"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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Fotogazzeggiando: Immagini e Racconti

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giovedì 30 gennaio 2025

A proposito di Meloni



Una porzione è in grado di soddisfare più di un terzo del fabbisogno di vitamina A, importante per il corretto funzionamento della vista e per la buona salute di pelle,

Storia e botanica del melone
Il melone, frutto della pianta rampicante Cucumis melo, rientra nella famiglia delle Cucurbitacee. Le probabili origini sono riconducibili all’Africa, da dove si è diffuso su tutto il bacino del Mediterraneo. In commercio sono presenti tre gruppi varietali: cantalupo, a buccia liscia di colore verde-grigio e polpa arancione, retato, che si differenzia dal cantalupo soprattutto per la buccia reticolata e, infine, da inverno, con buccia liscia di colore giallo o verde scuro e polpa bianca o verde chiara. Sono di stagione da giugno a settembre, compresa la varietà invernale che viene raccolta d’estate e consumata nei periodi invernali quando raggiunge il pieno della maturazione.

Aspetti nutrizionali del melone
Il melone ha un elevato contenuto di acqua e la restante parte è costituita prevalentemente da zuccheri semplici. La fibra è presente in un quantitativo poco considerevole, così come proteine e grassi.
Tra i micronutrienti spicca il contenuto di potassio, al contrario il sodio è molto basso. Preservare un corretto equilibrio tra questi minerali è essenziale per tenere sotto controllo i livelli della pressione sanguigna. Inserire nella dieta alimenti ad alto contenuto di potassio e basso di sodio aiuta a non far pendere la bilancia verso il secondo, uno dei principali errori che si commettono quotidianamente.
Il melone è un’ottima fonte di due importanti vitamine: la vitamina C, o acido ascorbico, e la vitamina A. Quest’ultima è contenuta nell’alimento sotto forma del suo principale precursore, il beta-carotene, che viene poi in parte convertito dal fegato nella vitamina. Una porzione di questo frutto è in grado di soddisfare più di un terzo del fabbisogno di vitamina A, importante per il corretto funzionamento della vista e per la buona salute di pelle, ossa e sistema immunitario.

I semi di melone vengono comunemente scartati quando si taglia il frutto. Si conserva la polpa liberandola dalla buccia e dai semi che si trovano nel cuore del frutto. Questi alimenti di scarto, in realtà, sono ricchi di proprietà nutrititve benefiche per la salute dell'organismo, e possono essere utilizzati in cucina proprio come altri semi maggiormente conosciuti, come quelli di zucca o di girasole.
Il melone (Cucumis melo) appartenente alla famiglia delle Cucurbitaceae (la stessa di zucca e anguria) è uno dei classici frutti estivi. Tanto apprezzato per la dolcezza della sua polpa, ricca di fibre, vitamina K, magnesio e folati, contiene anche semi commestibili, spesso gettati nella spazzatura perché ritenuti "inutili". Forse non tutti sanno che questi semi sono altamente proteici (100 gr di semi di melone contengono oltre 30 gr di proteine) e che presentano un discreto contenuto di acidi grassi e fenoli, che contribuiscono a mantenere in salute il cuore.

I semi del melone hanno uin profilo nutrizionale decisamente interessante. Tutt'altro che scarto alimentare, sono invece ricchi di proteine, principalmente rappresentate da acido glutammico, arginina e triptofano, fattore che li rende un ideale alternativa agli aminoacidi essenziali. Contengono anche acidi fenolici, flavonoidi, tocoferolo, fitoestrogeni, benefici per l'organismo. I semi di melone sono ricchi di vitamine e minerali: vitamine A, C, B3, B6, B9; carotene; sodio; magnesio; potassio; calcio; ferro; zinco; iodio; fosforo; selenio; manganese.
L'acido glutammico in esso contenuti migliora la funzionalità intestinale e il sistema immunitario, mentre l' arginina è un noto alleato degli sportivi e di chi intende rimettersi in forma in quanto contribuisce a ridurre il grasso corporeo e aumentare la massa muscolare. Non solo, tra le proprietà benefiche dei semi di melone troviamo la presenza di acido gallico e l'acido vanillico, che svolgono un'azione antinfiammatoria e antitumorale.

I semi di melone hanno diverse proprietà benefiche per tutto l'organismo. I benefici, includono ad esempio:
• migliorare la funzionalità intestinale
• proteggono il cuore
• alleati contro le malattie cardiovascolari
• rafforzare il sistema immunitario,
• contrastare le adiposità localizzate (azione svolta dall'arginina)
• aumento della massa muscolare.
• azione antinfiammatoria (gli acidi fenolici presenti nei semi di melone come acido gallico e acido vanillico contribuiscono a disinfiammare i tessuti)
• funzione antibatterica, antimicotica e antifungina
• attività antiossidante
• contrastano lo stress ossidativo (i semi di melone contengono reservatolo, alleato contro i radicali liberi)
• azione antitumorale
• favoriscono il sonno,
• abbassano la pressione sanguigna
• riduzione del livello dell'ormone cortisolo, l'ormone dello stress

• In cucina sono diversi gli utilizzi che si possono fare dei semi di melone, come gli utilizzi in cucina dei semi di anguria, del resto. Si possono tostare in padella con olio di oliva e, a piacere, con aggiunta di spezie e sale, da usare quindi come snack salato.  Danno una nota crunchy e croccante a diverse preparazioni. In tal senso possono essere validi sostituti dei semi di sesamo nella preparazione di un casalingo gomasio, da tenere sempre in dispensa. Altrimenti, una volta tostati, si possono aggiungere a insalate, panini, pasta, oppure passati al mixer diventano una polvere ricca di nutrienti e sapore, da aggiungere a zuppe e minestre. Possono essere utilizzati anche nella preparazione di barrette energetiche e proteiche da portare comodamente in ufficio come spezza fame o in palestra, aggiungendoli a frutta secca e disidratata.

Da non trascurare, quindi, per concludere, che i meloni hanno anche proprietà rinfrescanti, diuretiche, depurative e lassative e sono indicati in caso di stipsi e/o emorroidi e di dolori reumatici.

(Fonti: Notizie assunte da una ricerca operata su diversi siti web) 

Buona luce a tutti!

© Essec

lunedì 27 gennaio 2025

PiP - Scritti vari di Pippo Pappalardo (tratti dalla Pagina ACAF di FaceBook)



Scrivi troppo! Ogni tanto Pippo me lo dice per richiamarmi all’ordine. Arriva puntuale una sua telefonata per correggere imprecisioni che rileva o mi fa notare che molte questioni sollevate sono vecchie come il cucco. Dopo esserci dilungati sul merito del pretesto, dopo poco si deraglia per trattare argomenti diversi. Ci si aggiorna sulle reciproche attualità locali, si scambiano punti di vista. Mi aggiorna sulle tante attività a cui sta lavorando, degli incontri e prefazioni a libri che ha in cantiere; mi racconta aneddoti e di eventi che si svolgono all’ACAF. Segnalandomi Daniele Vita, recente ospite in associazione, parlandomi di un suo commento al riguardo. Sono andato a cercarlo nella pagina web dell'ACAF, senza trovarlo. Ho poi scoperto che si trovava fra i commenti postati nella pagina Facebook dell’ACAF. Di suoi ne ho trovato anche tanti altri, quasi sempre corrispondenti a specifici eventi. Sempre interessanti. I piu' recenti li ho raggruppati di seguito, per rilanciarli e renderli fruibili agli appassionati di fotografia, magari estimatori di Pippo e anche a chi segue i post di questo "zibaldone-blog".

Buona luce a tutti!
© Essec

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Scritti di Pippo Pappalardo (tratti dalla Pagina ACAF di FaceBook)

DANIELE VITA ovvero “RACCOGLIERE LA POESIA”
Con fiuto, curiosità, sagacia e intelligenza, il “nostro” Giuseppe Nastasi va confezionando una collana di eccellenze fotografiche che, poi, convengono presso la nostra sede. Grazie al suo lavoro, il numero degli ospiti che son venuti a trovarci aumenta sempre più, rendendo qualificata e qualificante l’offerta a disposizione dei soci (e continuando, peraltro, nel solco di una consolidata tradizione). Da ultimo, abbiamo avuto la presenza di Daniele Vita. La sua testimonianza, la sua opera e, ancor più, la sua giovinezza (eppure ha 50 anni) e simpatia, ci hanno coinvolto, riportandoci verso la comune passione fotografica, liberandola, almeno per una sera, dalle futili tentazioni, dalle ricerche ambigue se non sbagliate, dalle fumisterie, dalle inutili accademie. Riflettendo sulle sue immagini e sulle sue parole abbiamo compreso tanto della sua e della nostra passione fotografica, nonché le ragioni di uno stile, di una poetica e, conseguentemente, delle sue scelte tematiche; circostanze tutte che, guarda caso, lo hanno fatto apprezzare nel vasto arcipelago della fotografia italiana. Di lui parla bene il mondo foto amatoriale, quello accademico e quello professionale. Ne parla bene per un atteggiamento culturale esemplare: nessun rifiuto di quella fotografia con la quale siamo cresciuti, tanta disponibilità verso una ricerca capace di confrontarsi col nuovo prima ancora che col moderno ed inoltre tanta attenzione verso quel mondo che ti cammina accanto, che ti sta vicino nel rinvenimento, nella formulazione, nell’avventura di una visione fresca e diversa. Conosciamo il suo coraggioso tentativo di riprendere il grande tema della “festa popolare” e la volontà di restituirlo alla “Festa”. Non è stata un’impresa da poco: ha rivisto, infatti, in quelle espressioni, assai spesso accusate di folclorismo se non proprio di fanatismo, il volto degli uomini e delle loro vicende. Ha formulato immagini come domande, interrogativi come meditazioni visive, costruendo percorsi/sequenze fotografiche come proposte documentative e narrative di un nuovo modo di intendere il reportage. “Dove andate? Fermatevi, parliamo?” - chiede il nostro Daniele - “alle immagini incontrate; io sono qua, vi aspetto; manifestatevi”. Ed ecco allora rivelarsi il senso riposto del fotografare del nostro Autore; un senso che affida all’incontro, alla presenza, alla manifestazione dell’altro e dell’altrove, la necessità di postulare immagini e formularle. Il vecchio Benedetto Croce sosteneva: “la fotografia non può comprendere il gesto artistico perché non muove da un’impressione, non “metabolizza” un’emozione, non si risolve in rappresentazione e non cerca la condivisione” (sic!). Il nostro filosofo non aveva guardato i “bagnanti”, le “ntuppatedde” di Daniele. Se li avesse minimamente guardato si sarebbe posto delle domande. E di che genere sarebbero state? E perché, caro Benedetto, ti sarebbero rimaste in mente? forse perché ti intrigavano? ti emozionavano? ti coinvolgevano? magari, ti innamoravano? Il nostro amico ci confida che la qualità, il valore delle sue immagini si rivela dalle domande che ci poniamo su di esse. D’accordo, ed allora? Ecco, allora, il suggerimento di Daniele: raccoglierne la poesia. La raccogliamo anche noi, a dispetto dei luoghi incontrati e del tempo che si consuma per mettere ordine in questa realtà; ma ringraziamo il nostro amico per averci suggerito cosa fare quando ci sveglieremo. (Pippo Pappalardo, 21 gen 2025)

