È adatto Matteo Renzi al compito che si è preso? "Is he fit to 
govern?". Mi sembra che si stia avvicinando il tempo di farsi anche su 
di lui la  domanda che ha dannato tanti altri premier italiani, e non 
solo, in questa crisi che dura da ormai sei anni.
Diamo per 
scontato la risposta da parte delle artiglierie dei Renzi-fan, diventati
 oggi così radicali e insultanti da far sembrare i grillini dei perfetti
 gentiluomini. Intorno all'inquilino di Palazzo Chigi si è formato 
infatti un dogma di "infallibilità", una narrativa che passa da trionfo a
 trionfo , una vulgata del genere "durerà venti anni", il mantra "a lui 
non c'è alternativa" ripetuto da amici e ancor più da nemici. In una 
sorta di sindrome di Fukuyama, autore de "la fine della storia", presto 
smentito dalla storia stessa. 
Un leader tuttavia dura tanto quanto è efficace la sua azione di 
governo. E al momento Matteo Renzi , a dispetto dei molti fuochi 
d'artificio che circondano la sua persona, è in un punto molto critico 
della sua forza politica.
Non è questione né di immagine né di 
buone maniere, di cui non ci interessa assolutamente nulla. Si tratta di
 risultati - materia che rimane molto ostica per il giovane presidente.
Il
 più atteso dei suoi provvedimenti, lo Sblocca Italia, è intanto stato 
giudicato quasi unanimemente inferiore alle esigenze della drammatica 
situazione del paese. E se una parte di inadeguatezza era da mettere in 
conto, visto che  Renzi è in sella da soli sei mesi, e non ha la colpa 
di una difficile situazione che dura da anni, non è invece 
giustificabile la inadeguatezza del metodo con cui il premier si sta 
confrontando con le reali condizioni del paese.
Fa testo di questa
 inadeguatezza il percorso di preparazione e le conclusioni del primo 
Cdm d'autunno - insieme sono purtroppo la fotografia di un governo 
segnato dalla approssimazione amministrativa. Abbiamo assistito a 
vicende incredibili, che per qualunque altro esecutivo avremmo stroncato
 sul nascere.
Surreale il percorso della riforma della scuola. Non
 c'è nulla di meno serio di un premier che su un argomento così delicato
 per le famiglie e le decine di migliaia di lavoratori del settore, non 
lavori insieme al suo ministro; un premier che pochi giorni prima di 
proporre questa riforma scenda in campo con pirotecniche affermazioni tipo "vi stupirò", salvo poi ritirare l'intero progetto evidentemente non pronto, con la flebile scusa dell'ingorgo. 
Surreale
 anche il percorso della riforma del lavoro, che ha subito lo stesso 
travaglio di quella della scuola, con un ministro, Poletti, che un 
giorno annuncia, un giorno nega quel che ha detto. E il riemergere di un
 tema, l'abolizione o meno dell'articolo 18, che ha a lungo diviso il 
paese, e che certo meritava di essere trattato , non fosse altro per 
capire cosa ne pensa il governo, e che è stato però seppellito sotto un 
aggettivo, in questo caso "superato". 
Ma se la voce lavoro è 
dispersa, la voce giustizia, la più delicata da vent'anni a questa 
parte, è finita dritta dritta di nuovo nelle secche dello scambio 
politico, irretita nelle fibrillazioni della maggioranza e delle 
preoccupazioni di Silvio Berlusconi. Stesso destino per le risorse 
fresche, i milioni promessi per il rilancio dell'economia, passati da 43
 miliardi, oppure 30,  altre cifre vaganti, a infine solo a 3,8. 
Nel complesso, persino le azioni giuste, che riguardano soprattutto la 
semplificazione normativa, sbiadiscono in rapporto a tutta la retorica 
dei mesi passati - Renzi, ricordate, è lo stesso leader che solo sei 
mesi fa accusò il suo predecessore Enrico Letta di usare "il cacciavite"
 laddove, disse, per cambiare l'Italia ci voleva "una rivoluzione". 
Altro che cacciavite - al suo primo incontro con il mondo reale della 
vita dei cittadini Renzi ha fatto soprattutto manutenzione.
La nomina della Mogherini a Lady Pesc
 sembra segnare invece l'azione internazionale del premier di ben altra 
caratura di quella mediocre nazionale. Quella nomina, va detto con 
chiarezza, è un indubbio successo, e la Mogherini non è né giovane - 
solo in Italia si è giovani a 40 anni - né inesperta. A lei vanno i 
nostri auguri perché dal suo lavoro dipendono oggi molte vicende, prima 
di tutte la potenziale guerra in Europa, ad alto impatto anche 
nazionale.
