Alle medie andavo a judo, come tutti
quanti. Un cliché per un undicenne. Ero convinto che con un corso di
arti marziali sarei riuscito a superare i limiti del mio fisico
tutt'altro che imponente, addirittura speravo di arrivare a incutere un
reverenziale timore nei miei coetanei, come con naturalezza riuscivano a
fare gli amici meglio equipaggiati in peso e muscolatura. Rimasi
piuttosto deluso quando alla prima lezione - in uno scantinato che
puzzava di muffa - il maestro ci spiegò che la parola judo si poteva
tradurre come "via della gentilezza", e che avremmo imparato a usare la
forza dell'avversario per sottometterlo. Delusione, dicevo: volevo
diventare forte, io, dell'avversario me ne fregavo.
C'è voluto un po' di tempo, prima che capissi quanto poteva essere efficace quell'approccio all'apparenza morbido: lanci e leve funzionavano indipendentemente dalla furia dell'attacco subito. Era affascinante. Non sarei mai diventato il duro che volevo, ma mi sentivo meglio.
JUDO CON LE PAROLE La stessa sensazione si prova appena chiuso il libro scritto da Barbara Berckhan. Tedesca, cinquantasette anni, pedagoga e psicologa per formazione, la Berckhan dai Novanta in poi si è dedicata - come dice lei - "alla ricerca di metodi per migliorare i rapporti tra le persone": un percorso sfociato nella scrittura di saggi capaci di vendere un milione e mezzo di copie in dodici paesi, tra i quali l'Italia. Tra questi il "Piccolo manuale di autodifesa verbale", fresco di stampa nella collana Urrà dell'editore milanese Apogeo. Il titolo originale a dire il vero rende meglio l'idea: "Judo mit Worten", "Judo con le parole". L'approccio, in effetti, è lo stesso dell'arte marziale giapponese: strategie capaci di rendere inoffensivo un attacco verbale, esclusivamente mirate alla difesa, mai all'attacco; semplici, facili da memorizzare, senza formulazioni complesse, applicabili in ogni situazione e quindi universali. Barbara Berckhan però va oltre le intenzioni del professor Jigoro Kano, fondatore (della versione fisica) del judo: le tecniche del "Piccolo manuale di autodifesa verbale" non solo portano alla sconfitta dell'avversario, ma riescono a non intaccare le vostre relazioni con quest'ultimo. Difficile da credere, a prima vista.
Eppure la tattica morbida serve soprattutto a questo: evitare il combattimento, che provoca strascichi negativi. E poi è fonte di stress, non fa bene alla salute, anche se si vince. L'ormone che ci fa produrre, il cortisolo, attacca il cuore e la circolazione, disturba la digestione e la libido. Meglio farne a meno. Chiaro perciò che il fondamentale presupposto di ogni controstrategia sia sempre lo stesso: rimanere calmi. La lucidità è l'arma più importante.
Racconta Barbara Berckhan che chi frequenta i suoi seminari di comunicazione si presenta spesso davanti a lei con lo stesso atteggiamento con cui io mi sono presentato davanti al primo maestro di judo: sogna di diventare maestro di dialettica, capace di mettere al tappeto con una risposta pronta, brillante e spontanea al tempo stesso, chiunque sia arrogante o irrispettoso. Meglio spegnere subito un'illusione del genere: si tratta di una capacità estremamente ardua da conquistare, nonostante gli illustri esempi di chi, attraverso la storia, si è esercitato nell'arte della tenzone verbale, dai poeti medievali ai rapper. La vita reale non è un episodio di Mad Men, senza copione è difficile mettere in scena uno scambio di battute perfetto. L'unico modo per migliorare la propria capacità di risposta alla provocazione è piuttosto quello di abbassare le aspettative e di conseguenza il proprio livello di stress: ancora una volta, l'ansia da prestazione non è un buon viatico per improvvisare controstrategie verbali efficaci. E poi, spesso non è necessario neppure rispondere: davanti a un'offesa inaspettata si può scegliere il silenzio, che non è una resa a meno che noi stessi non lo interpretiamo come tale. Perché perdere tempo a rispondere allo sconosciuto che ci insulta? Non è necessario alla nostra vita futura, meglio ignorarlo. Quando possibile, ovviamente.
