"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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Fotogazzeggiando: Immagini e Racconti

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lunedì 17 giugno 2024

“Talè cu c’è!”



Vi assicuro che quando si è avanti negli anni può generare anche un certo panico.
Ero sicuro di avere scritto un pezzo, anzi di averlo per di più anche pubblicato e il non essere in grado di rintracciarlo crea la paura del rincoglionimento veloce.
Chi ha la mia stessa età può di certo meglio capire.
Alla fine ho risolto con l’IA di primo livello, ovvero inserendo nel motore di ricerca Google quegli elementi essenziali utili a trovarne traccia.
Bando alle ciance, checché si continui a dire sulle paure e la pericolosità dell’intelligenza artificiale, è assodato che gli algoritmi sono ormai diventati fondamentali nel sociale e in ogni aspetto del modello occidentale in cui siamo immersi.
Sono pure convinto che, con la velocità della ricerca scientifica, si potrà trovare presto un modo, per collocare nel cervello di ognuno un qualche marchingegno sofisticato; in grado non solo di registrare - come duplicatore di memoria e anche a distanza - ma di agevolare ogni possibile ricerca dati, allocati in qualunque spazio fisico/chimico del cervello. Con tutto quello che ne potrà conseguire. Orwell dixit!
Recuperato il testo, lo ripropongo di seguito nel mio blog abituale, anche per renderne completo il contenuto.
Per la cronaca, il pezzo l’avevo intitolato “Talè cu c’è!” ed è tuttora consultabile, corredato da tante fotografie scattate quel giorno, sul periodico web Dialoghi Mediterranei.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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“Talè cu c’è!” È l’esclamazione che ogni tanto rimbomba per le vie di Palermo quando, senza averlo in alcun modo previsto, ci si incontra inaspettatamente fra amici. 
Questa volta è stato Pino che, bighellonando per le stradine del Quartiere Capo, lancia un’occhiata al salone del barbiere e scopre all’interno tre suoi amici che non vedeva da tempo.
Causa Covid 19 e tanti altri impedimenti, era da molto che non si incontravano in presenza. Qualche collegamento streaming e delle sporadiche email erano stati gli unici contatti con alcuni di loro. La passione per la fotografia è anche il comun denominatore che li unisce e la leggerezza nei rapporti costituisce un altrettanto importante collante.
Ma che ci fate qui? Chi l’avrebbe mai detto? Ci siamo riproposti tante volte d’incontrarci e, senza farlo apposta, ci ritroviamo tutti insieme dal signor Luciano. Il salone da barba, del quale io e Salvo siamo ormai clienti, è uno di quei locali di una volta che fa ancora respirare quell’aria antica. La sua frequentazione è un caldo ritrovo, prescinde infatti dalla prestazione professionale, rappresenta un salotto popolare nel quale ci si incontra fra amici per discutere del più e del meno e, vista l’età media dei frequentatori, anche per farsi reciproca compagnia.
Il quartiere Capo è una miniera di colori, di sguardi, di circostanze che offrono spunti per fare fotografia. I risultati non hanno molta importanza ma il divertimento nel cercare angoli, luci, scorci, dettagli è motivo sufficiente per divertirsi. Nell’incontro casuale il solo Pino circolava disarmato. Noi che avevamo programmato il taglio di capelli da qualche tempo eravamo infatti tutti con la macchina fotografica pronta allo scatto.
Come sanno bene tutti i fotoamatori, ogni pretesto è utile per divertirsi a fare dei click. Quindi, anche il rituale taglio offre l’occasione e pone il soggetto a modello a beneficio degli altri, per sfogare liberamente l’infantile goliardia. In questi casi l’età non conta, o forse sì perché l’anzianità induce a vedere il mondo in maniera disincantata, appare naturale divertirsi con poco e giocare felicemente con la tua macchinetta. Da questi incontri nascono fotografie di un album che documentano momenti di vita, senza pretese o manie di protagonismo, con l’intento di avere immagini utili solo a ricordare. 
L’arredamento del salone di Luciano è abbastanza sobrio e non ha un vero stile, è un ambiente semplice che fa anche da punto di riferimento per gli ambulanti locali anche per necessità impellenti. L’aria che qui si respira è la stessa di quegli anni settanta, di quando eravamo giovani e il barbiere era anche opportunità per incontri generazionali. “A cu appartieni?” Ci chiedevano gli anziani per cercare di capire le discendenze o, più semplicemente, come curiosità anche per legare i discorsi che ascoltavano al ceto sociale di appartenenza.
L’arrivo casuale di Pino è stato anche l’occasione per rivelare l’identità di un frequentatore costante del salone. Ad un certo punto Pino, rivolgendosi al soggetto ebbe a dire un’altra fatidica frase: «A me pare di conoscerla, ma non saprei dire né come e né perché». 
«Forse in un campo di calcio o come spettatore» venne a rispondere prontamente l’interloquito. Proseguì dicendo “Io sono Schiavo, Giuseppe Schiavo, il centromediano del Palermo calcio negli anni sessanta.” La Carrà avrebbe detto: “Caramba che sorpresa!”
Il nostro Pino era un incallito appassionato di calcio, che ha praticato nel tempo anche a buoni livelli. Accadde dunque come un’illuminazione che lo investì di ricordi. Il riconoscimento reciproco fu per Schiavo anche la rimozione di un tappo. Tante considerazioni del tempo e aneddoti vari cominciarono a fluire, in una narrazione che anche a noi vecchi appariva riferirsi ad un tempo recente, appena trascorso.
Io riuscivo persino a rivedere il mezzo busto di tante figurine della Panini che, da giovani, eravamo tutti impegnati a raccogliere nel classico album. Con acquisto di bustine, il mercato degli scambi dei reciproci doppioni e la ricerca delle rarità. Dieci Sandro Bolchi valevano un Gianni Rivera. E poi Sarti, Burgnich, Facchetti, Altafini, Maldini Senior, Trapattoni, Sivori, Bercellino primo e secondo (quest’ultimo, quando giocava nel Palermo, nelle giornate assolate, amava stazionare sempre nelle zone di campo dove c’era ombra), Guarneri, Sandrino Mazzola, Pizzaballa, Vavassori e via dicendo. Quanti nomi! 
La discussione fra i due ex calciatori inesorabilmente portava a dire: «quello sì che era calcio vero, no quello di adesso che, con ossessionanti tatticismi e schemi elaborati, rendono difficile cogliere le differenze fra una partita vista dal vivo e una simulata in play station». 
Il classico ritornello nostalgico in uso negli anziani che ricordando solo aspetti positivi di quei tempi tendono sempre a trasfigurare tutto quanto appartiene al loro tempo passato che coincide con la loro giovinezza.
Per tornare alla sacralità degli ormai rari saloni da barba vintage, centrale rimane l’opportunità d’incontro che offre a una classe di età sempre più emarginata, in un mondo che va troppo veloce, che corre e non trova mai tempo per capire e riflettere sul tempo che trascorre.
Se vi capita di incontrare accrocchi di anziani intenti a discutere e riuscite a guardarli, negli occhi di chi racconta vedrete riaccendersi una luce, quella dei ricordi. Mentre negli altri che ascoltano e partecipano, come svegliandosi da un incantesimo, riemergono tanti avvenimenti, personaggi, usi e costumi di una loro vita che, come fece osservare un’amica a Pippo, saprà pure di naftalina, ma che assai bene ancora si conserva. 
Una volta la storia tramandata, i racconti dei vecchi, le loro parole erano vissuti come fonti d’insegnamento, saggezze di esperienze. Ora riescono a sopravvivere in riserve indiane, come i negozi di barbieri anziani, o più di frequente nelle case di riposo che in gergo moderno sono denominate RSA. 

mercoledì 5 giugno 2024

Dei furbi e dei fessi - Ovvero delle simbiosi biologiche



Dal “Codice della vita italiana” di Giuseppe Prezzolini.

1) I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi.
2) Non c’è una definizione di fesso. Però, se uno paga il biglietto intero in ferrovia; non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella pubblica istruzione, ecc..; non è massone o gesuita; dichiara all’egente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc..; questi è fesso.
3) I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta.
4) Non bisogna confondere il furbo con l’intelligente. L’intelligente è spesso un fesso anche lui.
5) Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle.
6) Colui che sa è un fesso. Colui che riesce senza sapere è un furbo.
7) Segni distintivi del furbo: pelliccia, automobile, teatro, restaurant, donne.
8) I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini.
9) Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro. 10) L’Italia va avanti perchè ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono.
11) Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo.
12) Il fesso, in generale, è incolto per stupidaggine. Se non fosse stupido, capirebbe il valore della cultura per cacciare i furbi.
13) Ci sono fessi intelligenti e colti che vorrebbero mandar via i furbi. Ma non possono: uno perchè sono fessi; due perchè gli altri fessi sono stupidi e incolti, e non li capiscono.
14) Per andare avanti ci sono due sistemi. Uno è buono, ma l’altro è migliore. Il primo è leccare i furbi. Ma riesce meglio il secondo che consiste nel far loro paura: primo, perchè non c’è furbo che non abbia qualche marachella da nascondere; secondo, perchè non c’è furbo che preferisca il quieto vivere alla lotta e l’associazione con altri briganti alla guerra contro questi.
15) Il fesso s’interessa al problema della produzione della ricchezza. Il furbo soprattutto a quello della distribuzione.
16) L’italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva perfino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l’italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l’esempio e la dottrina corrente – che non si trova nei libri – insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l’ha colpita, ma in cuor suo si ripromette d’imparare la lezione per un’altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l’Italia è appunto l’effetto del secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.