Ma, parlando appunto di guerra,  come in Italia, così a
 Bruxelles non abbiamo sentito nessun discorso di contenuti accompagnare
 la nomina. Non sappiamo oggi più di ieri perché abbiamo chiesto il 
posto di Lady Pesc. Perché vogliamo creare un nuovo detente contro la 
Russia, perché temiamo una seconda guerra fredda, perché pensiamo che 
solo noi Italiani possiamo essere un ponte fra russi e Occidente, perché
 pensiamo che i russi possano aiutarci in Medioriente - o forse  sono 
essenziali solo a noi italiani perché così abbiamo una  leva in più in 
Occidente? Di quale di queste opzioni si tratta? Esattamente per cosa ci
 batteremo sul cosiddetto scacchiere mondiale? Siamo con Kissinger che 
chiede di ridefinire tutti gli strumenti di intervento, siamo per 
definire una nuova frontiera occidentale, siamo per un ribaltamento di 
alleanze  in Medioriente, o per nuovi fronti militari? Siamo per i 
diritti umani o per la realpolitik? Siamo per bombardare Isis con Assad,
 e l'Iran, e  vogliamo pagare per gli ostaggi, o liberarli  impiegando 
le forze speciali? Insomma cosa pensa Renzi, premier del nuovo mondo? 
Per ora abbiamo soltanto sentito ripetere la frase "mediazione" a ogni 
angolo. Speriamo che basti.
Ma se non ha parlato di politica estera, Renzi ha però fatto un commento per festeggiare la nomina di Mogherini:
 "questa nomina indica che c'e' una nuova generazione al potere". E 
questa frase  è in fondo il vero cuore della sua identità politica-  il 
raggiungimento del potere. Un potere formale, materiale, riconoscibile 
in una serie di posizioni per sé e per tutti i suoi associati. 
Non
 c'é nessun disprezzo in quel che dico. Il potere è l'anima della 
competizione pubblica da sempre. Non per tutti, non sempre, ma 
afferrarlo e esercitarlo è la ragione per cui si scende - o non si 
scende - in politica. O, almeno, in un certo tipo di politica . 
E
 nella  piattaforma renziana, fin dall'inizio, il potere ha un ruolo 
centrale, sotto forma di rottamazione, annuncio di un ricambio 
generazionale fatto con maniere decise. Obiettivo del tutto legittimo, 
parte della dinamica dell'evoluzione, e base molto forte della 
popolarità che ancora gonfia la bandiera renziana. 
Su questa piattaforma Renzi si è rivelato geniale,  e degno erede di 
quella grande scuola della Dc che ha visto in Andreotti il suo maggior e
 più pragmatico rappresentante, quello del potere che logora solo chi 
non ce l'ha. Come un treno, ha saputo cogliere le debolezze del suo 
partito, del sistema burocratico romano, delle classi dirigenti italiane
 prima e quelle europee dopo. È riuscito a intimidire con insulti alcuni
 di loro, altri li ha invece piegati con la seduzione della sua energia,
 altri ancora facendo leva sull'opportunismo di chi ama i vincenti. 
La
 sua è stata una visione del potere senza gabbie etiche, solo e 
puramente funzionale. Non ha mai avuto dubbi infatti sulla  natura 
tattica delle alleanze, e così come non ha esitato a far fuori Enrico Letta,
 così ha risdoganato e rimesso al centro senza  nessuna spiegazione 
l'arcinemico del suo stesso partito, Silvio Berlusconi;  o ha  distrutto
 e rivivificato carriere a seconda dei voti che aveva necessità di 
raccogliere su questo o quel provvedimento. Che la priorità assoluta dei
 primi sei mesi della sua attività di governo sia stata la riforma del 
Senato ha senso solo in questo percorso.
Non è in sé sbagliato. 
Come si diceva è una idea che viene da una onorata e molto lunga 
tradizione  - il potere si giustifica col potere perché solo il potere 
autorizza il cambiamento. Renzi in questo sfoggio di forza ha infatti 
affascinato e addomesticato quasi il 50 per cento del paese.
C'è
 un solo problema in questo schema, e che ora si presenta alla sua 
porta. Dopo la conquista, il potere occorre riempirlo di fatti, di idee,
 di proposte. E su questo Renzi arriva tardi e male. E non solo perché 
non ha i soldi. Anzi. 
