"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post parzialmente pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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martedì 28 aprile 2020

“E’ verosimile che accada l’inverosimile”



“E’ verosimile che accada l’inverosimile” era il titolo dell’intervista che sarebbe stata condotta da Giusy Lisuzzo a Davide Sisto, programmata nell’ambito del Festival delle filosofie di Palermo organizzato dall’Associazione Lympha.
Il tema dell'evento si prospettava interessante e l'argomento avrebbe dovuto riguardare la memoria e l’oblio nell’era digitale. Con le sue diverse sfaccettature, l’evento morte avrebbe costituito asse centrale della videoconferenza.
L’inizio mostrò l’attualità dell'oggetto di disquisizione e si capì che l'argomentazione avrebbe di certo suscitato interesse. L’esordio del prof. Sisto, docente al Dipartimento di filosofie e scienze dell’E.D. dell’Università degli studi di Torino, da subito risultò catalizzante. L’oggetto della trattazione però, per certi aspetti, è anche apparso quasi profetico.
La partecipazione in diretta del Prof. Sisto, per un collegamento informatico precario, infatti, è risultata quasi un'apparizione eterea, a causa di una durata d'intervento molto limitata. Gli scaramantici goliardici  avranno di certo dato una intuibile interpretazione su quanto è poi accaduto.
Dopo dieci minuti iniziali, all'incirca, il collegamento con Torino è venuto meno e "spiritosamente" si potrebbe quindi affermare che in breve l’intervento del Prof. Sisto “è venuto a mancare”.
Dopo una brevissima ripresa, la linea con la sede piemontese ebbe una nuova ricaduta, e questa volta in maniera irrecuperabile, per sempre. Quindi, il tempo dell’intervento del cattedratico fu nel complesso solo un flash: tutto in breve si "spense" definitivamente.
Il coordinatore, subentrando ancora una volta nella videoconferenza in diretta, a un certo punto fu quindi portato a dire, mestamente: “Davide non si trova, non cè”.
Per salvare l’appuntamento, furono subito introdotti, nuovi argomenti, con disquisizioni sull’attualità, sulle situazioni socio-economiche che si profilano all’orizzonte e altro ancora …….
Volendo leggere quanto accaduto in una chiave ironica è risultato facile imputare l'incidente occorso al tema originario. Era appunto successo quanto profeticamente annunciava lo stesso titolo dell’evento: “E’ verosimile che accada l’inverosimile”.
Per chi volesse soddisfare la curiosità sugli argomenti di cui avrebbe dovuto trattare il Prof. Davide Sisto, si consiglia di procedere con una ricerca nel web attraverso il nome. In sintesi, potrebbe anche tornare utile un intervento che è stato registrato su You Tube e che è accessibile attraverso il link: https://youtu.be/bfK1R6Xv4Ls

© Essec


lunedì 27 aprile 2020

"Panelle Calde" si declama quando si propone qualcosa (metaforicamente) di appena cucinato



In risposta allo scritto "Falsa dicotomia" sostanzialmente ispirato al ritorno degli ordini sociali feudali che in qualche modo lentamente si sono ricostituiti, se mai fossero del tutto scomparsi, magari anche attraverso nuove categorie corporative che si identificano con gli stessi metodi esclusivi, ad esempio anche attraverso adozioni di linguaggi "autoctoni" (politico, giuridico, filosofico, finanziario, commerciale, medico, burocratico, etc …), l’amico Pippo a stretto giro di posta mi ha inviato una email, che mi fa piacere condividere.

© Essec

"Prendi fiato nella tua rincorsa alla ricerca di una claritas oggettiva per ogni esposizione: per il sottoscritto “è tempu persu vattiari u turcu”.
Tanto premesso, condivido la simpatia nei confronti di De Crescenzo.
Forse sai che è stato un grande narratore fotografico (v. “La Napoli di Bellavista” edizioni Mondadori).
Il nostro ingegnere, che aveva ottimi studi alle spalle (ti dice niente un mostro della logica matematica come il prof. Renato Caccioppoli?), fondava la semplicità espositiva dei suoi teoremi, logici ed esistenziali, nella grande scuola napoletana di Peppino Marotta che riusciva a far digerire ai suoi “Alunni del sole” le più ardite fantasie di Heidegger e, nel contempo, convincerli che Zeus, minuto più minuto meno, si sarebbe visto dalle parti del Vicolo Scassacocchi. Tanta era la fiducia nell’affabulazione e nell’affabulatore.
Perché poi, le storie, e le logiche in essa sottese, bisogna raccontarle bene: la storiellina da te adoperata va completata.
“Quando il visitatore provò a raccontare la barzelletta citando, proprio lui, “un” numero, i poveri matti non risero affatto, giustificandosi con un “non l’hai saputa raccontare” (bellissimo apologo sul nesso semantico tra significante e significato).
Non capisco l’enfasi posta sulla “falsa dicotomia”.
Nell’arte oratoria come nella sacra eloquenza (materie di studio in seminario e in giurisprudenza) la dicotomia è sempre fallace poiché¨ in astratto, non puoi dividere/racchiudere un’affermazione in due sole prospettive. Ne consegue che nel momento in cui ciò avviene, e limitatamente a quel momento, e nel contesto in cui si sviluppa,  e in funzione di chi ascolta, la dicotomia, strumento retorico-linguistico, è paradossalmente vera e strumentalmente efficace a chiarire i concetti anche più difficili. Pertanto ritengo che se ne possa fare un uso corretto in funzione del raggiungimento di quella claritas come la volevano gli Scolastici (che se ne intendevano).
Per anni ho dovuto, per motivi professionali, leggere, il Sole24Ore e quindi cominciare ad apprezzare il pensiero dell’ottimo Dominici, e trarre giovamento dalle attenzioni da lui rivolte alla sociologia del linguaggio.
L’analisi dei problemi e dei risvolti sociali ad essa connessi non erano, nei suoi scritti, mai un esame del cosiddetto “stato dell’arte” della comunicazione ma la ricerca etica e scientifica  sugli strumenti del linguaggio, dei suoi obiettivi e dei suoi impatti sociali.
Quindi, quando proviamo a definire “le false dicotomie”, talvolta necessarie per semplificare, facciamo solo cronaca; quando proviamo ad interpretare le direzioni di tali falsità  facciamo, quanto meno, una legittima scelta di parte.
Cosa diversa, e mio avviso assai più interessante, è¨ l’antinomia didattica laddove la prescrizione di un comportamento può˛ diventare un dilemma educativo (non parlare con gli sconosciuti, e il bimbo non ascolta l’allarme dello sconosciuto; non uscite di casa, state dentro, attenti alle false notizie e si accettano limitazioni di libertà  e di espressione).
Da dove viene la parola equilibrio? Da latino che traduce uguale e bilancia, due esperienze difficili da allineare. Appunto, difficili,
Ma ci proviamo, anche con le false dicotomie
Pippo Pappalardo


