ho dedicato buona parte delle mie giornate di ferie facendo dei viaggi all’estero. Ma non tanto per poter apporre la classica bandierina sul mio mappamondo ideale e poi poter dire agli amici questo l’ho visto, ma per allargare le conoscenze nell’andare a conoscere luoghi culturalmente diversi e, soprattutto, verificare di persona organizzazioni sociali di cui avevo letto o appreso accadimenti attraverso i media.
Nella celebre e immensa piazza Tienanmen (Porta della Pace Celeste), monumento di Pechino simbolo nazionale della Cina e prospicente la Città Proibita, il 4 giugno 1989 era finita nel sangue una protesta popolare.
Decine di migliaia di studenti, a cui si erano aggiunti anche lavoratori, si accamparono per settimane, facendo anche lo sciopero della fame, per contestare riforme economiche e chiedere libertà di stampa e di parola.
L’accadimento ebbe a rappresentare un evento di risonanza mondiale, sul cui esito si venne a discutere molto e del quale, al riguardo, anche assecondando i diversi orientamenti politici, i media occidentali vennero ad esprimersi in modi fra i più disparati.
A distanza di due anni restava in me la forte curiosità sull’intera vicenda e fu quella la motivazione che mi portò a scegliere la Cina classica come mia impellente prima tappa turistica in estremo oriente.
L’approccio che ho avuto nei viaggi è sempre stato quello di avvicinarmi ai luoghi senza pregiudizi ed essere aperto a osservare e leggere le cose cercando di scoprire con i miei occhi le realtà tangibili nel paese visitato; ovviamente per quanto a un occidentale, sensibilità e cultura, potesse consentire di cogliere e comprendere.
Quindi la mia regola di base non era mai quella di giudicare, ma di ricercare risposte alle tante domande e ai dubbi, per trovare delle logiche plausibili derivanti dalla visione diretta delle realtà politiche, spesso culturalmente assai lontane.
In breve quell’esperienza si dimostrò fantastica. L’empatia con la gente si rivelò immediata e l’entusiasmo giovanile fu sufficiente ad alimentare l’incoscienza necessaria per una visita approfondita e, per quanto concesso dalle circostanze, un po’ all’avventura.
In Cina, nel 1991, oltre alla guida italiana ce n’era un’altra assegnata dal partito.
Nelle escursioni giornaliere venivamo prelevati al mattino di buon’ora e lasciati in albergo nel pomeriggio, in piena luce. Quindi, atteso che le giornate estive erano lunghe, rimanevano delle ore sfruttabili prima della cena, sufficienti per escursioni autonome, all’inizio non viste di buon occhio dalla guida cinese, che era responsabile del gruppo verso il partito.
Complice nelle escursioni “over” mi ritrovai con una toscanaccia assai tosta, anch’essa appassionata di fotografia, pure curiosa a sufficienza per immergersi nei variegati contesti per vivere quelle ore residue all’avventura.
Mercati e agglomerati urbani popolari erano le mete preferite e sempre interessanti, sia per i personaggi che per le scene che si rivelavano sempre di grande interesse.
Gli abitanti dei luoghi, perennemente gentili con noi, disponibili, generosi e tolleranti, acconsentirono in taluni casi anche l’accesso alle loro dimore private.
Quel viaggio nella Cina classica ci consentì una “full immersion” nella profondità della Cina popolare, che ci permise, oltre che di documentare, di comprendere anche gli umori genuini che caratterizzavano i ceti delle variegate classi sociali del paese.
Le occasioni di visita nelle fabbriche, sempre tipiche costanti nei tour cinesi, finalizzate a proporre e vendere loro produzioni ai gruppi turistici, erano per noi occasione per sgattaiolare e insinuarsi nei meandri, introducendoci nei comparti di lavorazione spesso adiacenti agli stessi negozi. Per vedere direttamente e magari fotografare gli operai e i tecnici intenti nel lavoro, impegnati nelle specifiche assegnazioni dei cicli produttivi.
L’apoteosi reportistica, ovvero il massimo dell’avventura con la mia amica lo provammo una notte.
Nella serata dedicata alla degustazione dell’anatra laccata, programmata in un famosissimo ristorante ubicato nel cuore di Pechino, ultimata la cena, ottenemmo l’avallo - dopo una lunga contrattazione da entrambe le guide - e ci venne concesso di rimanere da soli sul luogo, oltre i tempi programmati, in assoluta autonomia. Fummo così i soli occidentali presenti nell’immensa piazza Tienanmen.
Rimanemmo fino a notte fonda a curiosare e a fotografare i presenti. Non ci intendevamo sulla lingua ma ci capivamo perfettamente a gesti. Capimmo subito che anche per loro noi costituivamo un’attrazione atipica e le reciproche disponibilità incrociate produssero euforie e scatti, quasi insoliti. Non c’erano tracce dei fatti sanguinosi dell’89, ci relazionavamo come umani liberi in quel contesto buio che sembrava proprio non avere limiti.
Fin oltre l’una di notte restammo a peregrinare in quella piazza infinita, senza alcuna voglia di tornarcene in albergo. Qua e là capannelli o coppie di fidanzati a passeggiare. Incrociavamo militari, fotografi pechinesi con relative modelle, coppiette, famiglie con bambini al seguito lasciati liberi anch’essi di scorrazzare in quell’immenso spazio.
Quella notte per il rientro escogitammo anche una soluzione insolita. Scartata da subito l’idea di ricorrere a un taxi, anche perché a quell’ora fonda non se ne vedeva alcuno, contrattammo con un classico risciò che, in una mezz’ora circa di sbuffi e ansimi, per far presto come pattuito, ci portò nel nostro albergo allocato in periferia, distante circa una decina di chilometri dalla piazza.
Convenimmo il prezzo a gesti confondendoci tra la loro moneta e dollari americani, ma alla fine ci accordammo per un buon prezzo che, peraltro, non offriva alternative rispetto a possibili altre soluzioni. Le stesse licenze ci vennero concesse durante le altre tappe del tour, che ci consentirono di entrare all’interno del tessuto popolare cinese e coglierne gli aspetti.
Nanchino, Guilin, Xian, Suzhou, Shangai, Canton, Hong Kong e altre ancora, con il nostro approccio, furono pure opportunità per conoscere le viscere sociali di quella che era la Cina reale del tempo, quella che a viaggiatori occidentali difficilmente era consentito accedere.
Non credo di essere riuscito a scoprire fino in fondo la filosofia di vita che si respirava a quel tempo in oriente ma di certo trovai tante risposte alle mie domande; sufficienti a spiegarmi tante cose, che a prima vista - avvolti da pregiudizi - troviamo sbagliate o inutili.
La bellissima esperienza vissuta quella volta procurò un innamoramento immediato per la Cina rivelata; che si era mostrata nelle sue tante differenti e specifiche etnie, tenute assieme da un sistema politico complesso si ma che assicurava una sussistenza minimale e dignitosa ai suoi abitanti.
Anni dopo, quella mia positiva impressione fu alla base per un ritorno (nel 1995), volto a ripercorrere le orme di Marco Polo e visitare i luoghi della Via della Seta.
Anche questo nuovo viaggio venne a rivelarsi un’esperienza ricchissima. Per le innumerevoli emozioni e i tanti spunti offerti; anche per fotografie inusuali e per me uniche che porto nel cuore: incredibili e quasi impossibili per un ordinario “travet” occidentale.
La distanza di Pechino da Hong Kong è di 2246 km e le centosettanta fotografie selezionate in questo piccolo volume raccontano, come fossero pagine di un diario, lo zigzagare per i luoghi nel corso di oltre venti giorni.
Cercando di fissare lungo il percorso sia emozioni che cartoline paesaggistiche o documentali di quanto stavo vedendo per la prima volta, in quella rotta turisticamente definita per noi occidentali come “Cina Classica”.
In tutto il viaggio, l’unica inibizione a poter fotografare la trovammo esclusivamente a Xian, nel corso della visita nei luoghi museali dove si stavano ancora dissotterrando le migliaia di guerrieri connessi a un faraonico mausoleo, casualmente scoperto nel 1974 da un contadino durante lo scavo di un pozzo. Costituito da statue di soldati alti quasi due metri (allora non ancora quantificati) che andavano a comporre con armature, carri e cavalli il famoso “esercito di terracotta”. Un imponente insieme statuario attribuito alla volontà del primo imperatore cinese Qin Shi Huan e risalente al III secolo avanti cristo."
