Enrico Boselli si dimostrava più filo-Nato di Massimo D’Alema, il quale doveva superare gli esami per dimostrare, lui ex comunista, di essere più affidabile di Romano Prodi. In quella corsa al servilismo i due dirigenti della sinistra italiana si trovavano in sintonia con i socialisti europei. “Ma chi sono questi?” sbottava Craxi “Non si rendono conto che appiattirsi sul crinale americano indebolisce l’Internazionale, le taglia ogni possibilità di sviluppare in futuro una politica autonoma?”. Erano dei nani di fronte ai Brandt, ai Palme, e ai Mitterand, questi “socialdemocratici da avanspettacolo”. Egli considerava Massimo D’Alema “una persona intelligente” ed era disposto a dar qualche credito al progetto della Cosa Due, ma la prova della guerra gli fece capire che ogni speranza era mal riposta. “Ci pensi?” diceva al figlio “E’ arrivato addirittura a mandare le nostre truppe a Timor Est, per compiacere gli Americani e il Vaticano ….. E io che non potevo mandare neanche una missione di pace in Libano senza che i comunisti mi sbranassero”. Semmai considerava di più Fausto Bertinotti e più volte disse a Bobo che le sue posizioni erano “intelligenti e condivisibili”. In lui Craxi vedeva l’unico vero antagonista all’autoritarismo economico e finanziario che si era installato sulle rovine della Prima Repubblica; però era anche convinto che quel socialista massimalista e libertario, che gli piaceva, fosse stato il “piedino” del Governo D’Alema, al quale aveva comunque contribuito non poco l’ “americano” Francesco Cossiga. Saltati tutti gli spartiacque ideologici, ormai la grande politica era ridotta al rango di manovra. Ai primi di luglio l’avvocato Agnelli – davanti al quale al Lingotto si era genuflesso Massimo D’Alema sette mesi prima – festeggiò con un ricevimento di tremila eletti i cento anni della FIAT.
Massimo Pini (tratto da “Craxi – Una vita, un’era politica” – 2006 - Mondadori)
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