domenica 26 aprile 2020

Falsa dicotomia



Luciano De Crescenzo è da sempre stato per me un mito, anche per la sua capacità eclettica di aver saputo mixare ironia, frivolezza, complessità e tutti gli altri sali di sapienza e del vivere umano.
I suoi cocktail letterari sono stati antesignani di una saggistica popolare che ha saputo spiegare con parole semplici, comprensibili ai più, pensieri complicati e intrecciati fra teorie di filosofi e periodi storici di riferimento.
Bellavista e i suoi adepti, per il lettore medio, sono stati poi la sublimazione e l’eccellenza della filosofia partenopea, facilmente riscontrabile - e da tutti - nella quotidianità ordinaria.
Attraverso personaggi specifici e caratterizzazioni diverse, con l’arguzia della sua fantasia, Luciano De Crescenzo ha saputo realizzare, prima attraverso la carta stampata, poi con i films e la televisione, dei veri e propri trattati di vita, puntellati da perle di saggezza frutto di studio: letterario, filosofico, antropologico, semantico e chi più ne ha più ne metta.
De Crescenzo è stato però vissuto da molti acculturati come un intruso nel loro mondo, in special modo negli ambienti che si auto identificano con termini elitari indicati fra due virgolette.
Questo cappello mi è utile per contrapporre l’argomento su cui voglio “andare a parare”.
Ogni qualvolta mi sono imbattuto nel leggere dei saggi o dei brevi articoli che avevano a che fare con la filosofia, con la matematica, con l’astronomia e altre materie del genere, confesso che ho trovato non poche difficoltà a seguire dei percorsi logici quasi sempre complessi ai più.
In molti passi, negli scritti, abbondano collegamenti non sempre raccordati in maniera piana in modo da renderli facilmente comprensibili nel significato a tutti.
Capita spesso, infatti, di veder esprimere concetti solo attraverso “codifiche” che individuano certamente complessità studiate o, applicando lo stesso metodo comunicativo, citare solo l’autore per collegarsi in modo sintetico a un più ampio discorso concettuale.
Si tratta però, in questi casi, di un codice interno e comune solo fra gli interlocutori, siano essi scrittore, lettore, intrattenitore in una conferenza, ascoltatori in platea.
Per cercare di spiegare meglio quello che voglio dire, mi rifaccio a quella barzelletta ambientata in un manicomio. Il tizio estraneo che arriva sente declamare a turno dei semplici numeri. Succede che tutti gli altri pazzerelli che alternandosi declamano e ascoltano, a ogni numero scoppiano in fragorose risate. L’ignaro ospite occasionale non riesce a capire quello che succede ma l’accompagnatore gli spiega l’arcano, dicendo che ormai quelli conoscono a memoria tutte le barzellette e le hanno codificate con dei numeri, pertanto ridono in funzione del racconto così codificato. Una sintesi di dialogo in parte efficace, ma che presuppone un linguaggio comune, anche fra matti.
Non tutto però è conforme alla regola. Quindi può capitare e capita, come è accaduto a me in questi giorni seguendo una conferenza di filosofia, di ascoltare il Professor Piero Dominici che, con estrema chiarezza, pur barcamenandosi in tempi molto ristretti su argomenti e per rispondere a domande composite, riusciva a rendersi comprensibile anche ai non addetti ai lavori, attraverso l’applicazione della “filosofia del linguaggio”.
Per inciso, tra le tante interessanti cose dette quello che mi ha colpito di più, anche perché in qualche modo il professore ci ritornava spesso, è stato il ribadire la “falsa dicotomia” sempre presente e quasi dominante anche nell’attualità contemporanea. E qui mi fermo.
Confesso che ho dovuto attingere al web per comprendere il vero significato di quel mantra e, per chi volesse saperne di più, indico allo scopo la pagina di wikipedia che ho consultato e accessibile a tutti:

 © Essec


sabato 25 aprile 2020

25/04/2020: Bello, ciao!