L'elenco ricorda un po’ la distinzione fra metinculi e pianculi ...... su cui ci si è già da tempo dilungati.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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lunedì 3 giugno 2024

Francesca Barra: "Il quarto comandamento. La vera storia di Mario Francese che sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese giustizia"



Come sovente accade per le notizie di cronaca, queste si succedono e poi velocemente si dimenticano senza lasciare traccia.
Personalmente ho avuto modo di tornare sull’argomento per una serie di combinazioni e incontri.
La passione per la fotografia e la ricerca di pretesti per documentare eventi è stata la prima delle casualità che mi hanno coinvolto, facendomi conoscere i fratelli Francese. In vero anche la seconda è pur essa collegata alla fotografia, per una mostra organizzata all’Arvis di Palermo, dove venivano esposti - con una trovata originale - una serie di scatti fotografici nel realizzati da Massimo Francese.
Il Prof. e amico Nino Pillitteri che, oltre a “Webzoom” amministra anche il sito web https://www.marioegiuseppefrancese.it/, ebbe a curare quell’evento all’ARVIS.
Lo stesso Pillitteri ogni anno, si adopera per assicurare il reportage fotografico all’ambito premio che, con il coinvolgimento dell’Ordine dei Giornalisti, viene assegnano ai professionisti che si sono particolarmente distinti nel settore.
Per la cronaca, nella XXV edizione Il Premio Mario Francese è stato conferito a Lara Sirignano, cronista dell'Ansa. A Domenico Iannacone è andato il Premio Giuseppe Francese, mentre il Liceo Sciascia-Fermi di Sant’Agata di Militello ha vinto il premio Mario e Giuseppe Francese riservato alle scuole, per il cortometraggio “La voce del futuro”.
Oltre alle notizie apprese nel giorno dell’omicidio di Mario Francese, non conoscevo tanto altro. L’opportunità di essere stato coinvolto fotograficamente alle ultime edizioni del premio mi hanno fatto acquistare un libro oggi outlet, edito da Rizzoli nel 2011 e scritto da Francesca Barra, intitolato “Il quarto comandamento – La vera storia di Mario Francese che sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese Giustizia.
Un libro che per un meridionale non può non essere coinvolgente, di buona fattura e che ho letto con una voracità inusuale.
Nella quarta di copertina è riportato una considerazione di Carlo Lucarelli che recita: “quando si uccide un giornalista è per ridurlo al silenzio. Ma se lo ricordiamo e ne leggiamo gli scritti, allora ci parla ancora. Se continuiamo a raccontarlo, Mario Francese ha vinto e loro hanno perso.” In copertina c’è l’efficace sintesi espressa sul libro da Roberto Saviano: “un libro che lacera le coscienze”.
Il libro, che si articola su due parti, focalizzando tempi, luoghi e considerazioni differenziati per l’epoca del padre e rispetto a quelli del riscatto operato dal figlio. Di quest’ultimo vengono pure riportate annotazioni del suo diario che consentono di entrare molto addentro ai molteplici aspetti intimi e problematici che caratterizzano il personaggio. Aspetti che legano le storie di vittime e sopravvissuti.
Dilungarsi in dettagli o citazioni appare superfluo, per il semplice fatto che ogni parte del volume scritto da Francesca Barra - che ha saputo assemblare le tante informazioni avute da familiari e amici dei Francese - fornisce elementi fondamentali per cercare di comprendere. Non ultima le difficoltà professionali e lavorative che spesso accompagnano chi rimane isolato perché opportunamente lasciato solo.
Le questioni storicamente accertate che hanno indotto la mafia all’omicidio Francese si ricollegano ai traffici politico malavitosi che hanno caratterizzato la realizzazione nel territorio di Roccamena della diga di Garcia. A tal riguardo riporto quanto ebbe a scrivere nel giugno 2023 il figlio anch’esso giornalista di Mario Francese: “La diga di Garcia è stata una grande speranza ma anche un bagno di sangue: in questa grande incompiuta che finalmente sarà sbloccata, si è abbeverata la mafia corleonese, la stessa mafia che nel 1979, anno della morte di mio padre, prende il sopravvento e inaugura la stagione degli omicidi eccellenti". L'articolo continua: "Così il giornalista Giulio Francese ha ricordato il sacrificio del padre, il cronista Mario Francese, ucciso da cosa nostra nel 1979 e al quale da oggi è stata intitolata la diga Garcia." (fonte Giornale di Sicilia – Palermo, 22 giugno 2023).

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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domenica 2 giugno 2024

"Bambini di Sicilia" - Fotografie di Enzo Sellerio al Loggiato di San Bartolomeo



Prima di procedere per questo scritto, io stesso ho sentito la necessità di andare a rivedere uno streaming che in tempo di Covid l’amico Arturo Safina aveva organizzato per parlare di Enzo Sellerio e della sua fotografia.
Nel caso specifico, non si trattava di un semplice ripasso ma il bisogno di andare a rileggere l’autore, per capire meglio e prima di formulare delle considerazioni sulla mostra che avevo appena visitato al Loggiato San Bartolomeo di Palermo, gestito dalla Fondazione Sant’Elia, dal titolo “Bambini di Sicilia”.
Il magistrale racconto che nello streaming del 2021 fa di Enzo Sellerio l’amico Pippo Pappalardo consente di avere un quadro completo del personaggio, che felicemente rapporta al suo tempo e raccorda con personaggi e avvenimenti culturali nazionali e internazionali temporalmente coevi, paralleli al suo percorso artistico.
Pappalardo riesce a focalizzare efficacemente anche le peculiarità intellettuali e il messaggio culturale di Sellerio, ponendo l’accento su come il suo approccio costituisce, senza ombra di dubbio, la creazione di nuove tracce, talvolta originalissime, che poi altri seguiranno.
Evidenzia altresì i collegamenti con il mondo visivo che lo hanno ispirato e che nel tempo ha somatizzato. Spunti, idee e quant’altro che, associati al suo indiscutibile talento, gli hanno poi consentito di replicare, personalizzandoli, anche particolari modelli pittorici d’autori famosi.
In questa ottica viene anche messa in risalto anche l’importanza, nella sua crescita stilistica e compositiva in genere del pittore Bruno Caruso, oltre che l’attenzione rivolta dal Sellerio fotografo a tanti altri analoghi autori del novecento.
Poiché ogni altra considerazione rischierebbe qui di risultare parziale e incompleta, anche per la ricchezza e la valenza del filmato postato su You Tube, si rimanda, chi fosse interessato a conoscere meglio Sellerio come personaggio e un po’ come uomo, alla visione dell’eccellente esposizione che ne ha fatto il critico Pippo Pappalardo, che lo ha pure personalmente conosciuto.
Venendo alla mostra, vedere le immagini esposte oggi al Loggiato e alla mia età è stato come un precipitare con un vortice nel passato, come fossi andato indietro di sessant’anni con l’ausilio della fantomatica macchina del tempo. Molte scene simili, nascoste nell’inconscio, le avevo infatti viste coi miei occhi.
A quei tempi non era ancora arrivato il boom economico e, specie nel Sud Italia, la miseria toccava tantissime famiglie e molte di quelle scene le ricordo bene.
Le fotografie di Enzo Sellerio sono dei flash che documentano un neorealismo siciliano senza fronzoli.
Rubano, senza malizia, momenti di spontaneità del quotidiano di giovanetti che si affacciano alla vita, che si divertono con poco, che indossano spesso degli stracci ma che si manifestano umili, magari sudici, ma a loro modo dignitosi.
Le fotografie selezionate e proposte al pubblico nella esposizione palermitana presentano scene e situazioni popolane, così come erano e apparivano al fotografo, interessato a rappresentare solo la realtà; per narrare uno spaccato proletario della Sicilia.
Nelle novanta immagini esposte, per la metà inedite, “ci sono gli occhi dei bambini che raccontano”, filtrati dallo sguardo attento del fotografo intento a cogliere e documentare nel profondo ciò che la sua sensibilità riesce a vedere.
L’esposizione allestita colleziona e mette in sequenza scene di strada, intimità, feste religiose, giochi innocenti, con una sagacia che abbina estetica e composizione per confezionare racconti condensati in un solo fotogramma.
Come raramente accade nell’andare a visionare una mostra, in questo caso il visitatore è quasi inconsciamente indotto ad un loop visivo continuo. Per scoprire ogni volta dettagli e immaginare altro, nel rivedere e soffermarsi più volte davanti a una stessa foto.
Tranne piccole eccezioni, dal mondo dei bambini raffigurato in mostra rimangono escluse foto che riguardano bimbi della borghesia e delle classi sociali più agiate in genere. Ne deriva, come è comprovata dalla restante ricca produzione fotografica - non idoneamente fatta conoscere dai familiari che ne custodiscono l’archivio - che molte fotografie “selleriane” sostanzialmente anticipano quella che è nota come streetphotography (di certo in Italia).
Inoltre emerge un’altra questione sottostante assai evidente, ovvero che con la sua fotografia Enzo Sellerio tende a denunciare e a far conoscere tematiche sociali e politiche trascurate e meritevoli d’attenzione.
Tornando alle foto in mostra a Palermo e in esposizione per tutto il mese di giugno, si può concludere che l’operazione è certamente riuscita, anche per la tematica specifica che affronta e che in qualche modo è resa attuale dalle tragedie che continuano a imperversare nel mondo.
La drammaturgia rappresentata dalle fotografie esposte, ancorché riferita ai bambini siciliani di fine novecento, richiama e si associa inevitabilmente alle tragedie ucraine, palestinesi e d’altri luoghi meno noti che interessano e travolgono soprattutto i bambini e di cui la stampa occidentale non parla perché più interessata a speculare sulle miserie umane.
Di certo Enzo Sellerio è stato un precursore nello scenario fotografico italiano, culturalmente proiettato in avanti rispetto al provincialismo e al dogmatismo artistico dominante nel suo tempo.

Buona luce a tutti!


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mercoledì 29 maggio 2024

Sulle letture di Portfolio di TrapanInPhoto 2024

Di seguito le 15 foto componenti il portfolio di Salvatore Rosselli, vincitore dell'edizione TrapanInPhoto 2024, intitolato “Interior-oris”


Per la cronaca, i risultati desunti dal verbale ufficiale della edizione 2024 di TrapanInPhoto hanno visto assegnare dalla Giuria, composta da Antonella Pierno, Daniela Sidari, Cosmo Laera e Michele Di Donato:

Una Mensione speciale al portfolio “Mi ricordo del mare” di Giacomo Barone.

Due 2° Classificati ex-aequo
1) al portfolio “Città sospese” di Antonella Messina con la seguente motivazione: “Per aver rappresentato, con piena coerenza e consapevolezza stilistica, estetico-formale e cromatica, la condizione di sospensione rintracciata nel tipico paesaggio del Sud, dove geometrie, luci e ombre concorrono nel costruire la visione metafisica di “Città sospese”.
2) al portfolio “A manata” di Salvatore Titoni con la seguaente motivazione: “Per aver raccontato, mediante un espediente di tipo fisico, un frutto della terra, lasciando che fosse proprio la terra a interagire, in maniera assolutamente naturale, con un lavoro fotografico in cui tutto è progettato con rigore”.

