Nel
 vecchio Codice di Procedura penale di Alfredo Rocco, che sarà stato 
anche un fascista ma era un giurista di prim’ordine, riaggiornato nel 
dopoguerra per adeguarlo alle esigenze di una democrazia, esisteva il 
segreto istruttorio (e su questo Codice ho studiato laureandomi proprio 
sul tema che è in discussione in questi giorni con una tesi su “Libertà 
di stampa e segreto istruttorio”).
Il
 segreto istruttorio, finché è esistito, prima della sciagurata riforma 
di Gian Domenico Pisapia del 1988, divenuta legge, aveva due funzioni. 
1. Tutelare le indagini da possibili inquinamenti. 2. Tutelare 
l’onorabilità delle persone coinvolte a qualsiasi titolo in un 
procedimento penale. Nella fase preliminare e ovviamente incerta delle 
indagini, quelle che vengono condotte dai Pubblici ministeri, possono 
infatti incappare soggetti che non verranno poi rinviati a giudizio o 
addirittura persone che nell’inchiesta figurano solo marginalmente 
(esemplare è rimasta, almeno nella mia memoria, nella Tangentopoli 2, il
 cosiddetto ‘scandalo delle Ferrovie’, la storia della figlia di Necci 
che, a quanto pare, si era offerta a Chicchi Pacini Battaglia, un fatto 
che con le indagini non c’entrava nulla). Al vaglio del Giudice delle 
indagini preliminari (Gip o Gup) i Pm portano solo i materiali che 
ritengono utili al processo qualora il Gip o Gup decida di avviarlo. Il 
Gip o Gup può archiviare la pratica ritenendo gli indizi raccolti dai 
Pubblici ministeri non sufficienti o rinviare a giudizio. Solo in questo
 secondo caso il processo diventa pubblico. Perché in un regime 
democratico l’istruttoria è segreta, o può esserlo, ma il dibattimento è
 pubblico. Nei regimi totalitari è segreto anche il dibattimento.
Se
 questo regime fosse stato in vigore Marino e Cota non sarebbero incorsi
 nella stritolante gogna mediatica che ne ha stroncato la carriera 
perché delle indagini non si sarebbe saputo nulla a cominciare dagli 
interessati (e questo vale, o valeva, per qualsiasi cittadino italiano, 
non necessariamente per un uomo politico). La debolezza del 
sistema-Rocco era che le pene pecuniarie erano irrisorie, per cui i 
giornali, e soprattutto i grandi giornali che se lo potevano permettere,
 preferivano pagare la multa e pubblicare. Ma il principio era 
sacrosanto. 
Con
 la riforma Pisapia, un ibrido fra sistema inquisitorio e sistema 
accusatorio, il segreto è stato di fatto abolito tranne che per casi 
particolari. I Pm devono depositare gli atti delle loro indagini, che 
sono messi a disposizione degli avvocati difensori, ma anche di chiunque
 abbia interesse o solo voglia di consultarli, a cominciare dai 
giornalisti. E quindi anche i soggetti che non verranno poi rinviati a 
giudizio vengono massacrati dalla stampa, in misura maggiore o minore a 
seconda delle posizioni che occupano nelle istituzioni o della parte 
politica cui sono legati. 
I
 giornalisti, che sono una casta come tante altre, non migliore di tante
 altre, si sono sempre opposti al ripristino del segreto istruttorio. 
Questo rende molto più facile il loro lavoro, ma oltre a colpire in modo
 indelebile cittadini che risulteranno poi estranei ai fatti, toglie 
loro la voglia di fare inchieste per proprio conto.
I
 giornali della destra, memori dell’esperienza di Silvio Berlusconi, si 
sono scatenati contro la Magistratura (emblematico è un titolo de Il Giornale
 del 9.10: “La malagiustizia show ci costa 15 miliardi. Più di una 
manovra”). Ma chi ragiona in questo modo non tiene conto che le funzioni
 del Pm e quella del Giudice sono profondamente diverse. Il Pm indaga in
 una area di necessaria incertezza, il Giudice vaglia gli elementi da 
lui raccolti secondo criteri di imparzialità e di ‘terzietà’ fra 
Pubblica accusa e difesa. Non è responsabilità dei Pm se sono obbligati a
 depositare per legge atti dell’Istruttoria che, come dicevo, sono 
necessariamente incerti. Il diniego del Giudice di rinviare a giudizio i
 soggetti indagati dalla Pubblica accusa fa parte del nostro sistema di 
garanzie e non vuol dire affatto che i Pubblici ministeri abbiano agito 
in malafede, “con colpa grave o dolo” (in questo caso devono essere 
sanzionati). Pm e Gip si trovano in un letto di Procuste: se il Gip 
accetta la tesi del Pm si dice che si è appiattito sulle sue posizioni, 
se le rigetta si dice che il Pm è un mascalzone. 
Il
 ripristino del segreto istruttorio, oltre a tutelare l’onorabilità dei 
soggetti coinvolti e non ancora rinviati a giudizio, toglierebbe ai 
Pubblici ministeri quel desiderio di farsi pubblicità di cui spesso 
vengono accusati. 
Il
 sistema è quindi concettualmente semplice: segreto fino alla fase del 
rinvio a giudizio, dibattimento pubblico se c’è stato un rinvio, 
giudizio di primo grado, Appello, Cassazione. Ma sono i giornalisti i 
primi a opporsi. E hanno buon gioco perché da noi le istruttorie possono
 durare anni e quindi il segreto potrebbe essere una mordacchia 
inaccettabile alla libertà di stampa. In Gran Bretagna se c’è un 
imputato detenuto le istruttorie durano, mediamente, dai 28 ai 32 giorni
 a seconda della composizione del Giurì cioè della gravità del reato. 
Quindi il detenuto (se c’è un detenuto) si fa un mese di galera che è 
un’esperienza sicuramente sgradevole, ma se risulta innocente vede 
ripristinata la propria onorabilità in tempi ragionevoli. Londra è solo a
 un’ora e mezza di volo ma siamo in un altro mondo e in un’altra 
cultura, giuridica e mediatica.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 12 ottobre 2016)
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