La domanda è: possibile che Giorgio Napolitano non sapesse che il governo delle larghe intese, da lui fortemente voluto e imposto, contenesse in sé, come un verme nella mela, i problemi giudiziari di Silvio Berlusconi?
 Escludiamo che abbia potuto minimamente fidarsi della promessa del 
Caimano di tenere il governo Letta al riparo dalle conseguenze dei suoi 
molteplici reati. Chi può credere infatti che un personaggio navigato 
come il capo dello Stato, magistrale artefice della propria rielezione 
al Quirinale, abbia potuto dare retta all’uomo più bugiardo del pianeta?
 Resta la seconda risposta: che cioè Napolitano, purché si desse vita a 
quel mostro politico che è la maggioranza Pd-Pdl, non ha badato a spese, non prevedendo forse un prezzo così salato. Dopo aver tradito il mandato elettorale con gli elettori (“Mai con Berlusconi”), ora il Pd è costretto a vergognarsi di se stesso. Aver votato quell’indegna sospensione dei lavori parlamentari
 non solo equivale a una sottomissione ai voleri del Pdl, ma acquista un
 valore simbolico incancellabile nel momento in cui quella pausa 
istituzionale diventa omaggio penitenziale al miliardario plurinquisito, oltreché pressione inaudita sulla Corte di Cassazione. Il fatto è che il gruppo dirigente democratico,
 a furia di compromessi con la propria storia, ha perso completamente 
identità e orientamento, tanto che oggi, per dire, tra uno Speranza e un
 Alfano non si nota nessuna differenza. Ma forse era proprio questo che 
si voleva.
Il 
verme nella mela sta producendo un altro inevitabile effetto. I guai 
penali dell’affettuoso protettore di Ruby Rubacuori, da ossessione 
privata dell’imputato e problema esclusivo del Pdl, grazie alle 
improvvide intese allargate si è trasformato in un gigantesco affare di governo e di Stato. Addirittura una bomba termonucleare sul futuro dell’Italia, come vanno preconizzando i terrorizzati giornaloni. Poiché, se la Cassazione dovesse confermare la condanna di Berlusconi
 con le annesse pene accessorie, costui risulterebbe interdetto dai 
pubblici uffici. Compresi quelli che non esercita come senatore della 
Repubblica, visto che è risultato assente dall’aula nel 99,7 per cento 
delle sedute. Un’onta che, secondo i profeti di sventura, comporterebbe 
con la crisi di governo una serie di catastrofi a 
catena, comprese la peste bubbonica e le cavallette. Un trucco da 
imbroglioni che ha l’unico scopo di far ricadere sui giudici della 
sezione feriale della Cassazione una responsabilità enorme. Insomma, 
visto che il governo non decide un fico secco e che l’economia va di 
male in peggio, retrocessa dalle agenzie di rating, che fosse questo il 
vero scopo delle larghe intese, salvare il Cavaliere?
Antonio Padellaro (Il Fatto Quotidiano, 11 Luglio 2013)
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