1° Classificato assoluto al portfolio “Interior-oris” di Salvatore Rosselli con la seguente motivazione: “Per aver rappresentato una condizione di fragilità emotiva e fisica, l'ansia e la depressione postpartum, utilizzando un linguaggio contemporaneo che gli ha permesso di elevare, a condizione universale, una situazione intima e familiare”.

Questa edizione di letture, svoltasi in un periodo diverso rispetto all'abituale fine novembre, ha offerto momenti di particolare interesse.
Anche se si vive ormai in un mondo frenetico, dove si è obbligati a scelte continue e si ha sempre poco tempo, può capitare che nel corso di una manifestazione fotografica, si possano creare sospensioni temporali, con accadimenti unici non programmati.
È quanto accaduto durante l'edizione 2024 di TrapanInPhoto nell'attesa delle proclamazioni dei risultati finali di quindici letture di portfolio.
I lavori presentati dai partecipanti, per questa edizione, non erano molti (in totale 15 con coinvolti 13 autori e 4 lettori); pertanto le operazioni sono state completate impegnando i partecipanti nella sola mattinata; offrendo a tanti opportunità per letture ulteriori rispetto alle due per regolamento programmate. 
Successivamente, nel dopopranzo, con tutti radunati sotto il porticato del complesso monumentale di San Domenico, i due lettori presenti hanno proposto ai fotografi disponibili di parlare dei propri portfolio.
Ne è nata una conversazione molto interessante, anche per chi, come me, aveva solo intravisto i componimenti, senza aver seguito le complete esposizioni dei lavori in concorso.
Ogni autore ha pertanto avuto modo di illustrare il polittico presentato, esplicitando il proprio racconto sinottico e tenendo già conto, nel caso, anche degli eventuali suggerimenti ricevuti dai lettori prescelti (quindi fatti propri in quanto accettati/recepiti).
Daniela Sidari e Michele Di Donato (i due lettori presenti) hanno quindi proseguito, ponendo l'accento sulle peculiarità che caratterizzavano i compositi in esame, sottolineandone le tecniche, le enfasi, le eventuali specificità allusive e tornando sugli eventuali suggerimenti da loro esplicitati nel corso della lettura mattutina.
Completate le due fasi - che costituivano i connotati classici e generali di ogni lettura di portfolio - si è poi andato oltre, invitando il pubblico presente a intervenire, manifestando impressioni e, nel caso, sottoponendo alle parti (autore e/o lettore) dei quesiti specifici.
Qui si è venuto a creare un valore aggiunto imprevisto, ovvero non programmato. Un di più che raramente accade nel corso di queste letture. Attualizzando una formula nuova, collettiva, aperta, democratica e trasparente.
Ulteriori osservazioni hanno infatti arricchito le chiavi di lettura, introducendo talvolta argomentazioni e spunti volti a ottenere approfondimenti: sui significati, sui risvolti concettuali (se presenti), sui riferimenti, sui collegamenti, sulle possibili analogie con eventuali altre opere realizzate da fotografi affermati e famosi per tipicità e stile.
Dall’insieme composito è in ultimo scaturita una vera e propria completa formulazione didattica, che era riuscita a sviluppare in maniera integrale il significato e l'intendimento di un portfolio fotografico.
Negli interventi del pubblico, l'immedesimazione di qualcuno, che ai lavori ha agganciato il proprio vissuto e la propria sensibilità, ha avvalorato – nel caso specifico - l'efficacia del messaggio sviluppato con il proprio portfolio da Salvatore Rosselli, che di lì a poco sarebbe stato proclamato come prima opera assoluta. 
In tema di sperimentazioni e di tavole rotonde improvvisate, non secondario e altrettanto valido era precedentemente risultato anche un confronto - anche qui estemporaneo - riguardante un argomento oggi molto attuale, attinente all'Intelligenza Artificiale applicata in fotografia. Nel corso del quale si è registrato un ampio apporto d'idee originali e l'esposizione di tanti punti di vista, in qualche caso anche discordanti, ma rivelatori di visioni poliedriche, risultate peraltro non sempre incompatibili.
In conclusione un plauso va ancora una volta ad Arturo Safina e ai soci de “I Colori della Vita” che lo hanno supportato nel realizzare momenti che aiutano scambi culturali interessanti, che risultano sempre utili ad ognuno per incentivare una crescita nella comune passione fotografica.

Buona luce a tutti!


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venerdì 24 maggio 2024

"Solo la verità. Lo giuro" di Antonio Padellaro



La scrittura di Antonio Padellaro contemporaneo corrisponde a un buon vino rosso che, invecchiando, tende a migliorare e a essere al contempo delicato e corposo.
In questa piccola recensione mi piace anche riportare un aneddoto dell’autore su quanto riferitogli da Eugenio Scalfari, che è anche abbastanza diffuso e assai comune.
Un aspetto che in qualche modo, ossessiona anche alcuni dei miei amici critici esperti di fotografia che, in quanto preparati e ottimi recensori, oltre a essere richiesti per confezionare prefazioni, vengono sollecitati ripetutamente a esprimere giudizi (possibilmente positivi) su libri omaggiati dai prolifici autori di turno.
Scrive al riguardo Padellaro: “Quando ero all'Espresso, Scalfari mi raccontava di essere continuamente infastidito dalla copiosa produzione di libri firmati da colleghi, amici o sottoposti. Sosteneva di avere gli scaffali ricolmi di volumi, perlopiù superflui. Peggio erano le molestie degli autori che dopo avere partorito pretendevano dal supremo direttore un giudizio, possibilmente benevolo. Lui, che le pagine di quei tomi lasciava inevitabilmente intonse, onde togliersi di dosso quei 'rompicoglioni' mi confidò di avere adottato una formula ineccepibile, composta da due magiche paroline: 'mi compiaccio'. Espressione, come ebbe a spiegarmi, sufficientemente cortese, perfino affettuosa ma che di per sé non esprime alcun giudizio di merito sugli scritti dei sedicenti Proust. Costoro, ricevuta l'augusta benedizione si allontanavano lusingati e confusi non avendo ben compreso se l'esame fosse stato superato oppure no."
Non è l'unico aneddoto riportato nel volume "Solo la verità. Lo giuro" edito nel corrente mese di maggio da Piemme, 182 pagine e dal costo di euro 18,90.
Le tante vicende e considerazioni illustrate avvalorano, peraltro, come corrisponda al vero il noto detto, il quale porta a dire che una volta arrivati a una certa età vengono a cadere quei freni inibitori, magari prima utilizzati nel ricorrere a ipocrisie strategiche. Quest’ultimo libro di Antonio Padellaro e i suoi venerandi anni, per l'appunto, ne sono l'aperta dimostrazione.
Retroscena del mondo della carta stampata si susseguono in aneddoti, frecciatine e non piccoli siluri, che vengono fuori dalla lettura di capitoli, rendendo complesso e diverso il panorama professionale apparentemente leggero del giornalismo nascosto ai comuni mortali. Quanto riportato nel libro costituisce, per noi lettori, uno specchio che consente di vedere l’altra parte della luna, quella costantemente nascosta e che permane in ombra.
Oltre alle sue origini siciliane, Padellaro mostra anche – e con quell’autoironia che lo contraddistingue – la genesi disincantata della sua fede politica, mostrando anche un certo parallelismo (per caratteristiche familiari/familistiche) con un altro cane sciolto del mondo giornalistico, a lui molto simile e a cui mi piace anche accostarlo: Alessandro Di Battista.
In un ambiente relativamente chiuso incline all’omertà, che spesso viene furbescamente utilizzata dai più per ricambiare con la stessa moneta chi si è manifestato scorretto, il cofondatore del "Fatto" sceglie nella sua narrazione un racconto sincero, con l'intento di offrire una verità senza fronzoli a chi lo ascolta e oggi lo viene a leggere.
Il libro recensito merita attenzione anche per la ricchezza d’informazioni che contempla, specialmente per l’ampio arco temporale sociale e politico nazionale cui si riferisce e che rappresenta in particolare l’ultimo trentennio italiano. In conclusione, per quanto possa valere un mio "giudizio", "Solo la verità. Lo giuro" comprova come l'onesta' intellettuale stia sempre per alcuni alla base (come per il navigato Padellaro) di ogni intelligente formula espositiva, qualunque sia lo schieramento in cui ci si collochi e ogni personale punto di vista politico.

Buona luce a tutti!


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“Females”, Le fotografie “familiari” di Ornella Mazzola

Palermo - Il complicato mistero che sta dietro a “quello che le donne non dicono” viene svelato in una celebre canzone, ma le intense immagini realizzate dalla fotografa palermitana Ornella Mazzola riescono a darne una rappresentazione garbata ed efficace.
La sala espositiva della sede dell’Arvis, Associazione per le Arti Visive in Sicilia, venerdì 24 maggio, a partire dalle ore 18.00, ospita l’evento inaugurale della mostra“Females”, una ragionata rassegna di fotografie eseguite da Ornella Mazzola.
Il medesimo progetto espositivo nel 2018 era stato curato da Pamela Bono ed allestito all’interno della suggestiva Cripta dell'antica chiesa di Santa Maria del Piliere, un ambiente misterioso che risultò decisamente appropriato.
I soggetti fotografati dalla Mazzola, non solo sono tutti di genere femminile, ma rappresentano donne di diverse generazioni e, soprattutto, appartengono tutte alla sua stessa famiglia. Risulta, inoltre, evidente la stretta relazione esistente tra le bambine, le giovani o le signore più anziane e gli angoli domestici, con i caratteristici arredi, le suppellettili e le atmosfere degli ambienti che le circondano.
Non si tratta di istantanee, ma dei cosiddetti “ritratti posati” e ciascuna delle parenti-modelle ha assunto delle pose che rispondono a delle raffinate “geometrie esistenziali” che arricchiscono l'immagine fissa di una valenza psicologica.
L'età delle donne dei ritratti fotografici esposti varia dall'infanzia alla senilità, eppure può sembrare che si tratti di una serie di “originali autoritratti” perché la mia personale impressione è che dietro ogni donna della sua famiglia la fotografa sia riuscita nel tentativo, più o meno consapevole, di cogliere anche qualcosa di se stessa.
La mostra fotografica di Ornella Mazzola “Females”, allestita presso la sede della Galleria @fiaf in via Giovanni Di Giovanni 14 a Palermo, sarà visitabile fino all’8 giugno dal lunedì al venerdì dalle 18.00 alle 20.30 (anche il Sabato e la Domenica su appuntamento). L'ingresso è libero.