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Pippo Pappalardo - "Mezzi di trasporto"
La fantasia è un mezzo di trasporto? E di cosa esattamente? Invero, bambino mi recavo a scuola “a piedi” (era vicino alla mia casa). E mio padre m’incoraggiava dicendo che stavo adoperando il cavallo di San Francesco. Tra noi bambini, ridendo, parlavamo di un mezzo di trasporto assai particolare e spartano ovvero “a cavaddu de’ causi” Poi sopraggiunse la scuola e, con essa, i libri e cominciammo a capire che i transatlantici come le biciclette, erano solo mezzi e non sogni da turisti o giocattoli di Babbo Natale. A scuola imparammo pure che i mezzi di trasporto ci avevano messo in confidenza con gli animali (con i carri, infatti, c’erano i buoi, i cammelli, gli asini, i muli, i cavalli, gli elefanti, i lama, gli struzzi e altri ancora). Ci avevano spinto a socializzare (omnibus, diligenze, carovane, corriere, pullman, torpedoni, camper, treni, aerei, funivie, metrò, dirigibili ed altro ancora). Ci avevano fatto aguzzare l’ingegno (vele, motori, energia umana e, quindi, risciò, tuk-tuk, monopattini, tandem, ascensori ed altro ancora) o le capacità imprenditoriali (taxi, traghetti, tram). Insomma, l’esperienza del trasporto (spostare per necessità qualcosa o qualcuno da un posto ad un altro) se, da un lato, ha corrisposto ad una evidente necessità, dall’altro, ha sviluppato conoscenze, esperienze che spesso si sono accostate ad espressioni e manifestazioni artistiche che hanno definito la storia e l’identità delle genti del pianeta; pensate agli sci ed alle slitte dei paesi nordici, pensate alle canoe ed alle piroghe degli indiani o degli africani, pensate alle gondole di Venezia, ai bateaux mouches di Parigi, o alle giunche orientali. Quindi i mezzi di trasporto non sono solo realtà fantastiche (come potrebbe esserlo la luna delle fiabe, il tappeto volante di Aladino, la scopa della Befana, la palla del cannone di Munchausen, il fagiolo di Giacomino ed altro ancora). I mezzi di trasporto sono compagni di vita che ci aiutano a prendere confidenza con la terra, con l'acqua e con l’aria facendoci pensare come degli esseri onnipotenti, talvolta angelici. Tutto questo, però, potrebbe sembrarci un inventario se non ci fossero, anche, i bimbi di un scuola bus, i bisognosi di un'autoambulanza, se con ci fosse un corteo dietro un carro funebre: sappiamo benissimo che dietro un mezzo di trasporto ci sta il teatro onesto e sincero della vita. Ed allora dichiariamolo pure: la tematica suggerita parla dell’uomo e della donna, dei loto bisogni e del loro procedere tra le meccaniche e i sentimenti, tra le fatiche per inventare una ruota e la difficoltà a capire l’importanza di una leva. Parla del loro sorriso di là delle loro pantofole, del loro bastone, del loro deambulatore. Perché ci sarà sempre un bambino che, sorridendo, salterà sul suo triciclo e, novello Edipo, proverà a risolvere l’enigma della Sfinge. Ma se proprio non avete bisogno delle mie fantasie pensate pure ai film come “Ladri di biciclette” o “Un maggiolino tutto matto”. E poi, fatevi trasportare dal vento, come le foglie, come le nuvole. (Pippo Pappalardo, 11 gen 2025)

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Pippo Pappalardo - “Namastè” libro di Emanuele Carpenzano
Tempo di Natale. Nel grande Karma dell’universo tante cose nascono e tante si allontanano dalla nostra percezione. Ieri, ad esempio, è nato un libro. E’ venuto alla luce, si è reso manifesto ed ha voluto parteciparci la sua esistenza. Se la nostra vita è una infinita biblioteca, questo libro, adesso, vi si confonde eppure ne è parte costitutiva e fa sentire la sua voce. Questa voce ha un suono che ci assale, ci disorienta, ci invita alla compassione, ci abbraccia e ci purifica. Parlo di “Namaste”, il lavoro concepito dai miei amici, i valorosi Emanuele Carpenzano, fotografo, e Letterio Scopelliti, giornalista. Un libro concepito tanto tempo fa, gestito con passione e diligenza, partorito in questi giorni difficili per il pianeta. Un libro per aiutare il mondo dei bambini e dell’infanzia, per supportare la missione di “save the children”. Per aiutare fondamentalmente la speranza e, quindi, ricondurci al “namaste”. Quindi, condurci a quell’inchino reverenziale fatto di riconoscimento, gratitudine, incontro e confronto. Ieri sera, al Palazzo della Cultura, gli autori hanno confidato ai compagni di sempre, ovvero a quel sodalizio che, in un clima di concreto impegno politico ed esistenziale, fa della cultura fotografica lo strumento privilegiato per comprendere se stessi ed il mondo, le ragioni e le necessità dell’opera realizzata; cosicché abbiamo capito che studiare l’India, la sua storia ed il suo futuro, è fondamentale; pertanto, niente più esotismo, niente più presunzioni di maggiore civiltà da parte del mondo occidentale, niente più atteggiamenti di tipo curatoriale. Abbiamo ancora molto da imparare. Molto ce lo insegna questa antica civiltà, molto nascerà dalla sua conoscenza e dallo scambio spirituale tra le nostre ambizioni ed i loro desideri. I presenti all’evento di ieri sera, adesso, attendono curiosi la mostra (ben duecento immagini fotografiche) che si terrà giorno 20 dicembre alle ore 18,00 sempre al Palazzo della Cultura in Via V. Emanuele, in Catania. Il sottoscritto, che ha collaborato a lungo alla nascita di questo corposo e prezioso volume, vi aspetta con affetto per partecipare qualcosa che ha sperimentato dentro di voi e che conosce da tempo. Ed allora, “namaste”. (P.P., 13 dic 2024)

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Pippo Pappalardo - Dioniso è contento.
Ieri sera, la talentosa Tiziana Sparacino, grazie alle sue immagini fotografiche, ha convocato nella nostra sala, niente poco di meno, che il dio Dioniso in persona per renderci partecipi, tra il dionisiaco e l’apollineo, dell’ebbrezza dell’esperienza costruita tra l’intenso desiderio di libertà (e, quindi, di liberazione), e la volontà di parteciparlo e condividerlo attraverso la (sua) rappresentazione. I vecchi miti, a proposito di Dioniso, ci raccontano di una divinità dalla natura contraddittoria e ambivalente, talvolta bizzarra, assai spesso orgiastica, trasgressiva ma mai invasiva. Dioniso, infatti, ci parla ancora di ebbrezza, di danza, di musica, chiedendoci solo di partecipare al gioco, spogliandoci dai pregiudizi e dai falsi pudori, semmai cercando la “pro-vocazione” per richiamare l’attenzione sulle vicende umane che ci circondano e che, purtroppo, non ci scandalizzano più. Tiziana ha agganciato la sua “performance” ai tempi della nostra giovinezza, allor quando ci sembrò che sarebbe bastata una poesia di Ginsberg o una canzone di Mitchell, o di Baez, per rendere aderenti le nostre aspirazioni ai desideri dei compagni di strada. Ed ha fatto benissimo: l’interesse della serata, infatti, dialetticamente, ha comportato l’affiorare dei ricordi, delle letture dimenticate, delle note musicali scomparse, nonché degli eventi sopraffatti dalla cronaca ormai privata della sua storia. Per le strade di Londra o di New York, ma anche di Catania, può tornare quella libertà da consegnare, poi, agli occhi curiosi e stupiti dei nostri figli? Con curiosità interessata e con responsabilità motivata, Tiziana (e il suo amico Dioniso) ci dicono che è opportuno tentare. E quindi, riprendersi la danza (v. "Le Baccanti”), la musica, i loro colori e il nostro corpo che con essi si confonde per raccogliere e custodire la sincerità del tempo. Questa, a mio personalissimo avviso, la “tematica” sottesa nel lavoro di Tiziana che ha sintetizzato la sua convinta rappresentazione appendendo alle pareti i segni espressivi della sua constatazione. Presentata da un’attenta ricognizione stilistica della nostra Roberta Giuffrida - sempre più padrona del ruolo affidatole - i fotogrammi selezionati si sono manifestati “frammenti di una formidabile cronaca” bisognosa di essere letta di là dei momenti provocanti: c’era, e c’è, nello sguardo della Sparacino, l’attenzione all’età dei protagonisti di questa “anonime rivoluzioni”, c’è l’attenzione alla loro convinzione, all’ambiente che li circonda, alle reazioni scaturite, agli scontri-incontri inevitabili. Quindi, e lo ripetiamo, una formidabile “cronaca” di taglio giornalistico, documentativo, dove “il come, quando, chi, dove e perché” si rendono evidenti per chi guarda e vuole capire. E vi lascio immaginare la difficoltà esecutiva. Concludo: c’è sempre, e senza però, quell’invito a cucire i tempi odierni (con i loro volti e le loro ansie) con quel mondo custodito nel recente passato e che reclama una sua prima genitura. Ieri sera un’amica mi ricordava la sua prima minigonna: mi partecipava la sua anonima, pulita, semplice provocante rivoluzione; senza ricorrenze, senza parate e della quale, con assoluta semplicità, andava orgogliosa, tra l’apollinea bellezza delle sue gambe e il dionisiaco turbamento degli sguardi. (P.P., 27 nov 2024)

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Pippo Pappalardo - Ma, poi, cos’è il Sud?
Una circostanza geografica? Una condizione esistenziale? Una tradizione fedele? Fedele eppure, tanto spesso, illusoria, meramente letteraria, drammatica. Roberto Strano, nel suo ultimo libro, ci confessa (e mai verbo risultò tanto appropriato) che il Sud è sempre un insieme di storie. Storie narrate come una fiaba, raccontate come in una confidenza, rivelate come una scoperta, come un segreto; apprese come una agnizione; tante volte manifestatesi come affabulazioni, coinvolgimenti, partecipazioni, condivisioni. Come nella migliore letteratura americana (vedi Lee Masters nell’Antologia di Spoon River, o Thorton Whilder, in “Piccola Città”) l’autore organizza attorno ad una città, Caltagirone, la sua città natale, ed intorno alla sua gente, una sequenza che ha i contorni della “Baaria” di Tornatore ancorchè depurata dal fatalismo del Premio Oscar. Storie, quindi, da vivere in comunione, in una collettività nella quale riconoscersi e riconoscerci? Certamente sì; nelle quali, però, la circostanza di viverle al Sud ti spinge a mantenere una tua posizione, un tuo punto di vista quasi privilegiato. Da qui, una visione autonoma, personalissima, ossessivamente identitaria. Ma Roberto è fotografo. Ed è un reporter che, per vocazione e per scelta, non ha voluto naufragare nel mare della “tuttologia”; piuttosto, come il pianista di “Novecento” di Alessandro Baricco”, preferisce adoperare il numero limitato e ragionato dei tasti di un pianoforte (e nel caso del suo strumento, l’essenziale incontro tra il diaframma e l’otturatore) per mettere, serenamente e senza affanni intellettuali, una parola chiara nel labirinto dell’esistenza di ognuno di noi. L’impegno è stato arduo? Questo libro lo fa solo trasparire: le sue immagini si accostano alla poesia della cara Maria Attanasio per spiegarci cos’è il senso fotografico dell’ombra, del buio della nostra Terra; ed a Lei si accostano le invenzioni (autentiche “truvature”) di Domenico Seminerio; quindi i richiami filologici di Mimmo Amoroso, o del prezioso Pietro Collini. Tutti compagni di strada, dei quali, in questo libro, leggiamo confortanti incoraggiamenti ed orgogliosi attestati di stima. Sullo sfondo, fa storia a se, la prestigiosa, fraterna, presenza di Ferdinando Scianna. Di cosa parlano, allora, queste immagini? Queste immagini (e queste parole) parlano di “noi”, del nostro genius loci, delle nostre albe e dei nostri tramonti, della nostra giovinezza come della nostra morte. Parlano dei nostri giochi, delle nostre follie, delle nostre preghiere. Parlano dei nostri affanni come, pure, degli attimi di riconosciuta libertà. Parlano dei nostri figli, delle loro aspirazioni, dei loro desideri come dei loro sorrisi. Insomma parlano del Sud perché, l’avete capito benissimo, il Sud siamo noi. (P.P., 8 nov 2024)

