Bisognava
 aspettarselo. Dal primo giorno in cui si è insediata in Campidoglio la 
giunta di Virginia Raggi è entrata nel mirino di tutti i politici, di 
tutte le Tv, di tutti i giornali, di tutti i pennivendoli che operano in
 questo Paese a difesa del potere che esercitano da decenni. Da allora 
non c’è stato giorno in cui tutti i giornali non parlassero della 
monnezza di Roma e dei topi di Roma come se tutto ciò fosse 
responsabilità della Raggi e non di chi aveva governato Roma nei decenni
 precedenti. Eppure, almeno in questo campo, in meno di due mesi la 
giunta Raggi ha fatto qualcosa. Lo stesso principe del foro degli 
Azzeccagarbugli, Pier Luigi Battista, sul Corriere del 2/9 
descriveva “lo stupore di molti romani che tornando dalle vacanze hanno 
visto la città più pulita e i cassonetti meno intasati di schifezze”. 
Bene, direbbe uno. E invece no. Battista, entrando nel cervello dei 
romani, aggiunge che costoro “si sono chiesti increduli e scettici: 
durerà?”. Se i romani avessero trovato la situazione di prima Battista 
avrebbe scritto che la Raggi non aveva fatto niente. Poiché qualcosa ha 
fatto rilancia che non lo farà in futuro. E’ il classico ‘letto di 
Procuste’ in cui Battista, come tutti gli innumerevoli Battista di 
questo Paese, è specializzato. 
Bisognava
 aspettarselo. Sta accadendo quello che è accaduto alla prima Lega di 
Bossi quando nel 1992 si affacciò alla ribalta politica prendendo un 
voto quasi plebiscitario al Nord, cioè nella parte economicamente 
trainante del Paese, e rompendo così, sull’onda delle inchieste di Mani 
Pulite, il consociativismo (Dc+Psi+Pci+frattaglie repubblicane e 
liberali) che aveva dominato nei decenni precedenti nella più assoluta 
impunità per la propria dilagante corruzione. Tutti i politici, tutte le
 Tv, tutti i giornali, escluso l’Indipendente di Vittorio Feltri,
 intuendo il pericolo si gettarono a corpo morto contro la Lega con una 
violenza che non avevano riservato nemmeno alle Brigate rosse. La Lega 
di Bossi, come oggi i Cinque Stelle, non era né di destra né di sinistra
 ma avendo preso i voti solo al Nord aveva l’esigenza di allearsi con 
qualcuno. Bossi scelse Berlusconi che si presentava, almeno 
all’apparenza, come ‘homo novus’. Ma accortosi di che pasta era fatto 
realmente il Cavaliere in un memorabile e lucidissimo discorso alla 
Camera del 21 dicembre del 1994, il suo migliore in assoluto, fece 
cadere il Governo Berlusconi. Quel discorso si chiudeva così: “Oggi 
finisce la Prima Repubblica”. S’illudeva, il povero Umberto. Nel giro di
 due anni tutti i protagonisti di quella che impropriamente è stata 
chiamata ‘la rivoluzione italiana’ furono in un modo o nell’altro 
eliminati. Antonio Di Pietro fu sottoposto a sette inchieste da cui 
uscirà assolto (ma che importa), lo straordinario pool di Mani Pulite, 
Borrelli, Boccassini, Colombo, Davigo fu delegittimato, Feltri fu 
comprato da Berlusconi, Giancarlo Funari, che era stato anch’egli 
determinante, emarginato e la Lega di Bossi inglobata e innocuizzata. E 
tutto continuò come prima, addirittura peggio di prima come abbiamo 
potuto vedere.
E
 torniamo all’oggi. Al cosiddetto ‘caso Muraro’. La Muraro, allo stato, è
 stata semplicemente inserita nel registro degli indagati e non ha 
ricevuto nemmeno un avviso di Garanzia. I Cinque Stelle si trovano oggi 
in difficoltà non per oscuri conciliabili che avrebbero tenuto al loro 
interno, ma al contrario per un eccesso di trasparenza. L’unica colpa 
che si può addebitare, allo stato, alla Muraro - e lo fa anche Marco 
Travaglio- è di non aver detto la verità in alcune interviste. Eh no, 
caro Marco, vale qui quello che dissi ad Antonio Di Pietro, che 
all’epoca delle inchieste di Mani Pulite, intuendo il pericolo di una 
loro personalizzazione, non avevo quasi mai nominato, quando mi chiese 
l’introduzione al suo monumentale libro di difesa Memoria. Gli 
chiesi: “Perché non è entrato in politica quando si tolse la toga? In 
quel momento avrebbe avuto il 90 per cento dei consensi” (gli davo del 
lei, non mi ero strusciato al pm quando era al massimo della sua 
popolarità come facevano moltissimi e importanti giornalisti, a 
cominciare da Paolo Mieli che intitolò un suo editoriale “Dieci domande a
 Tonino”, come se ci fosse andato a pranzo e cena a Montenegro di 
Bisaccia). Rispose: “Non sarebbe stato corretto”. Replicai: “Non si può 
lottare con un braccio legato dietro la schiena contro chi non solo gli 
usa tutti e due e in più aggiunge anche il bastone”. E lo stesso vale 
ora. Non si può mettere sullo stesso piano una leggerezza con gli 
innumerevoli crimini compiuti dalla classe dirigente italiana. E fa 
schifo, solo schifo, che le accuse ai Cinque Stelle vengano da un 
partito, il Pd, che ha una pletora di indagati, condannati o prescritti 
in Parlamento e 102 indagati nei Consigli regionali. Del resto il 
giochetto di sinistra e destra perennemente alleate contro chi può 
insidiare il loro potere è di attaccarlo, a seconda delle evenienze, da 
destra o da sinistra.
Quindi
 non vale affatto, caro Marco, la frase che tu attribuisci a Talleyrand:
 “E’ stato peggio di un crimine. E’ stato un errore”. Vale invece qui il
 verso del Vangelo: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo
 fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi 
dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo 
occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la 
trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la 
pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”. Questi dovrebbero stare zitti, 
assolutamente zitti, almeno per un’eternità, se non vogliono che la 
rabbia dei cittadini, canalizzata democraticamente dai Cinque Stelle, si
 traduca in una violenza che non farà prigionieri. 
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2016)

Nessun commento:
Posta un commento
Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.