© Andrea di Napoli

sabato 18 maggio 2024

Lectio di Franco Lannino all'ARVIS (Associazione Arti Visive) di Palermo



Quando ci siamo sentiti per concordare la data dell’incontro, ho proposto la scelta per uno dei venerdì del mese di maggio, lui ha optato per il venerdì 17 con inizio alle ore 17 circa, dando un calcio a qualunque tipo di scaramanzia. Anche perchè mi ha confidenzialmente detto che il 17 è un numero che lui predilige per tanti motivi (chi avrà modo di ascoltare il video dell'incontro avrà anche modo di capire) ...... in ogni caso, ho anche capito che avrebbe anche accettato di portare con sé pure un gatto nero, stante la sua nota predilezione per i felini.
Bando alle ciance, Franco Lannino, per chi non lo conoscesse ancora, è un personaggio a tutto tondo che non millanta e ha molto da dire.
In quanto spirito libero, oltre che trattare della sua professione, nei suoi convegni informa, intercalando considerazioni che inducono a riflettere su questioni spesso assai complesse che lo hanno visto protagonista attivo nel corso della sua lunga attività di fotoreporter.
Oserei financo affermare che ascoltarlo, al di la della particolare formula divulgativa irrompente che utilizza, poiché le sue argomentazioni sfiorano costantemente molte tematiche sociali, le sue performance inevitabilmente risvegliano le coscienze. Forse, chissà, un giorno qualcuno potrebbe anche accorgersi del possibile seguito che potrebbe raccogliere in politica, specie per l'empatia, la credibilità e la spontaneità potenzialemente spendibile che fanno un tutt’uno con la sua persona.
La settimana prima avevo avuto l’opportunità di assistere a una sua performance, con la presenza di oltre trecento studenti della facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Palermo, conclusasi con una vera e propria ovazione collettiva.
Sempre come un fiume in piena il Franco Lannino fotografo intervenuto all’ARVIS, rivolgendosi questa volta ad appassionati di fotografia, ha voluto variare l’indirizzo e, arricchendo i contenuti della sua lectio, ha raccontato tante sfaccettature della storia di un mestiere che richiede talento. Chi vorrà constatare potrà rendersene conto visionando il filmato che è stato realizzato durante l’appuntamento rientrante nel ciclo “incontro con l’autore”, portato avanti dall’associazione fotografica palermitana.
Lannino ha intercalato la sua narrazione mostrando alla platea una serie di macchine fotografiche, tra cui anche quella che è stata la sua prima macchinetta, regalatagli dalla "Zia Core" (Kodack instamatic 104) e che di fatto, una volta riscontrata una sua naturale predisposizione per la fotografia, ha indotto il fratello maggiore, Giuseppe, a introdurlo nell’ambiente professionale.
Fisicamente assente, perchè impedito da serie problematiche di salute, lo storico socio nell’agenzia “Studio Camera”, Michele Naccari, in quanto più volte citato nei tanti aneddoti e nei dietro le quinte lavorative, era da intendersi anche lui fra i partecipanti all’evento.
Molte delle fotografie proiettate durante l’incontro fanno oggi parte della mostra “Macelleria Palermo”, attualmente in giro in varie località italiane e che, nel prossimo autunno, tornerà ad essere esposta a Palermo, presso la Galleria Fiaf annessa all'Arvis (associazione Arti Visive). Della riuscitissima mostra ne hanno parlato nella stampa internazionale (vedi ad esempio l'articolo dedicato dal francese L'Humanitè).
Le tante cose, lucidamente narrate in oltre due ore di sostenuto monologo, hanno figurativamente anche costituito lo scorrere di un filmato di un lungometraggio che è riuscito a collegare felicemente le dinamiche di tanti accadimenti. Retroscena, stratagemmi confessati e sagaci commenti, hanno sonoramente arricchito il quadro di ogni fotogramma completando efficacemente il tutto.
Indistintamente, chi era fra i presenti ha potuto così rivivere la storia di quasi mezzo secolo della città di Palermo, dagli anni settanta fino ai giorni d’oggi, focalizzandone - fotograficamente parlando per l’appunto - i bianchi, i neri e tutte le sfumature visibili in ogni gradazione di grigio.
L’incontro ha fortemente coinvolto i presenti, che sono pure intervenuti con dei quesiti (in parte inglobati nel video) che hanno dimostrato l’interesse e il livello d’attenzione suscitato dal Lannino fotoreporter, testimone del tempo, opinionista e non solamente questo.
A dimostrazione della sua disponibilità, ci ha in ultimo confessato che, mentre ci stava intrattenendo, erano intanto in corso al Teatro Massimo le prove generali dell’opera “Tristan und Isolde” di Richard Wagner (la prima prevista per il 19 maggio, cioè solo due giorni dopo), cui avrebbe dovuto professionalmente presiedere e alle quali aveva rinunciato (con il subentro di un sostituto) per non venire meno all’impegno che aveva preso con noi dell’ARVIS (e direi che anche questo non era la dimostrazione di un comportamento infrequente, specie per chi si ritrova a ricoprire certi ruoli di prestigio).
Aggiungere dell'altro appare superfluo, specie se si ha intenzione di visionare la registrazione che risulta postata ed è disponibile su You Tube.
I contenuti del video, oltre a documentare l'avvenimento in questione, possono costituire fonte di spunto per tanti addetti al settore, anche per giornalisti affermati dediti ad approfondimenti sui fatti di mafia o per gli studenti e laureati che si accingono ad intraprendere attività mediatiche e di comunicazione in genere.
Durante la registrazione non potevano mancare le questioni e i tanti dubbi inerenti all'ormai famosa e mitica agenda rossa di Paolo Borsellino, con la borsa che la conteneva, "con prestidigitazione" scomparsa e ricomparsa nel luogo dell'attentato.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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Per chi dovesse trovare difficoltà per accedere al video, il link è: https://youtu.be/F6mZhjK7zeI?si=V2x7JlAikAD8LfSk

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mercoledì 15 maggio 2024

Preconcetti coltivati da molti sulle “Generazioni Zeta”



Si sente spesso parlare e in modo sbrigativo dei giovani e di un loro presunto disinteresse per il sociale e quant’altro. Chi esprime tali giudizi in realtà non ha quasi mai modo di verificare lo stato delle cose, avendo con loro contatti contaminati dalle divaricazioni generazionali che hanno sempre accompagnato le vicende del mondo. In questi giorni, avendo avuto modo di assistere all’evento “Professioni della comunicazione: il giornalismo”, organizzato dal Dipartimento Cultura e Società dell’Università di Palermo e rivolto agli studenti che frequentano il corso di Laurea in Scienze della comunicazione, ho tratto delle conclusioni completamente differenti.
Alla manifestazione intervenivano per intrattenere sulla “comunicazione del patrimonio culturale” diversi e conclamati esperti di settore: il giornalista freelance Giuliano Battiston, gli imprenditori digitali Virginia Gullotta e Luigi Pezzilli, il giornalista televisivo Gregorio Romeo e il fotoreporter Franco Lannino.
Ciascuno step del convegno, seguito e accompagnato dal silenzio assoluto degli allievi - assorti ad assorbire come spugne - e introdotto da Dario Mangano, è stato sapientemente coordinato dagli insegnanti dell’ateneo Clotilde Bertoni e Lorenzo Marchese.
Le argomentazioni trattate, tutte fortemente legate, oltre che agli specifici indirizzi di studio, a questioni di assoluta attualità sociale e politica non potevano non suscitare dibattito. Diverse domande poste dalla platea hanno, pertanto, consentito di approfondire molti aspetti, a chiedere lumi sulle singole differenti specificità professionali per chi si accingeva a percorrerle.
Nell’occasione ho avuto anche modo di appurare come la profondità dei quesiti posti, nei molti interventi, hanno prodotto risposte esaustive e molto interessanti anche per me che ormai appartengo a quella che suole definirsi come generazione dei “baby boomers”.
I relatori, oltre a parlare delle esperienze dirette, trattando argomenti di più ampio respiro hanno cercato di rassicurare subito la platea sul falso problema che si suole sempre più spesso sollevare riguardo ai rischi della IA.
Sostenendo anche quanto dovrebbe apparire ovvio, cioè che l’intelligenza artificiale è un processo che assembla, attingendo a varie fonti generalmente giacenti su maxi server e, quindi, da vivere come una opportunità di sintesi altamente tecnologica che pero' non potrà mai creare nulla di originale (se non utile per un confezionamento testuale o estetico-artistico). In quanto frutto di un processo informatico che attinge sempre, come detto, a qualcosa di definito ovvero preesistente, che qualcuno ha creato e fattivamente reso di pubblico dominio.
Gli imprenditori digitali hanno raccontato, per conto loro, la genesi e fornito interessanti informazioni sulle loro intraprese, dispensando consigli sul complesso processo mediatico etico, sul controllo e la ricerca di tematiche d'avanguardia o d'attualita.
Il giornalista televisivo ha raccontato il suo mestiere attraverso aneddoti e mostrando dei suoi servizi che gli avevano consentito di ascendere nell'impervia scalata professionale prescelta.
In tutti i casi è stato sottolineato che, specie per le caratteristiche del mondo mediatico moderno, ciascuno deve intraprendere la propria avventura professionale cercando di trovare il proprio percorso. Tenendo a mente che tutte le attività che si intraprendono sono utili perché consentono di aggiungere sempre nuove esperienze e predisponendosi sempre a eventuali possibili cambiamenti.
Come ciliegina sulla torta, l’evento scalettato a concludere, con un’ampia dissertazione, è stato l'intervento del fotografo Franco Lannino, introdotto nel convegno con un'ampia presentazione da Valentina Mignano. Il valente professionista dell’immagine palermitano ha raccontato con sagacia e ironia il suo mondo, quello della fotografia, collegandolo anche alle tecnologie esemplificate anche dalle diverse reflex esibite e che ne testimoniavano le storie.
Il suo ampio racconto della cronaca giornalistica di Palermo in immagini non ha escluso una serie di aneddoti, agganciandoli ai tanti personaggi che la professione gli ha consentito di conoscere.
Non poteva mancare la narrazione delle famose fotografie realizzate in occasione delle stragi di Falcone e Borsellino e del clima vissuto nel tempo dell'epopea mafiosa, pressochè sconosciuto ai tanti giovani che erano presenti.
Come detto, tante domande e questioni intelligenti poste dagli studenti, oltre a sollevare dubbi, chiedere consigli, hanno fatto affiorare molte considerazioni e anche critiche pertinenti che indurrebbero a rivedere in molti, quei preconcetti coltivati da tanti prevenuti sulle “Generazioni Zeta”.

