Letizia Battaglia, classe 1935, è una donna dal carisma irresistibile, una di quelle figure che mentre raccontano la storia, la scrivono. Dal 19 gennaio a Livorno, nei Granai di Villa Mimbelli-Museo Civico Giovanni Fattori, cinquanta dei suoi storici scatti - raccolti in una mostra che ha per titolo il suo nome - permettono di approfondire il lavoro e il ruolo di Letizia Battaglia, annoverata tra le protagoniste assolute della fotografia contemporanea.
Promossa dalla Fondazione Carlo
Laviosa nell’ambito del progetto Fotografia e Mondo del Lavoro e
realizzata in collaborazione con il Comune di Livorno, la mostra, di
grande impatto, per le caratteristiche intrinseche al lavoro di
Battaglia apre finestre su temi molto diversi tra loro, ma
complementari: dalla storia della fotografia a quella del giornalismo,
passando per la storia sociale e politica d’Italia, giungendo ad
interrogare, implicitamente, i musei di oggi.
Abbiamo posto tre domande a Serafino
Fasulo, curatore della mostra e direttore della Fondazione Carlo
Laviosa, per conoscere più da vicino la figura di Letizia Battaglia e
questo ente.
Quali aspetti del lavoro di Letizia Battaglia vuole approfondire la mostra?
«Quando nel 1970 Letizia Battaglia si
trasferisce a Milano da Palermo, scrive per varie testate. I giornali le
chiedono fotografie a corredo dei suoi articoli ed è dunque per
necessità che diventa fotografa. Letizia è la prima donna a lavorare
ufficialmente in una redazione giornalistica e fotografa di tutto:
matrimoni, bambini, manicomi. Non viene da una scuola professionale e
non ha una conoscenza approfondita della macchina fotografica. Tuttavia
ha una grande consuetudine con le arti figurative che ha sempre seguito
fino a farne una costante del suo universo culturale e sa esattamente
come costruire un’immagine. Una fotografia rivela molto anche
dell’autore e per Letizia Battaglia scattare significa darsi al mondo.
La sua capacità di registrare la realtà con lucidità, anche se in
situazioni estreme ed in maniera asciutta, non priva in alcun caso i
suoi scatti di una forte ed intensa portata emozionale. Dietro ad una
fotografia importante ci sono un pensiero ed una predisposizione
empatica ad incontrare l’altro, sia che si tratti di una persona, di un
paesaggio o di un oggetto. La mostra non segue pertanto né un andamento
cronologico né tematico ma vuol sottolineare come un grande fotografo
non si forma sui manuali d’istruzione ma su altri presupposti che sono
l’empatia, il suo bagaglio culturale e la capacità di mettersi in
gioco».
Quali elementi del suo lavoro l'hanno resa una delle fotografe più rilevanti della scena contemporanea?
«Il lavoro di Letizia Battaglia, una
giovane di 83 anni, è stato spesso sommariamente etichettato come
testimonianza sugli omicidi di Mafia ma ciò è riduttivo. La Battaglia è
stata sì una fotografa di trincea (nomen omen) ma ci ha illuminati ed
arricchiti anche con la sua incessante ricerca della bellezza e della
dignità: le sue foto restituiscono il pathos delle tragedie greche, il
dolore ed il sublime. Le linee guida dell’inquadratura conducono il suo
occhio verso gli elementi più importanti della scena ma non le
impediscono di andare a scoprire, nelle zone d’ombra, dettagli che
aggiungono significato, mistero e inquietudine per una realtà incerta e
dolorosa. Tutto questo è presente anche nelle foto che non riguardano
direttamente la Mafia e che ritraggono le donne e soprattutto le
bambine, le feste religiose, l’aristocrazia siciliana immobilizzata in
tableaux gattopardeschi, la Palermo che "puzza”, quella che lei ama.
Un’epopea dei vinti. Non si può comunque negare che le foto dei morti di
Mafia l’abbiano resa celebre ma bisogna chiedersi come mai le sue foto
siano rimaste impresse nella memoria collettiva mentre quelle di una
miriade di giornalisti che hanno fotografato gli stessi eventi siano
finite nel dimenticatoio. La sua è una foto di cronaca che attiene
all’evento e al contempo lo trascende per raccontare la lotta eterna tra
il bene e il male.
Letizia Battaglia è divenuta una delle
figure più rappresentative del reportage, prima donna europea ex aequo
con l'americana Donna Ferrato ad essere insignita a New York nel 1985
del Premio Eugene Smith per il fotogiornalismo (assegnato annualmente a
fotografi che si siano distinti per un punto di vista innovativo in
ambito sociale, economico, politico o ambientale). Da tempo non è più
considerata una giornalista ma è stata inserita tra le figure più
rappresentative dell’arte fotografica».
(Silvia Conta)
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