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Pippo Pappalardo – “Street of …. Catania”
Nino Martoglio, anima autentica di ogni figlio dell’Etna, nelle composizioni poetiche (v.” Centona”), come nelle commedie (v. “U’ contra”), ci restituisce il senso tutto particolare della “strada” catanese che, come giustamente sottolinea il nostro Barbera non è solo un’arteria necessaria per congiungere due luoghi, ma, anche, il magnifico palcoscenico laddove il tempo dei catanesi si fa mito, passatempo, necessità, specchio; talvolta, anche, preghiera, oblio, fatica, dramma. Un palcoscenico che non è costruito solo con le parole e con i gesti ma anche con i sensi: basta ascoltare, porgere lo sguardo, annusare, toccare, e le labbra si predispongono a ricevere, e baciare tutto un universo di sensazioni che impareremo a riconoscere come parte della nostra storia personale, quella eterna eppur quotidiana. Vivere e camminare sulle “basole laviche” della nostra città è un’esperienza che auguriamo a tutti di provare per comprendere cos’è la raffinata arte di confezionare la sporcizia urbana, l’ironica indifferenza al senso civico, l’assenza di attenzione verso una bellezza tutelata e condivisa. Il cittadino catanese vive la “sua” strada come un “flaneur”: non ha fretta, apprezza le pause, la scoperta delle novità, gli incontri, i rumori improvvisi, le sorprese più bizzarre. E soprattutto fa teatro: se lo inventa, lo vive. È il personaggio; lo è con la sua postura, con i suoi gesti, col suo proporsi. Se lo vedete camminare sul lungomare vedrete un catanese assai diverso da quello seduto ai Giardini Pubblici; se poi lo seguite ai mercati, non riconoscerete nel funambolo che vi sta davanti, il flemmatico vicino di casa. Ed i fidanzati? Beh, quella è una storia a sé. Ma veniamo alla nostra serata. Abbiamo imparato a chiamare “street photography” quella fotografia realizzata “accanto alla nostra porta” (P. Strand); quella fotografia che ha per protagonista la strada che interpretiamo come scena, come prospettiva, come simbolo. Quella strada che si confonde col significato dei nostri giorni, col ritmo dei nostri passi, con gli accidenti incontrati. Quella strada che è di Kerouac come di Fellini, o di Wim Wnders. In tal senso J. Meyerowitz o V. Mayer o Bruce Chatwin, ci hanno insegnato tanto; ma, ieri sera, il nostro talentoso Francesco si è spinto ancora più avanti. Si è compromesso salendo sul palcoscenico, scegliendo, come dichiarato nella sua presentazione, il ruolo del fotografo che “in prospettiva nascosto” (Brodskij), vuol dare una risposta alle sue ombre, alle nostre domande, ai loro sorrisi e alle loro lacrime. Con simpatico pudore, infatti, ha rubato all’anonimo rammentatore nascosto nel buio della buca, l’eco della strada, dei passi, delle ridondanze, degli esasperati contrasti. E le ha regalate, con intelligenza tutta fotografica, allo spettatore che domani con rassegnata leggerezza le trasmetterà al compagno di vita (e di poesia). Qualcuno cantava: “Dal letame nascono i fior”, e qualcun altro gli faceva eco parlando di uno stato di “grazia (Pasolini)” che ci risulta difficile da comprendere prima ancora che da condividere. Ma ho settanta anni e questa Catania l’ho avuta sempre accanto. Ci dice Francesco che è la realtà sociale che più conosce meglio: la conosce meglio tra la rabbia e la benevolenza. Anche noi. Ma, grazie a quella che tu chiami “street photography”, abbiamo fiducia che i nostri contrastanti commenti possano divenire serena cultura, come ai tempi di Martoglio. E comunque una splendida serata. (P.P., 29 ott 2024)

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Pippo Pappalardo - Ancora sul portfolio
Avevo immaginato che un piccolo seminario intorno alla “stato di salute” del cd. “portfolio fotografico” sarebbe tornato utile per coloro che vi si applicano, e per la conoscenza dello stato dell’arte del medesimo. Pertanto, nonostante il disagio per il cambio di destinazione del programma della serata, e per la necessità di allestirla in breve tempo (e con i mitici “fichi secchi”), nutrivo una certa speranza in una maggiore partecipazione e coinvolgimento. Così non è stato; sarà per un’altra volta. L’impegno, comunque, è stato assolto: i temi sono stati affrontati, le problematiche rilevate, le necessità esaminate e fatte emergere. Andiamo con ordine: preliminarmente annotiamo che la padronanza e l’esperienza di taluni momenti della nostra maturazione ed evoluzione fotografica non sono ancora del tutto assimilati e vissuti consapevolmente. Paradossalmente siamo tutti dotati di notevole cultura e disponibilità di informazione ma stentiamo a muoverci dentro i fondamenti della fotografia: concetti essenziali come tematica, poetica, stile sono visti più come risultati da raggiungere quasi accidentalmente piuttosto che aspirazioni costanti e presenti. Ed ancora ho avvertito un interesse fotografico asservito ad un mero passatempo piuttosto che una risposta ad una istanza intima, personale, esistenziale. E pensare, invece, che la nostra associazione annovera persone che hanno speso una vita intorno all’immagine fotografica: dalla loro esperienza dobbiamo muovere per non perdere tempo in accademie intellettualistiche. Per fortuna, con coraggio e determinazione, due fresche proposte sono arrivate dagli amici che mi hanno liberato dalla vischiosità di una esposizione (di cui non ero in vena) riconducendomi ad un interesse pieno di fiducia e di entusiasmo. Intendo parlare dell’ottimo Roberto Oriti che risolutamente è entrato nelle mie riflessioni con una testimonianza fotograficamente efficace quanto drammaticamente percepita e socialmente vissuta, frutto di un percorso ben elaborato e condiviso; al quale è doveroso aggiungere il sorprendente Fabrizio Vinciguerra che ci ha incantato per semplicità espositiva, freschezza compositiva, ed entusiasmo narrativo. Ecco, basta muovere da queste testimonianze per recuperare i momenti di distrazione, o i cali di tensione della comune esperienza visiva. I nostri amici hanno messo, nella loro fotografia, tanto desiderio di parteciparla. Tocca a noi darle eco, risonanza, attenzione e poesia. (P.P., 23 ottobre 2024)

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Pippo Pappalardo - Arrivederci ROMA.
Anno 1957, Renato Rascel insieme a Garinei e Govannini, compone questa bellissima canzone, portandola al successo in tutto il mondo. E’ una cartolina musicale, un fotogramma poetico fatto di note, di parole e di tanta nostalgia. Oggi non ci chiediamo più dove sia via Margutta o Squarciarelli, o chi sia il Pinelli citato nel testo, ma rimaniamo pur sempre incantati dal gioco della vecchia fontana che narra alla solita luna la storia di quell’Inglesina che un giorno partì; ma, prima di partire, buttò la monetina e sospirò. Io avevo cinque anni, una bella vocina e, sulle onde della radio, mi si invitava continuamente a cantare la canzone. Finii per innamorarmi di quella musica e di quelle parole. Mi identificai, addirittura, nella storia raccontata e, divenuto adulto, confesso, senza vergogna, di aver replicato, da turista, le immagini del testo. Invero, Roma è una città importante. Importante nella storia, nell’arte, nella religione, nel costume, nella tradizione, nella nostra identità italiana. Tante volte ho pensato che è grande anche in un aspetto che, penso, non si debba trascurare e cioè il senso di illusione che provoca. Protagonisti, a mio avviso, di questa sensazione, rimangono la Chiesa, la Politica ed il Cinema. Ma questo è un discorso che ci porta lontano dalle proposte fotografiche che ieri sera ci hanno regalato i soci. Preliminarmente annotiamo che le rappresentazioni della Città da loro proposte hanno deliberatamente fatto a meno dei gloriosi risultati di Monti, Berengo, Klein, List, Sammartino, Plossou, Secchiaroli, Erwitt, Pinna, Bechetti, Jodice, Corrivetti e via dicendo. Tutti, spavaldamente (?), non hanno inteso imitare i fotografi famosi. Piuttosto, ed, a mio avviso, intelligentemente, hanno, nobilitato “la vecchia cartolina”. Hanno sfidato l’iconografia classica e tradizionale, recuperandola semmai nel dettaglio, nella restituzione della stagione, nell’annotazione di qualche significativa presenza umana. Pertanto, nessuna digressione verso la Roma di Sordi, di Fellini o di Pasolini; pochi gli omaggi al Tevere ed alle “ciumachelle”; molta attenzione invece alla riconoscibilità del barocco. Ma il barocco è stato visto più come scenografia urbana piuttosto che come emblematicità della città eterna; e troppo spazio è stato accordato alla ricerca prospettica dell’immagine scelta trascurando composizione, significato, proposta visiva. Però, ed occorre riconoscerlo, c’era sotto sotto, un atteggiamento di benevolenza nei confronti della città. Le dobbiamo tutti qualcosa (un riconoscimento, un evento, un ricordo) e le siamo affezionati. Questo affetto era palese, quasi come un innamoramento, come nei vecchi film che riguardano la città, dai più vecchi fino a Verdone e a Moretti. Io dichiaro di essere legato a “Vacanze romane”. Voi siete una diversa generazione e ovviamente guardate al “La grande bellezza” di Sorrentino. Questa considerazione mi dice che la serata ci ha fatto capire quanto sia bello (o era bello?) camminare per Roma: camminare per Roma, e quindi assaporare quel venticello, riconoscere la Magnani in ogni donna, attraversare Campo dei Fiori, assaporare un piatto di fettuccine, sognare di avere accanto “la fioraia del Pincio”, riconoscere il suono di quella campana. Per una sera sono tornato stupido. Le vostre immagini mi hanno convinto che per una volta è lecito diventarlo soprattutto se anche la città fa la stupida. Ed allora riprendo il canto: “Ah dolce vita che te ne vai; sulle terrazze del Corso, l’oro, l’argento, le sale da the, profumo tuo di ……….. Alla prossima città.