Prodotto tramite Youcanprint, 170 fotografie a colori, 140 pagine, euro 29,90.
Buona luce a tutti!
© Essec
martedì 28 ottobre 2025
I.A. per aprire nuove strade a tutte le forme dell’arte futura
L'Intelligenza Artificiale costituisce per molti l'argomento del giorno. In verità la sua applicazione è diffusa e da tempo governa la quotidianità della nostra vita. Nell'articolo "IA: All you can" postato in questo stesso blog ci si era soffermati su alcuni dei diversificati aspetti.
L’altro giorno l’amico Pippo, divoratore di libri, mi ha consigliato la lettura di “L’Occhio Sintetico” di Fred Ritchin, insegnante di Fotografia e Imaging alla New Yok University.
Mi ha raccontato d’essere rimasto affascinato anche dalla scorrevolezza della scrittura che ne ha reso piacevole la lettura, rendendola maggiormente comprensibile nella complessità dei contenuti.
Difficile risulterebbe poter scrivere un qualcosa che possa rendere un’idea completa degli argomenti trattati, per i quali, prendendo a pretesto quanto recitato nel sottotitolo del volume (la trasformazione della fotografia nell’era dell’intelligenza artificiale), si è indotti a sviluppare ampie riflessioni sull’universo fotografico contemporaneo e non solo.
Al riguardo assai significativo appare quanto riportato in quarta di copertina, laddove viene acutamente osservato come “nel 1840, un anno dopo l’invenzione della fotografia, il pittore Paul Delaroche esclamò ‘d’ora in poi, la pittura è morta’. La fotografia era più veloce, economica e realistica: la sua invenzione emancipò i pittori dalla realtà, aprendo la strada a tutte le forme dell’arte futura.”
Ci sarebbe d’augurarsi, quindi, che anche con l’avvento dell’IA la fotografia possa produrre input innovativi e incentivare nuovi sviluppi artistici, con messaggi stimolati dal fenomeno pur restando totalmente indipendenti dalle inevitabili dirette interferenze.
Nel suo scritto Ritchin da dimostrazione del tempo che ha dedicato all’IA e quanto sia addentro alla materia, avendo fin dagli albori sperimentato direttamente le progressive applicazioni nella fotografia.
Quello che viene fuori è sicuramente la possibile produzione di una moltitudine di variabili, quale risultato d'infinite combinazioni d’immagini (o parti di esse) assemblate attraverso un database (o di tanti archivi collegabili fra loro), governate attraverso prompt singoli e progressivamente implementati (generanti conseguenti algoritmi), producenti un’infinità d’immagini sintetiche mutevoli: tutte quante false e altamente verosimili.
Per cercare di rendere un'idea approssimata, si sarebbe portati a immaginare un risultato elaborativo che potrebbe ispirarsi alle funzioni di sinapsi celebrali attive, anche in stato onirico; ma rimane da osservare che l’IA, nel suo processo, va oltre, in quanto rimane attualmente indipendente da logiche razionali definite e tantomeno collegate a etiche o formule didattiche di qualunque genere.
Un altro aspetto non irrilevante è che, mentre la fotografia del passato costituiva in qualche modo un valore documentale, potenziali interventi per il tramite dell’IA creano incertezze sulla veridicità delle immagini prodotte.
Anzi di più, poiché desideri di revisionismo o altre potenziali follie o mode potrebbero rendere possibile riscrivere elementi documentali per renderli coerenti ad una qualsivoglia revisione storica. Si pone pertanto l’urgenza del mantenimento di fonti originali e integre di video e fotografie, per creare un archivio – quasi museale - delle immagini, preservate da ogni potenziale manipolazione. In qualche modo, come esempio per rispondere all'esigenza, si propone un'applicazione "Free/Libre/Open Source Software" idonea ad associare contenuti testuali alle immagini (https://fourcornersproject.org/en/how/).
Il contenuto del libro affronta tanti aspetti che non si limitano alla sola fotografia. Etica, storia, politica, costumi e quant’altro viene espressamente affrontato nei diversi capitoli e tutto quanto apre pure a tantissime intuizioni.
Recensire un libro complesso del genere risulta pertanto assai arduo, anche per le profonde conoscenze culturali necessarie per riuscire a decifrare le tante allusioni immaginabili e non dette.
Da qui, affermare, quindi, che la lettura viene raccomandata a chi si occupa del mondo della fotografia sarebbe assai riduttivo.
Le argomentazioni sviluppate in separati capitoli prendono a pretesto la storia della fotografia per andare indietro nel tempo e anche viaggiare contemporaneamente verso un futuro ancora indecifrabile, che potrebbe apparire vantaggioso oppure terribilmente avverso.
Tutto dipenderà dalla reale gestione delle opportunità innovative e su quanto offerto al nostro tempo, pure in relazione alle regolamentazioni che saranno necessarie per consentire una pacifica convivenza civile nel prossimo futuro.
In ogni caso con “L’occhio sintetico” Ritchin ci dice molto, aiutandoci anche a capire lo stato dell'arte.
Utile per tutti quindi assicurarsene la lettura che, come assicurava Pippo e come confermo, risulterà piana, comprensibile, molto coinvolgente per i contenuti e assai scorrevole.
Buona luce a tutti!
© Essec
lunedì 27 ottobre 2025
Cortigiana? In che senso? ..... si chiederebbe il personaggio di Carlo Verdone
È sempre utile ricorrere anche al web per cercare di documentarsi per avere una veloce contezza sul significato delle parole.
Una consultazione mirata, ad esempio, consente di appurare che “i neuroni specchio permettono di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di porci in relazione con gli altri. Quando osserviamo un nostro simile compiere un particolare gesto si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione.”
Approfondendo, attraverso un altro algoritmo, viene anche fuori che “la mancanza di un corretto funzionamento dei neuroni specchio può influire sulla capacità di imitazione, sulla comprensione delle azioni degli altri e sulla teoria della mente. Queste disfunzioni possono contribuire alla difficoltà nella comunicazione sociale e nell'interazione con gli altri.”
Andando avanti si apprende un’altra cosa interessante, ovvero che “inizialmente l'approccio del bambino ad uno specchio infatti è assolutamente inconsapevole ed istintivo: il neonato non si rende ancora conto che ha davanti a sé nient'altro che la sua immagine riflessa, ma interpreta quella figura come un'entità esterna con la quale interagire.”
La serie di risposte evidenzia che, quindi, non basta accontentarsi e limitarsi alla prima formulazione.
Per la circostanza, l’articolo pubblicato sul portale “Le psicoterapie non sono tutte uguali”, Silvia Rosati risponde con maggiore precisione alla domanda su “Cosa sono i neuroni specchio?
Esordisce col dire che “gli studi sui neuroni specchio, hanno rivoluzionato la nostra comprensione del cervello umano e del comportamento sociale” poi continua dicendo che “questi neuroni si attivano sia quando eseguiamo un’azione che quando osserviamo qualcun altro farla, consentendo la comprensione delle azioni altrui e la condivisione delle emozioni. Oltre a svolgere un ruolo cruciale nell’empatia, i neuroni specchio influenzano l’apprendimento sociale, permettendo di acquisire abilità osservando gli altri, sia nella prima infanzia che nell’età adulta. Inoltre, questi neuroni sono fondamentali per la percezione dell’arte e della creatività.”
La risposta chiude sostenendo che la presenza di questa specifica tipologia di neuroni risulterebbe fondamentale nell’interpretazione … e nell’apprendimento attraverso l’osservazione.
Questioni afferenti ai neuroni specchio abbracciano vari aspetti sensoriali. Non solo, quindi, il mondo delle immagini o comunque riguardanti aspetti visivi. Infatti, il suono, la letteratura e l’apprendimento in genere rientrano anch’esse nell’ambito delle esperienze che si accumulano e, peraltro, come noto, i neuroni specchio assumono un ruolo molto importante nella complessa evoluzione di ogni bambino.
Per colmare proprie ignoranze, in generale, può tornare utile ricorrere al web, ma senza isolarsi mai a risposte di una sola fonte.
Per vari motivi o necessità d’urgenza, non tutti sono coscienti della necessità di procedere ad approfondimenti diversificati e c’è, purtroppo, chi si limita a effettuare ricerche accontentandosi e fermandosi alle informazioni che corrispondono al suono della campana più gradita. Magari, specialmente in politica, delegando tali compiti ad altri incaricati di analizzare le affermazioni proferite dai tanti esponenti ricoprenti cariche sociali, specie se appartenenti a fazioni avverse.