In questi giorni a casa per effetto Covid19 ho seguito una trasmissione tv in cui un acido Feltri commentava in poche battute il suo disprezzo per il Sud Italia. Mario Giordano il giornalista mediatore lo ha accompagnato bonariamente alla calma, nulla di più. A seguire poco prima del 25 Aprile dichiarazioni da tutto il meridione, di sdegno e indignazione. Perché?
Ci ho pensato su e ho gogglato:”Bilancio Libero quotidiano”. Mi è comparso un mondo. Ora è chiaro. Tutto chiaro. Secondo Legge 16 luglio 2012, n. 103 per il riordino dei contributi alle imprese editrici favorisce e regola la distribuzione sul territorio ma è un tentativo di sbarramento all'orda delle lobby del settore, ce ne sono parecchie e anche molto potenti. Libero quotidiano è fra le testate con maggiori finanziamenti 2016, fonte Dipartimento per l'informazione e l'editoria: https://informazioneeditoria.gov.it/it/attivita/contributi-erogati-e-agevolazioni-concesse/contributi-erogati-e-agevolazioni-concesse/2016/.
Vado avanti e indietro nella ricerca e, fonte informazioneeditoria.gov.it,  è sempre Libero tra i più finanziati. Anzi il bilancio 2012 è 29,5MLN, 2013 di 26,4MLN, 2017 9,4MLN (fonte http://www.datamediahub.it/2018/08/02/la-radiografia-di-libero-quotidiano/#axzz6KbOtL9OK).
Si può leggere tutte le prime pagine di Libero all'URL http://www.funize.com/giornali/Libero.
Ci sono quindi pressioni a seguito di una legge che frena il finanziamento statale ad editoria come quella di Libero che riceve contributi pubblici. Contributi a chi è sempre in perdita con andamento lineare e discendente e realizza titoli infamanti, razzisti e xenofobi per i 2/3, due terzi, di quella Italia che lo paga e ne contribuisce la sopravvivenza. Siamo stupidi, senza memoria?
L'Editore Angelucci, dalla nascita del quotidiano nel 2000 ha investito circa 30MLN, è stato condannato per aveva provato ad aggirare la normativa che regola il finanziamento ai due quotidiani in suo possesso, Libero e Il Riformista, aveva richiesto contributi per entrambi i suoi giornali. Ma la legge vieta di richiedere finanziamenti per più di una testata allo stesso editore. Per superare il divieto, le due società avevano sostenuto di appartenere a due editori differenti. La condanna per falso e tentata truffa è rimasta confermata in Appello solo per falso a un anno e quattro mesi, pena sospesa. Al momento resta un'indagine per traffico d’influenze per ottenere una sentenza più morbida in Cassazione.
Per beneficiare poi di finanziamenti pubblici Libero è passato, come ordinamento, a supplemento di un'altra testata , poi in seguito acquisita, Opinioni nuove, organo ufficiale del Movimento Monarchico Italiano secondo Legge 7 marzo 2001, n. 62 e d.P.R. 7 novembre 2001, n. 460 con la trasformazione a cooperativa di giornalisti. Feltri era già stato Presidente il 14 marzo 2001 del Convegno di presentazione del Manifesto Politico del Movimento Monarchico Italiano. Bene e con questo?
Libero ha una diffusione tiratura 87724, copie carta vendute 30327, digitale 1354  (ago 2019), una quarantina di giornalisti tra professionisti e praticanti. Quanto costa fare una copia? Un confronto con Repubblica: 509.141 tiratura, 396.446 copie vendute 712 dipendenti, fatturato 555M€, ricavo distribuzione (30% tiratura) 175M€.
Realizzare copie per venderne i 2/3 significa drogare il sistema, vendere spazi pubblicitari sulla tiratura, il costo della stampa ricade su circa il 25% del costo totale editoriale. Poi il sistema si droga con copie sostegno su aerei, hotel etc. Il rapporto tiratura dipendenti e gestione è quasi costante, anche se su Repubblica è più basso di Libero che quindi "costa" e chi paga poi alla fine del giro conto siamo noi cittadini, lo Stato che finanzia e che viene munto come una vacca grassa. Ma d'altra parte è lo Stato che si fa aggirare e raggirare.
L'Art. 21 Costituzione - Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. […] qui inizierebbe un lungo e controverso dibattimento ed in questa fascia oscura e molle si inserisce Feltri. Ogni esternazione, dichiarazione, titolo, prima pagina è quindi teso alla sopravvivenza del sistema editoriale Libero, un dinosauro che morendo si dibatte nella polvere di giurisprudenza incerta.
Rispolvero il Testo unico dei doveri del giornalista, 22 gen 2019, si ispira a principi costituzionali ma Feltri tradisce diversi punti del documento a cui dovrebbe ispirarsi 

a) difende il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona; per questo ricerca, raccoglie, elabora e diffonde con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti;
b) rispetta i diritti fondamentali delle persone e osserva le norme di legge poste a loro salvaguardia;
c) tutela la dignità del lavoro giornalistico e promuove la solidarietà fra colleghi attivandosi affinché la prestazione di ogni iscritto sia equamente retribuita;
d) nelle trasmissioni televisive rispetta il principio del contraddittorio delle tesi, assicurando la presenza e la pari opportunità nel confronto dialettico tra i soggetti che le sostengono – comunque diversi dalle parti che si confrontano nel processo – garantendo il principio di buona fede e continenza nella corretta ricostruzione degli avvenimenti; 
e) cura che risultino chiare le differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni nell’evoluzione delle fasi e dei gradi dei procedimenti e dei giudizi. 

Questi i fatti ora mi pongo e vi pongo le mie domande.

Perchè l'Ordine dei giornalisti Nazionale non si muove? Perchè la Magistratura non interviene? Perchè la Guardia di Finanza è ferma? La Corte dei Conti inesistente? Perchè il giornalista Mario Giordano non si è attenuto all'Art. 12C del codice deontologico se conduce un programma in diretta si dissocia immediatamente da atteggiamenti minacciosi, scorretti, razzistici di ospiti, colleghi, protagonisti interessati all’avvenimento, interlocutori telefonici, via internet o via sms ?
La risposta a Feltri, al suo editore e a Giordano deve essere affidata ai commenti su Facebook, ad altri Social? Non ci sono forze per l'applicazione di regole e principi? A che serve un articolo costituzionale se viene violato. Chi controlla violazioni? Le risposte della gente comune scadono in campanilismo, stupida contrapposizione sud-nord. Battute che prendono tempo e non risolvono il problema. Perchè io come cittadino, stato, devo sovvenzionare queste figure? Perchè devo pagare ed essere insultato come meridionale?
Alla luce delle mie riflessioni se qualcuno tra i lettori me lo spiega gliene sarei grato. 