Arriva tardi e male perché in questi mesi non ha saputo o voluto 
raccordarsi davvero con il paese, e la sua crisi. Il suo orizzonte è 
stato il più politicista di tutti i leader più recenti. Proprio perché 
concentrato sulla presa dei centri di potere. Ma non ha saputo  mai 
spiegare a tutti noi perché si sta sempre peggio,
 cos'è che non funziona nelle nostre città e come mai l'Italia ha 
continuato a scivolare verso dati  economici negativi. Non lo abbiamo 
visto parlare con nessun poveraccio, salvo i suoi giri veloci e le sue 
pacche sulle spalle. Ha visitato a mala pena qualche fabbrica, della 
lunga vicenda della Alcoa non ha preso mai nota, ha fatto i suoi  gesti 
di potere disprezzando Squinzi e i sindacati, ma ha visto Landini che è 
'nuovo' e cool ma non sembra avergli parlato a sufficienza da capire che
 lui e Landini vivono in luoghi diversi. Parla tanto di quote rosa, ma 
non parla mai di aborto, di diritti, di bambini uccisi da madri a da padri in depressione.
 Non ha mai fatto una filippica sull'onestà collettiva, sulla evasione 
fiscale, in compenso abbiamo tante filippiche su gufi e invidiosi e 
specie altre. Non ha mai detto una parola sul disagio dei giovani, sul 
degrado che alcol droga e bassi affitti hanno scatenato questa estate 
sul nostro territorio nazionale, in compenso fa docce gelate, e prepara 
una mossa smart via l'altra, un permanente girotondo di discorsi, 
conferenze stampa, convegni -  oggi sappiamo già della conferenza stampa
 di mercoledì e poi del convegno europeo di venerdì e poi della la 
visita all'Onu prima anticipata da quella - e dove altro? - alla Silicon
 Valley. 
Ma soprattutto sembra non aver mai albergato nella sua 
testa l'idea che un paese in gravissima crisi c'è bisogno di un qualche 
misura speciale. Forse di una idea di unità nazionale che non sia solo 
il suo patto con Berlusconi e Ncd a fini di raccattare i voti che gli 
servono. 
Roosevelt fece i lavori pubblici, Marshall finanziò la 
ripresa europea, Mussolini risanò le paludi. E lui ha qualche compito 
cui tutti noi possiamo concorrere, ha in mente una chiamata alla 
responsabilità di lavoratori e imprenditori, come in Germania ad 
esempio, o la ripresa viene automaticamente fuori dal suo inarrestabile 
presenzialismo? Si è mai chiesto Renzi perché i suoi 80 euro non hanno funzionato?
 Dove li ha messi la gente che li ha ricevuti? Sotto il materasso? Ha 
saldato i debiti pregressi? Nemmeno con quei dieci milioni di Italiani 
che ha concretamente e generosamente aiutato lo abbiamo mai visto 
parlare. 
Il premier si fa sempre un punto di far sapere di fregarsene delle 
opinioni dei suoi critici. Ma le cambiali arrivano anche per lui. E nel 
caso di questi ultimi giorni la conseguenze del suo stile di lavoro si 
sono viste. 
Alla fine di questa girandola di gestione di potere, arrivato al dunque delle misure da decidere per il paese, i tanti suoi progetti sono poi stati filtrati, messi in ordine e limitati da uomini più saggi e più vecchi di lui. Le sue ambizioni meravigliose si sono scontrate con la fermezza del ministro del Tesoro nel tenere i piedi per terra nei conti, nella fermezza di Napolitano di non prestarsi a giochi di illusionismo politico, e con la figura imponente di Mario Draghi diventato ormai il real player politico anche per l'Italia, oltre che per l'Eurozona.
Alla fine di questa girandola di gestione di potere, arrivato al dunque delle misure da decidere per il paese, i tanti suoi progetti sono poi stati filtrati, messi in ordine e limitati da uomini più saggi e più vecchi di lui. Le sue ambizioni meravigliose si sono scontrate con la fermezza del ministro del Tesoro nel tenere i piedi per terra nei conti, nella fermezza di Napolitano di non prestarsi a giochi di illusionismo politico, e con la figura imponente di Mario Draghi diventato ormai il real player politico anche per l'Italia, oltre che per l'Eurozona.
Alla
 fine, spenti i fuochi artificiali, il Renzi che esce da Palazzo Chigi e
 naviga nel mondo reale è nei fatti un premier tenuto continuamente a 
balia da altri. Un premier decisamente messo al suo posto di ragazzino. E
 non solo dalla copertina dell'Economist.
Lucia Annunziata (huffingtonpost.it - 1 settembre 2014)

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