Forse sarà stato questo il motivo che avrà causato un cortocircuito nella risposta inviperita esternata dall’attuale premier per l’attribuzione di “Cortigiana” conferitale di recente. Restringendo, non escluso anche sui suggerimenti dei suoi “analisti”, il significato della parola a un solo concetto inequivocabile (non ostante potenzialmente articolato) riportato sul portale Wikipedia. Chissà?
In ogni caso, poiché è impossibile entrare nelle menti altrui, indipendentemente dal livello culturale e dal ruolo sociale che si ricopre, restano da valutare i comportamenti di ognuno … e, proprio per questo, risulterà sempre utile e più facile soffermarsi sulla coerenza e i fatti.
Buona luce a tutti!
© Essec
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(La foto utilizzata come copertina è stata ripresa da FB, postata nel Gruppo pubblico "Art and Love Photography" e pubblicata da Raffaele Nero)
venerdì 24 ottobre 2025
Quelli del “L’ORA” e le foto scomparse
Dopo avere visto le fotografie della “Antologica” di Franca Schininà esposte al Centro Internazionale di Fotografia di Palermo, ho dato un’occhiata alle altre sale.
Entrando in quella che vedeva esposte le foto dei delitti di mafia, realizzate dal gruppo capitanato dalla mitica Letizia Battaglia per conto del giornale L’ORA di Palermo, si prova un vuoto per la loro scomparsa.
La delusione non deriva tanto dalla pochezza di quanto occasionalmente viene, di volta in volta, a rimpiazzare quelle immagini storiche, ma per aver privato il pubblico di opere che, oltre a rappresentare insostituibile documento didattico del modo di fare reportage fotografico, venivano a costituire il racconto di un importante – seppur nefasto – periodo nella città di Palermo.
L’impressione che se ne trae è pertanto triste, perché, seppur il ritiro delle foto corrisponde a un legittimo diritto dei titolari di quelle fotografie, per gli appassionati dell’arte fotografica costituisce una privazione. Specialmente se operato nel luogo che rimane ancora intitolato a Letizia Battaglia.
Le considerazioni si rivolgono in questo caso a tutte le parti in causa.
Sembrerebbe quasi corrispondere al comportamento discutibile di quelli che non ci stanno più al gioco e risentiti – seppur, come detto, con ogni legittimità che possa essere loro riconosciuta – danno l’impressione di protestare impedendo agli altri e allo stesso pubblico interessato di poter continuare ad assistere allo spettacolo e, egoisticamente, si portano via il pallone.
Forse qualche responsabile della cultura cittadina più sensibile, l’assessore o lo stesso sindaco pro tempore avrebbero potuto rimediare facilmente, nel contrattare l’acquisto degli originali esposti o di acconsentire a farne delle copie, per evitare la scomparsa “traumatica” dell’allestimento esistente, avente anche un aspetto pedagogico anche per le scolaresche periodicamente in visita.
Ma c’è chi sostiene che con la cultura non si mangia (mi pare di trattasse dell’ex ministro Tremonti), un’affermazione che ha poco a che vedere però con la Sicilia quale regione autonoma, dove le cose funzionano assai diversamente.
Ma anche questi avvenimenti culturali sono da annoverare fra le cose che succedono a Palermo.
Buona luce a tutti!
© Essec
sabato 18 ottobre 2025
Vito Guarneri pittore - 2025
In generale l’arte comporta per i creativi dei periodi produttivi catalogabili in generi specifici e ben definiti che, al di là delle intuizioni temporali e dal talento, permangono stabili.
Sono sempre stati, però, frequenti anche i casi di evoluzioni che hanno portato l’artista a stravolgimenti espressivi, con rappresentazioni innovative comportanti significativi cambiamenti.
Alla luce della presentazione alla mostra scritta da Nicolò D’Alessandro, in molti aspetti ribadita durante l’inaugurazione, sembra che interessato a simili cambiamenti risulti l’attuale produzione pittorica di Vito Guarneri, esposta in questi giorni presso la Galleria Fiaf di Palermo.
Le sue ultime scelte “rivoluzionarie” si potrebbero accostare, quindi, anche ad analoghi cambiamenti intrapresi da altri.
Similare a quanto venne ad accadere a Pablo Picasso esaurendo un ciclo produttivo figurativo, il quale, ad un cento punto, da una pittura classica, addivenne a un cubismo unico, diventato ricco di un intenso simbolismo concettuale facilmente riconoscibile.
Le opere di Vito Guarneri esposte all’Arvis, si prestano a tante letture. È sufficiente seguire il proprio istinto per vedere con la propria mente.
L’intera esposizione potrebbero accostarsi alla rappresentazione di una sezione statica e parziale (per l’appunto limitata in sole due stanze) del grande big bang che ci ospita e per noi ancora incomprensibile; con una dislocazione delle opere che risultano disposte in maniera da collocare ogni singolo osservatore al centro di un universo ideale, per indurlo a riconoscersi nella sua vera nuda dimensione, umana e relativa.
Ogni singolo quadro potrebbe così anche intendersi come l’immagine di una specifica costellazione, ovvero come una fotografia che congela in un unico supporto la stratificazione di visibile e invisibile, catturando le differenti lunghezze d’onda della luce, immediate e nel tempo; oppure corrispondere all’assemblaggio dell’extrasensoriale, di visioni normali e paranormali, anch’esse compattate sovrapponendo le varie singole lastre fotografiche. Quest’ultima considerazione, a mio parere, avvicina moltissimo questa formula pittorica di Guarneri alla fotografia concettuale contemporanea.
Tutte quante queste chiavi di lettura, se si vuole, potrebbero essere possibili e, in ogni caso, sono tutte capaci in chi osserva di produrre delle emozioni, obiettivo principale e molla che costituisce sempre la voglia di comunicare per ogni creatore d’arte.
Non occorre dilungarsi in altre considerazioni che potrebbero solo risultare ridondanti, anche perché ciascun visitatore avrà certamente possibilità di farsi una propria idea, sviluppando una diversa lettura.
Concludo invitando i curiosi e gli appassionati d’arte a sperimentare da sé l’interpretazione delle opere, che potrebbero superficialmente essere etichettate come un “astrattismo caotico” ma che, a mio parere, spingono ad accendere la fantasia per andare ben oltre.
La mostra, allestita presso la Galleria Fiaf dell’Arvis di Palermo, sarà visitabile fino al prossimo 25 ottobre.
Buona luce a tutti!
© Essec
venerdì 10 ottobre 2025
“SULLA PELLE DELLA CITTÀ - Street art e Nuovo muralismo a Palermo” di Diego Mantoan
“Che cos’è, infatti, il tempo – il giorno, l’ora, il minuto, il secondo – se non la misura con cui si calcola il compimento dei singoli fenomeni? Il tempo non esiste in natura. In natura esistono solo le cose, i “fenomeni”. Una fotografia - ripresa in otto ore, in otto minuti o in un milionesimo di secondo – è sempre soltanto la visione di una cosa in un momento della sua esistenza, sia essa una donna che salta, un edificio che crolla o la mela che viene attraversata dalla pallottola. “Catturare il tempo” corrisponde a conservare un documento della continua trasformazione delle cose. Un documento che, come tutto, è condannato alla deperibilità e, dunque, alla scomparsa.”
Il periodo citato conclude l’interessante libro di Diego Mormorio intitolato “Catturare il tempo – Lentezza e rapidità nella fotografia”, edito da POSTCART, che fornisce un quadro storico della evoluzione tecnica della fotografia dagli albori ai tempi moderni.
In qualche modo ne vedo dei collegamenti con “SULLA PELLE DELLA CITTÀ. Street art e Nuovo muralismo a Palermo” di Diego Mantoan, prodotto dalla Edifir di Firenze .
Così come l’innovazione fotografica si affianca da subito e, anzi, in qualche modo, è subentrata all’arte pittorica di ritrattisti e paesaggisti, la steet art moderna, per molti aspetti, costituisce una disciplina culturale che ritorna a collegare i due fenomeni che, per un lungo periodo, sono apparsi apparentemente dissociati o, quantomeno, paralleli.
In questa chiave si pone il recente libro di Diego Mantoan che, sposando una documentazione fotografica molto personalizzata - in parte discutibile - realizzata dal napoletano Giovanni Scotti, traccia il percorso di coloro che hanno inteso intraprendere nuove strade comunicative (principalmente d’immagini pittoriche), per proporsi a un pubblico eterogeneo, secondo canoni museali free ubicati esclusivamente in ambiti urbani.
