Sono, da quando ho la maggiore età, un profugo politico, un apolide 
sbandato ancora alla ricerca di una bandiera. Mi sarebbe piaciuto essere
 comunista, da giovane, ma il boccone dell’Urss era troppo grosso per 
essere digerito. Nonostante gli sforzi dei miei amici e potenziali 
compagni, non capivo perché per difendere e promuovere gli interessi dei
 lavoratori si dovessero accettare i Gulag, le Pravda o le colonne di 
carri armati nel” Paesi Fratelli”. Il Movimentismo gruppuscolare 
flirtava troppo con il mito della violenza purificatrice e di una 
rivoluzione che soltanto loro fingevano di volere in attesa di 
imborghesirsi e sistemarsi. I socialisti, quelli del PSI, mi parvero un 
buon compromesso, ma poi arrivò Craxi, e addio per sempre, cari. 
Invecchiando, evoluzione ed egoismo avrebbero potuto spingermi a destra:
 chi da giovane è conservatore è senza cuore, chi da vecchio è 
rivoluzionario è senza cervello, si dice. Ma a destra si alzò la 
tragica, e sordida, macchietta di Berlusconi a rendere insopportabile il
 pensiero di votare per quella banda che di destro aveva soltanto il 
furto con destrezza, anche in cambio di tasse ridotte (quando mai). Il 
PD mi parve un’ipotesi promettente, ma rapidamente non riuscii più a 
capire che cosa fosse il PD, come vedo che ora non capiscono neppure 
loro. Adesso monta l’onda del M5S e perché no, sono “ragazzi” – o 
fingono di esserlo – pieni di buone e confuse intenzioni, ma la 
petulanza, la saccenteria, la puzzetta sotto il naso, il velleitarismo 
spacciato per programmi e l’asservimento agli ukaz del Capo e del suo 
sinistro Mazzarino lungocrinito, alludendo a un futuro radioso per ora 
fatto soltanto di “no, no e no”, mi ricordano troppo un PCI 40 anni 
dopo, in versione da operetta. Per non pensare al peggio: credere, 
obbedire, bloccare: e chi usa “meet up” invece di riunioni mi sta 
istantaneamente sulle scatole. Devo riconoscere che non hanno carri 
armati, anche se hanno la loro brava Pravda sia online che sulla carta, 
per fare da compagna di strada. Onestà è condizione necessaria, per 
governare, ma non sufficiente. Competenza significa tutto e niente, come
 “meritocrazia”: si può essere competenti e combinare disastri per 
inettitudine politica. Il “merito”, se non si corrono i 100 metri e si 
va più veloci degli altri, è sempre un giudizio, e come tale soggettivo:
 titoli ed esami non fanno grandi leader, professori, imprenditori. 
Tutti invocano il “lavoro” e vanno a mietere ovazioni nei talk show, ma 
non sento mai nessuno che mi spieghi in maniera convincente come 
crearlo, se non rovesciando altri soldi pubblici, risparmiati da una 
parte per buttarla da un’altra, che è la formula del nostro disastro 
attuale. Non votare è l’orgasmo della coglioneria autolesionista (già 
nessuno parla più della “astensione”) e dunque voto, di malavoglia, di 
contraggenio, d’abitudine, ma voto. Continuo a vagare, aspettando il 
Godot della nuova Italia, da mezzo secolo.
 Vittorio Zucconi (La Repubblica, 13 luglio 2013)
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