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Pippo Pappalardo – Ten Minute
A) La rubrica Ten Minute ci riserva delle sorprese autentiche, tanto più vere quanto più coinvolgenti. Anno 1980, il nostro Cristoforo, per niente canuto ma rigogliosamente provvisto di barba e nero capello, contamina la sua fiera giovinezza con la volontà solidale dei suoi alunni e racconta che nell’anno del Signore 1980, non in commotione domini, era là, a Lioni (Avellino), a “dare una mano”, a suggerire un’applicazione tecnica, a dare concretezza e significato alla parola “aiuto”. Il terremoto dell’Irpinia, invero, ci ha coinvolto tutti quanti e, forse, è stato l’episodio che più ha dato la spinta alla costituzione istituzionale della Protezione Civile. Cristoforo lo racconta con semplicità, senza perdere di vista il dramma, il documento, la testimonianza. Emerge l’entusiasmo giovanile, la responsabilità dell’insegnante, e, nonostante la penuria dei mezzi, traspare il calore delle emozioni di là della neve e del freddo. Le immagini sono poche ma ben delineano il carattere del Nostro: una fotografia che sa farsi documento, che parla delle cose in maniera oggettiva, con un occhio che non vuol farsi prevaricare dall’emozione e rimanere testimone lasciando intatte le emozioni di coloro che “ci sono” senza se e senza ma. Una vera perla di reportage, involontariamente costruito con fotografie istantanee, ricordo di un’amicizia, di un anno di scuola, dove il rapporto con i propri alunni si fa espressione di valori testimoniati e condivisi. Un’autentica magia.
B) Avete conosciuto un Riccardo Lombardo in B/N? Io si; e non mi meraviglia la silloge da lui organizzata per presentarci una magnifica riflessione intorno all’esperienza assolutamente umana della “solitudine”. Non sembri un accostamento contraddittorio affiancare lo strumento fotografico, nato per “l’altro e per l’altrove”, alla “solitudine”. Già la semplice proposta di Riccardo ci ricorda che la solitudine ha probabilmente una sua valenza positiva. E Riccardo ce ne propone alcune visioni: uomini e donne risolutamente raccolti di spalle quasi ad interrompere i contatti, ed ancora, un confronto da pari a pari con la natura; ed infine una chiamata a raccolta delle risorse umane per verificare se davvero da soli ce la facciamo, Qua e là traspare una garbata ironia che ci riporta “all’altro” (vedasi la magnifica esposizione di bucato) ma, probabilmente il nostro fotografo, come nella canzone di Moustakj, “Ma solitude”, intende dichiarare che ci si può innamorare della solitudine, diventarle amica, parteciparla, trasmetterla. L’iconografia della sua rappresentazione, allora, è quella classica (molta natura, linea dell’orizzonte sempre presente, equilibri sempre ben chiari) e qualche effetto retorico ben dosato ed utilizzato. Lombardo è assai propositivo, come sempre, in questo suo lavoro. Sembra dirci di non mettere troppi inutili e banali chilometri davanti ai nostri occhi ma di utilizzare lo sguardo e quel tempo con naturale concretezza: quella degli umani sentimenti.

Quel maledetto 10 ISP, come marchio indelebile



Inevitabilmente, quando capita di incontrare amici in quiescenza con i quali, nonostante tutto, si è riusciti a creare un profondo rapporto di vera amicizia, si discute senza pregiudizi su taluni aspetti critici di quello che era stato il contesto lavorativo. Dissertando liberamente su punti e debolezze che, se fossero stati affrontati in modo saggio, avrebbero probabilmente comportato apporti migliori.
La recente lettura del libro “Banche d’Italia &”, scritto da Francesco Salvio, ebbe a portare al centro della loro discussione la tematica dei sistemi valutativi a loro tempo adottati nei rispettivi contesti di lavoro. Pienamente consapevoli di venire a trattare di aspetti organizzativi arcaici che nel tempo, con piccole variazioni, si erano sempre più consolidati e che venivano approfonditi nelle pagine del libro prima citato.
Di regola i giudizi annuali rappresentavano la sintesi dell’attività svolta e costituivano elementi probanti di merito in caso di partecipazioni a prove selettive per eventuali sviluppi di carriera. L’argomento era stato già trattato in un articolo intitolato “La valutazione del personale”, postato nel sito web Economia & Finanza nel 2019.
Nell'articolo, in quella circostanza, erano però stati esclusi altri momenti valutativi che assumevano, almeno nel contesto lavorativo che mi aveva interessato, più peso dei giudizi periodali; costituiti dai temutissimi e più pesanti 10 ISP, che sembra rappresentino ancora delle vere e proprie schedature individuali.
Spesso Marcature a vivo capaci d’influenzare fortemente ogni possibilità di carriera futura oltre che di condizionare a vita l’attività lavorativa ordinaria nell’assegnazione a uffici, compiti e mansioni. (positivamente o negativamente a secondo del caso).
Per intuibili ovvie ragioni le note in questione rappresentavano molto spesso giudizi improbabili, discutibili, talvolta azzardati, per le evidenti scarse basi cognitive dei giudicanti, peraltro guidate da logiche non sempre razionali. Le sintesi di attitudini e capacità potenziali, infatti, essendo incentrate su brevi interviste (occasionali, talvolta pure influenzate da pregiudizi, per nomee o sentito dire), potevano anche contaminati da possibili empatie/ostracismi estemporanei, frutto d’incontri/scontri o più semplicemente di cariche cerebrali nel contesto.
I 10 ISP, redatti in occasione d’ispezioni interne, avevano cadenze diradate (all’incirca quinquennale), ma assumevano valori valutativi quasi probanti, che andavano ben oltre le analoghe rilevazioni locali annuali, nel caso forse più attendibili, anche perché più aggiornate e sintetizzanti osservazioni di prestazioni lavorative di un intero anno.
L’argomento individuato dai tre per l’analisi veniva a suscitare partecipazione anche per le vicissitudini dirette e diversificate vissute da ciascuno di loro. Non era stato scelto a caso, pure perché li portava a discutere sul ruolo, che a vario titolo e per durate diverse, era stato direttamente esercitato nel corso di rispettivi e differenti incarichi ispettivi.
Nello specifico, pur avendo maturato varie esperienze nel ruolo, tutti e tre erano stati testimoni di vissuti nei diversi fronti (valutati passivamente dai loro superiori in grado e a loro volta giudicanti come parti attive nell’esercizio delle funzioni).
Ci si trovava comunque d’accordo nell’osservare che, in qualche modo, i giudizi valutativi potessero risultare anche tranchant, specie in assenza di veri riscontri oggettivi.
Avrebbero forse potuto avere un certo senso funzionale nei casi di valutazioni complessive settoriali riguardanti istituzioni esterne, magari come elementi di contorno nella valutazione di specifici comparti, nello svolgimento d’indagini di vigilanza, ma al contempo si conveniva che altre considerazioni potevano e dovevano essere assunte in tutti i casi riferibili ad ispezioni interne, ovvero svolte dalla stessa istituzione per la valutazione oggettiva, in funzione organizzativa, dei propri impiegati.
Comunque rimaneva condivisa da tutti e tre i convenuti la potenziale pericolosità funzionale le delle due differenti tipologie di valutazioni.
Nello specifico, come già evidenziato e direttamente sperimentato, i sopravvalutati e più incisivi giudizi simili ai 10 ISP, redatti da ispettori interni, costituivano un vero e proprio casellario, contenenti i dati raccolti in “fascicoli personali” specifici per ogni singolo dipendente.
Costituivano fonti informative di primo livello sui soggetti promuovibili; ogni volta al vaglio di commissione d’esami o negli scrutini di avanzamento in grado (per soli titoli o collegati a prove di merito, non comportava alcuna differenza). Si trattava sempre di strumentari procedurali quasi dogmatici. Tramandati e che costituivano prassi utili a orientare l’agire di ogni commissione, creando intangibili presupposti per sbarramenti e penalizzazioni stagnanti.
Anche se fra i tre interlocutori nessuno era stato componente di commissioni d’esami ne ebbero esperienza (diretta e indiretta) nel corso della loro carriera.
Uno di loro ne aveva avuto prova evidente, con l’accesso agli atti, venendo ad acquisire il suo 10 ISP della sua prima ispezione subita, redatto dopo soli pochi anni d’attività lavorativa, sulla base di risposte spontaanee e genuine, sicuramente sincere e igenue.
La fotocopia del documento evidenziava una sottolineatura palesemente ripetuta di un giudizio “non positivo” che, evidentemente, era stato preso in esame varie volte e certamente ogni qualvolta le varie commissioni ne avevano preso visione in occasioni di avanzamento (di grado e, quindi, economico) o in vista di altri esami di merito.
Quel 10 ISP costituiva una prova inconfutabile di un “carico pendente”; un giudizio che non mostrava possibilità di riscatto anche se ascrivibile a un’epoca giovanile. Più che un giudizio costituiva quasi una sentenza definitiva e senza appello.
Si è sempre trattato – e sembra si tratti ancora – di una pratica laica, avulsa anche da qualunque forma cristiana di riscatto, o riguardo a remissioni d’eventuali peccati (qualora fossero stati commessi e ascrivibili a tali).
Nel raccontare del suo caso, l’interessato ebbe a riconoscere che solo grazie all’onestà intellettuale di un ex dirigente, che componeva la commissione d’esame, che aveva avuto l’occasione di osservarlo sul campo e quindi modo di conoscerlo veramente, gli consentì di trovare una fortunata via d’uscita, bloccando gli altri componenti della commissione nella reiterazione di un’ulteriore fucilazione. Ma la fortuna costituisce sempre un’eccezione e di certo non faceva parte del sistema.
Ciascuno dei tre amici, nel ravvivare ricordi, ebbe a riesumare vari personaggi del tempo; un'affollata pletora sciasciana di: “Uomini, mezz’Uomini, Ominicchi e Quaquaraquà”.
La lettura del libro "Banche d'Italia & ... - Quando la burocrazia è ottusa, stravolge e condiziona" era stato l'incipit che aveva portato a discutere della questione a distanza di anni, per riflettere e meglio valutare; ben consci che ormai tutto quanto costituiva un vintage che non riusciva a suscitare vere emozioni. Azzeccata al riguardo risultava, quindi, la citazione di Erasmo da Rotterdam e riportata da Francesco Salvio sul libro come sottotitolo: "E in definitiva la vita degli uomini nient'altro è che un gioco della pazzia".

Buona luce a tutti!
© Essec

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A comprova dell'aleatorietà dei giudizi, si riportano di seguito due reali valutazioni formalizzate su Mod. 10 ISP per uno stesso soggetto, formulate a distanza di anni, da due differenti gruppi ispettivi:

1) "Elemento un po' polemico, non è del tutto soddisfatto del tipo di lavoro che è chiamato a svolgere e che tuttavia adempie con precisione ed ordine. Il senso del dovere di cui è dotato gli consentirà sempre di non demeritare ma riteniamo che, perdurando nelle sue convinzioni, non sarà possibile chiedergli l'entusiasmo necessario per ulteriormente migliorarsi". (Per quanto superfluo le frase: "Elemento un po' polemico" e "non sarà possibile chiedergli l'entusiasmo necessario" risultavano sottolineate con matita rosso/blu ..... come quelle che una volta si usavano a scuola ..... sottolineature evidentemente operate dai componenti delle varie commissioni d'avanzamento chiamate a valutare il contenuto dei fascicoli personali).

2) "Serio e riflessivo si dedica ai compiti affidatigli con diligenza e senso di responsabilità. Animato dal desiderio di ben figurare , egli mostra un vivo interesse per il lavoro fornendo all'economia complessiva dell'ufficio un apporto senz'altro apprezzabile. Egli affronta con approccio critico e propositivo le problematiche operative ricorrenti contribuendo, anche sulla base di approfondimenti normativi, alla loro soluzione. Trattasi in sostanza di un elemento in possesso di una buona conoscenza professionale del comparto su cui può farsi affidamento".