Nino Pillitteri, Palermo 25/04/2020

Atlante Umano Siciliano di Francesco Faraci - Evento streaming organizzato dall’Associazione Culturale 36° Fotogramma



Attraverso la videoconferenza organizzata dall’Associazione Culturale 36° Fotogramma ho avuto l’opportunità di scoprire Francesco Faraci, che ha accompagnato la presentazione del suo ultimo portfolio fotografico con blocchi d’immagini e che io vedevo per la prima volta.
Scopo dell’incontro era anche quello di presentare il suo ultimo lavoro fotografico “Atlante umano siciliano” edito dalla casa editrice di arte e fotografia Emuse.
Il trentasettenne Francesco Faraci ha iniziato il suo intervento con fotografie scattate in questo periodo nella sua città di Palermo desertificata.
A me che frequento da tempo gli stessi posti, anche per la passione per la fotografia che ci accomuna, gli scatti hanno trasmesso forse pienamente ciò che l’autore voleva esprimere: solitudine, smarrimento, la sottintesa speranza di risvegliarsi presto da quell’oblio indotto.
Benedetta Donato, che coordinava l'intervista, ha brillantemente incalzato Faraci, riconducendolo spesso seguire a il percorso disegnato. Francesco che, con i suoi commenti mostrava l’entusiasmo genuino del suo fare fotografia, debordava, infatti, spesso e volentieri in argomenti sempre più vasti.
Via via che Faraci proiettava i blocchi concordati, per la visione in streaming delle opere selezionate, si palesava immediatamente un crescendo d’interessanti immagini, apparentemente semplici ma in realtà alquanto complesse, perchè ricche di una moltitudine di messaggi. Per me è stato un piacevole vedere, forse anche per il fatto che l’occhio di un indigeno è diverso da quello di chi non conosce i contesti sociali rappresentati nelle foto.
Per non farla lunga, a mio giudizio, le fotografie scattate nel quartiere catanese di San Berillo, che richiamavano i vari Pasolini, Fellini e tanti altri artisti e intellettuali similari, senza alcun dubbio sono state notevoli.
Con le foto riferite a “Atlante Unamo Siciliano” si vedeva pure un certo ritorno alle origini, alle sue prime produzioni, al modo di fotografare caratterizzato dall’intuizione, dall’istintività, dalla trasposizione in pixel delle sue visioni.
Nel corso dello streaming Francesco Faraci, rispondendo a delle esplicite domande, ha affermato di non aver conosciuto prima d’iniziare a fotografare i mostri sacri della fotografia e il suo percorso di fotografo del resto lo testimonia. Al riguardo ha raccontato di essersi “acculturato fotograficamente” solo successivamente, quando cioè ha avuto la necessità di allargare le conoscenze in materia e di estendere sempre più i suoi orizzonti.
Nell’ultimo lavoro ciò si palesa e altri critici presenti alla videoconferenza hanno fatto notare la contaminazione verosimilmente inconsciamente intervenuta.
Per completezza di argomento devo anche dire che il lavoro pure presentato e riferito all’evento musicale, quello connesso all’esperienza avuta con Giovanotti, non l’ho trovato all’altezza degli altri. Mi è apparso, tranne qualche felice intuizione con qualche immagine forse frutto di “mestiere”, una produzione non spontanea, forzata e non consona al linguaggio creativo che è intrinseco alla sua produzione fotografica più verace.
Per come la vedo io, Faraci è fondamentalmente efficace quando opera seguendo ciecamente “l’animale fotografico” che c’è in lui. Deve, cioè, a mio parere, solo seguire quell’istinto innato di voler catturare quello che la sua mente coglie, senza filtro alcuno, rispondendo soltanto al piacere di voler raccontare delle sensazioni ricche e complesse che prova in quel momento e i suoi occhi leggono. Del resto le immagini più belle evidenziano come nei suoi scatti non vi sono compromessi o particolari richieste verso i soggetti ritratti, volte a mutare la scena che gli si presenta davanti.
Lo immagino in azione, il suo ruotare intorno all’ambiente in cui sta operando, magari salendo e scendendo da diversi punti d'osservazione, per catturare quello che più lo impressiona e che con un click riesce a traslare sul sensore della sua macchina fotografica o sulla pellicola analogica che forse ancora in qualche caso usa.

Buona luce a tutti!