UOMINI E DONNE Le cose si fanno più complicate nel caso in cui le relazioni siano necessarie, ad esempio tra colleghi. E ancora di più quando protagonisti dello scontro sono uomini e donne: più spesso di quanto ci accorgiamo, sostiene la Berckhan, le schermaglie verbali tra i sessi derivano da un atteggiamento innato. Il maschio sarebbe naturalmente più portato, e abituato sin da piccolo, allo scontro verbale (per molti, l'affermazione è valida anche per quanto riguarda lo scontro fisico), che usa come modalità di gioco cameratesco tra pari. Al contrario, se una donna intende combattere con le parole, quasi sempre lo farà in modo serio. Ecco le radici dell'incomprensione: capita che l'uomo voglia "solo giocare", ma lei si offenda. Sembra una spiegazione semplicistica, quante volte ci siamo sentiti dire banalità sulle origini astronomiche della sensibilità maschile e di quella femminile; eppure il discorso dell'autrice appare continuamente confermato dalla nostra esperienza quotidiana, che ci fa morire in gola eventuali obiezioni.
METTERE IN PRATICA Terminata la parte teorica, non mancano idee pratiche, alcune piuttosto creative. Ad esempio, chi penserebbe mai di utilizzare il potere del nonsense per disinnescare un attacco verbale? Afferma Barbara Berckhan che trasformarsi in giullari sia l'arma migliore, contro l'arroganza di chi vuole affermare la propria superiorità: la risposta migliore contro quest'atteggiamento è quella che non ha senso. Ad esempio, a chi dice "Ah, il tuo è proprio l'atteggiamento tipico delle donne!" è giusto rispondere "certo: cuor contento il ciel l'aiuta." Significa qualcosa? No, ma serve. A confondere l'avversario con un atteggiamento molto serio e parole senza senso, confidando sul fatto che l'arrogante non sia, in fondo, né particolarmente intelligente né davvero sicuro di sé.
Così prende forma l'idea fondamentale di questo manuale, che a dispetto del titolo non insegna tanto a controbattere, quanto a essere superiori. Assai diverso dal sentirsi tali.
C'è voluto un po' di tempo, prima che capissi quanto poteva essere efficace quell'approccio all'apparenza morbido: lanci e leve funzionavano indipendentemente dalla furia dell'attacco subito. Era affascinante. Non sarei mai diventato il duro che volevo, ma mi sentivo meglio.
JUDO CON LE PAROLE La stessa sensazione si prova appena chiuso il libro scritto da Barbara Berckhan. Tedesca, cinquantasette anni, pedagoga e psicologa per formazione, la Berckhan dai Novanta in poi si è dedicata - come dice lei - "alla ricerca di metodi per migliorare i rapporti tra le persone": un percorso sfociato nella scrittura di saggi capaci di vendere un milione e mezzo di copie in dodici paesi, tra i quali l'Italia. Tra questi il "Piccolo manuale di autodifesa verbale", fresco di stampa nella collana Urrà dell'editore milanese Apogeo. Il titolo originale a dire il vero rende meglio l'idea: "Judo mit Worten", "Judo con le parole". L'approccio, in effetti, è lo stesso dell'arte marziale giapponese: strategie capaci di rendere inoffensivo un attacco verbale, esclusivamente mirate alla difesa, mai all'attacco; semplici, facili da memorizzare, senza formulazioni complesse, applicabili in ogni situazione e quindi universali. Barbara Berckhan però va oltre le intenzioni del professor Jigoro Kano, fondatore (della versione fisica) del judo: le tecniche del "Piccolo manuale di autodifesa verbale" non solo portano alla sconfitta dell'avversario, ma riescono a non intaccare le vostre relazioni con quest'ultimo. Difficile da credere, a prima vista.
