"Da bambini andavamo in auto che non avevano cinture di sicurezza né 
airbag. Viaggiare nella parte posteriore di un furgone aperto era una 
passeggiata speciale. Le nostre culle erano dipinte con colori 
vivacissimi, con vernici a base di piombo. Non avevamo chiusure di 
sicurezza per i bambini nelle confezioni dei medicinali, nei bagni, alle
 porte, alle prese. Quando andavamo in bicicletta non portavamo il 
casco. Bevevamo l’acqua dal tubo del giardino invece che dalla bottiglia
 dell’acqua minerale. Uscivamo a giocare con l’unico obbligo di 
rientrare prima del tramonto. Non avevamo cellulari, cosicché nessuno 
poteva rintracciarci. Impensabile. Ci tagliavamo, ci rompevamo un osso, 
perdevamo un dente e nessuno faceva una denuncia per questi incidenti. 
La colpa non era di nessuno, se non di noi stessi. Condividevamo una 
bibita in quattro, bevendo dalla stessa bottiglia e nessuno moriva per 
questo. Non avevamo Playstation, Nintendo 64, Xbox, videogiochi, 
televisione via cavo 99 canali, videoregistratori, dolby surround, 
cellulari personali, computer, chatroom su Internet. Avevamo solo tanti,
 tanti amici. Uscivamo, andavamo in bicicletta o camminavamo fino a casa
 dell’amico, suonavamo il campanello semplicemente per vedere se lui era
 lì e poteva uscire. Sì! Lì fuori! Nel mondo crudele! Senza un 
guardiano! Facevamo giochi con bastoni e palline da tennis, si formavano
 delle squadre per giocare una partita, non tutti venivano scelti per 
giocare e gli scartati dopo non subivano un trauma. Alcuni studenti non 
erano brillanti come altri e quando perdevano un anno lo ripetevano. 
Nessuno andava dallo psicologo, dallo psicopedagogo, nessuno soffriva di
 dislessia né di problemi di attenzione né di iperattività, 
semplicemente prendeva qualche scapaccione e ripeteva l’anno, perché gli
 insegnanti avevano sempre ragione. Avevamo libertà, fallimenti, 
successi, responsabilità e imparavamo a gestirli. E allora la grande 
domanda è questa: come abbiamo fatto a sopravvivere noi bambini degli 
anni ’50 e ‘60, a crescere e a diventare grandi?".
Questo ‘mantra’ circola da qualche settimana su WhatsApp. L’autore, 
certamente un uomo in età, è ignoto, come ignoti quasi sempre sono gli 
autori di certe barzellette fulminanti che nascono in genere negli 
ambienti impiegatizi da qualcuno che, per non morire di noia, dà libero 
sfogo alla propria fantasia.
L’obbiettivo sarcasticamente polemico dell’Autore Ignoto è lo Zeit 
Geist, lo spirito del tempo, la pretesa di mettere tutto ‘in sicurezza’,
 ‘a norma’, omologato da rigidi protocolli. Non siamo più in grado di 
accettare il rischio, l’imprevedibile, l’imponderabile, il Caso che i 
Greci chiamavano Fato. Ma in questa pretesa di controllare in tutto e 
per tutto la vita finiamo per non viverla più.
Io mi identifico totalmente nell’Autore Ignoto che offre una serie di
 spunti che mi spiace di non poter qui sviluppare. Sono anch’io ‘un 
ragazzo degli anni ‘50’, la nostra ‘educazione sentimentale’ è stata 
sulla strada e, sia pur fra qualche rischio e pericolo, ci ha insegnato,
 fra le altre, una cosa fondamentale: il principio di responsabilità 
(nel ‘mantra’ è l’accenno al ragazzino che si rompe un osso facendo a 
bastonate in una lotta fra bande o al ripetente). Oggi bambini o, 
peggio, adulti che si sia, la colpa è sempre degli altri, di un’infanzia
 difficile, della scuola, degli insegnanti, delle cattive compagnie, del
 ‘così fan tutti’. Quel principio di responsabilità che da tempo è 
venuto meno nella società italiana, in particolare nella classe politica
 ma anche fra i ‘very normal people’, e che è uno dei motivi principali,
 se non addirittura il principale, della nostra difficoltà a vivere 
insieme.
Massimo Fini (Il Gazzettino, 14 novembre 2014)
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