© Essec
 

venerdì 24 aprile 2020

La lettera


"Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti. (L’ho consegnata di nascosto a Suor Chiara nella speranza che dopo la mia morte possiate leggerla). Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta per grazia da una giovane donna che ha la tua età Elisa mia cara. E’ l’unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po’ di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano. Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella “prigione”.
Si, così l’ho pensata ricordando un testo scritto da quel prete romagnolo, don Oreste Benzi che parlava di questi posti come di prigioni dorate”. Allora mi sembrava esagerato e invece mi sono proprio ricreduto. Sembra infatti che non manchi niente ma non è così…manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno “come stai nonno?”, gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare e poi quel mio finto dolore per spostare l’attenzione e far dimenticare tutto. In questi mesi mi è mancato l’odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie e persino le tante discussioni. Questo è vivere, è stare in famiglia, con le persone che si amano e sentirsi voluti bene e voi me ne avete voluto così tanto non facendomi sentire solo dopo la morte di quella donna con la quale ho vissuto per 60 anni insieme, sempre insieme.
In 85 anni ne ho viste così tante e come dimenticare la miseria dell’infanzia, le lotte di mio padre per farsi valere, mamma sempre attenta ad ogni respiro e poi il fascino di quella scuola che era come un sogno poterci andare, una gioia, un onore. La maestra era una seconda mamma e conquistare un bel voto era festa per tutta la casa. E poi, il giorno della laurea e della mia prima arringa in tribunale. Quanti “grazie” dovrei dire, un’infinità a mia moglie per avermi sopportato, a voi figli per avermi sempre perdonato, ai miei nipoti per il vostro amore incondizionato. Gli amici, pochi quelli veri, si possono veramente contare solo in una mano come dice la Bibbia e che dire, anche il parroco, lo devo ringraziare per avermi dato l’assoluzione dei miei peccati e per le belle parole espresse al funerale di mia moglie.
Ora non ce la faccio più a scrivere e quindi devo almeno dire una cosa ai miei nipoti… e magari a tutti quelli del mondo. Non è stata vostra madre a portarmi qui ma sono stato io a convincere i miei figli, i vostri genitori, per non dare fastidio a nessuno. Nella mia vita non ho mai voluto essere di peso a nessuno, forse sarà stato anche per orgoglio e quando ho visto di non essere più autonomo non potevo lasciarvi questo brutto ricordo di me, di un uomo del tutto inerme, incapace di svolgere qualunque funzione.
Certo, non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. In questi mesi mi sono anche chiesto più volte: ma quelli perché hanno scelto questo lavoro se poi sono sempre nervosi, scorbutici, cattivi? Una volta quell’uomo delle pulizie mi disse all’orecchio: “sai perché quella quando parla ti urla? Perché racconta sempre di quanto era violento suo padre, una così con quali occhi può guardare un uomo?”. Che Dio abbia pietà di lei. Ma allora perché fa questo lavoro? Tutta questa grande psicologia, che ho visto tanto esaltare in questi ultimi decenni, è servita solo a fare del male ai più deboli? A manipolare le coscienze e i tribunali? Non voglio aggiungere altro perché non cerco vendetta. Ma vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le rsa, le “prigioni” dorate e quindi, si, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime unite alle mie avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito e quindi anche pericoloso.
Questo coronavirus ci porterà al patibolo ma io già mi ci sentivo dalle grida e modi sgarbati che ormai dovrò sopportare ancora per poco…l’altro giorno l’infermiera mi ha già preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no. La mia dignità di uomo, di persona perbene e sempre gentile ed educata è stata già uccisa. Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando e così il cambio. Ma non fate nulla vi prego…non cerco la giustizia terrena, spesso anche questa è stata così deludente e infelice. Fate sapere però ai miei nipoti (e ai tanti figli e nipoti) che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale. E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare dal cielo a quelle coscienze che ci hanno gravemente offeso affinchè si risveglino, cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi.
Vostro nonno."


mercoledì 22 aprile 2020

Nel duecento una fortuna per il cattolicesimo corrotto dilagante del tempo fu la comparsa di Francesco



RAI Report del 21/4/2020 nell’anticipazione sui contenuti della puntata riporta che “con l’esplosione della pandemia il fronte sovranista che si professa ultracattolico è tornato all’attacco di Papa Francesco. Sui siti della destra religiosa americana non hanno dubbi: il coronavirus è la punizione divina per il tradimento di Bergoglio. È solo l’ultima delle accuse mosse al Pontefice, e arriva dopo i violenti attacchi lanciati contro le posizioni assunte su migranti, divorziati, difesa dell’ambiente e omosessuali. Quello degli anti-bergogliani è un network potente che comprende giornali, siti, associazioni, fondazioni e un fiume di soldi che dagli Stati Uniti negli ultimi anni è approdato in Europa e in Italia. Report svelerà in esclusiva quali sono i gruppi politici italiani sostenuti da Oltreoceano e chi sono i cosiddetti dissidenti da Bergoglio all’interno delle gerarchie vaticane e i leader politici che stanno offrendo sponda.”

Il Prof. Longo scrive sulla sua pagina FB “Il servizio andato in onda lunedì sera sul terzo canale della Rai è stato un programma di grande impatto emotivo e stimolante sul piano sociologico e culturale. Faceva capire fino a che punto la plutocrazia internazionale alleata ai cattolici reazionari e fuori dal Vangelo, sia ostile al Cristianesimo e al Papa che lo rappresenta. Ormai si può affermare con ragione che si è scavato un abisso tra il cattolicesimo e il Cristianesimo del post Concilio di Roma. Si sono capovolti i termini di un tempo nel quale si definivano laici i non chierici; oggi gli oppositori della Chiesa sono invece da cercare tra i chierici delle alte sfere ecclesiastiche e i difensori del neo capitalismo globale che gridano il loro "crucifigge" pagando farisaicamente gli indigenti e i ricchi del populismo contemporaneo. La povertà e la carità che predica Papa Francesco fa paura ai dominatori economici del mondo. Il cristianesimo non è una ideologia - ha detto giustamente Papa Francesco - e dargli del comunista vuol dire non essere né cristiani né comunisti e non avere capito neppure il marxismo, ma rinnegare il valore e i diritti della persona umana. Io chiamo tutti i cristiani e gli uomini liberi a difendere col Papa questi valori insiti nel messaggio cristiano.”

Giordano Bruno Guerri, nel suo bel libro “Antistoria degli italiani”, sottolineò che nel duecento una fortuna per il dilagante cattolicesimo corrotto del tempo fu la comparsa di San Francesco d’Assisi, che consentì il ravvedimento di taluni e in ogni caso di poter rilanciare il messaggio religioso del cristianesimo sperduto.