Particolarmente intrigante è il titolo del libro “Sulla pelle della città” che vuole sottendere a un parallelismo ideale fra il fenomeno tatoo e la street art in senso lato. Fenomeni entrambi accomunati secondo logiche dettate dalla necessità di voler esternare sensazioni e punti vista “underground”.
Anche se in molti casi le tesi sarebbero condivisibili, l’argomento si presterebbe comunque a un confronto che dovrebbe coinvolgere esperti di psicologia, e pure appartenenti alle diverse specialistiche e scuole di pensiero.
La “street art” e il “nuovo muralismo” sono, senza dubbio, fenomeni moderni e in forte evoluzione, ai quali, specie in tempi recenti, si sono sempre più avvicinati sia letterati che la fotografia. In particolare per l’immediatezza costituita dal linguaggio visivo che, negli ultimi periodi, rappresenta un modo efficace per veicolare celermente ogni forma di comunicazione universale.
Oltre alla ricchezza dottrinale, il volume di Mantoan riporta, in un capitolo, testimonianze dirette e ampie di titolati attori siciliani esperti di street, appartenenti a varie epoche e dalle diverse caratteristiche (writers, graffitari, muralisti, etc.), che consentono – specialmente ai neofiti dell’argomento - di scoprire le motivazioni che sono state sottostanti alla loro azione e alla necessità espressiva postasi all’origine della loro attività. In particolare sono riportate brevi interviste fatte a: Antonio Curcio (“B1”), Andrea Buglisi, Marta Orlando, Igor Scalisi Palminteri, “Tutto e Niente”, Florinda Cerrito (“Zolletta”), Demetrio Di Grado, “Deran”, Marco Mondino, Giuseppe Arici, Laura Pitingaro e Giuseppe Mazzola.
Alla luce della mia esperienza nel curare e produrre “Dissertazioni sulla Street Art” (acquistabile presso la "Libreria del Mare" di Palermo, attesa la diffusa ritrosia dei graffitari ad esprimersi, direi che Mantoan – forse perché professore universitario in materia - ha riscosso un enorme successo.
Per l’attualità dell’argomento, progettato e utilizzato dall’autore per il raggiungimento di diversificati obiettivi (come approfondire i preludi a sperimentazioni artistiche, sia come strumenti di denuncia sociale, ovvero come messaggio etico e politico o quant’altro), il libro merita di essere letto anche da coloro che praticano principalmente o solo la fotografia.
L’ampiezza delle disamine permetterà ad ognuno, infatti, di trovare spunti disparati per far nascere idee e magari portando ad approfondire aree di nicchia, come quella pure applicata dal fotografo Giovanni Scotti, che ha inteso, più che cogliere l’ambientazione delle opere fotografate, addivenire a personalissime interpretazioni delle stesse.
Tornando al fenomeno della street art in senso ampio, a voler essere pignoli, forse potrebbe mancare un capitolo specifico, incentrato su quelle che usiamo definire come delle “opere aperte”; ovvero su quelle proposte artistiche non apertamente esplicite e che tendono a buttare un sasso nello stagno culturale stagnate, per assistere alle letture disparate delle onde prodotte. Nella circostanza mi permetto di citare, tra le tante, due opere di SID (artista palermitano), due operazioni che ho avuto l’opportunità di seguire durante la durata della loro realizzazione:
- https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/2025/04/punti-di-vista-di-sid.html
- https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/2023/09/murale-sid-ad-acqua-dei-corsari-borgata.html
Al riguardo sono sempre più numerosi gli artisti impegnati ad affinare tanti messaggi provocatori, come pure sono molti gli osservatori che traggono spunti da trasferire in altre forme d’arte espressive, comprendendo fra queste il variegato panorama della fotografia.
Il parallelismo tra tatoo e street art, anche se intrigante, potrebbe risultare un azzardo, ma questa potrebbe rimanere solo una isolata opinione di chi sta scrivendo.
In ogni caso, a mio parere, un aspetto fondamentale dell’operazione editoriale realizzata da Diego Mantoan rimane di certo quello di porre l’accento anche sull’unicità del fenomeno artistico assunto a Palermo e in Sicilia in generale. Con opere strettamente collegate alle caratteristiche dei luoghi e agli aspetti sostanzialmente autoctoni delle produzioni, caratterizzanti aspetti sociali/ambientali del contesto e l'antropologia isolana.
Per quest’ultimo aspetto, fondamentale è il sottolineare la persistenza in zone del centro storico palermitano di ruderi risalenti alla seconda guerra mondiale che consentono un amalgama culturale originale.
Come pure la presenza del forte degrado urbanistico causato dall’esodo della borghesia dal centro cittadino. Aspetti entrambi associati alla gestione di amministrazioni pubbliche (specie nel finire del 2000), impegnate in ben altri interessi, totalmente disinteressate all’aspetto illegale attuato dai graffitari (per lo più costituito da personaggi di fede anarchica). Circostanze che hanno favorito la diffusione della Street art in terra di Sicilia, attirando fin da subito – non ultimo per la potenzialità dei luoghi - molteplici artisti di altre regioni d’Italia e altri pure di fama internazionale.
In conclusione, si consiglia la lettura di “Sulla pelle della città” anche a coloro che ancora oggi continuano ad osteggiare operazioni sperimentali accostabili all’arte moderna.
Questo libro, infatti, rappresenta anche uno strumento ideale per capire molti fenomeni e aiuta ad approfondire la complessità che in genere sottendono alla ideazione e alla successiva realizzazione delle opere (non me ne vogliano alcuni se aggiungo) a prescindere dalla bellezza estetica dell’arredo urbano, (come accennato: “Nuovo muralismo” a parte).
Buona luce a tutti!
© Essec
sabato 27 settembre 2025
"Chiedimi chi erano di Beatles" di Pierluigi Bersani
Come prima cosa è opportuno dare atto a Pierluigi Bersani sul fatto che, in un contesto italiota ricco di “cooptati sempreverdi”, dove chi svolge attività politica difficilmente sceglie di farsi da parte per impegnarsi in altro modo nel fare politica, dando spazio anche a ricambi.
Con la scelta di non ricandidarsi a parlamentare nelle elezioni del 2022, Bersani ha rinunciato a una riconferma che sarebbe stata sicura, optando per una pausa e rinunciando pure a qualunque altro incarico/ruolo d’apparato.
Scelte che gli fanno certamente onore e che sottolineano una rara onestà intellettuale, oltre che una sostanziale coerenza; forse più accostabile ad un intellettuale che ad un “politico italiano”, abituato a navigare in mari affollati di squali che, mal che vada, cercano di barcamenarsi collocandosi sempre in zattere/poltrone con ruoli/incarichi che seguono le tipiche logiche delle porte girevoli.
Queste premesse sono molto importanti per riuscire a cogliere in pieno l’essenza del suo libro intitolato “Chiedimi chi erano i Beatles – I giovani, la politica e la storia”, pubblicato da Rizzoli.
Ricco di contenuti culturali che spaziano a trecentosessanta gradi, i vari capitoli si pongono secondo un approccio sempre positivo e Bersani, mescolando diverse discipline, riesce a evidenziare la sua visione del ruolo nobile che dovrebbero rivestire tutti coloro che si impegnano nel mondo politico. Ciò pur restando consapevole sulla qualità e i veri intendimenti di coloro che si propongono per ricoprire incarichi amministrativi d'esito elettivo.
Richiamando le origini della Carta costituzionale italiana, focalizza i personaggi che l’hanno posta in essere, richiamando all’amalgama venutosi a creare fra partigiani eterogenei, di varie ispirazioni politiche, tutti interessati a un radicale univoco cambiamento e a far rinascere un’Italia reduce dall'oppressione dal ventennio fascista.
Senza particolari pretese cenni storici, religiosi, filosofici, concetti etici o esempi delle illuminanti “mitiche metafore bersaniane”, associati a tanti personaggi dell’Italia repubblicana, consentono di rileggere o talvolta anche scoprire retroscena sulle origini e scomparsa di partiti e movimenti, oltre che di venire a conoscenza d’eventi che hanno portato a scelte concordate, fusioni e cambiamenti.
In tema, Pierluigi Bersani, ripercorre i passaggi e le sue intenzioni che hanno interessato i tentativi post elettorali per un possibile governo con il Movimento Cinque Stelle, non demonizzando il fenomeno di protesta.
