«Il motivo può essere uno soltanto», dissi al professor Pastorino. «Scano non aveva nessuna intenzione di partecipare alla nuova iniziativa di Bonelli. E non per sfiducia verso l'impresa in sé. Sono sicuro che ne comprendeva l'importanza e soprattutto la ragione profonda. Quella di non lasciar inghiottire dal buio una tragedia politica e umana che era stata anche la sua.» «Ma la ricerca, come abbiamo visto, non appariva per niente gradita ai piani alti delle Botteghe Oscure. Certo, esisteva, così sembra, un generico avallo di Berlinguer. Però il silenzio che la direzione del Pci aveva opposto alle lettere di Bonelli aveva un solo significato: sulla guerra fra Stalin e Tito, e sulla parte che vi avevano avuto i comunisti italiani, bisognava piazzarci una pietra sopra. E di quelle robuste. Una pietra tombale.» «Mi pare che la sua deduzione sia sensata», convenne Pastorino. «Scano si era reso conto di questo. E forse era stato anche messo sull'avviso da qualche compagno. Così decise di defilarsi.» «Sì. Proviamo a metterci nei suoi panni. Scano era legato a Bonelli. Sapeva di dovergli molto. E ricordava che era stato il solo a mandargli qualche aiuto a Fiume, dopo la fine della deportazione all'Isola del Male. Negli anni Sessanta si erano visti più volte, ad Alessandria e forse anche a Novi. L'ho saputo dalla vedova di Bonelli, la signora Favorita. Lei ricorda Scano così: piccoletto, claudicante, malandato, e soprattutto ancora choccato, spaventato, non soltanto da quel che aveva passato in Jugoslavia, ma dalle grandi difficoltà incontrate per rientrare nel partito e ottenere un lavoro.» «Poi, in un certo anno che la signora Bonelli non riesce a rammentare, Scano mutò atteggiamento. Non intendeva vedere più nessuno dei vecchi compagni di Fiume. E non voleva più parlare con Bonelli di quella storia. Anzi, rifiutava persino di incontrarlo. 'L'avevamo invitato a venirci a trovare a Milano', racconta sempre la signora Favorita, 'però lui non si fece mai vedere.'» «La conclusione della signora Bonelli», continuai, «è anche la mia. Scano,'ma non soltanto lui, aveva paura di raccontare della Jugoslavia. Se lavoravi per il partito, rischiavi di perdere il posto, dice sempre la signora. E con il posto perdevi i compagni, gli amici: insomma, non campavi più. Bonelli non aveva di questi problemi, perché si era tirato fuori dal Pci anni prima. Ma Scano sì. Possiamo dargli torto? Con quello che aveva sofferto», conclusi, «non mi sento di buttargli la croce addosso.» Pastorino sospirò: «La sua ipotesi mi convince. E le dirò di più. Ho avuto modo di leggere alcune lettere di Bonelli a Scano. Risalgono tutte al momento in cui l'uomo di Fiume aveva deciso di iniziare la ricerca sui cominformisti che si erano battuti contro Tito. Ossia all'estate del 1976, qualche mese prima di ricevere l'incarico della Fondazione Feltrinelli. Nella loro successione temporale, questi scritti, che Bonelli aveva conservato in copia com'era abituato a fare, servono a chiarire il tormento di Scano e la ragione della sua fuga dall'amico. Anzi, vorrei dire un nuovo tormento, che si aggiungeva ai tanti già vissuti da lui». «La prima lettera è del 14 giugno 1976. Bonelli scrisse a Scano da Milano. Esagerando, gli annunciò, o gli ricordò, che il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, aveva deciso che si scrivesse la storia del Cominform. Poi continuò: 'La vera storia del Cominform dobbiamo farla noi. E visto che tu sei stato l'organizzatore della prima cellula di Fiume e quello che ne sa di più, ti mando le mie schede affinchè tu possa leggerle e valutarle'.» «Ma Scano non si fece vivo con Bonelli», continuò il professore. «Tanto che lui, qualche settimana dopo, l'8 luglio 1976, gli scrisse di nuovo, chiedendogli: perché non mi rispondi? In questa lettera, Bonelli gli raccontava anche della propria famiglia, della scomparsa della prima moglie e del matrimonio con Favorita. Infine diceva di essere stato a Spalato per trovare il capitano Grgin Mijo, l'ufficiale dell'Udba che, durante il suo arresto a Fiume, era stato l'unico a trattarlo in modo umano.» «Tetragono, Scano non rispose neppure a questa lettera. Ma Bonelli era anche più tenace di lui. E il 1^ settembre 1976, tornò a scrivergli sempre da Milano. Gli rammentò il proprio vecchio incontro con i compagni di Tortona che ritenevano Scano un traditore, le minacce di espulsione ricevute dalle Botteghe Oscure, le sue dimissioni dal Pci. 