Oggi, nel 2020, si denota un certo parallelismo fra Papato e Presidenza del Consiglio italiana, fra Papa Bergoglio e Conte.
Se si osservano gli avvenimenti con attenzione si scopriranno, infatti, molte analogie fra i due. Anticlericali entrambi rispetto a come si è inteso il cattolicesimo praticato e l’azione politica fino all’altro ieri. Molti aspetti accomunano, infatti, le problematiche e le sorti che accompagnano la gestione dei rispettivi comparti.
Entrambi, nei loro ambiti, di certo rappresentano dei personaggi scomodi, che sparigliano le carte di sistemi consolidati e poco nobili, lontani dall’assicurare giusta spiritualità in un caso e benessere e giustizia sociale nell’altro.
E’ ormai acclarato che misticismo religioso e mondo laico, ormai e da tempo, presentano e nascondono patologie comuni, frutto di promiscuità, collusioni, interessi, corruzioni, sfruttamento, egoismi, onnipotenze.
Covid 19, in questo caso, sta paradossalmente risultando forse un aiuto. La costrizione e il tempo libero inducono a soffermarsi e, tanti, a osservare la realtà che ci circonda, permettendo di meglio mettere a fuoco e a riflettere su tante questioni quotidiane che non vanno bene e che davamo per scontate.


  © Essec

martedì 21 aprile 2020

Un fotografo a tutto tondo dei nostri giorni: Emanuele Carpenzano



Gli autori minimalisti, siano essi artisti, saggisti, poeti o altro, sono quelli dotati della grande capacità di concettualizzare moltissimo attraverso pochi elementi. 
La proprietà di linguaggio e la padronanza nell’uso delle parole, in letteratura s’identificano nel famosissimo esempio del “m’illumino d’immenso” di Giuseppe Ungaretti.
Avendo avuto l’opportunità di seguire ieri a una "lectio" di Emanuele Carpenzano ho potuto scoprire che anche in fotografia si possono raggiungere eccellenze similari, attraverso l'uso  parsimonioso delle giuste parole e scatti fotografici. Mi spiego meglio.
In questi periodi di lockdown, Nikon con l’iniziativa “iofotografodacasa” ha avuto la felice intuizione di saper intrattenere e coinvolgere proficuamente i fotografi del proprio bacino d’utenza, senza però - in questo - voler escludere altri appassionati di fotografia; argomentando, con l'intervento di fotografi della propria scuola e con ampie e variegate dissertazioni, sulla fotografia professionale e non.
In questo quadro, Carpenzano ha proposto ieri in un incontro sulla “fotografia sociale” che, in poco più di un’ora e mezzo e con ritmo narrativo incalzante corredato dalla proposizione di notevoli immagini scelte, ha saputo dimostrare come si può eccellere nel racconto andando all'essenza.
Attraverso una succinta miscellanea, da lui sapientemente dosata, ne è venuta fuori un trattato minimalista sulla fotografia di superba efficacia, corredato da una lezione supportate da proprie fotografie di livello, frutto di esperienze professionali e non solo.
Non occorre dilungarsi oltre su quanto potrà facilmente essere constatato direttamente attraverso la visione della registrazione dell’evento, da attenzionare soprattutto, nel crescendo espositivo che va dal 27^ minuto in poi. 



Buona luce a tutti!


 © Essec



domenica 19 aprile 2020

Covid 19, le problematiche e il blocco imposto - "Cu è chiù fissa, Carnalivaru o cu ci va appressu?"