Rivisita pure il periodo renziano (dal momento dell'avvento con lo "stai sereno" al tradimento dei 101 anti-Prodi compresi) e tanti altri eventi.
Nelle varie analisi politiche, stranamente, manca però del tutto la disamina delle strategie sottostanti alle scelte strategiche di Enrico Letta e soci, rivelatesi scellerate per aver poi determinato una debacle nelle ultime elezioni del 2022 e creato i presupposti numerici per regalare un facile governo maggioritario a una destra di fatto disomogenea ma utilitaristicamente associata.
Spazio viene dato anche alle tante zone marginalizzate dell'entroterra nazionale, alla questione medidionale e alla giustizia sociale, argomenti sui quali le varie organizzazioni e gli enti universitari facenti capo (coordinati) a Fabrizio Barca hanno svolto e contnuano a svolgere studi e approfondimenti che potrebbero tornare utili all'intero mondo politico per gestire le questioni sia economiche che amministrative.
Rispetto ai tanti libri autobiografici scritti da politici o pseudo tali, quasi sempre autocelebrativi e sempre egocentrici, “Chiedimi chi erano i Beatles” rispecchia totalmente, nei contenuti, l’onestà intellettuale dell’Onorevole Bersani citata in premessa. Informa, spesso in quanto testimone diretto, sui principali eventi politici del dopoguerra e, da non trascurare, mette in luce il livello culturale dell’uomo, ancorché politico.
Proprio per questo, indipendentemente da orientamenti o appartenenze, poiché torna sempre utile ascoltare il suono di tutte le campane, del libro di Pierluigi Bersani se ne consiglia la lettura.
Buona luce a tutti!
© Essec
martedì 23 settembre 2025
Nutrire dell'ottimismo verso il futuro che si prospetta
La massiccia adesione delle scolaresche italiane di ogni ordine a grado alle manifestazioni indette per denunciare l’assurdo disinteresse e un'indecente apatia, utilitaristica e non, della classe politica di fronte ai crimini oggi attuati contro il popolo palestinese, costituisce un importante esempio di democrazia partecipata e dimostra come la scuola risulti ancora una istituzione viva, sensibile, capace di discernere i fatti e attenta ai valori assoluti: ai diritti e ai doveri comuni trasversali che costituiscono collante comune, indipendentemente dagli specifici indirizzi partitici.
In questo, il recente libro di Massimo Recalcati intitolato “La luce e l’ombra – Cosa significa insegnare?” sembra cadere a proposito, poiché rappresenta un importante strumento di disamina che, nell’approfondire aspetti fondamentali dei metodi che coabitano nell’apprendimento scolastico, sottolineano che non esiste alcuna verità assoluta nel campo e, men che meno, alcun manuale e nemmeno dei codici fissi (regole) indiscutibili per l’applicazione di una ideale didattica universale.
Il punto focale dello scritto forse consiste nella “soggettività” posta ad obiettivo finale nell’insegnamento e come, nel rapporto Maestro/Allievo, analizzato mettendo a fuoco i molteplici vari aspetti e le singole peculiarità, viene esaltata la specificità richiesta ad ogni maestro, chiamato, più che a un proselitismo nozionistico o emulativo, ad accendere singole fiammelle nella curiosità di ogni studente per poi suscitare l’avvio di autonomi interessi (visioni) individuali.
Il principale obiettivo e forse quello finale di ogni corso didattico rimane pertanto riuscire a sviluppare, attraverso l’interesse per letture e studio, uno spirito critico autonomo, anche se potrebbe risultare assai diverso e pure contrapposto a quello dell’insegnante.
Addivenendo così all’accennata “soggettività” precedentemente citata, che sempre personalizza e differenzia rispetto a qualunque metodo di apprendimento perseguito.
Recalcati nel suo denso saggio inserisce, oltre a diverse aneddotiche che tirano in ballo concetti filosofici e relativi personaggi (di varie epoche e culture), anche molti personaggi aderenti agli esempi esposti, che consentono così disamine complete dei vari aspetti e nelle singole questioni; dissezionati sempre con un’estrema lucidità partecipativa. In ciò riesce a fondere felicemente le sue esperienze di allievo, docente e di psicalalista, evidenziando le esperienze vissute e - nel tempo e con lo studio - fatte proprie.
La coincidenza temporale dei crimini contro l’umanità perpetrate a Gaza e il genocidio contro il popolo palestinese in genere, rispetto all’uscita del libro storico-psicanalitico di Massimo Recalcati, quasi non sembrerebbe casuale, appare anzi fatalistico, poiché il saggio costituisce uno strumento che induce a riflettere sui fondamentali di vita, portando a ridisegnare i principi di base necessari e sempre presenti nella formazione culturale di ogni contesto sociale.
In ogni caso una attenta lettura del volume è consigliata a tutti. Poiché, prendendo spunto dall’importanza del rapporto Insegnante/Allievo, definisce il vero significato del termine “maestro”; rivolgendosi e coinvolgendo a riflettere sul proprio ruolo educativo e formativo anche i genitori che ne sono direttamente coinvolti.
Peraltro, gli ambiti concettuali degli argomenti trattati sono ampiamente debordanti, quasi universali, rispetto ai soli ambiti scolastici.
In centocinquanta pagine il libro pubblicato dalla Einaudi raccoglie tanto. Richiamando citazioni di Freud, Pasolini, Adorno, Hegel e un altro centinaio di intellettuali accosta tanti punti di vista e suscita moltissimi spunti per approfondire aspetti e concetti.
Insomma, l’acquisto merita la spesa dei 18 euro richiesti e la sua lettura . che illumina - consente, nonostante i tempi bui che stiamo attraversando, di nutrire dell'ottimismo verso il futuro che si prospetta.
Buona luce a tutti!
© Essec
lunedì 8 settembre 2025
"Siamo anche ciò che non sentiamo" di Raffaella Tava
A tutti noi capitano talvolta delle cose strane che sembrano dettate da sensazioni inconsce.
Può succede, quindi, che in un giorno particolarissimo si viene a realizzare una strana fotografia, che sembra voglia corrispondere alla sintesi di un avvenimento e di un sentimento complesso ad esso correlato.
Fisicamente, come nel caso in questione, frutto magari di causalità imprevedibili, di occasionali situazioni di una miscellanea irradiante di luce ombre, che all’autore generano un’illuminazione, sintesi di concetti filosofici complessi, che inducono a scrivere.
È quanto è accaduto all’amica Raffaella, nel realizzare - in un giorno per lei particolare - la foto posta in testa al suo articolo, suscitato dall’ennesima riflessione sui massimi sistemi; che sembrano assopirsi ma che restano perennemente latenti, sempre pronti a riaccendersi.
Si rilancia di seguito l’immagine in questione e il relativo articolo ad essa abbinato, che l'autrice ha provveduto a pubblicare nel suo spazio web del sito Fotoportal gestito da Salvatore Picciuto.
Buona luce a tutti!
© Essec
--
Siamo anche ciò che non sentiamo
rendendocene conto unicamente quando lo percepiamo
Siamo stati dotati di un corpo stupendo, una macchina complessa, dotata di più sistemi assemblati apparentemente indipendenti; in un’armonica e primordiale sinergia, che ci dà forma esteriore e potenzialità, permettendoci di vivere.
Un corpo che diamo per scontato, non sostituibile, amato o ripudiato ed a volte purtroppo dannato. Un corpo effimero se rapportato all’immensità dell’universo, inevitabilmente reale e carico di illusorietà. Si, perché nei susseguissi degli hic et nunc, qui e ora, della nostra vita ci sentiamo fondamentalmente potenti ed immortali, finché non arriva un qualcosa che scardina le nostre certezze.
Quando siamo impegnati in gesti di routine, azioni compiute in automatico e, ancor di più, quando la mente viaggia solitaria, ci dimentichiamo di avere un corpo, così come ci dimentichiamo della sua complessità. Abbiamo modo di scoprirlo al manifestarsi di una minima avaria fisica, quando scopriamo i limiti che diventano occasione per percepire la nostra fisicità. Quando mai percepiamo distinti, ad esempio, il fegato, i timpani, i menischi, i polmoni?... Esatto: solo quando dolgono. Ecco che, in quel presente, emerge tutta la nostra vulnerabilità, il senso di impotenza e la caducità del corpo che lo caratterizza. È li che cominciamo a sentire il corpo, a percepire in modo più conscio che la sua funzionalità unitaria non è scontata, a sentire ciò che non sentivamo.