Buona luce a tutti!


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domenica 5 maggio 2024

“We always return” di Nella Tarantino



Alla Galleria Fiaf – Arvis di Palermo, si è inaugurata la mostra “We always return”, dove sono esposte fotografie dell’architetto-fotografa napoletana Nella Tarantino.
Un insieme d’immagini, tutte rigorosamente in bianco e nero, che catturano e che, onestamente, comportano non poche difficoltà nel voler accingersi anche sinteticamente a raccontarla.
Le foto, che ammaliano, possono anche essere viste, infatti, come introduzioni a pensieri o, se si vuole, costituire spunti che inducono ad andare a leggere oltre; in quanto, rispetto alle apparenze palesate portano a sviluppare e tradurre autonomamente - e personalizzandoli - i tanti accenni concettuali introdotti.
Le stampe, che si esaltano per neri decisi spettacolarizzati da molteplici e delicate gradazioni di grigio, appaiono come dei simboli stenografici (o il desunto di una TAC cerebrale, se si preferisce) - delicati e intensi - che vanno a comporre una folta raccolta di poesie allegoriche, significanti e allusive.
Nel vernissage palermitano Giuseppe Cicozzetti, amministratore della nota pagina di Facebook “Scriptphotography” ha affiancato l’autrice durante la presentazione. Anche una sua prefazione figura fra quelle presenti nel pregevole libro realizzato da Grafica Metelliana per Areablu Edizioni (Un suo ampio commento sull’intera operazione figura pure nel social anzidetto curato da Cicozzetti).
Rispetto al libro, alcune nuove fotografie - che risultano introdotte nella mostra di Palermo - non mutano le cose e lasciano inalterata la formulazione di ogni giudizio.
A mio modo di vedere, le opere esposte portano quasi automaticamente anche a delle considerazioni scientifiche. Le foto esposte sembrano, infatti, corrispondere a una raccolta d’immagini selezionate secondo tracce desunte dalle distinte allocazioni celebrali dei ricordi.
Da un sito web si rileva, infatti, che “le nostre esperienze modificano le sinapsi (le connessioni fra neuroni) e queste alterazioni permanenti sono responsabili della memoria. In pratica, quando accade qualcosa che in futuro ricorderemo, si genera nel cervello un segnale elettrico che provoca variazioni chimiche e strutturali dei neuroni.”
In un altro sito si legge che “La memoria umana non è un’attività unitaria. Non è lecito, quindi, fare generalizzazioni; è più opportuno, invece, fare riferimento a particolari tipi di memoria ...... costituita da sistemi interconnessi e da strutture organizzate che fanno riferimento a diversi correlati neurali, cognitivi e comportamentali.”
In pratica, quindi, ogni volta che riesumiamo un ricordo accade che questo si manifesta attraverso il richiamo di tante informazioni sinottiche allocate in differenti sezioni del nostro cervello (è questa una delle cause che possono produrre anche ricostruzioni deficitarie per parti non più accessibili, rimosse o naturalmente scomparse, che possono procurare distorsioni nel corso della ricostruzione).
Il tutto è meglio comprensibile con la lettura di un resoconto scientifico a firma di Sara Ficocelli, “Ecco come si formano i ricordi - Il momento fermato da una foto“ (Scienze - La Repubblica), più completo rispetto ai temi inerenti all’argomento.
Corredandoli a quanto detto, i tre capitoli in cui è strutturata la mostra e il libro “We always return”, a mio modo di vedere, possono tranquillamente risultare associabili per analogia a tre ipotetiche differenti sezioni cerebrali.
La bellezza della mostra potrebbe pertanto essere accostata a degli unici pensieri/memorie smembrate, ovvero scrisse nei tre blocchi, che occorre ogni volta ricollegare per poter comporre un unico insieme.
Le composizioni poetiche di Nella Tarantino che, costituiscono un forte elemento saldante dell'intera operazione e intendono narrare a parole le sintesi schematiche di sensazioni, mi rafforzano nell'andare a sposare questa chiave di lettura.
Per chiudere, quindi, mi piace leggere la mostra e il libro ad essa collegato come un composito e articolato portfolio fotografico "esistenziale"; dove l’autrice si racconta attraverso una serie d’immagini trascendentali che tendono a fondere ricordi reali e visioni oniriche. In un’operazione complessa ma resa comprensibile e democratica, perchè in grado di offrire anche a ciascun osservatore una serie di specchi dove potersi lui stesso riflettere e così intravvedere, esumandole, le composite memorie che ci accompagnano.
In questa ottica, la poesia che introduce al terzo capitolo del libro (we always return, i am no longer afraid of dying) aiuta a vedere di più e oltre; per comprendere in maniera completa il combinato e poliedrico messaggio - testo/immagini - che ha felicemente realizzato la fotografa Nella Tarantino.
Anche i principianti avviati alla fotografia, nel visitare la mostra o solo sfogliando con attenzione le pagine del libro, avranno l'opportunità di ammirare opere che esemplificano pienamente ciò che di norma si suole intendere parlando di talento artistico, che - fortunatamente per noi - illumina e accompagna non pochi eletti.

Buona luce a tutti!


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giovedì 2 maggio 2024

“Mussolini il capobanda” di Aldo Cazzullo



Il mito di Benito Mussolini forse in moltissimi s’incentra su un'ignoranza della storia che lo riguarda e del contesto socio-politico che lo ha circondato; basato principalmente su slogan e sul sentito dire.
Al riguardo, l’operazione realizzata da Aldo Cazzullo, supportata da un’ampia e diversificata bibliografia (Scurati compreso), con il suo libro “Mussolini il capobanda” mette a punto un documentario letterario del personaggio e del suo tempo che merita d’essere conosciuto e letto molto attentamente.
Non ultimo consente d'intravvedere similitudini inequivocabili che richiamano alla mente famose ciclicità storiche vichiane e fatti d'oggi.
Le ondivaghe e opportunistiche posizioni politiche e l’assoluto egocentrismo sono ben descritte con fatti particolareggiati e circostanziati; così come il continuo sfruttamento di frustrazioni e paranoie di tutti coloro che lo hanno accompagnato nel ventennio e che hanno fortemente agevolato l’avventurosa repentina ascesa del regime fascista.
Nella vita, del resto, ogni contesto storico è conseguente anche alle combinazioni e alle alchimie determinate dal caso. Abbastanza risaputo è che la Marcia su Roma e l’avvento del partito fascista sono stati influenzati dal clima post bellico di inizio novecento che si respirava in Italia, dalla paura dell'alta borghesia per l'avvento del comunismo in Russia e, principalmente, dalla scarsa autorevolezza del Re d’Italia Vittorio Emanuele.
Dagli anni venti alla seconda guerra mondiale sono stati tanti i "Mussolini" capi di governo e, diversamente dalla famosa citazione andreottiana, finì che il potere venne a logorare chi ce l’ha.
L’imperdonabile peccato che ha sempre accompagnato il suo percorso, oltre alla progressiva autoesaltazione avvalorata dai classici servi sciocchi e dagli opportunisti di turno, è stato la costante violenza, esercitata/disposta/applicata in maniera diretta o per iniziative interposte di suoi cani sciolti.
Finito di leggere il volume non si potrà disconoscere la spregiudicatezza delle azioni e scelte operate del capo del fascismo che, per raggiungere il potere e poi mantenerlo, non ha risparmiato di utilizzare mezzi e di ricorrere all'ausilio di delinquenti naturali, del tutto privi di etica o morale.
“Mussolini il capobanda” edito dalla Mondadori nel 2022 (euro 19,00), che avevo acquistato a suo tempo, era riposto fra quelli messi da parte, per dare intanto precedenza ad altri generi. La superficialità dei media e le palesi manipolazioni storiche di molti protagonisti dell’attualità politica che stiamo vivendo, m'hanno indotto a riesumarlo dagli scaffali per trovare spunti e leggerlo quasi voracemente.
Dato per scontato che ogni lettura, a monte, deve essere sempre scevra da preconcetti e va accompagnata dall'onestà intellettuale necessaria, posso assicurare il potenziale acquirente sul fatto che il libro di Cazzullo è sufficientemente ricco di notizie. Il che consente di conoscere meglio la storia e comunque farsi una propria idea informata, non solo sul personaggio Mussolini, ma anche su coloro che hanno ricoperto altri ruoli in quel tempo. Governativi, neutrali indifferenti o d’opposizione.
Molto si viene a conoscere anche sulle vicende che hanno interessato gli ebrei di ogni nazione del continente.
Le conclusioni tratte dall’autore in merito al fascismo, all’antifascismo e all’afascismo oggi di moda, collegabili all’attualità politica e ai personaggi (noti intellettuali inclusi), risultano altrettanto interessanti per continuare con altri approfondimenti e procedere verso eventuali nuove ricerche.

Buona luce a tutti!


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mercoledì 1 maggio 2024

Antonino Cusumano è il direttore editoriale di “Dialoghi Mediterranei - periodico bimestrale dell'Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo”



Dialoghi Mediterranei - periodico bimestrale dell'Istituto Euroarabo di Mazara del Vallo” annovera una moltitudine di collaborazioni, variegate per diverse tematihe.
Nell'editoriale d'esordio del 2013 viene anche scritto che ..... "ci sono diverse ragioni perché una rivista di cultura vada in rete. La prima è che i costi per stamparla sono diventati proibitivi. Un’altra ragione è quella di ampliare la propria diffusione, restando indipendenti".
La sapiente selezione di Antonino Cusumano offre al pubblico - e in maniera gratuita – molti scritti e immagini fotografiche d’interesse e d’attualità che non hanno nulla da invidiare rispetto a quanto viene prodotto da riviste cartacee di analogo profilo.
Le collaborazioni, anch’esse gratuite, consentono pure di coprire argomenti d’ampio spettro e i vari contributi – prettamente originali - si collocano sempre su livelli culturali mediamente elevati.
Quanto fin qui pubblicato costituisce una foltissima raccolta di articoli che può tornare utile per conoscere o approfondire varie tematiche.
Pubblicare in questo portale può ben costituire una buona palestra anche per i più giovani che volessero intraprendere la carriera di scrittore o giornalista.
L’elaborazione che precede ogni uscita è di per sé un aprirsi al confronto, mettersi sempre alla prova, specie nel cercare di trovare argomenti che ingenerino interesse.
Peculiarità del portale è anche quello di accompagnare ogni articolo con una serie d’immagini che abbiano una certa attinenza con quanto viene trattato. Talvolta, per chi ha difficoltà nel produrre fotografie, si procede anche a un combinato tra due autori, uno impegnato nella preparazione del testo e l’altro per conferire il correlato supporto visivo.
Gli autori che volessero proporsi per una collaborazione, troveranno le istruzioni per contattare la redazione e concordare ogni cosa.
Per chi invece volesse solo provare, magari per il piacere di mantenere o stimolare l’attività delle proprie sinapsi, basterà scrivere una email a dm@istitutoeuroarabo.it

Buona luce a tutti!