L'avvento imprevedibile del pericoloso nemico killer Corona Virus ha anche creato un congelamento dello status quo che ha, di fatto, generato un'istantanea ad alta definizione della situazione socio-economica del paese Italia.
Dalla foto ingrandita, il dettaglio evidenzia una moltitudine di complessità a tutti note e che nessuno ha mai voluto ammettere, vedere e tantomeno tentare di risolvere.
E’ pur vero che sviluppare un’analisi di dettaglio appariva difficile, perchè i tanti colori sovrapposti, stratificati o nascosti, necessitavano di osservazioni molto attente.
Ora, oggi, vedere è però possibile, perché la staticità fermata con l'istantanea fotografica scattata consente di evidenziare ogni minimo dettaglio e una attenta osservazione non nasconde più, in ogni caso, i piani sovrapposti.
Fino a ieri, nella visione prospettica di un'immagine piana, non si era solo portati a non immaginare quanto potesse esserci di realmente sommerso. Nel film che scorreva giornalmente del nostro vivere frenetico, nessuno si era mai voluto preoccupare di visionarne i frames, rallentandone magari la sequenza.
Tutto questo ci ha sempre portati a tollerare, a far finta di niente, a pensare che i problemi fossero marginali, a non porci domande e, in assenza di intellettuali di spessore, a illuderci nel credere agli stereotipati slogan dei politici e degli amministratori, alla bellezza del nostro “sociale” umano 2.0, il Truman Show dei nostri tempi.
Sono tante le tessere che compongono il mosaico di un complesso paese. Stante il fermo immagine e il decorrere rallentato, cerchiamo per un attimo di impegnarci nell'abbozzare una analisi osservando ogni pixel della gigantografia fotograficamente prodotta; guardando magari i dettagli del plastico ricostruito, come fossimo archeologi che classificano i singoli reperti scoperti.
Chiamiamo in nostro ausilio anche tecnici e scienziati esperti, per valutare la qualità e la consistenza delle componenti che costituiscono il puzle tridimensionale da sottoporre a verifica.
Il plastico ricostruito attraverso la fotografia, con un’attenta scansione, mostrerà la natura di tutti gli elementi, mobili e immobili; anche la struttura di ciò che proietta ombre e la corrispondenza alle ombre stesse; lo spessore e la tenuta delle fondamenta, la consistenza della eventuale ruggine, delle muffe, la valenza delle singole componenti meccaniche che assicurano il dinamismo del contesto sociale in esame. 
Attraverso una dettagliata analisi non potrà, quindi, non emergere la coesistenza di un’economia sana apparentemente contrapposta e che spesso s’integra con quella sommersa o che magari talvolta ne fa pure da indotto.
Non potrà non vedersi una moltitudine di gente che ogni giorno s’inventa un modo per sopravvivere, falsi invalidi, mazzette, collaudi fasulli, appalti pilotati, corruzioni diffuse, posteggiatori abusivi, pizzo, lavoratori in nero, tanti disoccupati senza speranze, tanti cervelli che continuano migrazioni verso l’estero in cerca di fortuna, tanti immigrati invisibili, tanti imprenditori pronti a lucrare su ogni occasione, fosse anche un evento nefasto o speculando anche sui morti.
Non potrà non essere colta la prassi clientelare, la mafia reale e quella dei partiti, la burocrazia autonoma e quella pilotata che attanaglia; la pletora di lobbies contrapposte, gli abusi, la disomogeneità delle regole e l’irrazionalità di norme contraddittorie che alimentano discrezionalità inammissibili ma legalmente legittime; la farraginosità e l’opinabilità nell’operato di organi giudiziari, i protocolli disarticolati per gli ampi margini d’autonomia gestionale.
Oggi però, volendo, tutto appare trasparente e visibile perché il “lockdown” ha diradato la "nebbia dei porti", quella che aiutava la confusione sociale, che caratterizza e avvolge ogni contesto urbano, specie nei grandi centri ove, in qualche modo regna assoluto e incontrastato l’anonimato, l’isolamento sociale e l’abbandono.
Oggi, quindi, quell’istantanea bloccata e l'abbondanza di tempo a molti "giornalisti" è disponibile e potrebbe tornare loro utile, se solo volessero, per poter procedere ad acute osservazioni oggettive - di cose, di fatti e di fenomeni - per far affiorare e catalogare la reale capacità/incapacità gestionale dei diversi apparati, privati e pubblici, e anche quella decisionale dei managers e dei politici.
Competenze e capacità, quindi, apparirebbero oggi ineludibili per apportare i correttivi necessari al riequilibrio complessivo.
Improvvisazioni o un continuare a gridare “al lupo al lupo” risultano pertanto solo degli atteggiamenti infantili, irresponsabili, oltre che pericolosi.
Del resto è a tutti evidente il come le presunte “eccellenze” siano evaporate davanti agli eventi.
Seppur imprevedibili certe azioni irresponsabili sono state ingenerate non soltanto dal panico, dalla sorpresa, ma anche per l’incapacità gestionale di taluni, cooptati a presidiare posizioni delicate e strategiche. E non si può certamente biecamente tentare di addebitare alla classe medica l’accelerazione inopportuna dei decorsi clinici, il mandare deliberatamente allo sterminio tanti poveri cristi con i ricoveri avventati nelle RSA, emulando i lager nazisti delle deportazioni ebree. Con l'emergenza scoppiata indubbiamente si è creata la necessità di liberare posti letto negli ospedali, ricoveri di terapia intensiva, ma la soluzione assunta per scongiurare la saturazione dei pochi posti disponibili è stata una pura follia. Per non parlare, poi, delle situazioni patologiche della provincia e dei medici del territorio, rimasti abbandonati al loro destino, mentre ai VIP si assicuravano tamponi e al “patrimonio” delle società di calcio altrettanto.
E’ del tutto evidente che il sistema è ben presto impazzito, che le discrimine e che le “conoscenze” o i ruoli sociali hanno assicurato privilegi.
Lo stallo socio-economico venutosi a determinare necessita ora che siano al più presto approntate delle risposte, delle scelte percorribili; anche se prive di garanzie e certezze, appaiono indispensabili per limitare i danni e evitare potenziali ulteriori disastri.
La pace sociale e le garanzie per la tutela pubblica dipendono da decisioni e scelte, non più demandabili o delegabili, che devono essere assunte esclusivamente dalla classe politica, nel suo insieme.
In queste circostanze difficili, occorre senso dello Stato, di responsabilità da parte di tutte la parti in causa.
Politicamente, maggioranza di governo e opposizione sono chiamate a lavorare per un intento unico: quello di cercare di limitare il più possibile potenziali danni e di assicurare piena assistenza, non solo sanitaria; dare il massimo delle garanzie possibili, per avviare prontamente il paese verso una ripresa economica.
Le diverse ideologie possono solo orientare in un’unica direzione e il compromesso politico è la sola risposta, assolutamente indispensabile e costituisce l’unica strada percorribile.
Occorre un’azione basata su decisioni che vedano un'attività lucida del governo e un’opposizione responsabile e attenta, volta a garantire trasparenza e assicurare quel controllo assegnato al ruolo dalla democrazia. Ma aimè questa disamina, ha il sapore d’utopia.
Ancora, per concludere e tornare al quel realismo che ci identifica come italiani, è bene tenere sempre a mente la massima siciliana di “Cannilivaru o cu ci va appressu”.
A tal proposito riporto, quindi, fedelmente uno scritto ripreso nel web da un blog e attribuito a “Apollonio Discolo”.

"Il mondo in balia di un idiota" è il titolo dell'articolo di spalla che oggi, 11 settembre 2010, compare sulla prima pagina di un importante quotidiano italiano. Lo firma il direttore. L'idiota (è appena il caso di dirlo) è quel religioso americano amante, a suo dire, dei roghi.
A margine delle dichiarazioni di intenti del pastore, dell'articolo dell'illuminato direttore e di tutto l'assordante e caotico rumore che intorno a quelle dichiarazioni è stato fatto, nessun commento è migliore, a parere di Apollonio, di quello fornito dalla saggezza popolare espressa in un tradizionale detto siciliano: "Cu è chiù fissa, Carnalivaru o cu ci va appressu?" [Chi è più stupido, Carnevale o chi gli va dietro?].
Il mondo in balia di un idiota? Quando mai! Come sempre, il mondo in balia degli innumerevoli stupidi che stanno nel codazzo di un idiota, anche solo per atteggiarsi facilmente a critici, e che amplificano con le proprie idiozie l'eco delle sue, altrimenti insignificanti, sovente per calcolo sconsiderato di interessi meschini.  

Per tornare all'argomento principale, per le caratteristiche antropologiche del popolo italiano, che sono frutto di una accozzaglia di tifoserie disparate, sempre intente a seguire un proprio leader, da esaltare o da ghigliottinare a secondo gli interessi d’occorrenza, anche con tutto l'ottimismo possibile, rimangono poche le speranze di successo.

