In un panorama che tende a confondere ruoli e mestieri, la figura
dell'opinionista intriga e inquieta per il ruolo assurto nella società moderna.
Fino a ieri giornalisti, scrittori, poeti, professori e, comunque, gente di cultura, con un pensiero articolato alimentato da studi, erano chiamati a esternare loro punti di vista su questioni meritevoli di riflessioni e approfondimenti.
Unico presupposto richiesto per la loro credibilità, indipendentemente dalle idee politiche e dai posizionamenti partitici eventuali, era quello di avere in dote una “onestà intellettuale” riconosciuta e ampiamente collaudata.
Con la figura dell'opinionista, oggi, sono anche coinvolti personaggi provenienti dalla cronaca e per i più svariati motivi; soggetti spesso faziosi non necessariamente qualificati e attendibili per arricchire culturalmente con i loro interventi.
Centinaia di figuri si alternano nei talk per esprimere pareri non sempre qualificanti, in qualche caso tendenti al fake, magari allo scopo di accendere dibattiti stralunati, strabilianti, strampalati, improvvisati, spesso pure pecorecci.
Il web e i media in genere di questi “malati di protagonismo senza se e senza ma” ne fanno merce preziosa, per invogliare le masse a visionare i "contenuti", allo esclusivo scopo di canalizzare curiosi e maniaci di scoop e lucrare sulle pubblicità che precedono i servizi e che remunerano i tanti canali in concorrenza.
Ne derivano anche spedizioni e visualizzazioni parallele sui social, dove prosperano video incontrollati riguardo alle fonti, alla attendibilità dei contenuti e qualifica degli stessi interlocutori. Da questo non rimangono purtroppo escluse anche quelle che dovrebbero costituire delle fonti qualitativamente alte dell'editoria moderna.
Ma è l'intera fabbrica delle fake news e non solo delle esibizioni che nasconde spesso tanta ignoranza.
Ne consegue che, lo spettatore generico, piuttosto che porre attenzione sui contenuti, si concentra sulla spettacolarizzazione, sulle diatribe suscitate provocatoriamente, nel caso, da quella che può essere una Mussolini, una Taverna, un Gasparri, un Sallusti, un Salvini, un Grillo o da un qualsiasi altro avente le stesse caratteristiche dialettiche, trascurando il verosimile loro intento di voler assurgere più a “personaggi con delle parti in commedia”.
Con i loro argomentare, questi specialisti naturali della comunicazione, tendono ad allontanare sempre dall'essenza delle questioni specifiche non gradite, distraendo possibilmente lo spettatore dai veri contenuti che emergono o tendono ad affiorare, indirizzando - all’occorrenza - anche allo spettacolo becero.
In tutto questo la vera colpa non è comunque dei personaggi in questione che oggi calcano, padroneggiando, le tavole del “teatrino perenne” e che sono sempre esistiti pure in assenza dei media, ma degli spettatori “ebeti”, ormai assuefatti e condizionati da queste dosi di droghe sempre più pesanti che inducono a una progressiva “dipendenza”.
Al riguardo mi piace riportare le tesi sostenute dal mio amico P. il quale scrive che "l’argomento, ovviamente, è di grande attualità. In un mondo dominato dai media e dai social in maniera sempre più pervasiva, a tutti indistintamente è data la possibilità di dire la propria in pubblico. Un modo formidabile di dar voce al proprio ego. Solo che sui social, come nella vita reale, quelli veramente che hanno qualcosa di interessante da dire sono pochi. Per cui per molti ciò fa aumentare il senso di frustrazione e si pensa che per farsi sentire bisogna urlare di più (inteso anche in senso metaforico). Ne consegue una sorta di “facite ammuina “ globale nel quale le competenze non sono riconosciute, anzi chi tenta di fare qualche ragionamento più articolato basato sulle proprie conoscenze viene spesso travolto da insulti e aggressioni verbali. Insomma la voce data alla folla e suoi portavoce urlatori di professione porta sempre a salvare Barabba e a crocifiggere Gesù."
Ancor peggio appare l’aspetto politico della questione, allorchè dei personaggi provenienti da questo mondo ovvero assurti alla notorietà anche per dei fortunati - per loro - scoop occasionali (quali “Schettino, vada a bordo, c…..” o altre boutade d’effetto similari alla “Adinolfi and Co” per intenderci) vanno ad approdare in ruoli istituzionali.
In questi casi non ci si riferisce esclusivamente o principalmente ai titoli di studio accademici posseduti (Orlando al Ministero della Giustizia o Fedeli alla Pubblica Istruzione docet) ma alla qualità umana e al connesso “background” culturale ed etico intrinseco ai soggetti, necessario, se non indispensabile, per l’efficace e pieno assolvimento del delicato ruolo "occasionalmente" ricoperto.
Patetica appare anche la comunicazione politica fatta attraverso pezzi mandati a memoria e sparati in tv da figuranti (In questo le donne risultano generalmente più brave degli uomini, avendo da sempre la lingua più lunga!).
Per quanto ovvio, tutto quello fin qui scritto costituisce anch’essa una “opinione” assoggettabile ad esame, che potrebbe ben abbracciare qualunque campo del nostro vivere sociale e potrebbe alimentare - nel caso esclusivamente - un "sano e pacato" confronto.