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P.S. - Nel numero del 1^ maggio, tra gli altri:
- Nino Giaramidaro https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/le-citta-del-mondo/
- Carlo Baiamonte https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/writing-pratiche-di-riscrittura-urbana-a-palermo-2/
- Lorenzo Ingrasciotta https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/tutta-la-vita-in-un-ritratto/
- Annamaria Clemente https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/il-corpo-narrante-di-bella-baxter/

domenica 28 aprile 2024

Palermo è Bella!



Mi torna spesso in mente la considerazione di come spesso la scrittura ha un "potere liberatorio" insostituibile. Oltre a far manifestare le proprie idee, induce a riflettere e a riorganizzare i pensieri. Lo scrivere, quindi, non è solo esprimere pareri, considerazioni, impressioni, ma è anche un condensato di tutto quello che induce a formulare con testi il proprio modo di essere, senza fronzoli o barriere.
Seguendo l'istinto l'amica Raffaella mi ha inviato un suo scritto che è una bella sintesi del suo approccio con la mia Palermo. Al di là delle considerazioni positive, il suo articolo esterna le impressioni che hanno manifestato a parole anche altri amici che sono venuti per la prima volta e che hanno scoperto pregi e difetti dei luoghi.
Per questo motivo, ricevuto il consenso di Raffaella, mi piace condividerlo con una foto da lei scattata al mercato più popolare di Ballarò.

Buona luce a tutti!


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"Palermo è Bella! Sono partita per Palermo con il desiderio di sospendere la routine, godermi alcuni giorni di relax con gli amici e, soprattutto, di vivere senza filtri, a mente aperta, una città che stavo riconsiderando.
A differenza delle passate uscite in altre città, questa volta non mi sono documentata su quello che doveva essere visitato, cosa non potevo assolutamente perdermi e nemmeno mi sono informata su cosa mi sarei dovuta aspettare. La mia preparazione si è limitata, quindi, alla predisposizione del kit fotografico perché a detta di tutti “Palermo offre molti spunti” ed a preparare mente e cuore in quanto: curiosità, desiderio di carpire e vivere senza pregiudizi le persone, i luoghi e gli eventi sarebbero stati, in assoluto, gli strumenti che mi avrebbero dovuto accompagnare in questa escursione.
Così, sono partita alla volta di Palermo con mente e cuore aperto, disposta ad ascoltare e vivere le emozioni che la “città” mi avrebbe regalato, fossero state positive o negative.
Palermo per me, finché non l’ho vissuta, era solo una località intangibile che la mia mente visualizzava, seppur di rado, attraverso il susseguirsi randomico d’immagini di cronaca; assorbite dai telegiornali, nonché d’immagini fantasiose stereotipate.
Non so dire perché Palermo, descritta dagli amici come “bella”, non avesse mai suscitato prima in me la curiosità di scoprirla o perché avessi lasciato che la mia mente si limitasse ad identificarla come un’icona della malavita, come se altro non potesse essere, e relegarla in qualche angolo nascosto per dimenticarla.
Questa curiosità mi è nata recentemente, stimolata dal confronto avuto nell’ultimo biennio con alcuni giovani ex-colleghi palermitani che, nostalgicamente, ne esaltavano il centro storico, la vita notturna, il mare e la cucina. Contemporaneamente gli scatti fotografici di nuovi amici fornivano alla mia mente “immagini” diverse da quelle che avevo catalogato nella memoria: immagini di cultura, vita comunitaria, tradizioni religiose, street art, acuendo un interesse per la città, rendendomi conto di quanto non la conoscessi.
Ora ringrazio chi ha contribuito a smantellare, poco a poco, l’icona sfalsata che mi ero costruita della città ed a rimuovere gli stereotipi assimilati, che ha ingenerato, per l’appunto, la curiosità ed il desiderio di conoscerla e viverla personalmente.
Atterrati in Sicilia, durante lo spostamento dall’aeroporto alla città passando nel punto in cui il 23 maggio 1992 si consumò, per mano di cosa nostra, la strage di Capaci, dove persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti della sua scorta, l’eccitazione che mi accompagnava dalla partenza si è per un poco assopita per lasciare spazio al silenzio.
Tutti i ricordi che conservavo di questo drammatico evento, immagini e servizi di cronaca, con il passare del tempo avevano perso quella loro carica emotiva che lì è riesplosa, probabilmente a causa dell’annullamento della distanza. Passare dai luoghi mi ha provocato una reazione inaspettata, infatti, l’impatto è stato forte e tutto è tornato in superficie suscitando un rincorrersi di pensieri, il cui focus erano ipotesi di paura e d’impotenza, provate da chi subiva sulla propria pelle la mafia.
Devo ammettere che da quel momento il mio stato d’animo è cambiato, la mia mente si è spogliata di tutto ciò che lì non mi sarebbe servito, pregiudizi compresi; si è creato il vuoto tra me la mia quotidianità. Fantastico, senza rendermene conto, mi sono trovata in un atteggiamento di totale apertura al nuovo, predisposta e concentrata alla ricezione e all’ascolto.
L’arrivo a Palermo città mi ha lasciata, quindi, pressoché indifferente. Infatti, la periferia non aveva nulla di particolarmente diverso dalle periferie di qualsivoglia città, ma poi, mano a mano che ci si avvicinava al centro, attraverso un labirinto di strade sempre più strette, piazzette e vicoli il mio stupore è stato un crescendo, perché mai avevo visto una realtà cosi.
A questo punto, nel primo impatto, l’aggettivo “bella” che avevo sentito ripetutamente attribuire alla città io proprio non riuscivo a capirlo. Quello che sino a quel momento mi si era presentato era particolarmente trasandato, sporco e in un totale decadimento, ben lontano dai canoni di ordine e cura a cui sono sempre stata abituata. Per non parlare della mancanza di distanze, a garanzia della propria privacy, tra edifici che, disegnando vicoli così stretti, presentavano balconi che consentivano l’ascolto di ogni conversazione tra dirimpettai, senza dover minimamente aumentare l’attenzione per sapere, ad esempio, cosà il vicino avrebbe mangiato a pranzo, il tutto senza necessità di chiedere.
Questo è quanto avevo recepito dall’aeroporto alla sistemazione nell’appartamento in cui avremmo soggiornato e, conseguentemente, nulla mi faceva associare a Palermo l’aggettivo “bella”. È vero, ancora non avevo visto le sue opere d’arte, piazza della Vergogna con la sua fontana (spettacolare, se ci fosse l’acqua, forse, ancora di più), la ricca e turistica via Maqueda o altro ma ho sempre pensato che per definire una città “bella” non bastano le sole opere d’arte.
Solo successivamente, camminando in silenzio in mezzo a quei vicoli così rumorosi (vuoi perché pieni di vita o vuoi perché i loro muri riportato messaggi, gridati o sussurrati, alla città che probabilmente solo il tempo azzittirà), lasciandomi trasportare dalle emozioni, ho cominciato ad interrogarmi sul concetto di “bella”. Perché, a mio avviso, questo aggettivo, molto gettonato, dice tutto e dice nulla ed ho cominciato ad attribuirgli un valore che andava oltre la sola estetica.
Sarei rimasta ore nei mercati di Ballarò, del Capo e della Vucciria, rapita dall’atmosfera vivace che mi circondava, colpita dall’energia di chi ci lavorava e dalle loro urla lanciate per attrarre gli avventori; dalla musica e dall’allegria, dalla presenza multietnica, di qua e di là dei banchi, dalla cortesia e tolleranza da parte di tutti, in particolar modo di chi, con naturalezza, si spostava per dare spazio ai motorini che, contro ogni senso logico (ovviamente il mio senso logico), transitavano “educatamente” in mezzo ai frequentatori dei mercati, dove già a piedi si faticava a passare ed ancora dai banchi di pesce dall’odore di mare, dai fumi delle griglie, dai colori e gli odori delle merci esposte, dalle conversazioni siano esse soltanto ascoltate o avute.
Inoltre, girando per alcuni vicoli e visitando il mercato dell’usato ho respirato tristezza, generata dalla visione della povertà che lì era particolarmente palpabile; allo stesso tempo però, ho visto solo visi che lasciavano trasparire dignità.
Anche per me Palermo è quindi “Bella!” e lo è non perché città curata, pulita, ricca di monumenti, palazzi storici tenuti come bomboniere, urbanizzata a modo con case e palazzi ordinati secondo i canoni con cui normalmente si valuta una città ma perché, se così facessi, direi che Palermo sarebbe veramente brutta e invivibile.
Senza accorgermene, ho cambiato i miei parametri di valutazione ed ora posso asserire che Palermo per me è veramente “Bella!” E lo è perché mi ha rapita, perché mi ha portata a pensare fuori dagli schemi che conoscevo, permettendomi di apprendere cose che, se non le avessi viste, se non le avessi respirate, non le avrei capite.
Palermo per me è “Bella!” E lo è perché mi ha fatta sentire particolarmente viva.
Raffaella Tava (Aprile 2024)"