Il rapporto innato che abbiamo con il nostro corpo rispecchia il rapporto che abbiamo con la nostra anima: non la sentiamo ma è li, parcheggiata in latente attesa del suo hic et nunc pronta ad esplodere tumultuosamente per farsi sentire nel momento in cui siamo fermati dalle emozioni e dai dolori. Si, perché quando ci troviamo di fronte ai nostri limiti fisici, in qualche modo entriamo inevitabilmente in contatto con la nostra anima; in quel momento scattano una serie di domande, tra cui le “Domande ancestrali” a cui l’uomo, dalla notte dei tempi, non sa dare risposte.
Da queste fermate non programmate, in prossimità della nostra anima, ripartiamo normalmente con una consapevolezza maggiore di noi stessi, una migliorata sensibilità e comprensione degli altri, consci della piccolezza dell’homo sapiens nell’infinito, senza poter darsi alcuna risposta sull’esistenza del tutto.
Tralasciando l’universo e tutti i suoi misteri inaccessibili, ciò che mi sovviene è la consapevolezza che corpo e anima viaggiano interconnessi: o entrambi non sentiti o entrambi sentiti. Quando un hic et nunc è segnato da un dolore fisico, sentiamo il corpo e, di riflesso, l’anima; viceversa, alcune battaglie intraprese dall’ anima ci fanno sentire, attraverso il dolore, la materialità del corpo.
Non è raro costatare come le persone che hanno sofferto molto fisicamente o coloro dall’animo tormentato abbiano sviluppato una maggiore empatia verso il prossimo e una sensibilità profonda.
E qui sorgono le domande, come: è plausibile asserire che ciò derivi da una battaglia combattuta contestualmente su due piani, quello il fisico e quello dell’anima, bisognosa di pace e serenità?
Inoltre, quando i limiti fisici, la malattia o la sofferenza sfociano in intolleranza, rabbia, astio o addirittura rifiuto della vita, può essere attribuito ad un’anima irrisolta e travagliata che rende il corpo dannato?
Infine, dal punto di vista mistico, in quale cinico disegno può mai rientrare la sofferenza gratuita, come quella sofferta dagli ammalati terminali o succubi di malattie degenerative fortemente disabilitanti? Come potrebbe mai l’anima trovare la pace? Eppure, ci sono testimonianze che ciò avvenga.
In tutto questo divagare di pensieri trovo solo una certezza palese: non esistono risposte certe o argomentazioni che possano illuminarci sul significato della Vita.
© Raffaella Tava
[07/09/2025]
Può succede, quindi, che in un giorno particolarissimo si viene a realizzare una strana fotografia, che sembra voglia corrispondere alla sintesi di un avvenimento e di un sentimento complesso ad esso correlato.
Fisicamente, come nel caso in questione, frutto magari di causalità imprevedibili, di occasionali situazioni di una miscellanea irradiante di luce ombre, che all’autore generano un’illuminazione, sintesi di concetti filosofici complessi, che inducono a scrivere.
È quanto è accaduto all’amica Raffaella, nel realizzare - in un giorno per lei particolare - la foto posta in testa al suo articolo, suscitato dall’ennesima riflessione sui massimi sistemi; che sembrano assopirsi ma che restano perennemente latenti, sempre pronti a riaccendersi.
Si rilancia di seguito l’immagine in questione e il relativo articolo ad essa abbinato, che l'autrice ha provveduto a pubblicare nel suo spazio web del sito Fotoportal gestito da Salvatore Picciuto.
Buona luce a tutti!
© Essec
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Siamo anche ciò che non sentiamo
rendendocene conto unicamente quando lo percepiamo
Siamo stati dotati di un corpo stupendo, una macchina complessa, dotata di più sistemi assemblati apparentemente indipendenti; in un’armonica e primordiale sinergia, che ci dà forma esteriore e potenzialità, permettendoci di vivere.
Un corpo che diamo per scontato, non sostituibile, amato o ripudiato ed a volte purtroppo dannato. Un corpo effimero se rapportato all’immensità dell’universo, inevitabilmente reale e carico di illusorietà. Si, perché nei susseguissi degli hic et nunc, qui e ora, della nostra vita ci sentiamo fondamentalmente potenti ed immortali, finché non arriva un qualcosa che scardina le nostre certezze.
Quando siamo impegnati in gesti di routine, azioni compiute in automatico e, ancor di più, quando la mente viaggia solitaria, ci dimentichiamo di avere un corpo, così come ci dimentichiamo della sua complessità. Abbiamo modo di scoprirlo al manifestarsi di una minima avaria fisica, quando scopriamo i limiti che diventano occasione per percepire la nostra fisicità. Quando mai percepiamo distinti, ad esempio, il fegato, i timpani, i menischi, i polmoni?... Esatto: solo quando dolgono. Ecco che, in quel presente, emerge tutta la nostra vulnerabilità, il senso di impotenza e la caducità del corpo che lo caratterizza. È li che cominciamo a sentire il corpo, a percepire in modo più conscio che la sua funzionalità unitaria non è scontata, a sentire ciò che non sentivamo.
Il rapporto innato che abbiamo con il nostro corpo rispecchia il rapporto che abbiamo con la nostra anima: non la sentiamo ma è li, parcheggiata in latente attesa del suo hic et nunc pronta ad esplodere tumultuosamente per farsi sentire nel momento in cui siamo fermati dalle emozioni e dai dolori. Si, perché quando ci troviamo di fronte ai nostri limiti fisici, in qualche modo entriamo inevitabilmente in contatto con la nostra anima; in quel momento scattano una serie di domande, tra cui le “Domande ancestrali” a cui l’uomo, dalla notte dei tempi, non sa dare risposte.
Da queste fermate non programmate, in prossimità della nostra anima, ripartiamo normalmente con una consapevolezza maggiore di noi stessi, una migliorata sensibilità e comprensione degli altri, consci della piccolezza dell’homo sapiens nell’infinito, senza poter darsi alcuna risposta sull’esistenza del tutto.
Tralasciando l’universo e tutti i suoi misteri inaccessibili, ciò che mi sovviene è la consapevolezza che corpo e anima viaggiano interconnessi: o entrambi non sentiti o entrambi sentiti. Quando un hic et nunc è segnato da un dolore fisico, sentiamo il corpo e, di riflesso, l’anima; viceversa, alcune battaglie intraprese dall’ anima ci fanno sentire, attraverso il dolore, la materialità del corpo.
Non è raro costatare come le persone che hanno sofferto molto fisicamente o coloro dall’animo tormentato abbiano sviluppato una maggiore empatia verso il prossimo e una sensibilità profonda.
E qui sorgono le domande, come: è plausibile asserire che ciò derivi da una battaglia combattuta contestualmente su due piani, quello il fisico e quello dell’anima, bisognosa di pace e serenità?
Inoltre, quando i limiti fisici, la malattia o la sofferenza sfociano in intolleranza, rabbia, astio o addirittura rifiuto della vita, può essere attribuito ad un’anima irrisolta e travagliata che rende il corpo dannato?
Infine, dal punto di vista mistico, in quale cinico disegno può mai rientrare la sofferenza gratuita, come quella sofferta dagli ammalati terminali o succubi di malattie degenerative fortemente disabilitanti? Come potrebbe mai l’anima trovare la pace? Eppure, ci sono testimonianze che ciò avvenga.
In tutto questo divagare di pensieri trovo solo una certezza palese: non esistono risposte certe o argomentazioni che possano illuminarci sul significato della Vita.
© Raffaella Tava
[07/09/2025]
sabato 6 settembre 2025
Big Bang culturale in continua espansione
L’immagine proposta, che è stata realizzata dal fotografo Giuseppe Gerbasi, mi ritrae in una disfida d'inquadrature con Ferdinando Scianna, in occasione della preziosa Lectio tenuta dal Maestro presso l’Università di Palermo nel febbraio 2019. Evento integralmente documentato su You Tube e del quale, specie per gli appassionati, se ne consiglia la visione.
La sua venuta a Palermo ebbe anche a coincidere con la sua imponente Mostra antologica allestita alla GAM di Palermo.
Il regalo inviatomi dall’amico Gerbasi costituisce per me un ulteriore spunto per riflettere sull’importanza della fotografia, da molti vista come un lettino per innescare psicanalisi individuali, specie da coloro che la praticano e ne restano coinvolti: autori, critici, lettori o coccasionali osservatori.