Buona luce a tutti!
Fino a ieri giornalisti, scrittori, poeti, professori e, comunque, gente di cultura, con un pensiero articolato alimentato da studi, erano chiamati a esternare loro punti di vista su questioni meritevoli di riflessioni e approfondimenti.
Unico presupposto richiesto per la loro credibilità, indipendentemente dalle idee politiche e dai posizionamenti partitici eventuali, era quello di avere in dote una “onestà intellettuale” riconosciuta e ampiamente collaudata.
Con la figura dell'opinionista, oggi, sono anche coinvolti personaggi provenienti dalla cronaca e per i più svariati motivi; soggetti spesso faziosi non necessariamente qualificati e attendibili per arricchire culturalmente con i loro interventi.
Centinaia di figuri si alternano nei talk per esprimere pareri non sempre qualificanti, in qualche caso tendenti al fake, magari allo scopo di accendere dibattiti stralunati, strabilianti, strampalati, improvvisati, spesso pure pecorecci.
Il web e i media in genere di questi “malati di protagonismo senza se e senza ma” ne fanno merce preziosa, per invogliare le masse a visionare i "contenuti", allo esclusivo scopo di canalizzare curiosi e maniaci di scoop e lucrare sulle pubblicità che precedono i servizi e che remunerano i tanti canali in concorrenza.
Ne derivano anche spedizioni e visualizzazioni parallele sui social, dove prosperano video incontrollati riguardo alle fonti, alla attendibilità dei contenuti e qualifica degli stessi interlocutori. Da questo non rimangono purtroppo escluse anche quelle che dovrebbero costituire delle fonti qualitativamente alte dell'editoria moderna.
Ma è l'intera fabbrica delle fake news e non solo delle esibizioni che nasconde spesso tanta ignoranza.
Ne consegue che, lo spettatore generico, piuttosto che porre attenzione sui contenuti, si concentra sulla spettacolarizzazione, sulle diatribe suscitate provocatoriamente, nel caso, da quella che può essere una Mussolini, una Taverna, un Gasparri, un Sallusti, un Salvini, un Grillo o da un qualsiasi altro avente le stesse caratteristiche dialettiche, trascurando il verosimile loro intento di voler assurgere più a “personaggi con delle parti in commedia”.
Con i loro argomentare, questi specialisti naturali della comunicazione, tendono ad allontanare sempre dall'essenza delle questioni specifiche non gradite, distraendo possibilmente lo spettatore dai veri contenuti che emergono o tendono ad affiorare, indirizzando - all’occorrenza - anche allo spettacolo becero.
In tutto questo la vera colpa non è comunque dei personaggi in questione che oggi calcano, padroneggiando, le tavole del “teatrino perenne” e che sono sempre esistiti pure in assenza dei media, ma degli spettatori “ebeti”, ormai assuefatti e condizionati da queste dosi di droghe sempre più pesanti che inducono a una progressiva “dipendenza”.
Al riguardo mi piace riportare le tesi sostenute dal mio amico P. il quale scrive che "l’argomento, ovviamente, è di grande attualità. In un mondo dominato dai media e dai social in maniera sempre più pervasiva, a tutti indistintamente è data la possibilità di dire la propria in pubblico. Un modo formidabile di dar voce al proprio ego. Solo che sui social, come nella vita reale, quelli veramente che hanno qualcosa di interessante da dire sono pochi. Per cui per molti ciò fa aumentare il senso di frustrazione e si pensa che per farsi sentire bisogna urlare di più (inteso anche in senso metaforico). Ne consegue una sorta di “facite ammuina “ globale nel quale le competenze non sono riconosciute, anzi chi tenta di fare qualche ragionamento più articolato basato sulle proprie conoscenze viene spesso travolto da insulti e aggressioni verbali. Insomma la voce data alla folla e suoi portavoce urlatori di professione porta sempre a salvare Barabba e a crocifiggere Gesù."
Ancor peggio appare l’aspetto politico della questione, allorchè dei personaggi provenienti da questo mondo ovvero assurti alla notorietà anche per dei fortunati - per loro - scoop occasionali (quali “Schettino, vada a bordo, c…..” o altre boutade d’effetto similari alla “Adinolfi and Co” per intenderci) vanno ad approdare in ruoli istituzionali.
In questi casi non ci si riferisce esclusivamente o principalmente ai titoli di studio accademici posseduti (Orlando al Ministero della Giustizia o Fedeli alla Pubblica Istruzione docet) ma alla qualità umana e al connesso “background” culturale ed etico intrinseco ai soggetti, necessario, se non indispensabile, per l’efficace e pieno assolvimento del delicato ruolo "occasionalmente" ricoperto.
Patetica appare anche la comunicazione politica fatta attraverso pezzi mandati a memoria e sparati in tv da figuranti (In questo le donne risultano generalmente più brave degli uomini, avendo da sempre la lingua più lunga!).
Per quanto ovvio, tutto quello fin qui scritto costituisce anch’essa una “opinione” assoggettabile ad esame, che potrebbe ben abbracciare qualunque campo del nostro vivere sociale e potrebbe alimentare - nel caso esclusivamente - un "sano e pacato" confronto.
Buona luce a tutti!
© Essec
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