giovedì 25 aprile 2024

"4 X 9" - Riflessioni e Considerazioni conclusive



Lunedì 22 aprile ha avuto termine il periodo espositivo della collettiva di fotografie in bianco e nero “4 x 9”.
Visite di una scolaresca intrigata e positivi commenti di qualificati addetti ai lavori hanno fortunatamente decretato la riuscita dell’iniziativa che, per molti aspetti, si proponeva anche di far discutere nel presentare un nuovo percorso d’allestimento per una mostra.
L’aspetto che ha maggiormente caratterizzante del “4 x 9” è comunque stata la genesi.
Luigi Pirandello nello scrivere “Sei personaggi in cerca d’autore” racconta di un autore che sostanzialmente rifiuta la rappresentazione dei sei personaggi da lui stesso concepiti. Nel nostro caso Giusy, Salvo, Gregorio e il sottoscritto, non abbiamo mai avuto dubbi e men che meno ripensamenti sull’idea della mostra fotografica che è stata allestita; fin dall’origine immaginata e poi realizzata come un’operazione atipica, per il suo iter sostanzialmente capovolto.
In un ambiente artistico, come a tutti noto, generalmente incentrato nell’autoincensamento e nel culto dell’ego, l’operazione dei quattro fotoamatori creatori del “4 x 9” nasceva da un rapporto paritario che puntasse alla qualità e dalla voglia di voler sperimentare una nuova sintesi nella preparazione di una collettiva. Ricercando anche omogeneità nelle nove quartine pensate e nella stessa strutturazione dell’evento espositivo.
L’unica certezza in fase progettuale era stata, infatti e per tutti, quella di proporre un prodotto artistico pienamente condiviso; che contemplasse una miscellanea di proposte non immediatamente individuabili riguardo agli autori.
Per dire meglio, l’intento era anche quello di venire a presentare delle immagini che riuscissero anche a confondere i profili noti e peculiari dei singoli quattro autori.
Lo spazio espositivo era stato da tempo fissato dai due associati all”ARVIS, senza che gli altri avessero conoscenza del loro coinvolgimento. Una volta accolta la proposta e definito il timing, fin da subito la domanda comune era stata: “ma cosa dovremmo esporre, che tipo di foto, quale tema?”
L’articolo pubblicato sul sito Economia & Finanza Verde descrive gli aspetti della mostra e lascia, ovviamente, anche intendere l’intesa di gruppo indispensabile e necessaria per poter procedere e realizzare un progetto dal risultato preventivamente incerto: sia come valenza, che nella fattibilità pratica.
In conclusione è da dire che per Giusy Tarantino si trattava della sua prima mostra. Al riguardo mi preme sottolineare come la naturale tensione e il suo entusiasmo hanno certamente costituito gli elementi aggiuntivi e gli apporti non secondari che hanno determinato l’attenzione nella cura di ogni dettaglio per avere come obiettivo la qualità, sempre indispensabile per conseguire un buon risultato.

Buona luce a tutti!


© ESSEC

martedì 23 aprile 2024

La Politica italiana cinque anni dopo e ..... l'Aventino

Uno scritto del settembre 2019 sviluppava un'analisi sulla situazione politica italiana, nel mentre che era in carica il tanto discusso governo gialloverde (https://laquartadimensionescritti.blogspot.com/2019/08/analisi_9.html).
A distanza di quasi cinque anni, parte di coloro che erano all'opposizione sono tornati a ricompattarsi con la Lega e insieme governano, ma non sembrano molto cambiate le questioni d'allora, nonostante i rimescolamenti di casacche e dei colori in campo.
La politica italiota, anche a causa del crescente astensionismo, con la sua classe dirigente continua a rispecchiare sempre piu' i profili e gli aspetti patologici che l'attanaglia; purtroppo sempre piu' lontana dal vivere quotidiano comune e dalle necessita' della gente.
Storicamente la "secessione dell'Aventino" fu un atto di protesta attuato a partire dal 27 giugno 1924 dalla Camera dei deputati del Regno d'Italia nei confronti del governo Mussolini, in seguito all'uccisione di Giacomo Matteotti avvenuta il 10 giugno dello stesso anno.
Oggi l'Aventino e' praticato in maniera soft a monte, in ogni appuntamento elettorale; direttamente da fasce degli stessi cittadini che protestano senza delegare e che, con la progressiva rinuncia al diritto di voto e, conseguenzialmente, astenendosi dal partecipare alle scelte sociali/politiche - in ogni caso - si pongono passivi e subiscono ..... aspettando Godot.

Buona luce a tutti!


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sabato 20 aprile 2024

"Enigma Palermo"



Forse a suo tempo non sarà stato originalissimo, ma l’allestimento che fu scelto in occasione della mostra "anthologia" di Letizia Battaglia, organizzata nel 2016 allo ZAC dei Cantieri culturali alla Zisa di Palermo per festeggiare il suo compleanno, risultatò certamente efficace.
Le fotografie erano presentate come una serie di fotogrammi dove, ogni immagine sospesa tendeva a rappresentare, isolandola visivamente, una singola storia che, nell’insieme, si andava a raccordare in un racconto unico.
La strutturazione del libro “Enigma Palermo - La politica, la paura, il futuro. Storia di una città e del suo sindaco”, recentemente pubblicato dalla Rizzoli, in cui la giornalista tedesca Costance Reuscher intervista Leoluca Orlando, sembrerebbe voler perseguire, metaforicamente, un allestimento similare, ovviamente in chiave letteraria.
I tanti capitoli del libro, infatti, nell’illustrare scritti apparentemente indipendenti, costituendo nell’insieme un unico racconto, si raccordano in una narrazione interattiva che, per taluni aspetti, riporta a una esposizione assai analoga a quella seguita nella mostra di Letizia.
Ogni blocco testuale costituisce anche qui un tassello diversamente colorato di un complesso disegno, che delinea capitoli dello sfaccettato vissuto “antologico” di Leoluca Orlando, almeno per quanto già definito. Comunque ancora non completo, in quanto oggi proiettato verso un’ennesima avventura che lo vede impegnato, come candidato AVS, alle prossime elezioni europee di giugno.
Nella serie di domande e risposte viene ripercorso l’intero iter di Leoluca Orlando, come uomo e nel ruolo ripetutamente esercitato di sindaco di Palermo.
Chi ne avrà voglia, potrà anche leggere i vari punti che uniti fanno da filo conduttore nella sua avventura e apprendere i retroscena di tante scelte (talvolta apparentemente imprevedibili) di un percorso che egli stesso indica come ricerche di soluzioni per quello che per lui permane la sua Palermo: un “enigma".
Negli ampi periodi che hanno caratterizzato le varie sindacature - e che hanno contemplato anche ruoli parlamentari (in Italia e in Europa) – sono molte le fotografie che congelano gli atti espletati dal politico Leoluca Orlando durante i suoi mandati.
Senza sconti o accondiscendenze, nel libro le domande di Costance Reuscher toccano le tante questioni con acutezza. Le risposte rese da Leoluca Orlando, che raramente sfuggono ai quesiti diretti, ricostruiscono il suo impegno della sua storia politica, collegata alle scelte antimafia – spesso inaspettate e controcorrente - nella amministrazione della sua Città di Palermo.
Il libro, indipendentemente da come la si pensi, aiuta a riannodare fatti e circostanze che inducono a riflettere sulla storia recente e magari a rivedere i giudizi su tanti eventi e alcuni personaggi.
Scelte classificate come coraggiose o apparentemente avventate, nelle risposte di Orlando evidenziano coerenze o fedeltà a principi e ideali.
In ogni caso l’ampia narrazione talvolta ravviva avvenimenti dimenticati che, riesumati nelle ampie narrazioni e visti al tempo d’oggi, possono tornare utili per rielaborare precedenti considerazioni.
I fatti salienti che riguardano tutti i settantasette anni di Leoluca Orlando sono radiografati e visionati attraverso ingrandimenti che mettono a fuoco dettagli e anche aneddoti familiari intimi poco noti.
Si va dall’Orlando bambino, al giovane studente che ha frequentato il Gonzaga. Per poi passare alle esperienze universitarie, alle specialistiche svolte all’estero, all’impegno didattico, all’esperienza Mattarella (Piersanti), all’impegno politico, alle diverse vicissitudini collegate all’ingresso e all'uscita dalla DC, alla nascita del movimento della Rete, al costante impegno antimafia col pallino fisso di voler risolvere il suo "Enigma" Palermo.
Lungo il suo racconto si allineano tantissimi personaggi di diversi ambienti, che hanno rappresentato figure positive o negative, risultate pure fondamentali in alcune delle sue più importanti scelte.
Molti oggi sono coloro che criticano e sentenziano giudizi su di lui, disattendendo anche minimi doveri di gratitudine per i tanti atti coraggiosi che hanno generato vantaggi e benefici pubblici.
Certamente Orlando politico, nelle tante stagioni, ha rappresentato tanti ruoli; come pure inevitabilmente avrà commesso degli errori ma, come dice il detto palermitano "cu mancia fa muddica" (per dire che anche nell'attività primaria dell'alimentarsi, spezzando il pane, non si puo' fare a meno di disperdere molliche).
Del resto è risaputo che ogni scelta, specie in politica, determina talvolta risultati che sono frutto di compromessi e, quindi, non tutti possono sempre trovarsi contenti per le decisini finali che vengono prese.
“Enigma Palermo” edito da Rizzoli nel 2023 (pagg. 288 e dal costo di 19 euro) potrà risultare molto utile per conoscere il complesso personaggio Leoluca Orlando e quasi indispensabile per apprendere gli elementi necessari a poter valutare le ragioni di un percorso che ha spesso contemplato tante atipiche prese di posizione e singolari scelte di campo.

Buona luce a tutti!