Della stessa, del resto, tutti potranno sempre scriverne e leggerne in piena autonomia, ciascuno seguendo un proprio canone, per suscitare (gli uni) o leggere (altri) eventuali emozioni. Perseguendo le logiche riconducibili ai neuroni specchio, in parte anch’essi personalizzati, di cui si ebbe ad accennare in un altro articolo.
La fotografia può essere letta in tanti modi e pertanto significare tante cose. Dal costituire pretesto per poter poi raccontare pagine di vita, ovvero per documentare, fissare momenti e rievocare fatti, persone e personaggi correlati.
In qualche modo può ben corrispondere alle tante pagine che compongono un diario individuale, da aggiornare continuamente, dove annotare incontri, accadimenti, sensazioni, convinzioni, emozioni.
Con ogni immagine, che tende a raccogliere nel tempo elementi che implementano montagne di dettagli che sembrano assopirsi, restando sempre sensibili per riaccendersi e ritornare immediatamente vivi.
È anche un’arte, quindi, che tende a sublimare l'accumulo di ricordi, comunque destinati umanamente a dissolversi.
Così pure un pretesto per poter leggere – nel corso o alla fine - i tanti portfolio di vita che si realizzano con ogni giorno. Album che, pian piano raccolgono le tante tessere realizzate durante un’intera esistenza.
La fotografia è già l’immagine semplice che fin da piccoli ci identifica in un documento, ma anche una magia che rende longeva un’esistenza apparentemente effimera, manifestata anche da un fiore che sboccia per una volta sola.
È una formula complessa che alimenta varie illusioni che ci costruiamo tra tante parentesi e a cui amiamo credere.
La fotografia resta comunque un quadro in cui ogni artista ama disegnare quello che più gli aggrada; per fissare combinazioni reali di un momento o per dipingere un proprio immaginario che potrebbe solo corrispondere a verità inventate o ad eterne utopie.
Diventando arte la fotografia può rivelarsi, altresì, uno specchio che circoscrive un paesaggio indiretto, riflesso, che segue inquadrature variegate e circoscritte, secondo del momento in cui ci si decide ad effettuare lo scatto.
L’argomento si presta a continuare a scrivere, senza sosta, ma per chiudere vengo a proporre riflessioni di altri, come le tante contenute in un interessante articolo trovato casualmente in rete.
Pubblicato nel suo vasto sito web Massimo Cec si cimenta in un accostamento interessante della fotografia con la filosofia, esplorando tanti aspetti e personaggi attinenti all’universo del visivo creativo.
Chi ama la fotografia - e nel caso fotografare o leggerla fa poca differenza - non potrà esimersi dall'andare a intrattenersi su quanto viene a scrivere lo stesso Massimo Cec riguardo alla sua visione e sul concetto di "fotografare".
In conclusione si può affermare che l’arte fotografica rimane ancora un mondo indefinito, in continua evoluzione e che nasconde tanti antri inesplorati.
Accostabile quasi a un Big Bang culturale in veloce espansione e che induce moltissimi appassionati ad esplorare e sperimentare con ampi spazi disponibili e senza necessità di soste.
Ipotesi, teorie, e tesi si sviluppano continuamente in linguaggi nuovi, immediati e diretti, che, in presenza di poche regole e certezze assolute, costituiscono pretesti di studio e di riscritture.
Con la certezza che tanti altri continueranno a trovare ambiti e spunti per tentare di confutare, o solo per poter rettificare quanto sostenuto da altri, per ridefinire e continuare a scrivere ancora.
Buona luce a tutti!
© Essec
giovedì 4 settembre 2025
Josè Saramago: "Quando arriverà, o Signore, il giorno in cui verrai a noi per riconoscere i tuoi errori dinanzi agli uomini?"
Pienamente coscienti che l’idealismo socialista non paga, l’esperienza ci insegna come moltissimi ex attivisti, arrivati in età matura, si rendono conto che trovarsi un’allocazione all’ombra può costituire un facile vantaggio, assicurando un riparo da possibili rischi e, facendo scelte oculate, procurare pure delle rendite di posizione.
Voltagabbana, opportunisti, certamente ideologicamente flessibili, ma forse disillusi dalle esperienze ipocrite e utopistiche di democrazie frutto di uomini, corrose da nepotismi e burocrazie ovvero, semplicemente fattisi furbi nell’aver capito che la vita reale necessita di cinismo nel caso si voglia accedere al vero potere.
Gli esempi si sprecano e una attenta lettura della storia e delle biografie di tanti personaggi è in grado di illuminare sulla ragionevolezza dei corsi e ricorsi.
Il Vico sosteneva, al riguardo, secondo una lettura mistica, che alcuni accadimenti si ripetono con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo e ciò avviene non per puro caso ma in base ad un preciso disegno stilato della divina provvidenza. Machiavelli, più tecnocratico, teorizzava un tipo particolare di ciclicità, quello che va dalla rovina alla grandezza, all’ozio, alla debolezza, per poi tornare di nuovo alla rovina; quello che va dall’ordine al disordine per poi tornare all’ordine, dal bene al male e dal male al bene. Il tutto in modo quasi invisibile lungo il lento scorrere del tempo.
Sostanzialmente per corsi e ricorsi storici sono quindi ad intendersi cicli perpetui in cui l'umanità, distinta in una babele di culture diverse e anche contrapposte, progredisce attraverso varie fasi, tornando poi a uno stato primitivo, per poi tornare a ripetersi nel rifiorire, regredire, riemergere.
Come accade spesso in certi incontri e conoscenze, molti addottrinamenti e nuove vedute derivano dal caso, anche a seguito di eventi fortuiti.
In occasione dell'ennesimo compleanno, ad esempio, la fidelizzazione ad una libreria on line mi ha procurato un bonus per un volume a mia scelta, fra quelli della loro “universale economica”.
Non essendo mai stato un divoratore di libri ma avendo scoperto più la lettura in età senile, fra i tanti titoli di diversi autori, non mi è stato facile scegliere il regalo. Le opere letterarie sono molteplici ed i gusti dei lettori pure diversificati e assai differenti.
Alla fine ho optato per “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” di Jose’ Saramago e devo confessare che non avrei potuto fare una scelta migliore.
Dell’autore avevo già letto due sue opere di notevole spessore, anche per i contenuti socio politici molto allusivi e sempre attuali. Il titolo dell’opera che venivo ora a scegliere, atteso i precedenti, lasciava immaginare approcci originali di un vangelo assai diverso rispetto a quelli tramandati nella liturgia cristiana. E così è stato.
Le oltre trecento pagine del racconto, con una avvincente narrazione, catturano il lettore per la capacità di renderlo partecipe, quasi a includerlo in una complessa operazione antropologica e mistica.
L’ateismo manifesto di Saramago c’è tutto ed è illuminante, riuscendo peraltro a sviluppare con visione laica un racconto del Gesù di Nazaret fondatore del cattolicesimo. Mettendo in luce aspetti comuni dell’uomo, anche se nato, cresciuto e morto in seno a una cultura ebraica ortodossa.
Il tutto collegato alle eterne logiche filosofiche che hanno da sempre connotato le esistenze, nei secoli e fin dall’origine, estremizzata nella coppia di Adamo ed Eva generatori della razza umana, favoleggiati come i "primati" scacciati dall”Eden per aver disatteso agli ordini di Dio.
La quarta di copertina dell’edizione economica del libro, che riporta: “Quando arriverà, o Signore, il giorno in cui verrai a noi per riconoscere i tuoi errori dinanzi agli uomini?”, lascia immaginare la densità dei contenuti di quest’opera di Saramago.
Una attenta lettura non evidenzierà nulla che possa essere etichettato come blasfemo, bensì metterà in evidenza e sottolineerà i limiti della sacralità diffusa e più nota, oltre a ingenerare dubbi sull’attendibilità fondante dei principi realistici del cristianesimo tutto e del cattolicesimo in particolare.
In ogni caso, a prescindere da come uno la pensi, la lettura di questo "Vangelo" laico sarebbe da consigliare fortemente a tutti, ma a condizione di non approcciarsi in modo prevenuto ovvero filtrando il racconto con l’onestà intellettuale di cui si è dotati e che spesso si preferisce non usare.
La conoscenza non può fare a meno dello studio, per riuscire sentire le sonorità delle tante campane; per affinare le orecchie e cogliere le sottigliezze, utile per riflettere sulle miscellanee tonali nascoste nei rumori percepiti.
Ricerca di comodità e molta pigrizia intellettuale non fa propendere a contraddittori e confronto, specie se mette in pericolo privilegi goduti.