'Se ho potuto salvarti al tuo ritorno da Goli Otok è perché non ero più nel partito', gli ricordò Bonelli. Poi gli parlò di nuovo di Berlinguer. E fu molto esplicito: la sua richiesta di ricostruire i rapporti del Pci con il Cominform ci permette di far conoscere la verità storica, di riabilitare le vittime e di mandare alla gogna i nostri carnefici. Infine, la solita, ansiosa domanda: come mai non rispondi?» «Di fronte al persistente silenzio di Scano, l'8 ottobre 1976 Bonelli si decise a scrivere al segretario della federazione comunista di Alessandria, Morando. Per prima cosa, gli citò l'invito di Berlinguer a raccogliere le memorie dei compagni che avevano lavorato per il Cominform. Poi si lamentò di non riuscire a comunicare con Scano, che non aveva mai risposto alle sue lettere. E infine chiese a Morando di intervenire su Andrea e di convincerlo a mettersi in contatto con lui.» «Che cosa replicò a Bonelli il segretario di Alessandria?» domandai al professore. «Questo non lo so. Ma da un accenno contenuto in una successiva missiva di Bonelli penso che Morando gli abbia risposto di stare tranquillo, perché Scano gli avrebbe telefonato. Quella telefonata a Bonelli non arrivò mai. Nell'ultima lettera che ho potuto vedere, sempre proveniente da Milano e datata 31 ottobre 1976, Bonelli si lamentava con Scano per non averlo sentito al telefono. Gli aveva anche chiesto dove poteva rintracciare la ragazza di Tortona incontrata nel 1950 e Scano si era ben guardato dal dirglielo. Per ultimo, invitò l'amico ad andare a trovarlo a Milano. Ecco il mio indirizzo, gli spiegò, e questa è la strada più rapida per arrivarci.» «E il seguito di questa inutile rincorsa di Bonelli alla ricerca di Scano, quale fu?» chiesi a Pastorino. «Non so dirle niente. Ma penso che Bonelli non sia riuscito a parlare con lui. E` soltanto una mia congettura, però credo che Scano non volesse più ritornare sul proprio passato in Jugoslavia. Come ha già immaginato lei, aveva visto e patito troppi orrori, troppa crudeltà. E poi valeva sempre l'ordine del partito: non raccontate nulla. Certo, nel 1975 c'era stato l'invito di Berlinguer, che a giudizio di Bonelli sembrava contraddire la linea del silenzio. Tuttavia, di questo so veramente troppo poco.» «Comunque», aggiunse il professore, «ho ancora da offrirle un reperto di quel tempo, che le suggerirà qualcosa sulla durezza di certi ricordi e sulla difficoltà di risuscitarli. E` il resoconto, steso da Bonelli, del colloquio con la famosa ragazza di Tortona, ormai diventata una donna adulta. L'uomo di Fiume, un vero cane da tartufi, era riuscito a rintracciarla. E un giorno si presentò da lei. Sempre allo scopo di raccogliere del materiale per la ricerca ormai avviata.» «Adesso siamo a due anni dopo le inutili lettere a Scano», mi avvertì Pastorino. «Ossia nel 1978, il 23 luglio. Bonelli andò a Tortona con la moglie. E qui incontrò la Luigina Perotti, che per prima gli aveva parlato della cartolina arrivata da Goli Otok. La donna si era fatta accompagnare dalla madre.» «Bonelli cominciò con il domandarle come aveva conosciuto Scano. Lei raccontò che l'incontro era avvenuto nel 1944, dopo che Andrea era rimasto ferito alla gamba. I partigiani lo avevano nascosto a casa dei Perotti. Per questo, fra Andrea, Luigina e sua madre era nato un grandissimo attaccamento.» «A quel punto, Bonelli prese in disparte Luigina e le spiegò: guardi che sono venuto da lei non per parlare di Scano durante la Resistenza, bensì dello Scano del Cominform! Sempre secondo il resoconto di Bonelli, la Luigina si spaventò. Disse di non sapere nulla. Cominform? Scano al bando? Goli Otok? Il funzionario di Tortona che considerava Andrea un traditore? Mai sentito niente di niente! Secondo Bonelli, la Luigina non ricordava neppure che loro due si erano già visti nel 1950 a Tortona: non ci siamo mai incontrati, lei si sbaglia...» «Poi la signora Luigina cercò di riportare il discorso sulla guerra partigiana. Ma Bonelli tornò a incalzarla. Lei allora gli replicò: sono invecchiata, stanca, soffro di amnesie, sono anche in menopausa, ne ho passate tante... Bonelli si rese conto che la Luigina era ancora piena di paura come ventotto anni prima e rifiutava di parlare.» «Allora decise di non insistere. Ma alla fine del resoconto, Bonelli aggiunse una riflessione: Luigina non aveva realizzato che erano trascorsi quasi trent'anni. Che molte cose erano cambiate. E che 'i poliziotti da Gulag che controllavano il partito non c'erano più'. Adesso si poteva e si doveva parlare. Invece la Luigina non voleva dir niente e si comportava come se fosse ancora nel 1950.» «Bonelli concluse il lungo appunto con un'osservazione che ci riconduce al nostro Andrea: la Luigina Perotti reagiva come Scano che rifiutava di testimoniare. A dimostrazione del clima repressivo e di paura che il Pci di allora aveva creato attorno ai cominformisti. Un clima davvero duro a morire.» «Molto interessante!» esclamai. «Peccato non avere più né Scano né Bonelli davanti a noi. Per sentirli e magari per metterli a confronto. Potremmo però cercare la Luigina.» «E` inutile che ci provi. Mi hanno detto che anche lei è morta.»
Giampaolo Pansa (Prigionieri del silenzio)
Giampaolo Pansa (Prigionieri del silenzio)
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