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domenica 14 aprile 2024

D'Eroi di mafia e altri ancora



La storia è beffarda perchè viene scritta e tramandata dagli uomini.
Se anche necessita della sedimentazione del tempo nell'essere narrata, infatti, è filtrata da storici non onniscienti che si rivelano molto spesso prevenuti o di parte.
Al di là di quanto riportato dalle cronache, sono tanti i misteri e le nebbie che avvolgono anche molti altri personaggi, anch'essi meritevoli d’essere ricordati; ma o perchè operanti nell’ombra, o per il fatto di non essere mai assurti alle cronache, che rimangono trascurati o, ancor peggio, tristemente derubricati e dimenticati.
La storia deriva da culture politiche indipendenti da ogni etica. Eventi e personaggi ne diventano i protagonisti, spesso in funzione non tanto da nobili propositi ma per i risultati conseguiti e dall’aver inciso sulle vicende del loro tempo.
Negli anni che stiamo vivendo c’è molta confusione e chi non si ritrova con delle basi solide è portato, non solamente a fluttuare ma ad adeguarsi nel seguire il vento e a cavalcare l’onda che possa più avvantaggiare.
Del resto, in assenza di riferimenti ideologici o di chiare stelle polari, l’organizzazione sociale non facilita l’orientamento.
Un sistema ereditario oligarchico colloca i cittadini fin dalla nascita, con privilegi e condanne spesso legate al caso; costituito da discendenze, ubicazioni, opportunità e che si tramandano senza alcun particolare merito.
Il DNA d'origine ha certamente anch’esso la sua influenza ma, se è vero che i bastardi spiccano per intelligenza, diseredati e emarginati del mondo non hanno alcuna colpa nel ritrovarsi collocati fra i dannati della terra fin dalla nascita.
Meritocrazie e ascensori sociali nascono quasi sempre da necessità contingenti e, anche se i periodi post bellici stimolano di più, sono i cambiamenti per alternanze politiche i presupposti che spesso determinano nuove opportunità per chi prima rimaneva escluso.
In ogni realtà e tempo c’è sempre chi tende a consolidare privilegi e a frammentare caste attraverso leggi modificate, quasi sempre seguendo logiche di appartenenza; facendo anche in modo che, quello che prima legalmente era definibile fuorilegge, possa perfino diventare non più perseguibile come un reato.
Negli anni, di fatto, vengono a mutare le regole di convivenza, consolidando vantaggi non sempre consoni a obiettivi e criteri di giustizia. Lobby, categorie, generazioni e territori rimodulano in continuazione – e frequentemente sottotraccia - le realtà per poter aumentare e proteggere discrezionalità e differenze.
Una volta, nelle monarchie, erano solo i reali i predestinati legittimati al potere, oggi, in una democrazia declamata a parole, il ripristino della lunga catena feudale dispensa livelli di privilegio a una pletorica filiera di principi, vassalli e valvassori, di vari colori e sfumature; partecipanti tutti ai convivi, con frammentate porzioni di potere personalizzata e ad ognuno spettante quanto basta. Secondo schemi che comunque contemplino subordinazioni progressive, fedeltà e obbedienze.
Ognuno si colloca pertanto in un gradino differente, per legittimare e mantenere il sussistere di gerarchie e classi. Con l'illusorietà offerta al nugolo dei sudditi, costituenti il “popolo” e posti in fondo alla catena, d’essere destinatari di potenziali e nobili poteri costituzionali nell'essere periodicamente richiamati a esprimere delle scelte, in occasione degli appuntamenti elettivi; che, in assenza di opportune vigilanze e la compiacenza di tanti, sono intanto artatamente resi quasi vuoti.
Gli schemi ideologici che prima erano chiari così si appannano. Comunisti, fascisti, monarchici, socialisti, liberali e quant’altri, che prima erano identificabili si trasformano e s’annacquano, ammorbidendosi e rendendo altresì permeabili/contaminabili i rispettivi confini.
Per tornare al concetto del titolo, tutto ciò che si pone a ostacolo, in un sempre più dilagante consociativismo borghese, quindi, necessita d’essere rimosso, affinché “tutto cambi, perchè nulla cambi”. Per consentire al volano, che alimenta il perpetuarsi dei cicli e ricicli storici, di continuare a girare succede anche che un naturale filtro determini nascite d'anticorpi d’oracoli e di eroi. Così come collateralmente pure si succedono delle riscritture periodiche della storia, ogni volta revisionata e avallata dalla cultura dominante corrispondente al tempo.
In questo, seppur tutti quanti proiettati a raggiungere il potere, mentre il pragmatismo degli schieramenti di destra si compattano sempre in visioni unitarie miranti al governo; gli altri, affetti da virus inestinguibili, si perdono in distinguo, politicamente dannosi oltre che inconcludenti.
Con l’aggravante che accomuna tutte le parti nel voler costantemente ricercare responsabilità in capo agli altri, colpevoli di non pensarla mai come loro.
La politica, quindi, appare sempre più impegnata a ciarlare, magari per dissertare su questioni lontane dai reali problematiche percepite dalla gente, ovvero dalle rispettive basi elettorali di riferimento (indipendentemente dal posizionamento).
“Una volta Atticus mi aveva detto: non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di metterti nei suoi panni, se non cerchi di vedere le cose dal suo punto di vista; ebbene, io quella notte capii quello che voleva dire. Adesso che il buio non ci faceva più paura avremmo potuto oltrepassare la siepe che ci divideva dalla casa dei Radley e guardare la città e le cose dalla loro veranda. Accadde tutto in una notte, la più lunga, più terribile e insieme la più bella di tutta la mia vita.”
È un brano tratto dal film “Il buio oltre la siepe” che ho ricevuto da un’amica e che in qualche modo può trovare attinenza nel complicato rebus che, nell'arte specificatamente, ogni volta si crea tra autore e chi osserva e poi valuta.
Nel voler dire, nel tentativo di far capire dell'uno, combinato alla lettura/critica di chi è invitato/chiamato a interpretare quanto ogni volta viene proposto.
Ovviamente gli stessi ruoli sono attribuibili a quanto attiene al campo e alle varie funzioni differenti, di governo e opposizione, di gestione e controllo, presenti nel complesso insieme della politica attiva.

Buona luce a tutti!


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venerdì 12 aprile 2024

“Dazzling Shadows” (ombre abbaglianti) di Keja Ho Kramer & Joe Schievano



All’ARVIS oggi è stato proiettato in anteprima il cortometraggio “Dazzling Shadows” (ombre abbaglianti) realizzato da Keja Ho Kramer & Joe Schievano, che parteciperà alla prossima rassegna di film indipendenti “Cadavre Exquis”.
Il video, prendendo spunto dalla "Teoria dei colori" di Wolfgang Goethe, si propone di affrontare un argomento non facile riguardante la percezione umana del colore, con una ricerca che intende tradurre con un risultato visivo il trattato letterario del poliedrico autore tedesco.
Per Keja Ho Kramer l’operazione costituisce la prosecuzione di un tema che era stato oggetto di una sua indagine durante il periodo del Covid, peraltro condotta a Palermo, e con già alcune sue foto pure esposte in una mostra collettiva (Fondazione Barbaro - Palazzo Trinacria).
L’approfondimento della ricerca sperimentale, oltre ad arricchirsi di nuove immagini, ha voluto accompagnare la proposta visiva con una riuscitissima originale componente sonora apportata e appositamente studiata da Joe Schievano.
L’incontro fra le due componenti artistiche ha generato un prodotto unico dove fotografia, musica e, in qualche punto, effetti speciali si sono fusi, rafforzandosi vicendevolmente nel risultato finale. Così si è venuto a generare, piuttosto che forse, un prodotto che certamente è andato ben oltre il proposito iniziale ispirato alla Teoria di Goethe.
Ne è derivato, infatti, un messaggio intimo e completo che coinvolge emotivamente, per le dosate varie componenti che ne accompagnano la visione.
In questi casi è difficile descrivere a parole la sintesi di un insieme assai complesso.
Ogni creativo, specie se impegnato in continue ricerche ed esperimenti, ha sempre dei suoi messaggi che intende veicolare. Rimane quindi agli altri osservare, leggere e infine maturare le proprie impressioni.
L’articolo del Giornale di Sicilia pubblicato sul web fornisce più dettagli sul cortometraggio e sui due autori.

Buona luce a tutti!


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domenica 7 aprile 2024

"Centro internazionale di fotografia", un polo d'eccellenza che appare avviato al declino



Ci sono circostanze in cui mancano le parole per esprimere le proprie sensazioni.
Oggi, durante uno dei soliti giri per la città, ritrovandosi al Centro Internazionale di Fotografia, con la curiosità di vedere se nel sito era allestita qualche bella mostra, la realtà è apparsa desolante.
A prescindere da ogni schieramento o appartenenza, la stupidità locale si manifesta quasi sempre e soprattutto nel voler sopprimere le idee altrui piuttosto che svilupparne di nuove.
Non è preso mai in giusta considerazione l’intento di mantenere un dibattito critico, anche attraverso proposte che potrebbero collocarsi su posizioni ideologiche differenti, financo diametralmente opposte.
Nella Città di Palermo, politicamente, l’unico punto che accomuna tutti gli schieramenti è forse la declamazione del Sindaco di turno fatta al Festino: “Viva Palermo e Santa Rosalia”. Un’affermazione da tifoseria abbastanza vacua e spesso inconcludente rispetto alle necessità reali.
Nel Centro Internazionale, nato nel 2017 e fortemente voluto da Letizia Battaglia, sono passate in questi anni tante mostre e importanti autori che hanno regalato alla comunità opportunità culturali, facendo assurgere il capoluogo siciliano a un centro d’eccellenza, con iniziative e proposte che in ogni caso hanno salvato Palermo dal suo ciclico e atavico provincialismo.
Per come sembrano avviarsi le cose, evidentemente le passate esperienze continuano a non essere d’insegnamento, neanche all’attuale amministrazione, che sembra anch'essa indirizzata a concentrarsi per andare a oscurare idee che, a loro vedere, risultino non omogenee e al proprio modus vivendi.
In questo, alcune delle location risanate dei Cantieri Culturali alla Zisa continuano a essere considerate come dei “covi anarchico-sinistrorsi”, quasi delle insopportabili pagliuzze fastidiose, e con nessuna possibilità di poter essere vissute come dei valori aggiunti, ovvero come strutture utili ad offrire, nel caso, opportunità per argomentazioni differenti, con visioni orientabili su confini diversi.
Circolando per i padiglioni, desolante oggi appare la percezione del senso di abbandono che si respira in modo palese, in un centro che dovrebbe essere di cultura ma che sembra inesorabilmente avviato – e ancora una volta nell’indifferenza dei molti - all’assoluta inutilità di scopo, quindi culturalmente da abbandonare o non rendere frequentabile come luogo d’eccellenze.
Il provincialismo cittadino ancora una volta prevale, rispettando le logiche di appartenenza, delle amicizie, dei clan e delle raccomandazioni. Nulla di nuovo sotto il sole, è lo specchio della nostra società, pertanto: “Viva Palermo e Santa Rosalia”.
In conclusione si torna su quella stupidità atavica che non ha mai una specificità particolare nei colori politici in cui si nasconde e che, da sempre, attraversa tutte le fazioni. Con un piattume che preclude aperture e che trova fastidiosi e quasi intollerabili ogni forma che alimenti dibattiti o contrapposizioni.
Sintomatico appare il neon spento, perchè la luce non illumina più l'angolo libreria, la postazione in cui Letizia era d'uso intrattenersi con chi l'andava a trovare.

Buona luce a tutti!


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Monte Pellegrino visto dalla borgata di Acqua dei Corsari

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