A Umberto Bossi il Tg1 Rai ha dedicato un breve servizio alle 13,30 di domenica 2 agosto. Il leader della Lega è apparso, forse per la prima volta, dietro una scrivania. Di solito fa i suoi annunci in circostanze informali, subito dopo un comizio o mentre esce da Palazzo Chigi. Si ferma qualche minuto, fa la sua dichiarazione – generalmente laconica ma efficace – e poi se ne va. Stavolta sono andati a trovarlo nella sede della Lega. E allora ci si aspetta che l’annuncio sia importante, comunque necessario, perché la consuetudine, melensa, del giornalismo televisivo del servizio pubblico impone una escussione dei testi – tutti a dire la loro – invece che un’illustrazione possibilmente chiara della questione. La troupe del Tg1 ha registrato poche parole del leader leghista. Nessun annuncio importante, nessuna replica all’avversario di turno, ma la necessità, da parte di Umberto Bossi, di ribadire che loro al dialetto che si studia nelle scuole ci tengono eccome. Punto e basta. Perciò, porteranno avanti la questione in sede parlamentare. Se ce l’avesse detto lunedì invece che domenica non sarebbe successo niente, ma Bossi (o il Tg1) aveva un’agenda delle priorità che includeva il dialetto. Gli italiani devono sapere che la loro educazione scolastica si arricchirà degli idiomi territoriali, dal bergamasco al milanese, dal napoletano al barese e così via. I nostri ragazzi gireranno il mondo avendo in tasca questa risorsa supplementare da usare tutte le volte che potranno incontrare i nostri connazionali della diaspora. Loro non conoscono l’italiano, perché sono di terza o quarta generazione, ma il dialetto del nonno, che hanno conosciuto per un breve lasso di tempo, qualcosa l’ha lasciata. Umberto Bossi questo l’ha intuito e ha annunciato il proposito leghista di domenica perché lo sapessero in tanti. Invece che affannarsi a studiare l’inglese, che costa fatica e risorse, bisogna portarsi appresso la parlata del quartiere: è più facile utilizzare questa che un inglese superficiale come solo le scuole italiane lo sanno dare, anche perché colonizzate da docenti meridionali che, come si sa, non sono un mostro di competenza. E’ assai probabile che questa idea del Ministro leghista sia presto presa in considerazione dalla Ministra Gemini che sull’argomento ha trovato una immediata sintonia con i promotori leghisti di una norma che propone test di “ingresso” ai docenti che vengono dal Sud e vogliono insegnare nella Padania. E’ bene che sappiano dove si trovano, ha detto la Ministra, ed è bene anche, ha aggiunto, che si trovi il modo di darci un taglio a questo flusso di professori dal sud verso il nord, che mette in crisi la scuola italiana perché poi vogliono tornare a casa e l’insegnamento ne risente. L’interesse leghista verso l’istruzione scolastica non è nuovo ed ebbe il suo momento di maggiore tensione emotiva allorquando il figliolo del Ministro Bossi subì l’umiliazione della seconda bocciatura alla maturità a causa, pare, di una presenza folta di meridionali in commissione di esami. L’accortezza e la diligente scelta dei tempi, tuttavia, ci devono invitare a considerare le novità esposte dalla Lega di volta in volta all’interno di un contesto preciso. I moventi politici sono multipli, come si conviene a chi prende sul serio la politica e usa con saggezza le istituzioni. La questione meridionale sta prendendosi spazi imprevedibili e Umberto Bossi non può permettersi di accreditare l’ipotesi di una sua seppure provvisoria pausa nel governo del Paese, una pausa che favorisce il Sud. Ha dovuto far buon viso ai bisogni del Premier che aveva da sedare la rivolta sudista, finta o meno non importa, ma deve mettere in campo gli anticorpi. Il Nord c’è, insomma e porta avanti le sue cose.
Il dialetto è la password per entrare nel cuore della questione meridionale da Nord: esso crea le condizioni perché ognuno resti a casa propria senza dovere ricorrere ai respingimenti. Il ritorno al futuro passa attraverso lo studio del bergamasco e non dell’inglese. Il governo non trae alcun beneficio dagli annunci dei Ministri, questo lo sa bene sia il Premier che i suoi più stretti collaboratori, ma nessuno ci può fare niente, le premure della Ministra Gemini ne sono una prova. E’ come fermare un treno che va a marcia indietro: non può essere fermato. La velocità non c’entra, la marcia indietro sprigiona la maggiore potenza ed abbatte ogni ostacolo. Le tensioni nella maggioranza di centrodestra e all’interno del Pdl, in sede territoriale, non si sono affatto sciolte, nonostante le dichiarazioni dei leader. Le macchine da guerra gioiose, come insegna la lezione di Occhetto, s’inceppano per un nonnulla. Magari a causa del dialetto bergamasco. Almeno, questa è la speranza dell’opposizione, che cerca di attrezzare il Pd per renderlo presentabile in caso di bisogno.
Sicilia Informazioni (2 agosto 2009)
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