Buona luce a tutti!
© Essec
lunedì 1 settembre 2025
Laquartadimensionescritti (cartaceo)
"Ogni pagina è una tappa di un percorso che parte dall'esperienza personale e si apre a interrogativi più ampi. Il lettore non troverà una narrazione lineare, né una trama definita, bensì una serie di finestre da aprire a piacimento su scorci del nostro tempo. Come nel blog da cui questi scritti provengono, il tono è diretto, il pensiero critico, l'ironia costante. Ma sotto ogni parola, aneddoto o citazione si avverte l'urgenza di comunicare, di stimolare una riflessione, di coltivare la memoria e, soprattutto, l'invito a guardare — dentro e fuori di sé — con maggiore consapevolezza. Alcuni scritti, in particolare quelli dedicati alla fotografia e al ricordo, sembrano riecheggiare l'idea che il tempo reale non si misuri in secondi, ma si viva nella continuità soggettiva della coscienza. È quella stessa "durata interiore" che l'autore insegue nel tentativo di fissare attimi, volti, frammenti che sfuggono alla linearità del tempo, trasformandoli in tasselli di una memoria viva, personale e collettiva." (tratto da prefazione di Pasquale Tribuzio)
Youcanprint 192 pagine
Buona luce a tutti!
© Essec
sabato 30 agosto 2025
Libera nos a malo
Nato come dissertazione univoca, il pezzo è stato proposto e trasformato per sperimentare un articolo scritto a quattro mani, con l’intento di ampliare il campo della discussione e possibilmente introdurre aspetti altri.
Per essere più chiari, l’articolo originario di base corrisponderebbe all’unificazione dei testi attribuiti a “interlocutore 1”, l’idea dell’azione integrativa, lasciata libera anche di eventuali contraddittori, è l’insieme delle considerazioni intervallate e etichettate come “interlocutore 2”.
La formula adottata compatta in un unico post l’articolo e l’eventuale intervento a commento. Di seguito si espone il testo convenuto che ne è venuto fuori.
Interlocutore 1: L’arte, in qualunque forma si manifesti costituisce una psicanalisi individuale che si basa su un talento. Una palestra per chi resta impegnato in continue ricerche, per comunicare un pensiero o un semplice punto di vista. Quindi la domanda è pertinente nel chiedersi quanto inconscio c’è nel concepirla?
Interlocutore 2: Io non generalizzerei, in quanto ritengo che vada fatta una pre-analisi al fine di definire cosa ha spinto l’artista a realizzare la sua opera, sempre prima d’interrogarsi su quanto essa sia stata realizzata consciamente o inconsciamente e frutto di psicanalisi o meno. Ritengo infatti che generalizzare sia molto riduttivo. Ci sono artisti che producono unicamente per scopo commerciale, producendo opere figlie di grande raziocinio, normalmente affascinanti esteticamente (non sempre) e poco concettuali. Poi c’è chi sente il bisogno di comunicare il proprio mondo interiore, per esternalizzare le proprie emozioni, le gioie, le paure, il senso di ingiustizia e tanto altro ancora; per affermare se stessi esprimendo la loro interiorità e le proprie verità. C’è pure chi cercando di quietare la propria anima, al fine di ritrovare il proprio equilibrio emotivo, ha la necessità di esprimere, materializzare ciò che sente e lo fa attraverso il proprio talento, regalando arte. Ecco, io penso che unicamente le opere prodotte da questa ultima tipologia di artisti, tra i citati, possano essere frutto di un connubio tra conscio ed inconscio.
Interlocutore 1: In generale si può affermare che le produzioni di ciascuno inglobano componenti che derivano da esperienze dirette; ma che si vanno ad assommare anche ad altre pregresse, comprese quelle insite nei DNA individuali ricevuti e tramandati nel tempo. Ogni esistenza che assume il suo testimone andrà, quindi, ad annotare vissuti compositi. Facendo sì che diventi un tutt’uno, “modellato” in parte secondo il proprio libero arbitrio che non sempre libero rimane, attese le tante sollecitazioni che tendono a condizionare.
Interlocutore 2: Questa è la vita, è il nostro essere. Noi siamo il risultato nostro vissuto e, fortunatamente, in continua mutazione; cresciuti in comunità e forgiati, nel bene e nel male, sin dall’inizio della nostra esistenza dalle relazioni, dalle sollecitazioni, dalle regole, dai divieti… e dalle emozioni ataviche che influenzano e caratterizzano il nostro vivere; conseguentemente, non ritengo che ciò abbia un’attinenza con il conscio e l’inconscio.
Interlocutore 1: Di certo, ambienti (contesti fisici e condizionamenti sociali) incidono nelle alchimie psico-fisiche dei singoli. Aggregazioni, ricche di compromessi, influenzano le personalità, con scelte di parametri che associate tendono a consolidare quelle che chiamiamo convenzionalmente culture. Col tempo e con le varie sedimentazioni ogni schema teorico incentrato su artifici umani può così assumersi come plausibile, perchè legati a principi, in apparenza logici, ma solo convalidati nelle teorie dominanti del momento storico.
Interlocutore 2: Condivido pienamente il tuo pensiero, che introduce nuovi elementi al contesto, ma ancora non trovo un’attinenza… fammi capire.
Interlocutore 1: In assoluto, paradossalmente, tutto potrebbe anche avere un senso, se basato su ipotesi che supportano tesi definite, assunte da maggioranze dominanti. Ogni individuo così viene a maturare una propria dimensione. Fin da piccolo, fatto convinto di possedere certezze, solamente indossando abiti di comode verità preconfezionate, e, atteso che tutti gli esseri che si alternano sono comunque e sempre diversi, il pensiero unico rimane un’ambizione impossibile, un perseguimento di un’utopia irraggiungibile.
Interlocutore 2: Quindi, il tutto si basa sull’assunto, opinabile, che l’artista in quanto uomo non è né libero né conscio, conseguentemente crea opere, per l’appunto, ricche della sua incoscienza. Comincio a seguire la tua logica, prosegui pure.
Interlocutore 1: L’unica soluzione praticabile rimane il compromesso mediato, variegato e con diversificati approcci sociali, che rendono possibili solo coabitazioni e proseguimenti di segnali a cui rispondere. Allineati tutti secondo comportamenti che da sempre si alimentano nell’alternarsi delle esistenze. Sono pertanto esclusivamente le illusioni che governano i giochi e che, non essendo utopie, consentono di realizzare combinazioni temporanee d’equilibri, generati sempre da contrattazioni labili, che rimangono alla lunga fragili di fronte alla precarietà del tempo. Sono sempre tante le false verità che si appalesano e ciascuno potrà modellarle e farle proprie con idee inserendole nell’organizzazione sociale che è più confacente. In ogni caso, le differenti culture tendono a consolidare tantissimi modelli; e così accade che ogni soggetto che nasce potrà ritrovarsi protagonista o succube a secondo dell’ambiente sociale in cui viene alla luce. Illuminismo, oscurantismo, totalitarismi, democrazie e tanti altri orientamenti si compattano in stati nazione. Nelle varie formule politiche si consolidano e sfaldano, assemblando regole, religioni, e tanto altro d'interconnesso per rinnegarle dopo. Così nulla potrà mai corrisponde a verità assoluta, per poter dare certezza, atteso che ogni essere nasce e muore esaurendo il suo ciclo, navigando nel casuale mare in cui si è ritrovato.
Interlocutore 2: E, secondo la tua logica, illusoriamente cosciente.
Interlocutore 1: In conclusione, alla fine tutto si lega, anche se nessuno potrà mai conoscere dimensioni e i limiti che ci riguardano, dell’universo in cui fluttuiamo inconsci. Pensiamo d’essere al centro dell’esistente .... ma sulla base di cosa non è dato sapere. Si tratta di un pensiero illusorio immaginario e nient’altro. Il limite umano più evidente resta la presunzione di ritenersi convintamente l’unico essere intelligente nel creato. Al punto da disconoscersi perfino atei, al solo scopo di poter avvalorare l’operato di un’intelligenza superiore, dogmatica assunta per vera. Di un Dio di cui restar vassalli per esser stati noi fatti, per convenienza più che per convinzione dimostrabile, ad immagine e somiglianza. Mentre nell’espressione evangelica presente nella preghiera al Padre, nella versione latina della Vulgata, si recita: Libera nos a malo ("liberaci dal male").
Buona luce a tutti!
© Essec
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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)
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