Due giudizi assolutamente antitetici con i quali, come detto, due Gruppi ispettivi andavano a fotografare lo stesso soggetto. In periodi ovviamente diversi e, soprattutto, con giudizi su quando, allo specifico tempo. era chiamato a svolgere; con mansioni totalmente differenti. Frustranti, ripetitive e alienanti nel primo caso; stimolanti, di contenuto concettuale e variegato nel secondo. Ma i documenti costituivano entrambi elementi probatori come base cognitiva per i periodali confronti di merito.

Altro spazio potrebbero poi meritare i commenti su quegli ulteriori extra bollettini che venivano redatti dai capigruppo sui soggetti in accompagnamento per attivita' ispettive.
Nella maggior parte dei casi ondivaghi e fortemente dipendenti dal reale livello professionale (indipednentemente dal grado ricoperto), spesso discutibile, di coloro che erano chiamati a formularli.
Queste valutazioni, nel caso e fortunatamente, andavano pero' ad incidere esclusivamente sulla idoneita' all'espletamento della particolare attivita' e sull'eventuale potenziale capacita' gestionale autonoma del collaboratore sottoposto a giudizio.

mercoledì 22 gennaio 2025

Il racconto di una serie di fotografie mai scattate

Molti di noi scrivono annotando ricordi, nel tentativo di fissare esperienze e sensazioni vissute.
In genere sono scritti veloci che costituiscono appunti destinati a rimanere chiusi nei cassetti, trasformandosi in prodotti liofilizzati suscettibili di rinvenire aggiungendovi anche poca acqua.
Capita, alcune volte, quindi, che discutendo al bar fra amici possano riaffiorare e riprendere luce.
Mi è capitato di recente con Vincenzo, nel parlare di fotografie mai scattate ma che gli erano rimaste impresse nella mente.
Nell’ascoltare il racconto, le descrizioni mi portavano a vedere le immagini. Era la sinossi di un portfolio di fotografie immaginarie.
Una volta convinto Vincenzo si è deciso a mostrare le foto del suo portfolio fotografico virtuale, limitandosi al solo testo che riporto di seguito.

Buona luce a tutti!

© Essec

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“Volgendo il pensiero ai bei momenti passati mi ricordo di un periodo della vita nel quale tutto era più semplice ma niente affatto banale.
Di quel mondo vorrei raccontare di quando, in un altro tempo, in un altro ambiente quasi ancora incontaminato, in compagnia dei miei colleghi di lavoro ci si inerpicava per sentieri di montagna con lo scopo di portare a destinazione i materiali e le attrezzature necessarie per installare ripetitori radio, già alimentati da pannelli solari.
Dopo esserci alzati alle quattro del mattino cominciavamo il nostro viaggio con gli occhi ancora mezzi chiusi. Dopo due ore di autostrada giungevamo all’imbarco.
Lì, dopo aver atteso l’apertura del botteghino per l’acquisto dei biglietti, in un clima da film come ”Nuovo cinema paradiso”, finalmente una prima colazione con i cornetti caldi e poi e un viaggio di altre due ore in mare, sul traghetto.
Si potevano ammirare le isole in lontananza e pesci volanti che di tanto in tanto uscivano dall’acqua per percorrere un lungo tratto di mare in volo, con le pinne a forma di ali spiegate prima di rituffarsi, e anche, con un po’ di fortuna, delfini che correvano giocosi accanto alla nave.
Arrivati a destinazione si scendeva dalla nave e si riprendevano le strade, arrivando fin dove si poteva con il vecchio Land Rover carico di materiale. Quello era il punto dal quale iniziava il nostro sentiero in montagna.
Lo avremmo percorso nei due sensi due o tre volte in una giornata, portando sulle spalle, poggiata sopra una specie di mensola auto costruita, materiali e attrezzi. Talvolta una batteria di automobile, un’altra volta un paio di pannelli solari o tutto ciò che era necessario per costruire una minuscola casetta di lamiera dove all’interno poter montare il ripetitore e le batterie. Sul suo tetto, appunto, i pannelli solari.
Si cominciava a scaricare le attrezzature per poi formare un’improbabile carovana di disperati che, con un generoso peso sulle spalle e un altrettanto generoso sole che cuoceva al punto giusto la pelle e sotto i cappellini, s’impegnava a svolgere il proprio dovere.
Inerpicandosi, lungo il cammino, su tortuosi sentieri, di tanto in tanto capitava di godere di poter aspirare ricche boccate di anidride solforosa trasudata ad arte dal terreno, che il sapiente vento spingeva nelle narici facendoli piegare sulle ginocchia. Flussi che impegnavano in una nauseabonda lotta contro l’asfissia, in un momento nel quale il fisico, sottoposto allo sforzo della salita, richiedeva afflusso di ossigeno puro.
Per non parlare poi di quando presi dalla stanchezza ci si concedeva un momento di relax, sedendosi inesperti su una pietra, non sapendo che la famosa anidride solforosa, combinandosi con il sudore, diventava acido solforico.
Si producevano così squarci sul fondo dei pantaloni, rendendo suscettibili ai diverti-ti commenti dei compagni e dei passanti sul colore delle tue mutande.
Ad onor del vero, anche per un senso di giustizia, devo dire che, visto dall’alto, il panorama mozzafiato delle altre isole, sorvolate dagli uccelli e affogate in un mare turchese era mozzafiato.
In certi punti, il colore del terreno era frutto dei vapori solforosi ricchi di minerale solforoso, che davano sfumature di giallo e arancione ai cristalli che si formavano sulla pietra. Uno spettacolo che ripagava ampiamente di tutti gli sforzi e disagi.
Finalmente, arrivati in cima, dopo l’ultimo tragitto ci concedevamo della frutta fresca e qualcosa di leggero da mangiare. Poi si cominciava la costruzione mettendo insieme le lamiere della casetta con i “rivetti” e l’applicazione di una verniciatura protettiva con una speciale resina fatta apposta per resistere ai vapori corrosivi. Seguivano l’installazione delle batterie, del ripetitore, dei supporti per i pannelli solari e infine anche quelli conclusivi connessi al cablaggio elettrico e all’installazione dell’antenna.
Terminati i lavori d’installazione, ci si concedeva una sosta per riprendere energie: altro sguardo al meraviglioso panorama. In seguito le prove di collaudo per verifica-re il funzionamento.
Si finiva che era già sera e si ridiscendeva tutti stanchi ma soddisfatti del lavoro completato che era andato a buon fine. Questo significava, scusatemi se era poco, non dover risalire ancora l’indomani.
Finalmente dopo una toccata e fuga in hotel per ripulirsi ci si poteva ritrovare nel miglior ristorante dell’isola, per una succulenta cena a base di pesce fresco. Seguiva un bicchierino e magari qualche partita a bigliardino e tantissime risate tra colleghi amici per poi, a tarda notte, concludere il meritato riposo.
Erano altri tempi avevamo, avevamo un’altra età. Tutto era più semplice e a portata di mano.
Ora, come capita a ciascuno di noi, restano solo dei bei ricordi, che ci portano a pensare che il passato era migliore.
Di certo pure i nostri antenati, nel loro tempo, avranno pensato la stessa cosa e an-che quelli che verranno la penseranno perché non è il passato che è migliore: sono i nostri ricordi .......... e le fotografie mai scattate che rimangono impresse nella nostra mente.
© Vincenzo Pace.”

lunedì 20 gennaio 2025

Buchi neri o ..... dolce navigare nel fantastico mare del cazzeggio?



Mentre vedo in TV, a tarda sera, i gol della partita di calcio del lunedì, mi arriva un msg di Raffaella che, in risposta ad un post girato prima, si addentra su questioni esistenziali latenti ed eterne. Nello specifico, collegato alle concezioni di tempo e luogo, in relazione a noi umani.
Da cosa nasce cosa e con un occhio sempre al video, per seguire la trasmissione televisiva, si avvia una chat che inesorabilmente mette in gioco pensieri che noi tutti in pubblico manteniamo ben nascosti; anche perché il mondo da adulti non vuole discutere su argomenti atavici, che nascono con noi, che non trovano mai soluzione e che ci porteremo dietro, irrisolti, fino alla fine.
In qualche modo e per molti aspetti, la conversazione a distanza mi porta alla memoria un articolo postato nel 2020 e a riesumare uno scritto, di qualche tempo e che avevo messo da parte, perché molto basato su sensazioni, fantasie, ipotesi aleatorie ed evanescenti.

"Un amico molto addentro e cultore della materia, ogni qualvolta che si viene a parlare di astrofisica mi fa notare che l'universo potremmo tranquillamente immaginarlo come un'esistenza indefinibile; un mega organismo che ha un proprio respiro. Per quanto ovvio non rapportabile a noi che rappresentiamo un infinitesimo di un qualcosa che ci rimane inimmaginabile, considerando anche la relatività di tempo/spazio che ci caratterizza.
Con l’aiuto delle fantasia i vari buchi neri, le nane bianche, e tutto quanto si annida nelle tante galassie potrebbero essere associati, quindi, a dei ritmi ciclici che si articolano e rinnovano mettendo in totale discussione ogni falsa illusione basata su staticità teoriche, che nella realtà non potranno mai esistere.
Sembrerebbe scientificamente provato, infatti, che viaggiamo immersi in un vento cosmico governato da principi e regole di fisica quantistica articolata in diverse dimensioni, che in continuazione creano e disfano singoli elementi o blocchi compositi, visibili e invisibili, che si associano e dissociano senza regole fisse a noi comprensibili.
In questo scenario l’evento morte potrebbe anche essere associato al collasso creato da un buco nero; che, nel caso, potrebbe anche corrispondente a un arresto delle microesplosioni e collassi nucleari che accadono nella complessa massa vivente della nostra materia.
Ma non è escluso che la concentrazione possa anche non produrre il repentino precipitare della stessa materia, così come saremmo portati a immaginare. Anche se, in un attimo, si viene definitivamente a fermare l’azione vitale dell’universo cerebrale prima manifesto.
Ogni forma di vita genera sue dinamiche e, durante il decorso, i tanti fenomeni fisici diffusi, restano sempre da leggere seguendo logiche complesse di una fisica quantistica e solo parzialmente a noi note. Il pensiero razionale potrebbe, quindi, portare a non escludere - e a far immaginare - la possibilità che ogni tipologia di morte possa quindi costituire la manifestazione di un buco nero; una precipitazione di materiale organico (indipendentemente dal tipo di conformazione cerebrale manifesta: animale o vegetale).
Nel caso animale, con le relative sinapsi che collasserebbero e si decomporrebbero a una velocità temporalmente relativa, collegata alla nostra dimensione nell’universo.
Senza escludere che, intanto, nel decadimento almeno, possano ancora perpetuarsi dialoghi (unilaterali) dei morti col mondo dei vivi, senza che ciò abbia a palesarsi in maniera evidente.
Status che giustificherebbero pure quelle sensazioni irrazionali di conforto, nel continuare a sentire interrelazioni, vibrazioni col defunto, corrispondente - e senza alcun dubbio, almeno per noi – a una vita inequivocabilmente e definitivamente spenta. Come talvolta accade fra vivi, per fenomeni di telepatia tra soggetti fisicamente lontani (aspetti illogici e irrazionali in relazione ai concetti fisici a noi noti).
Come, nel ritrovarsi una sera senza chiaro di luna, con illuminazioni pubbliche spente e in assenza di nuvole, e vedere ad occhio nudo brillare nel cielo un’infinità di piccole luci, risalenti anche a stelle morte, collassate da tempo.
In tutto questo, noi ci illudiamo di poter arrivare (o avvicinarci) un giorno a risposte certe, che però neanche il fideismo più ortodosso potrà mai dare.
Perché rimane impossibile e resterà sempre fuori da ogni logica il poter immaginare l’infinitamente piccolo, l’infinitamente grande, il significato della nostra dimensione.
Allora come chiudere la questione? Ateo, agnostico o l’aver fede? E poi, includere o escludere la posizione degli agnostici possibilisti nell'ombrello dell’ateismo?
Certo aver fede aiuta a non pensarci molto, riponendo tutte le domande dentro utili dogmi che portano sempre ad autoassolversi nei nostri comportamenti miseri del quotidiano.
Ma in fondo, non avere sufficiente conoscenza su questioni esistenziali e coscienza sul significato della nostra dimensione costituisce davvero un problema?
Alla luce dell’etica diffusa e della pratica reale certamente no.
Tra tanti scritti confusi mi ritrovo a rileggere una semplice considerazione che avevo appuntata…. Uomo: frutto del caso, mutato e destinato a mutare; processo di perfezionamento di un essere superiore destinato a morire.”
In conclusione, potremmo solo affermare una nostra verità, considerato che spingersi oltre le non certezze per più ampie visuali o rassicuranti risposte, immaginazioni e fantasie, potrebbero anche rivelarsi armi pericolose, quindi, da trattare con cura.”