© Essec


P.S. - Dopo aver fatto leggere in anteprima l'articolo, alcuni amici mi hanno trasmesso delle piccole chiose, che sintetizzano l'essenza del messaggio.

La prima: "l’Italia è il paese dei campanili, ci sono ancora signorie e principati che nella versione attuale delle regioni si muovono in ordine sparso di fronte ad un avversario che richiederebbe un fronte unitario e compatto. Comunque la speranza, non so fino a che punto fondata, è che, come già qualcuno ha scritto, che il carattere degli italiani non “sia genetico e immutabile ma frutto di circostanze sulle quali si possa intervenire “. 

La seconda: "la soluzione  salvifica rimane nel confidare in coloro che posseggono valori individuali che hanno saputo resistere al richiamo delle sirene mistificatrici, eufesmistica definizione, dei nostri tempi. Sarebbe auspicabile, come dicono gli oratori aulici, che tali individui si organizzassero in una coalizione  sinergica per tentare l'impossibile impresa di una sana, umana ribellione e che demolisca  tutti gli ottimi  schemi di facciata  che ci hanno portato a questi risultati. Se così non sarà io speriamo che me la cavo e chi s'è visto s'è visto. La situazione è fluida....... e attualmente non vedo l'ora di andare nel mio arcadico rudere di campagna."

venerdì 17 aprile 2020

Correre tante maratone in un anno fa anche male


In questi giorni hanno fatto molta notizia le considerazioni di Mentana, esternate a caldo alla “sette” durante la conduzione di un suo telegiornale delle venti.
Premesso che la libertà d'opinione è uno dei principi fondamentali in una democrazia, la disquisizione vuole riferirsi essenzialmente alla funzione svolta dal conduttore in quel momento, quella di giornalista, che non coincideva affatto al ruolo tipico di un opinionista. 
Sentire dire, quindi, a un Enrico Mentana di essersi rammaricato per non aver saputo censurare tempestivamente – nel corso della diretta del notiziario – le esplicite accuse del Presidente del Consiglio dirette a specifici esponenti dell'opposizione, non apparirebbe del tutto in linea con la professionalità richiesta a chi da sempre si professa completamente libero: Giornalismo è quello di fare cronaca.
La “supercazzola” tirata fuori poi nel notiziario dell’indomani, durante la quale tendeva a dissertare, cercando di motivare le sue tesi, è apparsa peggiore della scivolata occorsa il giorno prima. Nel suo dire, si sentiva il tipico rumore di unghia sul vetro che “si avvicinava a quello di chi tenta di arrampicarsi sugli specchi”.
Le argomentazioni addotte sono sembrate più consone all’assuefazione, più inclini a una rassegnata tolleranza verso altre forme si di violenza verbale – spesso sguaiata e non sempre sollevata a proposito - che per taluni noti personaggi dell’opposizione politica è divenuta ormai una regola che identifica e caratterizza.
All’indomani, quindi, è quasi sembrato di assistere a una di quelle posizioni sempre più spesso assunte da quei genitori di figli che palesano maleducazione a scuola. Quelli che, quando vedono riprese le “creature”, piuttosto che redarguirle in modo appropriato ed energico per l’indisciplina, ne prendono invece aprioristicamente le difese e pretendono anzi le scuse dal docente educatore.
In molti hanno fortunatamente evidenziato l'inopportuno pentimento, esternato da Mentana alla fine del collegamento in diretta con Palazzo Chigi. I colpi di scena evidentemente non gli erano stati graditi e appare strano per uno che ha navigato in tanti mari.
Verrebbe da dire, al riguardo, che l'autoreferenzialità già di per sè non è una gran bella cosa, ma anche attribuirsi medaglie e stellette al fine di poter sostenere una tesi di parte non è neanche elegante e non porta nemmeno tanto onore. Auto-certificarsi, poi, sull’irreprensibilità nelle varie militanze – durante i differenti momenti della propria storia giornalistica - non è sufficiente per autocelebrarsi e collocarsi da se nel Pantheon dei “santi illuminati” della carta stampata.
Occorre, a dire il vero, riconoscere che la questione in oggetto è purtroppo di più vasta portata. Ormai sono tanti i soloni di ogni genere che pontificano dicendoci ciò che è giusto e quello che non lo è: in pantalone o in gonnella.
Troppe apparizioni in molti spazi dell’etere che non prevedono contraddittori inebriano, alterano talvolta la percezione delle realtà e creano situazioni strane. Come accade a colui che parla sempre davanti a uno specchio o dialoga da solo con la telecamera. Alla lunga, dandosi sempre ragione, senza essere sfiorati da dubbi, si rischia in entrambi i casi di fare la stessa fine di Narciso.
Per inciso, è noto che i podisti amanti delle maratone optano di percorrerne ogni anno solo alcune; 42,195 km sono tanti e si sa per certo che il lungo percorso massacra l’individuo: ogni corsa di fondo mette in crisi il fisico. E farne troppe di maratone, metaforicamente parlando, oltre a pregiudicare la qualità dei risultati, procura anche un certo annebbiamento al cervello.
In conclusione si vuole però spezzare anche una lancia a favore, riconoscendo a Mentana il merito di aver saputo introdurre in TV un nuovo metodo di conduzione in un telegiornale, enfatizzando anche - a proprio modo - le notizie sugli accadimenti giornalieri. E si può pure dire che, fatta eccezione per l’emulazione di Emilio Fede nella volontà di aver voluto creare un nuovo “Brosio”, bisogna dargli atto che resta fra il meglio che può oggi offrire la piazza. Del resto può sempre capitare a chiunque di poter scivolare su una buccia di banana, no?

 © Essec

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Monte Pellegrino visto da casa natia di Acqua dei Corsari

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