Eppure la tattica morbida serve soprattutto a questo: evitare il combattimento, che provoca strascichi negativi. E poi è fonte di stress, non fa bene alla salute, anche se si vince. L'ormone che ci fa produrre, il cortisolo, attacca il cuore e la circolazione, disturba la digestione e la libido. Meglio farne a meno. Chiaro perciò che il fondamentale presupposto di ogni controstrategia sia sempre lo stesso: rimanere calmi. La lucidità è l'arma più importante.
Racconta Barbara Berckhan che chi frequenta i suoi seminari di comunicazione si presenta spesso davanti a lei con lo stesso atteggiamento con cui io mi sono presentato davanti al primo maestro di judo: sogna di diventare maestro di dialettica, capace di mettere al tappeto con una risposta pronta, brillante e spontanea al tempo stesso, chiunque sia arrogante o irrispettoso. Meglio spegnere subito un'illusione del genere: si tratta di una capacità estremamente ardua da conquistare, nonostante gli illustri esempi di chi, attraverso la storia, si è esercitato nell'arte della tenzone verbale, dai poeti medievali ai rapper. La vita reale non è un episodio di Mad Men, senza copione è difficile mettere in scena uno scambio di battute perfetto. L'unico modo per migliorare la propria capacità di risposta alla provocazione è piuttosto quello di abbassare le aspettative e di conseguenza il proprio livello di stress: ancora una volta, l'ansia da prestazione non è un buon viatico per improvvisare controstrategie verbali efficaci. E poi, spesso non è necessario neppure rispondere: davanti a un'offesa inaspettata si può scegliere il silenzio, che non è una resa a meno che noi stessi non lo interpretiamo come tale. Perché perdere tempo a rispondere allo sconosciuto che ci insulta? Non è necessario alla nostra vita futura, meglio ignorarlo. Quando possibile, ovviamente.
UOMINI E DONNE Le cose si fanno più complicate nel caso in cui le relazioni siano necessarie, ad esempio tra colleghi. E ancora di più quando protagonisti dello scontro sono uomini e donne: più spesso di quanto ci accorgiamo, sostiene la Berckhan, le schermaglie verbali tra i sessi derivano da un atteggiamento innato. Il maschio sarebbe naturalmente più portato, e abituato sin da piccolo, allo scontro verbale (per molti, l'affermazione è valida anche per quanto riguarda lo scontro fisico), che usa come modalità di gioco cameratesco tra pari. Al contrario, se una donna intende combattere con le parole, quasi sempre lo farà in modo serio. Ecco le radici dell'incomprensione: capita che l'uomo voglia "solo giocare", ma lei si offenda. Sembra una spiegazione semplicistica, quante volte ci siamo sentiti dire banalità sulle origini astronomiche della sensibilità maschile e di quella femminile; eppure il discorso dell'autrice appare continuamente confermato dalla nostra esperienza quotidiana, che ci fa morire in gola eventuali obiezioni.
METTERE IN PRATICA Terminata la parte teorica, non mancano idee pratiche, alcune piuttosto creative. Ad esempio, chi penserebbe mai di utilizzare il potere del nonsense per disinnescare un attacco verbale? Afferma Barbara Berckhan che trasformarsi in giullari sia l'arma migliore, contro l'arroganza di chi vuole affermare la propria superiorità: la risposta migliore contro quest'atteggiamento è quella che non ha senso. Ad esempio, a chi dice "Ah, il tuo è proprio l'atteggiamento tipico delle donne!" è giusto rispondere "certo: cuor contento il ciel l'aiuta." Significa qualcosa? No, ma serve. A confondere l'avversario con un atteggiamento molto serio e parole senza senso, confidando sul fatto che l'arrogante non sia, in fondo, né particolarmente intelligente né davvero sicuro di sé.
Così prende forma l'idea fondamentale di questo manuale, che a dispetto del titolo non insegna tanto a controbattere, quanto a essere superiori. Assai diverso dal sentirsi tali.
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