Fine dell’appunto che avevo messo da parte, non tanto convinto dei contenuti, delle ipotesi teorizzate e delle tesi abbozzate.
Per la cronaca il risultato dell’incontro di calcio della sera è stato favorevole ai padroni di casa, che hanno vinto per due a uno, meritando il successo per aver disputato una buona partita.

Lo scritto, pur non conoscendolo, intriga Raffaella, le suscita interesse e così lo inoltro. Di seguito riporto l’articolata risposta che ne è scaturita.

"Come accennato l’altra sera non so nulla di fisica quantistica, tuttavia ti condivido i pensieri che sono scaturiti dalla lettura della tua bozza.
È stato come piegare il tempo (similmente come con un foglio di carta per avvicinare o far coincidere i suoi lembi opposti) un fantastico “non salto” di 38-40 anni che mi ha riproposto pensieri ed alcune fantasie giovanili.
Perché ti dico ciò?
Ero un’amante del cielo notturno, con una marea di notti passate ad ammirare le stelle, alternando contemplazione ed introspezione sino alla loro fusione, godendo delle vibrazioni che ciò mi provocava, sia positive sia negative. Ricordo che allora avevo un’ossessione dell’infinito, cosa c’è dopo il cielo… dopo la galassia… prima o poi dovrà finire… ed intorno cosa c’è… Viaggiavo sotto le stelle con la mente spaziando tra le molte domande, avendo un pensiero ricorrente se la terra, i pianeti fossero solo degli enormi atomi che formano delle molecole di chissà quale altra materia o organismo?
Questo, oltre che essere il pensiero più ricorrente, era anche quello più lineare perché due cose accumunavano il tutto: la complessità e la precisione dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Per questo, fu il pensiero che mi aiutò a spegnere tutte le domande ed accettare il fatto che una risposta non c’era o, se ci fosse stata, non sarebbe stata alla mia portata, in quanto ero solo un essere infinitamente piccolo dentro un tutto infinitamente grande e misterioso.
L’ansia dell’infinito era stata così accantonata, ma vibrazioni, emozioni, pensiero cercavano ancora risposte.
Cos’è il pensiero, come nasce… io sono ciò che esprimo interiormente o ciò che la mia fisicità manifesta agli altri… che scopo ha la mia vita dove è iniziata e dove finisce… Ovviamente non trovai le risposte e nemmeno la serenità.
Così soffocai tutte queste domande con l’iperattività tenendo occupato il tempo e soprattutto la mente, giusto il tempo di sperimentare la vita, un saltino di 30 anni dopo il quale le domande, affrontate con una maturità diversa, sono state lo strumento che mi hanno permesso di prendere coscienza di me.
Fatta questa premessa, utile a mio avviso per farti capire che il tuo testo ha aperto un vaso di pandora, nel senso che mi ha riportata in un periodo della mia vita molto sofferto; quindi, riferito non ai mali del mondo ma a quelli che allora definivano il mio malessere interiore.
Ciò detto, il testo l’ho trovato molto stuzzicante, la prima parte è molto fluida e di facile comprensione.
Mi è piaciuto il parallelismo tra i buchi neri e la morte, pur non trovandomi pienamente d’accordo sul discorso delle sinapsi. Infatti, se ho capito bene, tu ipotizzi che quanto generato dalle sinapsi possa propagarsi dopo la loro inattività dovuta alla morte, al pari della luce delle stelle che noi ancora oggi a distanza di miliardi di anni percepiamo.
Io invece ipotizzo che il pensiero, così come le vibrazioni emozionali siano generate da un’energia che è io chiamo il mio IO interiore o Anima svicolata dal corpo fisico, non generata da esso ma in esso di passaggio.
A me piace pensare che questa energia orchestri le sinapsi e che al loro decadimento le abbandoni per andare oltre, mantenendo la sua identità e la memoria. In sintesi al decadimento del corpo non associo il decadimento dell’anima ma la sua liberazione.
La parte finale non mi è molto chiara, a mio avviso manca un allaccio tra quanto illustrato fino lì e le domande che poni “Allora? Ateo……” in quanto prima non hai mai fatto cenno alle diverse correnti di pensiero ma le hai date per scontate.
Uomo: frutto del caso, mutato e destinato a mutare; processo di perfezionamento di un essere superiore destinato a morire… questo appunto è una sintesi spettacolare. Su questa frase sai quanti ‘cazzeggiamenti’ (nella tua accezione perché ancora al momento non me la sono fatta mia)?
La prima domanda che mi porrei io: mutazione e perfezionamento individuale o sociale?
La difesa dell’individualità è mero egoismo o necessità autentica per salvaguardare il proprio IO o Anima?
Gli altri come strumento di crescita o crescita come potenziamento della capacità individuale per arrivare alla capacità di essere società nella migliore delle accezioni?...
Tornado al testo, sicuramente ciascuno davanti alle grandi domande della vita reagisce in modo del tutto personale, abbracciando il pensiero che più si avvicina al suo sentire e soprattutto che più lo appaga.”

La risposta ricevuta da Raffaella, scorre fluida e parallela, mettendo in campo altre chiavi di lettura.
I due testi, costituiscono uno scritto a quattro mani che confrontandosi si sfiorano, alimentano tante ipotesi, teorie fantasiose, dando così vita ad un composito suggestivo sano “cazzeggio”.

Buona luce a tutti!

domenica 19 gennaio 2025

O' Rangio Fellone ..... ovvero il Granchio briccone

Come già detto altre volte, l’IA è un mezzo moderno ormai molto usato che può pure tornare utile anche nel lavoro letterario. Divertente, dinamico, ma che richiede molta attenzione, da utilizzare con cura nel rapportarsi seriamente con essa.
Il gioco è un po’ di rimando e un po' di sponda, nel fornire risposte che attingono a informazioni estratte dal web, da ricchi database che contengono notizie attinenti all’argomento o avvicinano possibili nozioni generiche e riferibili alle domande che vengono poste.
Per quanto ovvio, pertanto, le risposte non sempre risultano attendibili e, ancor di meno, corrispondono a verità, anzi, in assenza di dati sufficienti spesso tendono a camuffare, magari speculando sull’ignoranza e le scarse conoscenze o la credulità di chi la utilizza ritenendola pericolosamente sufficiente. Media docet!
Le risposte dell’IA, per lo più, possono comunque sempre tornare utili per impostare la struttura di uno scritto o impararne le tecniche di base. Di seguito un esempio che ho voluto provare.

Buona luce a tutti! © Essec

ChatGPT Inserisci un messaggio per iniziare una chat.

Voi
Come imposteresti una intervista a Oliviero Toscani, tenuto conto che per lui la fotografia ha sempre significato stimolare, provocare?

ChatGPT
Per impostare un'intervista a Oliviero Toscani, noto fotografo e pubblicitario italiano, potresti seguire una struttura che incoraggi la riflessione e la provocazione, in linea con il suo approccio artistico. Ecco un possibile schema di domande e argomenti da trattare:
Introduzione
1. Presentazione: Breve introduzione su Oliviero Toscani e il suo lavoro, enfatizzando il suo approccio provocatorio e stimolante nella fotografia.
2. Obiettivo dell'intervista: Spiegare che l’obiettivo è esplorare il suo pensiero sulla fotografia come mezzo di comunicazione e provocazione.
Domande
La Fotografia come Provocazione
1. Inizio provocatorio: "La fotografia è arte o comunicazione? O entrambe?"
2. Stimolare la riflessione: "Qual è il potere della fotografia nel provocare cambiamenti sociali o nel far riflettere le persone?"
3. Esempi di provocazioni: "Puoi parlarci di un tuo progetto che ha suscitato reazioni forti e inaspettate? Come hai affrontato quelle reazioni?"
La Percezione del Pubblico
4. Reazioni del pubblico: "Come pensi che il pubblico reagisca alla provocazione? C'è un limite oltre il quale la provocazione diventa controproducente?"
5. Il ruolo della critica: "Qual è il ruolo della critica nella tua carriera? Ti ha mai influenzato nelle tue scelte artistiche?"
Tematiche e Messaggi
6. Tematiche ricorrenti: "Ci sono temi che ritieni più importanti da affrontare attraverso la fotografia? Perché?"
7. Messaggi sociali: "Come scegli i messaggi sociali da veicolare? Ti sei mai trovato in conflitto tra il tuo messaggio e il tuo stile visivo?"
Evoluzione Personale e Professionale
8. Cambiamenti nel tempo: "Come è cambiato il tuo approccio alla fotografia nel corso degli anni? Ci sono stati momenti di crisi o di cambiamento radicale?"
9. Nuove tecnologie: "In che modo le nuove tecnologie e i social media hanno influenzato il tuo lavoro e la tua visione della fotografia?"
Conclusione
10. Messaggio finale: "Qual è il messaggio che speri di trasmettere ai giovani fotografi che vogliono seguire le tue orme?"
11. Progetti futuri: "Ci sono progetti futuri che ti entusiasmano e che ti permetteranno di continuare a provocare e stimolare il pubblico?"
Chiusura
• Ringraziamenti e riflessioni finali: "Grazie per aver condiviso il tuo pensiero. C'è qualcosa che vuoi aggiungere o un pensiero finale da lasciare ai lettori?" Questa struttura non solo permette di esplorare la visione artistica di Toscani, ma offre anche spunti di riflessione sulle dinamiche tra arte, comunicazione e società.

Voi
E su Oliviero Toscani al riguardo cosa diresti?

ChatGPT
Oliviero Toscani è un fotografo e pubblicitario italiano noto per il suo approccio provocatorio e innovativo alla fotografia e alla pubblicità. È famoso per le sue campagne pubblicitarie per il marchio Benetton, che spesso affrontavano temi sociali e politici controversi, come la discriminazione, la guerra e la diversità. Toscani ha utilizzato la fotografia come strumento per sensibilizzare l'opinione pubblica e stimolare il dibattito su questioni importanti.
La sua capacità di combinare arte e comunicazione ha avuto un impatto significativo nel mondo della pubblicità, portando a una riflessione più profonda su come i messaggi possono essere trasmessi attraverso le immagini. Tuttavia, il suo lavoro ha suscitato anche critiche e controversie, con alcuni che lo accusano di sfruttare tragedie e temi delicati per fini commerciali.
In sintesi, Toscani è una figura complessa e influente, il cui lavoro ha sfidato le convenzioni e ha aperto la strada a nuovi modi di pensare alla pubblicità e alla fotografia. La sua eredità continua a essere discussa e analizzata nel contesto della comunicazione visiva moderna.

Voi
Quale potrebbero essere le sue immagini più adatte per l'argomento?

ChatGPT
Per aiutarti meglio, avrei bisogno di sapere a quale argomento ti riferisci. Puoi fornirmi ulteriori dettagli sull'argomento di cui stai parlando? In questo modo, potrò suggerirti le immagini più adatte.

Voi
Attenzione, decuncia, provocazione

ChatGPT
Sembra che tu stia usando parole che evocano temi di attenzione, denuncia e provocazione. Potresti fornire un contesto specifico per cui stai cercando di esplorare questi concetti? Ad esempio, stai parlando di un argomento sociale, di un'opera d'arte, di un movimento culturale, o di un'altra situazione? In questo modo, posso offrirti un'analisi o una discussione più mirata.

Voi
attenzione dell'opinione pubblica su tematiche difficili

ChatGPT
L'attenzione dell'opinione pubblica su tematiche difficili è un fenomeno complesso che può essere influenzato da vari fattori, tra cui i media, la politica, la cultura e le esperienze personali. Ecco alcuni aspetti chiave da considerare:
1. Media e Informazione: I media giocano un ruolo cruciale nel portare alla luce questioni difficili come la salute mentale, la disuguaglianza economica, il cambiamento climatico e i diritti umani. La copertura mediatica può contribuire a sensibilizzare l'opinione pubblica e a stimolare il dibattito su tali tematiche.
2. Social Media: Le piattaforme sociali permettono la diffusione rapida delle informazioni e possono mobilitare le persone attorno a cause specifiche. Movimenti come #MeToo e Black Lives Matter sono esempi di come il social networking possa catalizzare l'attenzione su questioni sociali e culturali complesse.
3. Educazione e Consapevolezza: La formazione e l'educazione su temi difficili possono aumentare la consapevolezza e la comprensione del pubblico. Iniziative scolastiche, workshop e campagne informative possono aiutare a destigmatizzare argomenti come la salute mentale o le problematiche legate all'immigrazione.
4. Politica e Leadership: I leader politici e le istituzioni possono influenzare l'agenda pubblica. Quando i politici affrontano tematiche difficili in modo diretto, possono spingere l'opinione pubblica a confrontarsi con questi argomenti e a considerare soluzioni.
5. Esperienze Personali e Testimonianze: Le storie personali possono avere un impatto profondo sull'opinione pubblica. Condividere esperienze dirette relative a temi come la violenza domestica, la malattia o la discriminazione può umanizzare le questioni e favorire una maggiore empatia e comprensione.
6. Resistenza e Polarizzazione: Nonostante l'aumento dell'attenzione su alcune tematiche, ci possono essere anche resistenze. La polarizzazione politica e culturale può ostacolare il dialogo e il consenso su argomenti difficili, portando a conflitti e divisioni.
7. Ruolo delle ONG e Attivismo: Le organizzazioni non governative e i gruppi di attivisti sono spesso in prima linea nel portare l'attenzione su questioni trascurate, utilizzando campagne di sensibilizzazione e advocacy per influenzare politiche e pratiche.
In sintesi, l'attenzione dell'opinione pubblica su tematiche difficili è il risultato di una combinazione di fattori, e la sua evoluzione dipende dalla capacità di affrontare e discutere apertamente queste questioni, nonché dalla volontà della società di impegnarsi in un dialogo costruttivo.

Voi
Se potessi ancora dialogare con Oliviero Toscani che domanda gli porresti?

ChatGPT
Se avessi l'opportunità di dialogare con Oliviero Toscani, potrei chiedergli:
1. Qual è stata l'ispirazione dietro le sue campagne pubblicitarie più iconiche? Vorrei capire il processo creativo e il messaggio che intendeva trasmettere.
2. Come vede l'evoluzione della fotografia e della comunicazione visiva nell'era dei social media? Mi interesserebbe sapere come pensa che questi cambiamenti influenzino il modo in cui i brand si connettono con il pubblico.
3. Qual è il ruolo dell'etica nella pubblicità e nella comunicazione oggi? Toscani è noto per le sue posizioni provocatorie; mi piacerebbe sapere come definirebbe un approccio etico in un settore spesso criticato.
4. Cosa ne pensa della sostenibilità e della responsabilità sociale delle aziende nel marketing? Vorrei esplorare le sue opinioni sull'importanza di questi temi nel contesto attuale.
5. Quali sono i suoi progetti futuri e le nuove sfide che desidera affrontare? Sarebbe interessante scoprire quali direzioni creative sta considerando per il futuro.
Queste domande potrebbero portare a una conversazione stimolante e profonda sulle sue idee e sulla sua visione del mondo.

Voi
Ritieni che Oliviero Toscani resterà nei ricordi e adeguatamente raccontato alle future generazioni?

ChatGPT
Oliviero Toscani è una figura di grande rilievo nel mondo della fotografia e della pubblicità, noto per il suo approccio provocatorio e innovativo. Le sue campagne pubblicitarie, in particolare quelle per Benetton, hanno sollevato dibattiti su questioni sociali e culturali, rendendolo un personaggio controverso ma anche molto influente.
È probabile che Toscani rimanga nei ricordi e venga adeguatamente raccontato alle future generazioni, soprattutto se continuerà a lavorare e a contribuire al dibattito culturale e sociale. Le sue opere e il suo approccio artistico possono servire come spunti di riflessione su temi importanti, come l'identità, la diversità e la responsabilità sociale.
Inoltre, la sua capacità di sfidare le convenzioni e di utilizzare l'arte come mezzo per comunicare messaggi significativi è un aspetto che potrebbe essere studiato e apprezzato anche in futuro. Tuttavia, come per molte figure artistiche, la percezione di Toscani potrebbe evolvere nel tempo, influenzata dalla cultura e dai valori delle generazioni successive.

Voi In quale ambito fotografico collocheresti Oliviero Toscani fotografo? ChatGPT Oliviero Toscani è un fotografo e pubblicitario italiano noto principalmente per il suo lavoro nel campo della fotografia commerciale e della pubblicità. È famoso per le sue campagne provocatorie e spesso controverse, in particolare quelle realizzate per il marchio Benetton negli anni '80 e '90, che affrontavano temi sociali, politici e culturali, come la razza, la guerra e la discriminazione. Toscani può essere collocato nell'ambito della fotografia di moda, ma il suo approccio va oltre la semplice estetica, utilizzando la fotografia come mezzo di comunicazione per trasmettere messaggi forti e significativi. La sua capacità di coniugare arte e messaggio sociale lo ha reso un importante innovatore nel panorama della fotografia contemporanea. Voi
Sapresti indicare qualche suo libro fotografico?

ChatGPT
Certo! Ecco alcuni libri fotografici di noti fotografi:
1. "Humans of New York" di Brandon Stanton - Una raccolta di ritratti e storie delle persone che abitano New York.
2. "The Americans" di Robert Frank - Un classico della fotografia che cattura la vita americana negli anni '50.
3. "On This Earth: Photographic Travels" di Nick Brandt - Una raccolta di fotografie della fauna selvatica dell'Africa.
4. "Magnum Contact Sheets" - Una raccolta di contatti di immagini dei membri dell'agenzia Magnum, che offre uno sguardo dietro le quinte del processo creativo.
5. "Aperture: Photographs" - Una rivista che pubblica regolarmente lavori di fotografi contemporanei.
Se hai in mente un fotografo specifico, fammelo sapere e posso darti informazioni sui suoi libri!

Voi
Mi riferivo a libri fotografici di Oliviero Toscani

ChatGPT
Oliviero Toscani è un fotografo e pubblicitario italiano noto per il suo lavoro provocatorio e innovativo. Ha realizzato diversi libri fotografici che riflettono il suo stile distintivo e il suo approccio alla fotografia. Alcuni dei suoi libri più noti includono:
1. "Boys" - Una raccolta di immagini che esplorano la bellezza e la vulnerabilità della gioventù maschile.
2. "Women" - Un'opera che celebra la femminilità attraverso ritratti di donne in situazioni quotidiane e straordinarie.
3. "The Fashion of Food" - Un libro che unisce la moda e il cibo, mettendo in luce il legame tra estetica e alimentazione.
4. "Immaginazione e realtà" - Una riflessione sul mondo contemporaneo attraverso immagini che sfidano le convenzioni.
Toscani è anche famoso per le sue campagne pubblicitarie per Benetton, che hanno spesso suscitato dibattiti e controversie.
Se desideri approfondire un libro specifico o un tema particolare delle sue opere, fammi sapere!

Voi
E il suo lavoro dedicato ai giovani di Corleone?

ChatGPT
Il lavoro dedicato ai giovani di Corleone è spesso associato a iniziative di promozione sociale, educazione e sviluppo delle opportunità. Corleone, una città con una storia complessa legata alla mafia, ha visto nel corso degli anni vari progetti volti a offrire ai giovani alternative positive e percorsi di crescita.
Questi progetti possono includere attività culturali, sportive, di formazione professionale e di sensibilizzazione sui temi della legalità e della cittadinanza attiva. Organizzazioni locali, scuole e associazioni no-profit spesso collaborano per creare spazi di aggregazione e offrire supporto ai giovani, aiutandoli a sviluppare competenze e a impegnarsi nella comunità.
Inoltre, il lavoro con i giovani a Corleone può anche includere programmi di mentorship, laboratori creativi e iniziative di volontariato, che mirano a costruire una nuova generazione consapevole e impegnata, capace di contrastare le influenze negative e di contribuire attivamente al cambiamento sociale.

Voi
Corleone e Oliviero Toscani intendevo

ChatGPT
Corleone è un comune italiano in Sicilia, noto per la sua storia legata alla mafia e per essere il paese natale di Vito Corleone, il famoso personaggio del romanzo "Il Padrino" di Mario Puzo.
Oliviero Toscani, invece, è un fotografo e pubblicitario italiano molto conosciuto per le sue campagne pubblicitarie provocatorie e il suo lavoro con il marchio Benetton. Toscani ha utilizzato la fotografia per affrontare temi sociali e politici, spesso suscitando dibattiti e controversie.
Se hai domande specifiche su uno di questi argomenti o su come siano collegati, fammi sapere!

Voi
E del libro Oliviero Toscani Immaginare curato da Susanna Crisanti e Nicoletta Ossanna Cavadini che puoi dirmi?

ChatGPT
"Oliviero Toscani Immaginare" è un libro che esplora il lavoro e l'impatto del fotografo e comunicatore visivo italiano Oliviero Toscani. Toscani è conosciuto per il suo approccio provocatorio alla fotografia e alla pubblicità, spesso affrontando temi sociali e culturali con immagini forti e controverse.
Il libro, curato da Susanna Crisanti e Nicoletta Ossanna Cavadini, probabilmente raccoglie una selezione di lavori di Toscani, accompagnati da analisi e riflessioni critiche sul suo stile e sulla sua visione artistica. Potrebbe includere anche saggi che contestualizzano le sue opere nel panorama della comunicazione visiva contemporanea e discutere l'effetto che le sue immagini hanno avuto sulla società.
Se desideri ulteriori dettagli specifici sul contenuto del libro, ti consiglio di cercare una copia o consultare recensioni che potrebbero fornire un'analisi più approfondita.

Voi
Grazie

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mercoledì 15 gennaio 2025

Piero Marrazzo: “Storia senza eroi”



Ci sono temi che risultano spinosi e spesso difficili, l’omofobia è uno di questi.
Ma, anche se creano imbarazzo, le questioni complicate necessitano d’essere sempre affrontate e approfondite serenamente per poter essere comprese fino in fondo e così pervenire ad analisi oggettive.
Lo “Scandalo Marrazzo” fu certamente un accadimento che a suo tempo ebbe un notevole eco, di rilevanza nazionale, anche per il gossip che venne a scatenare.
Nella vicenda, accaduta nel 2009, si mescolarono vari campi che, oltre a interessare risvolti politici, posero sotto un faro di luce aspetti inerenti all’identità di genere.
Furono in tanti a scatenarsi sul gossip, pronti a giudicare con faciloneria e ad ampio raggio, prevenuti, senza risparmiare nessuno e spesso senza disporre di complete conoscenze o adeguati strumenti culturali.
L’eccellente operazione letteraria realizzata oggi da Piero Marrazzo, ex presidente della Regione Lazio, risulta preziosa; perché rielabora l’accaduto e, oltre a narrare il percorso del suo articolato recupero sociale, allarga di molto il raggio del racconto.
Con assoluto coraggio Marrazzo rivede in modo asettico i vari aspetti, riportandoli in un libro composito e complesso, intimista e documentale, che si trascina nella trama come un romanzo giallo con connesse sorprese finali.
Nell’articolata narrazione vengono rappresentati aspetti biografici che, anche per le peculiarità dei protagonisti, vengono a coinvolgere diversi componenti dell’intera sua famiglia allargata.
Il libro, per i suoi contenuti, assume tutti i connotati del giornalismo d’inchiesta, riuscendo a intrecciare - con sagacia e assoluta onestà intellettuale - le trame personali con vicende di cronaca. Leggendo si scoprono, infatti, anche aspetti inediti collegati alla cronaca politica e all’attività giornalistica del padre Giuseppe (Joe).
Le vicende giudiziarie che hanno riguardato Piero Marrazzo, trattate da tutte le testate giornalistiche, hanno avuto il loro decorso giudiziario per poi tornate nell’ombra.
La ricchezza del libro “Storia senza eroi”, pag. 334, Marsilio Editore, riguarda gli aspetti collaterali ai fatti noti e il lungo percorso di recupero psicologico che porta il giornalista Piero Marrazzo a scoprire tante cose nuove.
Devo confessare che optando per l’acquisto temevo di incorrere nel classico volume “sola”, commercializzato per speculare economicamente sulla famosa vicenda, ma non è stato così perché leggendolo mi son dovuto ricredere.
L’oculata operazione di Marrazzo, nel mettere al centro principalmente la ricerca sulle origini della madre e suoi nonni materni, affronta e approfondisce via via tanti aspetti valoriali molto più complessi, importanti, sui quali noi tutti spesso siamo portati a prestare poca attenzione. Anche perché occorre tenere sempre ben presente che certe realtà possono interessare tutti e anche a nostra insaputa convivere con noi, a prescindere da “coming out” palesati.

Buona luce a tutti!
© Essec

domenica 12 gennaio 2025

"Esiste un tempo esterno e un tempo interno" di Luciano De Crescenzo



Come accade a molti di noi che amiamo appuntare sui social o su spazi web personali, sono gli incontri ordinari che spesso inducono a riflessioni, facendo talvolta intravedere, in vissuti d'altri, situazioni in cui ci si rispecchia.
Il recente pezzo “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”, come è evidente, trae origine da esperienze direttamente ascoltate come confidenze, ma anche solo percepite, per quanto non esplicitamente detto e fatte intuire.
La lettura del libro “Mirabilis” di Ersilia Vaudo, incentrato sull’evoluzione della nostra idea dell’universo, conduce a ricollegare i fili, a riequilibrare pesi e misure, anche in funzione del principio di relatività che sovrasta il tutto.
Da cosa nasce cosa e una ricerca di curiosità nel web hanno inevitabilmente riportato all’attenzione il geniale e, per me, mitico e poliedrico Luciano De Crescenzo, anche come divulgatore filosofico.
Nel suo blog "Mangia, vivi, viaggia", lo scrittore Gianluca Gotto, in occasione della scomparsa del genio, spentosi alla veneranda età di 90 anni, venne a scrivere l’articolo intitolato “Luciano De Crescenzo: Il tempo non esiste! La vita va allargata, non allungata” che sintetizza perfettamente i pensieri che affiorano spesso nella mente di ciascuno (specie in età matura).
Gotto scrive, al riguardo: “Io lo conobbi proprio grazie a una sua riflessione sul tempo. Ero un ragazzo e mi capitò per puro caso di guardare il suo film ‘32 dicembre’, lo spezzone in cui interpretava un astronomo-filosofo. Parlando con un uomo unicamente interessato al capodanno che di lì a poche ore si sarebbe festeggiato nella sua Napoli, disse qualcosa che suonò strano e innovativo alle mie orecchie, ma anche assolutamente vero".
Veniva detto:
“E a te chi te l’ha detto che oggi è il 31 dicembre? Ti debbo dare una brutta notizia: non solo non esiste il 31 dicembre ma non esiste nessuna giornata del calendario per cui tu possa dire “oggi è il 31 dicembre”.
Sarebbe più corretto dire che è sempre il 32 dicembre! Che ora è, Alfonso?
Ora sono le sette.
A Napoli, sono le sette. In questo momento a Calcutta è mezzanotte. Se tu ti trovassi a Calcutta, festeggeresti la mezzanotte di Calcutta o aspetteresti quella di Napoli?
Aspetterei la mezzanotte di Napoli.
Perché tu sei convinto che la mezzanotte di Napoli sia “più mezzanotte” di quella di Calcutta! Il problema è che il tempo non esiste. È tutta una convinzione: tu festeggi il 31 dicembre perché sei nato cristiano; fossi nato musulmano, festeggeresti il 28 febbraio; fossi nato copto, festeggeresti il 18 agosto; se fossi nato maronita festeggeresti il 30 settembre. Non esiste un giorno che segni la fine dell’anno!”
A chiusura del suo articolo Lotto ripropone il testo del concetto emblematico del “De Crescenziano” pensiero sulla concezione/percezione del tempo, espresso con queste comprensibili e semplici parole:
“Il tempo è un’emozione ed è una grandezza bidimensionale, nel senso che puoi viverlo in lunghezza o in larghezza. Se lo vivi in lunghezza, in modo monotono e sempre uguale, dopo 60 anni avrai 60 anni.
Se invece lo vivi in larghezza, con alti e bassi, innamorandoti e magari facenso pure qualche sciocchezza, magari dopo 60 anni avrai solo 30 anni.
Il problema è che gli uomini studiano come allungare la vita, quando invece dovrebbero studiare come allargarla.
Vedi, esiste un tempo esterno e un tempo interno. Il tempo esterno è quello degli orologi, dei calendari, ed è uguale per tutti. Il tempo interno, invece, è un fatto personale nostro, come il colore degli occhi e dei capelli, ed è diverso da persona a persona. Ecco perché ci sono persone che hanno 60, 70 o 80 anni ed hanno l’impressione di averne 20.
La verità è che non è un’impressione: ne hanno davvero 20.”

Buona luce a tutti!
© Essec

sabato 4 gennaio 2025

Scritti che riescono ad accendere l’eventuale immaginario assopito: "Una Piccola Follia"



Un film, uno spettacolo teatrale e, comunque, qualsiasi realizzazione artistica che comprende un contenuto visivo indirizza e condiziona l’osservatore e lo costringe a seguire percorsi predefiniti, generati dalla creatività e dall’idea di chi ne coordina e cura la regia.
Altra cosa è l’approccio che si determina con un’opera letteraria, la quale porta ogni fruitore a inventarsi da sè gli scenari e i personaggi che accompagnano le narrazioni. Inducendo a immaginare figure e luoghi che, seppur minuziosamente descritti, obbligano a far ricorso alle proprie esperienze e, in ogni caso, attingendo al bagaglio culturale personale, nel definire ogni cosa.
Pertanto chi si approccia a leggere un qualunque testo diventa ogni volta compartecipe con l’autore nella rielaborazione di qualsiasi messaggio.
Tanti lettori che si approcceranno a uno stesso romanzo produrranno, quindi, tante storie differenti e vedranno vari panorami e tante figure.
In relazione alle sensibilità e alle diverse diottrie si cattureranno così molte tonalità di colore e si coglieranno tante sfumature. La stessa cosa, per grandi linee, accade in fotografia.
Cristiano De Scisciolo si dimostra certamente un autore di talento, essendo riuscito, nella scrittura dei suoi libri, ad abbinare felicemente un ricco lessico ad una spiccata inventiva; conferendo ai suoi romanzi una fluidità narrativa in grado di coinvolgere il lettore anche per i suoi originali itinerari.
Nelle descrizioni ambientali, ricorrendo alla consolidata passione per la fotografia, con le sue parole riesce a far vedere le scene che sono collaterali ai racconti; tanto da trasformare il lettore, pur in assenza d’immagini reali (con fotografie fatte da commistioni di sole parole), in uno spettatore assorto ad assistere alla proiezione di un film che andrà a immaginare.
De Scisciolo Ha tanta voglia di raccontare e, come lui stesso afferma nelle pagine di ringraziamento del suo ultimo romanzo, non si può certo dissentire dalla convinzione che lo sorregge, ovvero che “non si può scrivere senza leggere”. Ma per la buona scrittura occorre certamente talento, e lui ne dispone.
Perseguendo impegnativi tracciati di altri nobili scrittori che sono stati e continuano ad essere oggetto delle sue letture, le opere di De Scisciolo trasudano una verve creativa che riesce a intrecciare percorsi costantemente rinnovati; capaci di mantenere attiva l’attenzione di chi lo legge, conferendo ai suoi scritti freschezza letteraria e sviluppi dai ritmi coinvolgenti.
Dopo aver ampiamente dimostrato con Magma, pubblicato nel 2014, una piena padronanza compositiva come esperto romanziere di stampo “classico”, negli ultimi libri si è incanalato verso un genere per lui nuovo; volgendo la sua attenzione verso una formula letteraria che potrebbe anche essere etichettata, e senza alcun senso riduttivo, come un “filone seriale”.
Nei suoi due recenti romanzi ha assunto a protagonista Claudio Maselli, un commissario di polizia acuto e intraprendente.
Su questo personaggio di fantasia, come hanno fatto già Camilleri, Carofiglio e tanti altri giallisti contemporanei e passati, ha incentrato le sue storie, riuscendo ad arzigogolare complicate indagini investigative; piene di sorprese, colpi di scena e con l’inserimento di personaggi mai banali e sempre intriganti.
L’ultima operazione letteraria “Una piccola Follia”, ambientata come la precedente negli Emirati Arabi, costituisce un prosieguo al romanzo intitolato “Tracce nella sabbia”.
Entrambi i due libri, oltre catturare per gli intrecci delle intricate trame poliziesche, hanno il privilegio della leggerezza, nel riuscire a far viaggiare il lettore in ambientazioni ultra moderne che stimolano ulteriormente le fantasie.
Per chiudere, pur rispettando le preferenze letterarie di ognuno, si consiglia vivamente un approccio ai suoi romanzi che coinvolgono, scorrono, catturano e consentono anche ai più refrattari di risvegliare l'eventuale immaginario assopito.

Buona luce a tutti!
© Essec

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